•CAPITOLO 9• COLTIVA LE TUE CURVE•

•Cassia•


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Aaryan shah -Renegade- 🌙

La forza di gravità in questa stanza sarà aumentata almeno del doppio rispetto alla normalità, mi sta fissando, i suoi occhi chiari che oscillano sulle tonalità dello scuro mi fanno rabbrividire, sento la pelle d'oca farsi strada sulle spalle per poi scendere lungo la schiena.

Qualcosa mi dice che non è proprio una fantastica idea stare qui in queste condizioni, davanti al suo sguardo minaccioso che sembra apparentemente tranquillo, sono sicura che di quest'ultima affermazione non ci sia nulla di vero.

Inizio a studiare il suo viso molto velocemente, i suoi zigomi sono abbastanza contratti, la mascella irrigidita per qualche motivo sconosciuto a me.

Mi sento abbastanza spaesata, non mi aspettavo che la serata prendesse questa piega.

Dio santo...

Un suo movimento della mano mi riporta alla realtà, la alza leggermente fino a fare arrivare la sigaretta alle labbra carnose ma non esagerate.

Detesto la sua tranquillità nel fare le cose, a differenza sua io mi sento così impacciata.

Aspira il fumo per poi farlo uscire all'esterno e dissolversi nell'aria al di fuori della finestra, mi fissa dritto negli occhi sollevando un sopracciglio.

Corrugo la fronte, inizialmente non capisco bene ciò che intende fare, d'altronde non parla se non fisicamente.

Mi guarda con aria di sfida e spero davvero per lui che non voglia fare qualcosa di strano perché gli capiterebbe proprio la persona sbagliata. In risposta al suo gesto, alzo un sopracciglio anche io.

Sono proprio curiosa di scoprire dove vuole arrivare la sua mente sconosciuta.

La curiosità è un bene ma a volte è meglio non spingersi troppo oltre presumo.

La sua sigaretta è quasi finita, man mano che si consuma la carta prende fuoco e un piccolo rigamento arancione si vede nel buio illuminando un minimo la sua figura.

Mi sorprende però quando dopo un ultimo tiro, incastra la sigaretta tra pollice e indice per poi lanciarla direttamente sul mio davanzale.

Sussulto leggermente per la mossa non tenuta in conto.

Ma chi diavolo si crede di essere...

Sfacciato.

Quando però la sua concentrazione non è più focalizzata sull'oggettino tra le mani ma sulla mia pelle, mi mordo le labbra non riuscendo a seguire bene. i suoi occhi scendono, partendo dai miei occhi fino ai miei seni tondi da dove non sposta lo sguardo facilmente.

Ghigno. Chiudo gli occhi come a concentrarmi su quello che è l'obiettivo e quando li riapro, sono diversa, più consapevole, meno agitata e con più controllo di me stessa, lo guardo con decisione per poi allontanarmi dal suo sguardo inquisitore.

Mi avvicino al libro precedentemente appoggiato, prendo i fogli su cui stavo impazzendo e torno di nuovo davanti a lui, gli lancio un ultimo sguardo per poi buttare fuori quelle stupide pagine, lui non si smuove ma segue tutto con gli occhi attento.

Piego la testa di lato e gli faccio un sorriso ''ironico'', dopodiché chiudo la finestra e sposto le tende davanti ai vetri per non far vedere nulla.

Sono bloccata proprio qui davanti e tengo ancora la stoffa stretta tra le mani senza riuscire a lasciarla, sono nervosa, confusa e incredula.

Per fortuna la stoffa è coprente quindi dall'esterno non vede e non vedo assolutamente nulla.

Con tutta la forza che mi ritrovo in corpo, mi sposto verso il letto cercando di mantenere l'equilibrio che non ho. Quando riesco a toccare le lenzuola, mi siedo sprofondando tutto il peso in un punto.

Faccio mente locale di quello che è appena successo in questa ultima mezz'ora, Axel è il mio vicino di casa, presumo che lui abbia scritto quelle lettere anonime, mi ha vista in reggiseno e per di più mi ha ''sfidata'' con lo sguardo.

