Capitolo 3
7 maggio 1731 - Madrid
La regina Elisabetta Farnese aveva convocato con urgenza il principe Carlo nelle sue stanze e, ora, fissava il paesaggio oltre le imposte come se fosse ancora sola.
Carlo, poco più che quindicenne, invece, la osservava con animo inquieto in attesa che si pronunciasse.
"Devi ascoltarmi" esordì lei con tono grave, "non serve che ti ricordi l'importanza di gestire al meglio i propri affari, vero?"
Il giovane rimase in silenzio ad osservare le spalle della madre, diritte come sempre.
Si volse cogliendolo alla sprovvista ed egli reagì abbassando lo sguardo.
"Guardami" gli intimò e attese.
Il figlio sollevò il viso fissando gli occhi della madre resi torbidi dalla fierezza.
"Il mio nome è Elisabetta Farnese, ultima del mio nome" esordì con orgoglio "sai cosa significa?"
Carlo annuì, non capendo invero il motivo del quesito.
"Non mentire a tua madre" lo ammonì di nuovo avanzando.
Possibile che non vi vada bene niente! pensò il ragazzo senza dar voce a quelle parole, timoroso, come tutti, della sua ira.
A dispetto dell'usuale temperamento, la regina prese quelle mani giovani tra le proprie e ammorbidì il tono, "Significa che tu sei la mia sola ed unica speranza."
Gli occhi regali si schiarirono nel pronunciare quelle poche parole e Carlo ne fu tanto sorpreso che osò parlare "Cosa volete che faccia, madre?"
La domanda appena pronunciata racchiudeva in sé l'essenza della propria vita. Il titolo di principe valeva poco al cospetto dei suoi genitori. In quei frangenti, quando i reali manifestavano i loro desideri, o meglio, i loro ordini, egli come un qualsiasi suddito doveva obbedire, e dimostrarsi grato anche solo per essere nato.
Elisabetta sorrise, non un vero sorriso, il suo fu più un accenno di soddisfazione, "Sapevo che non avresti deluso tua madre."
Lasciò la presa e andò a prendere posto sulla poltrona damascata, si mise diritta, seduta sul bordo e, in un solo istante, aveva riacquisito la padronanza del suo ruolo.
"Siediti!"
Carlo eseguì.
"Come ben sai il duca Antonio Farnese è morto da qualche tempo, io sono l'erede legittima e tu sei il mio."
"Mi sembrava di aver capito che il duca avesse rogato il testamento in favore del ventre pregnante" replicò l'altro, sul lungo silenzio che aveva seguito quella frase.
La regina si lasciò andare a una risata sprezzante, "Sì, lo ha fatto, ma una gravidanza è assai poca cosa, vi sono troppi pericoli per essere una garanzia."
"Avete in mente qualcosa?" osò, confuso e curioso allo stesso tempo.
"Certo, mio caro" ammise la donna, "ricorda sempre che diventare regina consorte non è una casualità. È un premio per il duro lavoro svolto. Una mente sveglia è in primis una grande dote, la lungimiranza nel prevenire gli eventi e nel modellarli sono fonti di pregio."
Il ragazzo parve confuso e sul suo silenzio la regina proseguì. "Il trattato di Siviglia, mio caro."
"Quello del 1729?" domandò non intuendo il collegamento.
"Esatto, la lungimiranza" disse con un sorriso bieco, soddisfatta della propria arguzia "quel trattato mi aiuterà a reclamare ciò che è mio."
"Con quel trattato la Spagna ha perso numerosi privilegi commerciali in favore della Gran Bretagna" le fece notare il figlio.
"Esatto" si rallegrò la donna, felice che il figlio non fosse un totale sprovveduto "ma abbiamo guadagnato il loro appoggio sulla mia richiesta di conservare i diritti sul ducato di Parma e Piacenza."
"Volete reclamare il ducato?"
"Sì."
"Qual è il mio ruolo, madre? Fatico a capire."
"Tu diventerai il duca di Parma e Piacenza in mia vece" fece una breve pausa, poi il suo tono mutò, abbandonando la soddisfazione per colmarsi di rabbia. "Essendo tu, figlio di seconde nozze, non potevi certo anelare al trono di Spagna, i tuoi fratellastri ti sono innanzi per diritto, ma grazie alla mia lungimiranza " spiegó sottolineando l'ultima parola, "Tu diverrai duca e avrai una tua terra da governare."
Carlo capí, sarebbe diventato duca di una terra lontana, ma di una terra che in parte era sua. "Cosa volete che faccia?" chiese ancora, confuso e impreparato a quel risvolto nella sua vita.
