Ricordi
"Allora, com'è?" chiese Kair, facendo la sua prima mossa sulla scacchiera. Quella sera erano soli, in una saletta più piccola e riservata.
"Mmh?" fece Yagen assorto. "Intendi Scricciolo?"
"Spero non si chiami davvero così!" replicò Kair, col suo consueto tono di voce strascicato.
"Si chiama Heris" rispose il Re Demone, poi mosse il cavallo, mangiandosi l'alfiere.
Il suo avversario imprecò sottovoce e il re rise, consigliandogli di non distrarsi troppo, poi rispose finalmente alla sua domanda:
"È graziosa, una cosina piccola piccola, potrei spezzarle il collo con una sola mano se volessi. Ed è il classico tipo caparbio, con un forte senso dell'onore, niente che non abbia già visto comunque, quell'arnese malefico si sceglie sempre soggetti della stessa risma."
"Ti rendi conto che stai parlando di una spada, vero?" osservò Kair.
Yagen incrociò le braccia e mise su un broncio infantile. "Sì, è una spada, ma vi è infusa la volontà di quel vecchio corvo, non è da sottovalutare!"
"E quindi? Quali edificanti conclusioni hai tratto?" chiese l'altro.
Yagen fece la sua mossa, muovendo la torre per tutta la lunghezza della scacchiera e mettendo l'avversario alle strette.
"Ora inizia la parte più interessante e non dubito di riuscire. I peccati capitali sono sette, a cui se ne aggiungono molti altri non ufficiali. Non ho che da pescare."
La giornata tiepida filtrava dalla finestra sfiorandola con le sue dita invitanti. Heris era seduta su una sedia decisamente troppo alta per una bimba di dieci anni, le gambe che penzolavano e che lei muoveva inquieta fin quasi a scalciare nel vuoto. Si girò verso la finestra allungando il collo e tentando di sbirciare nel cortile, chiedendosi se il maestro armigero fosse arrivato. Il maestro Taros batté con le nocche sul tavolo, provando a riafferrare le fila di quella mente volatile.
"Potresti graziarmi della tua attenzione ancora per un poco?" chiese picchiettando l'indice sulle carte vetuste che stavano studiando.
Heris ciondolò la testa da una parte all'altra, increspando le labbra in un perfetto broncio bambinesco.
"Maestro, a che mi serve imparare questa roba? Non mi serve a niente se devo combattere" disse grattandosi il capo cespuglioso.
Parlava con l'accento strascicato e cantilenante tipico degli abitanti del distretto minerario di Durian, una cadenza che a palazzo alcuni avevano definito affascinante e bucolica, ma che per altri era solo una parlata da pezzenti che lo sfortunato Maestro Taros si stava prodigando per smussare. Heris non aveva capito molto di quei discorsi all'epoca, si esprimeva come le era sempre stato naturale, non stava a rifletterci troppo sopra.
Il maestro allora l'aveva guardata con quegli occhi acuti e le aveva detto: "Capisco perfettamente che tutto questo possa sembrarti superfluo ora, ma vedi, Heris, certe battaglie non si combattono solo con le armi. Una parola giusta a volte è più efficace di una spada affilata".
Il mattino successivo Heris venne condotta nel cortile del castello. Si stava già stufando di essere sballottata da una parte all'altra come un fantoccio, ma al momento non aveva molta voce in capitolo. Si era svegliata con un ricordo della sua infanzia in testa, una di quelle noiose e interminabili lezioni a cui il maestro Taros la sottoponeva da bambina, e che lei sorbiva controvoglia come una medicina amara. Chissà perché le era venuto in mente proprio in quel momento.
Quando la Coalizione era stata ufficializzata poco più di un secolo prima, Durian aveva attuato una radicale soppressione di tutte le lingue e i dialetti che si erano parlati fino ad allora a Thannaus e aveva imposto il dyriano come lingua comune e ufficiale, uniformando tutte le parlate con lo scopo, a detta loro, di incoraggiare un clima di cooperazione e unità tra tutti i regni. Gli unici residui di quel patrimonio linguistico erano i documenti antichi conservati nelle biblioteche, ma soprattutto gli accenti e i vernacoli variopinti che erano fioccati ovunque, ciascuno influenzato da quello che era stato l'idioma del luogo, e che ancora resistevano a quella che era denominata la "pronuncia standard", quella inappuntabile che veniva parlata alla corte di Durian e che era stata insegnata anche a lei.
Incrociò di nuovo Maryn, che la salutò allegramente sventolando la mano prima di andare a sbattere in pieno contro una colonna. Una domestica più anziana la rimproverò bonariamente e la aiutò a raccogliere i panni che aveva fatto cadere. Heris vide altri servitori in giro, tutti molto indaffarati, e notò come fossero stranamente sereni. Sapeva che molti uomini dal sangue rosso vivevano nel regno dei demoni in una condizione di sudditanza e che subivano abusi e torture, eppure non c'era traccia del clima di terrore che si sarebbe aspettata di trovare.
Heris non sapeva cosa pensare, ma questo non la fece stare meno all'erta. Venne lasciata ad aspettare accanto al portone principale. Si sedette e si guardò intorno sbuffando; se c'era una cosa che detestava era dover stare ferma, vista la sua natura irrequieta e iperattiva. Decise di fare una passeggiata per sgranchirsi le gambe. Sapeva già che non sarebbe mai potuta fuggire da quella fortezza ma certo nessuno avrebbe obiettato se avesse dato una sbirciata in giro.