Una serata abbastanza movimentata per i miei gusti e se prima avevo la pelle d'oca, ora tutta la superficie del mio corpo sembra andare in escandescenza totale.

Che effetto del cazzo.

Davanti a me la porta del bagno è socchiusa e sicuramente meglio di ora per una doccia fredda non c'è.

Mi tocco i capelli nervosamente, scompigliandoli e annodandoli sempre di più tra loro, mi mordo forte il labbro per lo stress emotivo.

Mi alzo per andare verso l'altra stanza. Accendo le luci che accecano la mia vista facendomi socchiudere leggermente gli occhi per poi riaprirli una volta abituati.

Il bagno è sempre stato il mio posto sicuro perchè da piccola mi rifugiavo sempre dentro.

Mi privo di tutti gli indumenti e senza soffermarmi sulla mia figura entro dentro la doccia regolando l'acqua sul tiepido-freddo, nonostante sia Ottobre, a volte ho bisogno di acqua gelata che colpisca la mia pelle, mi fa stare meglio, come se le goccioline spegnessero un incendio nel suo fulcro più vivo.

Mentre l'acqua picchietta il mio viso ancora di più le mie palpebre chiuse, ripenso a certi avvenimenti accaduti nel passato.

Axel da piccolo non è mai stato un bambino socievole, parlava con tutti ed era sempre a disposizione del prossimo ma nessuno aiutava lui.

Nonostante la sua gentilezza fosse apprezzata, riceveva tante botte in testa, a volte gli rubavano la merenda a scuola o addirittura gli facevano fare i compiti di altri bambini.

Era solo, nel suo banco con la testa poggiata su di esso, guardava il vuoto quasi sempre e si sedeva agli ultimi posti, forse per non farsi notare, i suoi capelli neri sono sempre stati sinonimo di diverso rispetto agli altri che erano tutti dai colori marroni. Dicevano che era un mostro solo perché non riusciva a ribellarsi, lo consideravano debole.

Poi un giorno ricordo che una ragazzina gli si avvicinò solo per fargli uno scherzo dettato da altri, di cattivo gusto. Lui era piccolo, forse non capiva alcune cose o forse molte, leggeva e anche tanto, testi costruttivi con immagini strane, ma quel giorno aveva in mano un piccolo libro tutto colorato all'esterno con delle figure in bianco e nero all'interno, rideva ogni tanto, forse per quello che focalizzava. Tutto poi si ridusse in ''cenere'' quando quella bambina glielo tolse dalle mani saltandoci con i piedi di sopra per poi strapparlo e lanciarlo ai suoi amichetti. Risero di lui, deridendolo.

Alla vista di quello spettacolo orribile, mi misi la manina in bocca.

Lui ci rimase così male, non ebbe nemmeno la forza di ribellarsi né dire niente, quando andarono via, prese le pagine strappate e le ripiegò mettendole nella cartella per poi appoggiarsi sul banco come sempre con la testa china. Nessuno lo aiutava, nessuno gli chiedeva come stesse.

Quella scena mi colpì profondamente e per fortuna vidi di soppiatto quel piccolo libro dai mille colori, a fine lezioni, nonna mi riprese da scuola e invece di correre a casa e giocare con Leyla le raccontai tutto l'accaduto rimanendo sconvolta, mi vide triste e le chiesi se potessimo comprare l'oggetto distrutto, lei mi sorrise come non aveva mai fatto, e andammo nella libreria della signora Adele.

Quando entrammo, le ho cominciato a descrivere i colori, la dimensione di quello che ricordavo e dopo una lunga ricerca al computer di centinaia di immagini lo trovai, gridai non appena mi apparve davanti agli occhi.

La signora Adele lo prese e lo impacchettò con cura.

Dopo qualche minuto uscimmo e la nonna mi prese la mano per andare a casa.

La mattina dopo quando entrai in classe, era sempre lì con lo sguardo cupo a leggere un altro piccolo libro colorato.