"Tieniti pronto" gli rispose mantenendo il sorriso bieco, "perché quando sará il momento, partirai senza preavviso."
Il giovane annuì.
"Ora vai, penserò io al da farsi."
Quando Carlo si ritrovò solo nel lungo corridoio privo di finestre, gli sembrò che l'aria fosse stata risucchiata dalle pareti. Un terrore, forse ingiustificato lo aveva avvinto, e ora aveva l'amara impressione di essere in trappola. A passo svelto, molto più del consentito, avanzò nel labirinto di famiglia fatto di marmo e velluto fino a giungere agli appartamenti del Principe delle Asturie.
Una delle guardie gli rivolse la parola,
"Il principe vi aspetta?"
"No, ma ho urgente bisogno di parlargli" rispose con il fiato corto.
Non si era reso conto di aver corso.
Mentre la guardia svaniva oltre la porta dall'intaglio dorato si chiese cosa lo avesse condotto fino a lì, dal suo fratellastro che, in cuor suo, aveva sempre chiamato fratello.
"Il Principe vi sta aspettando" annunciò la guardia poco dopo cedendogli il passo e lasciando ai domestici l'onere di accompagnarlo.
"Carlo, qual buon vento ti porta in questi luoghi lontani?" esordì Ferdinando abbozzando un sorriso.
"Desideravo parlarti" ammise di impulso, poi la sua attenzione fu deviata sulla donna che sedeva alla finestra.
Colto dall'imbarazzo, per la mancata galanteria, le si avvicinò per un saluto rispettoso.
"Perdonatemi Maria Barbara, a volte dimentico le buone maniere."
La principessa nel mentre si era alzata per restituire il saluto, "Non preoccupatevi Carlo Sebastiano, siamo in famiglia, dopotutto" sorrise e si congedò lasciandoli soli.
Ferdinando attese che la moglie uscisse dalla stanza, seguendo con lo sguardo l'incedere poco aggraziato dei suoi fianchi abbondanti.
Uno sbuffo gli uscì dalle labbra e prima di tornare al fratello disse: "L'apprezzerò, prima o poi."
Carlo rimase in silenzio, indeciso su cosa dire.
Ricordava bene la delusione del fratello quando vide per la prima volta il ritratto della sua promessa e, ancor più, sapeva il disgusto che aveva provato nel vederla di persona.
"Lasciamo stare le mie pene" disse ridendo e dando una pacca sulla spalla al ragazzo, lo incitò: "Forza, dimmi cosa succede?"
Carlo parve in imbarazzo, come poteva parlare con lui della regina, quando sapeva il male che gli aveva arrecato?
Abbassò lo sguardo "Credo di aver sbagliato a importunarti."
Ferdinando capì, perché era sempre quell'arpia la causa di tutto.
"Immagino si tratti della regina" disse con tono neutrale.
Il fratello non aveva colpa per i danni causati dalla madre.
"Sì."
"Non sentire su di te il peso del nostro esilio", spiegò Ferdinando, "Louis ha avuto comunque il Regno, anche se per poco ed io ho ancora tempo per poter assaporare la vendetta."
Carlo sapeva che per vendetta il fratello si riferiva all'ascesa al trono e all'inevitabile esilio dell'attuale regina, quindi non si curò di quello.
"Mia madre vuole che diventi il duca di Parma e Piacenza" spiegò.
"Questa è una buona notizia!" ammise il principe non capendo il problema.
"Sarò da solo a governare e se non ne fossi in grado? Io non ho ricevuto i tuoi insegnamenti. E se le mie idee e i miei modi non saranno capiti o accettati?"
Ferdinando pose le mani sulle sue spalle spingendolo a sedersi, mentre un sorriso benevolo gli illuminava il volto.
Era assurdo il loro rapporto, vista la naturale sfida di potere, ma quella era di Elisabetta, non sfiorava loro che erano solo i figli di quella realtà.
A quel sorriso fece seguire delle parole cariche di affetto e di saggezza, nonostante la scarsa differenza di età. "In un'epoca dove la morte prende in culla o nella gioventù più fiorente, tu, Carlo Sebastiano di Borbone proprio come me, che ti sto dinanzi, siamo stati prescelti da Dio e predestinati a grandi cose, diversamente non ti sarebbe concessa una simile opportunità. Non temere dunque il giudizio degli uomini, perché hai il sostegno del Signore."
Carlo si sentì rinfrancato, "Sarai un ottimo re di Spagna."
"E tu, caro fratello, sarai un gran duca."
Si abbracciarono, consapevoli che forse quello sarebbe stato il loro ultimo saluto.
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