Passeggiò in quel cortile ampio lastricato in pietra bianca, finché non udì una voce a lei nota; si nascose dietro una piccola siepe e per poco non le cadde la mascella dallo stupore quando vide il re circondato da un capannello di persone. Dovevano essere tutti servitori visti gli abiti semplici, eppure Yagen conversava con loro amabilmente senza alcuna formalità, annuendo ogni tanto e sorridendo. La sua postura era rilassata, la mano destra posata sul fianco mentre con l'altra indicava in alto verso i bastioni, seguendo ciò che uno degli uomini gli stava probabilmente spiegando. Alcune ragazze emersero dal gruppo cinguettando concitate e offrendogli dei fiori e dei ninnoli che lui s'infilò rapidamente in tasca con gioia quasi fanciullesca.
"Insomma, cosa sono tutti questi schiamazzi?" una voce stentorea si levò nel cortile e le giovani si zittirono subito impaurite. Una donna piuttosto corpulenta e dalle fattezze giunoniche si avvicinò a grandi passi, squadrando con disapprovazione il gruppetto. Heris notò che era umana e si chiese quanti anni dovesse avere, visto che appariva come una donna di una certa età.
"Smettetela subito di starnazzare come un branco di galline e tornate al lavoro! E piantatela di vezzeggiarlo, non si merita tutte queste attenzioni!"
Le ragazze sciamarono in direzioni diverse come uno stormo di fringuelli, non osando disobbedire a quel donnone dall'aspetto austero.
"Sei sempre così dura con loro, Mamma Arnauk" disse Yagen. "In fondo sei stata giovane anche tu, in tempi remoti e ormai dimenticati."
Yagen si beccò subito uno scapaccione per quella frase impertinente, e doveva essere stato molto doloroso, vista l'ampiezza di quelle mani da fantesca. Heris in quel momento si ricordò: il cavaliere con l'armatura aveva nominato quella donna durante il suo primo incontro con il Re Demone in cella, affermando che fosse la sua nutrice. In effetti trattava quel sovrano sanguinario come se fosse ancora un bambino, ma come poteva essere possibile?
"Sta' zitto, razza d'insolente!" lo sgridò lei, per poi posare un'occhiata al vetriolo sulla mano fasciata. "Che accidenti hai fatto a quella mano?"
Yagen sembrò gelarsi visibilmente. "Nulla, è solo un graffio, non è niente di grave."
"Una delle tue solite balordaggini immagino. Un giorno mi farai uscire di senno, a forza di starti dietro!"
Per tutta risposta, Yagen l'abbracciò forte, proferendo con voce piagnucolosa: "Mami, mammina, mammona," cantilenò col palese intento d'irritarla, "non dire così, ti regalerò una nuova sottoveste in raso!"
"Non pensare di corrompermi come fai con quelle stupidelle."
"Non ho bisogno di corromperti, so già che mi adori!" e detto ciò, le schioccò un bacio sulla guancia prima di ricomporsi. "Starei volentieri a conversare con te, Mamma Arnauk, però ho del lavoro da fare."
La burbera donna lo lasciò andare a patto di farsi controllare la ferita più tardi.
Heris nel frattempo si era appiattita contro una parete per non farsi vedere. Se avesse dovuto esprimere a parole la baraonda che aveva in testa in quel momento, non ci sarebbe assolutamente riuscita. Era tutto così terribilmente diverso da quello che si sarebbe aspettata. All'inizio pensava si trattasse di una farsa, che lui la stesse prendendo in giro, stesse giocando con lei in maniera crudele tenendola sulle spine, ma un attimo prima il Re Demone non sapeva di essere osservato...
Fin da quando aveva memoria, era stata cresciuta con l'idea che il Re Demone fosse un essere abbietto e senza cuore, un tiranno crudele con una vena di follia che perseguitava il suo popolo e torturava e uccideva per capriccio. Quindi quell' individuo che si ritrovava davanti... chi era? Forse un impostore? Oppure era sotto l'effetto di qualche malia perversa?
Ritornò verso l'entrata del palazzo e vi trovò Yagen che l'attendeva.
"Eccoti qui, pensavo di averti perso" disse in tono affabile. "Permettimi di mostrarti il castello e le sue sale più belle. Non abbiamo spesso ospiti, quindi non ho quasi mai l'occasione di esibire il tesoro della Corona ed è davvero un peccato che stia lì a prendere polvere."
Fece un breve inchino.
Il sovrano la scortò mostrandole tutte le sale più splendide di quel maniero, le sale d'armi e quelle dei cimeli reali. Le parlava con voce suadente, sfiorandola di tanto in tanto con tocchi gentili e casuali. Lo colse in un paio di occasioni a sistemarsi (o meglio arruffarsi) i capelli di fronte a qualche superficie riflettente, quando credeva che lei non lo stesse guardando. Si chiese il motivo di quel comportamento così chiaramente artificioso nonché bizzarro, ma non disse nulla a riguardo.
Poi la condusse nella sala più nascosta, quella più preziosa e protetta. Si ritrovarono di fronte a una piccola porta di legno dall'apparenza ordinaria e, con qualche difficoltà dovuta alla mano sinistra ancora fasciata, Yagen tirò fuori dal polsino della giubba un piccolo pugnale acuminato. In un gesto che pareva abituale, quasi fosse una seconda natura, s'incise il palmo della mano giusto quel tanto che bastava per far sgorgare alcune gocce di sangue, che raccolse con le dita affusolate. Le poggiò quindi sulla porta mormorando qualcosa di inaudibile che Heris non afferrò. La porta si aprì e Yagen le diede la precedenza con un ampio gesto del braccio.
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