Sorrisi, ero tanto eccitata, la nonna ha detto che sono stata davvero altruista e brava, dice che sono pura, chissà cosa vorrà dire...

Quando prendo finalmente coraggio, mi alzo facendo un leggero rumore andando verso di lui, alla mia vista alza lo sguardo stringendo le labbra.

Lo salutai e lui mi salutò, gli porsi la busta e senza dire una parola lui l'aprì, quando vide il contenuto, una piccola lacrima gli cadde, sorrise ed io dopo di lui.

Gli dissi che poteva contare su di me, adesso non era solo, per la prima volta sia io che lui nel nostro banco non avevamo più quel posto vuoto accanto, mi spiegò i fumetti, era roba strana ma bellissima, io li chiamavo così ma mi rimproverava sempre perchè lui li chiamava manga.

Da quel giorno non è stato più il bambino solitario e nemmeno io.

Quando dovetti andare via, dentro di lui qualcosa si spezzò, per quanto si sforzasse di nascondere tutto, i suoi occhi parlavano, la sua voce parlava e anche la sua tonalità di voce.

Nonna nelle sue chiamate mi diceva che Axel arrivava puntualmente tutti i giorni alla stessa ora davanti al portone, chiedeva incessantemente mie notizie, dove mi trovavo e perché fossi andata via. Pregavo alla nonna di non dire niente, mi vergognavo, non volevo sapesse nessuno, volevo solo starmene nel mio buco nero, sola e senza nessuno.

Nonna piangeva sempre, lui piangeva sempre, per questo motivo era sempre lì, nonostante sapesse già la risposta, non si arrendeva, era davvero una testa dura quel bambino.

Un piccolo sorrisetto mi spuntò prima che una lacrima bagnasse il mio viso.

Poggiai la testa sopra la piastrella fredda pensando a quelle inutili parole, a quanto in quel periodo sembrassero così veritiere ma ad oggi non lo siano più.

-Tutto questo lo facciamo per il tuo bene...- Una delle frasi che rimbombavano sempre nella mia testa.

Per il tuo bene...

Per il tuo bene...

Solo per il tuo bene...

Alla fine non servì davvero a qualcosa, porto ancora i miei scheletri dentro l'armadio.

Sei forte dicevano, ma lo sono davvero o è solo una stupida favola che mi autoinculcavo solo per poter andare avanti?

Anche Crystal cercava informazioni e forse qualcuna gliela diedero, proprio per questo lei mentiva ad Axel dicendogli che sarebbe andato tutto per il verso giusto, che sarei tornata, alla fine non tornai mai più negli anni a venire, se non ora dopo un tempo indefinito.

Lo facciamo per il tuo bene...

Pareti bianche illuminavano tutto attorno a me, cerotti tiravano la mia pelle delicata e bianca facendola diventare troppo arrossata rispetto all'originale.

La mia testa gira troppo, un vortice attraversa i miei pensieri. Non riesco a riconoscere nessuno, solo un signore adulto che tiene una siringa in mano.

I miei occhi spalancati che non capiscono nulla.

Provo a muovermi ma i miei polsi sono legati...

-NO, NO, NO...- Inizio a divincolarmi fino a farmi troppo male, le lacrime non minacciano di scendere, neanche una singola.

Volevo solo andare via da quel posto orribile.

Ho bisogno di casa mia, dei fiori, di giocare e saltare, invece ci sono solo estranei a conficcarmi aghi.

Mentre mi divincolo, una dottoressa, cerca di tenermi ferma il più possibile.

-Dobbiamo sedarla o non potremo curarla.-

Sedare? Cosa voleva dire quella strana parola?

Le mani iniziarono a formicolare, il cuore ad esplodere dalla troppa velocità come se mi stesse per uscire dal petto.

Provai a toccarmi la fronte ma dimenticai di essere legata su quel lettino sfoglio, iniziai anche a tremare e qualche rivolo di sudore a scendere verso la tempia.

Improvvisamente però mi immobilizzai, un dolore lancinante sulla base del collo si allargò immediatamente fino al cervello e mentre i miei occhi iniziarono a chiudersi guardai tutti i presenti.

Avevano uno sguardo pietoso, triste, di rammarico.

Loro che provano pena per me, mai nessuno dovrà provare pena per me, nessuno saprà quello che sta succedendo. Mamma diceva che ero brava a mantenere i segreti, me lo sarei portata fino alla morte.

Lasciai lì i loro sguardi prima di chiudere definitivamente gli occhi e lasciarmi andare al buio totale.

Riapro gli occhi dopo averli chiusi per concentrarmi, alla fine mi allontanai davvero da tutti per tutta la strigliata che mi fecero.

Non ero pazza ma loro me lo fecero credere, mi davano delle medicine che non presi mai, se solo avessi ingerito quelle cose, Dio solo saprebbe dove sarei ora...

Non riesco neanche a farci un ipotesi, mi si apre un'enorme ferita.

Mi dispiace, ma cosa potevo fare, cosa avrei dovuto fare, non potevo scappare, non potevo neanche ribellarmi, mi avrebbero legata con quelle stupide cinture di cuoio marroni.

Chiudo il getto dell'acqua con un groviglio di brutti pensieri.

Esco senza avvolgere nulla al corpo ma prendo comunque una tovaglia per togliere le goccioline dal viso.

Il grande specchio davanti a me ritrae la mia figura, stringo i denti facendo intravedere la leggera mascella rigida formarsi appena.

I miei occhi percorrono la mia figura, comincio dal collo non troppo esile, il petto e l'interno del seno dove si trova una cicatrice tonda, leggermente rialzata e con un colore appena diverso.

La tocco e per poco non sento una scossa elettrica farmi sobbalzare, traccio il contorno fino alla parte esterna del seno destro, un taglietto sotto che a malapena si vede ma che si sente benissimo al tocco.

Ancora giù e nei fianchi altre cicatrici tonde, piccoli taglietti.

Deglutisco a fatica, per poco non mi rimane un groppo invisibile in gola.

Un tempo facevano male, tanto male, era uno di quei dolori fisici che sembravano insopportabili. Erano sopportabili invece, quello che è diventato troppo pesante invece è stato convivere vedendo tutto questo giorno per giorno e accettarlo.

I miei occhi si inumidiscono diventando lucidi.

Mi arrabbio con la figura riflessa e ripeto di non cedere, non devo cedere, non posso assolutamente cedere. L'ho promesso a me stessa, non avrei mai più fatto scivolare una lacrima per tutto questo, ormai è passato, non è reale tutto ciò che vedevo e immaginavo.

Non posso cedere.

Ricaccio indietro la lacrima facendomi ''scoppiare'' le tempie per lo sforzo.

Mi giro di schiena e per fortuna quelle brutte linee sono quasi invisibili, stupide cinture.

Butto fuori un bel sospiro e mi appoggio al lavandino come in cerca di supporto.

Sono io la mia forza, non ho bisogno di nessuno sguardo pietoso, né di compassione altrui.

Ritorno di nuovo alla mia figura che al mio sguardo cambia, sono un corpo fortissimo, ho una mente altrettanto superiore e nessuno può abbattermi.

Non cederò mai a quelle ''punizioni''.

Prendo un asciugamano e lo avvolgo attorno al mio corpo.

-Cassia, sono a casa...-

Cerco di riprendermi da tutto il momento ed esco dalla stanza, sobbalzo perché mi ritrovo nonna ad un palmo dalla faccia, rido.

-Ma che cosa stavi facendo?- Dice lei scherzando.

Indico il mio corpo e lei segue i movimenti.

Alza gli occhi al cielo, credo non ne possa più delle mie innumerevoli docce.

-Sono riuscita a rincasare prima per fortuna, adesso preparo la cena, vestiti che c'era un pacchetto per te dentro la cassetta delle lettere.-

Corrugo la fronte non riuscendo a capire ma non mi soffermo troppo, nonna nel frattempo scompare giù per le scale lasciandomi sola.

Tolgo l'asciugamano e metto il pigiama che consiste in un paio di leggins neri e una felpa bianca enorme, il tutto accompagnato dai calzettoni pesanti.

Dopo aver sistemato tutto e asciugato la mia capigliatura, scendo di sotto, trovo dei piatti fumanti e profumati.

Annuso ancora di più e noto con piacere dello spezzatino buonissimo.

Senza aspettare troppo inizio a mangiare ma come sempre mi scotto la lingua.

-Non cambi mai, devi avere pazienza, te lo dicevo sempre, averla è la virtù dei forti.-

Credo di aver sentito questa frase almeno un milione di volte, non imparerò mai.

Mi gusto la cena in compagnia anche della televisione che non fa altro che parlare del Mondo esterno.

Ogni tanto mi capita di sbadigliare e tra una cosa e l'altra finisco tutto, prima che vada però di là, nonna mi ferma per darmi quel piccolo pacchetto di cui aveva accennato prima.

Lo prendo e scappo di là, non sia mai fosse qualcosa di scandaloso.

Sembra fatto da poco, è incartato con cura in un foglio marrone con un piccolo spago attorno.

Una linguetta spunta appena e presumo io debba tirarla. Così faccio e non appena traccio il giro completo il pacchettino si apre a metà.

Un quadernino, una lettera al suo interno. Nessun mittente, ormai non c'è alcun bisogno di saperlo, l'ho capito perfettamente.

Apro il foglio diverso dagli altri, di un colore grigiastro.

Stai facendo ciò che voglio, che il gioco abbia inizio.

Guardo la prima pagina...

Coltiva le tue curve potranno essere pericolose ma non potranno essere evitate.

Nonostante io cercassi una risposta da qualche parte del mio cervello, non arriva proprio, continuo a non capire, posso anche credere che lo stia facendo apposta, sicuramente sarà così solo per farmela pagare.

Salgo sù in camera mia, la finestra precedentemente chiusa sembra leggermente socchiusa, forse sarà stato il vento, almeno spero, non mi farò alcun pensiero strano.

In mano tengo ancora quel pacchettino con me. Non so cosa fare, non so se buttarlo o tenerlo, un ''filo'' di vento mi colpisce la guancia e decido di chiuderla, per lo meno ci provo dato che non appena afferro la maniglia, il suo sguardo gelido è ancora lì.

Mi fissa, come se non me ne fossi mai andata dalla sua visuale, mi sento intrappolata dentro una specie di cubo ogni volta che lo guardo, vorrei essere forte, gridargli in faccia tutto ma sento le parole risucchiarmi dentro, tornare da dove erano state pensate, tornare da dove non sono mai fuoriuscire.

Non riesco a parlargli, non riesco a muovere un muscolo, sento un risucchio di energie nonostante lui non stia facendo neanche un accenno, vorrei solo scomparisse da quella finestra, vorrei non fosse qui e sono egoista perchè forse è l'unica persona a cui devo tanto.

Deglutisco a fatica perché anche la mia saliva sembra essere diventata un macigno duro da far scendere, stringo ancora più forte quell'ammasso di fogli sentendo molto bene la copertina rigida del quaderno. Lo alzo facendogli vedere il contenuto, lui sembra aspettarsi questa mia mossa infatti non segue nulla di quello che sto facendo.

Anzi alza un sopracciglio non capendo molto, chiudo gli occhi facendo un respiro abbastanza profondo per poi riaprirli e sentire il Mondo nelle mie mani, alzo lo sguardo al cielo e lo ignoro totalmente con tutta la forza che ho.

Sbatto la finestra per farglielo capire meglio e butto tutto sul letto. Un rumore di cianfrusaglie si protende nell'aria, non capisco e scendo di sotto.

Trovo nonna indaffarata con una valigia abbastanza grande. Piego la testa di lato non capendo bene.

-Nonna?- Chiedo.

Lei sembra talmente confusa da non capire bene o non sentire del tutto, così la richiamo più forte e lei sobbalza.

Mentre continua a piegare i vestiti, mi parla.

-Tesoro, scusami, purtroppo devo andare via per tre giorni, un ottimo affare è arrivato proprio ora e se non ci sbrighiamo, rischiamo di mandare tutto a monte.- Parla velocemente.

Continuo a non capire purtroppo e lei lo nota dalla mia espressione.

-Ricordi in passato quando dicevo che il mio sogno era ingrandire il negozio di fiori facendolo diventare qualcosa di più importante?-

Annuisco seguendo il tutto.

-Un importante donna d'affari ha una specie di evento con persone altrettanto famose e conta di avere un allestimento adeguato, in passato abbiamo già avuto modo di fare qualcosa ma adesso è un'occasione al di sopra delle altre perché se dovessimo riuscire a fare tutto in pochi giorni, ci farà un contratto con non pochi zeri, potrò non solo ingrandire ma potrei pagare anche i tuoi studi senza alcun problema.-

Rimango a bocca aperta iniziando ad aiutare pure le cose da mettere nella valigia.

Sono così fiera di nonna, si merita davvero il Mondo, soprattutto dopo la perdita del nonno, non è stato facile per lei, prima sua figlia e poi suo marito.

Ma non mi è ancora chiara una cosa.

-Che significa dobbiamo?- Tiro fuori il mio dubbio mentre mi siedo sopra la valigia e nonna la chiude.

La alzo e mentre prende cappotto e tutto, apriamo la porta.

-Parto insieme al mio braccio destro, Jhoanna.-

Jhoanna?

Sembra un nome così familiare ma a cui non riesco ad attingere.

Continuo a pensarci ma nulla.

Mentre usciamo, una macchina con i fari accesi è proprio fuori dal vialetto.

Nonna saluta Leyla che nel frattempo ci ha seguiti silenziosamente, chiudo il mini recinto per non farla uscire in strada.

Non riesco a scorgere nulla a causa della luce accecante, ma sento una voce. Forse la sua amica.

-Jhoanna tesoro, ho fatto il più in fretta possibile.- Dice quasi accorta di fiato.

Nonna mi dice di caricare la valigia nel bagagliaio e quando la suddetta sconosciuta esce mostrandosi, mi si mozza il fiato.

Lascio la valigia a terra che fa un piccolo rumore e rimango paralizzata.

Jhoanna, ma certo come ho fatto a non arrivarci subito.

La migliore amica di nonna, la sua amica d'infanzia, tutte le volte che ho mangiato i biscotti da lei, ascoltato i suoi dischi in vinile, la stessa passione per le piante, le torte di mele pomeridiane, le giocate a carte.

La nonna di Axel...

Mi vedono abbastanza strana.

-Oh Cassia come ti sei fatta grande, sei proprio una bellissima donna.- Dice accarezzandomi i capelli.

Le sorrido, capisco che non hanno molto tempo, comprende anche lei. Ci sarà modo di recuperare tutto non appena torneranno a casa.

-Abbiamo pensato che tu e Axel potrete vivere insieme per non stare da soli e magari parlare, mangiare insieme e recuperare tutto il tempo perduto, in fondo staremo fuori solo tre giorni.-

Stavolta è la nonna a parlare.

Sorrido forzatamente senza rispondere, prima di mettere tutto a posto, quest'ultima mi fa delle raccomandazioni come: chiamare tre volte al giorno, dare da mangiare a Leyla, se piove farla dormire in casa e altro che non ricordo minimamente.

Le caccio sorridendo, altrimenti avrebbero ritardato.

Quando la loro auto è ormai fuori dalla mia visuale mi volto per rientrare ma una figura alta e oscura. poggiata allo stipite della porta si nota immediatamente.

Ma non resto molto tempo a fissarlo, anzi scappo dalla sua visuale immediatamente.

Tre giorni insieme a lui.

Non esiste proprio, ma chi ci vuole stare con uno psicopatico stalker.

Chissà cosa mi farebbe poi, magari uccidermi durante il sonno.

Forse esagero ma meglio vedere più nero che bianco. Sbatto la porta entrando definitivamente beandomi del silenzio.

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