Prologo

In principio vi era l'uomo primigenio.

La sua discendenza era un'unica linea retta e indivisa. Non vi erano conflitti perché era intatto, immacolato, sempre uguale a se stesso.

Poi, un giorno, la stirpe degli uomini giunse a un crocevia e il sangue rosso e il sangue nero si separarono. Nessuno seppe mai se fu il sangue nero a mondarsi o il sangue rosso a insozzarsi. Il sangue nero poi si fece carne invulnerabile, si fece Demone indi si fece Re.

Il cantore avrebbe di certo proseguito la sua declamazione se la folla non avesse iniziato a inveirgli contro. Non che il povero scalcagnato artista avesse delle colpe, la sua voce era intonata, la metrica impeccabile e la narrazione avvincente; purtroppo ogni volta che arrivava a quel punto la marmaglia s'imbufaliva, scagliandosi non tanto contro lo sfortunato poeta, ma contro il soggetto nominato nella canzone, come se questi si fosse incarnato nel bardo davanti ai loro occhi e in quel preciso istante.

"Vagliela a spiegare la differenza al popolino ignorante" pensò quello mentre schivava in extremis uno degli oggetti che gli veniva lanciato contro, sperando che almeno fosse qualcosa di commestibile. In seguito riacquistò il favore degli astanti portando la narrazione su argomenti più truculenti; erano il pezzo forte del suo repertorio: massacri, impalamenti, torture e sacrifici. Chi ascoltava sarebbe stato troppo impegnato a sussultare per l'orrore per avere il tempo di frugarsi in tasca in cerca di oggetti contundenti.

In mezzo alla folla, una ragazza minuta si alzò in punta di piedi per cercare di vedere al centro con scarsi risultati, sbocconcellando una di quelle focacce ruvide e caserecce profumate allo zenzero tipiche di quel luogo. Ingoiò l'ultimo morso prima di pulirsi la bocca con la manica usurata della giacca, poi chiuse gli occhi inspirando e godendosi l'aria vibrante di quel mercato di confine, satura di aromi variegati. Li aveva percepiti tutti uno per uno, mentre girava per i banchi con aria apparentemente sfaccendata: salsicce sfrigolanti, pane cotto su pietra dall'aroma avvolgente, velli di pecora, limatura di ferro, sego, spezie fragranti, tutti fusi insieme in un amalgama intenso.

La cittadella pullulava di persone, un vociare indistinto dai toni e dagli accenti eterogenei. La vicinanza col confine non sembrava preoccuparli più di tanto, la minaccia del regno vicino era ormai silente da diversi anni. Sarebbe quasi voluta rimanere là, sospesa, immersa nell'incanto rustico del quotidiano. Solo per un poco...

Una voce importuna giunse alle sue orecchie:

"Vuoi muoverti? Sarà la centesima volta che ascolti sempre la stessa storia!" la redarguì un ragazzo alto e dai capelli scuri, urlando da sopra la folla per poi aggiustarsi scocciato la faretra sulla spalla. Accanto a lui sbucò un'altra ragazza, infagottata in una tunica bianca talmente voluminosa che vi spariva quasi dentro; si poteva intravederne solo il viso, la cui espressione diceva chiaramente che avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto tranne che là, in mezzo alla calca chiassosa e puzzolente. Fortunatamente per lei, il suo desiderio venne esaudito quando un individuo dalla stazza gigantesca e dal fisico nerboruto, così alto da intimorire qualsiasi passante che si trovasse nella sua ombra, si avvicinò facendo terra bruciata intorno a quella compagine mal assortita.

La ragazza più bassa sbuffò, un poco contrariata dal tono non troppo gentile del compagno. Accarezzò l'elsa della spada custodita gelosamente nel fodero attaccato alla cintura, poi si diresse verso gli altri che la stavano aspettando, facendosi largo a fatica tra la folla. La scarsa statura l'aiutava ben poco, mentre sgusciava tra individui che la superavano di gran lunga in stazza e corpulenza. Era appena uscita dalla ressa quando un individuo incappucciato dalle vesti nere, di cui non riuscì neanche a vedere il volto, incrociò la sua strada urtandola e facendola quasi cadere.

"Perdonatemi, signora" fece quello con un piccolo inchino prima di dileguarsi senza darle il tempo di replicare, scivolando via rapidamente come un'ombra. La ragazza lo fissò frastornata, poi dimenticò il piccolo incidente e raggiunse il suo gruppo.

"Dove ci dirigiamo adesso?" chiese la ragazza dalla tunica bianca, cercando di restringersi il più possibile per rientrare nel cono d'ombra proiettato dal gigante, e fissando i raggi solari con malcelato fastidio.

"A Est, verso il confine" rispose la spadaccina concisa e determinata, lo sguardo già rivolto oltre le mura della cittadella.

"Non è troppo presto? Forse dovremmo... " obiettò l'altra ma venne interrotta dal giovane arciere, che pareva essere preso dalla stessa smania.

"Per una volta sono d'accordo con lei, non ha senso aspettare. Fare una prima ricognizione adesso ci permetterà di elaborare un piano migliore in futuro."

Il gigante si limitò ad annuire senza proferir parola, perciò, di fronte a quella schiacciante superiorità numerica, la ragazza dalla tunica bianca fu costretta a cedere.

Viaggiarono per due giorni lungo le vie più battute, fino ad arrivare alla foresta di Aser, lungo il confine con il regno di Kenmare. Era l'unico luogo dove si potesse passare il confine senza essere subito individuati, purché le incursioni fossero brevi e rapide. Avevano convenuto che fosse meglio non rischiare troppo in quella prima sortita, ma allo stesso tempo non intendevano tergiversare come avevano sempre fatto i loro predecessori, dando il tempo alle forze nemiche di studiarli e raccogliere informazioni.

La foresta di Aser era quieta come un cimitero in quella foschia mattutina e i raggi del sole filtravano attraverso i rami, creando una tessitura aurea sul verde del fogliame. Il soffice tappeto del sottobosco ovattava i suoni, creando un silenzio quasi irreale. All'improvviso la ragazza dalla tunica bianca si arrestò, acuendo i suoi sensi.

"Qualcuno ci segue. Più di uno" disse senza particolari inflessioni, poi aggiunse: "Non sono umani".

L'arciere e la ragazza con la spada si misero all'erta, mentre il gigante si limitò a guardarsi intorno, scandagliando le vicinanze dall'alto dei suoi due metri di altezza. Il silenzio era ancora totale, li avvolgeva come una mano invisibile; chiunque li stesse seguendo sapeva bene come celarsi.

D'un tratto la ragazza con la spada si voltò verso una direzione ben precisa e, come presa da un impeto invincibile, si mise a correre in quella direzione dileguandosi nella macchia e sparendo dalla vista dei suoi compagni. L'arciere la chiamò furibondo, alternando al suo nome una pletora d'insulti ed epiteti creativi, prima di tentare di andarle dietro. Fu però bloccato da una figura incappucciata che sembrò emergere dal nulla e che gli sbarrò la strada.

Era impossibile anche solo intravedere i tratti di chi si nascondeva sotto la cappa. Dal colore scuro delle vesti, il ragazzo riconobbe lo stesso individuo che avevano incrociato per pochi secondi alla cittadella e che doveva averli seguiti per tutto il tempo. Si portò la mano dietro la schiena all'istante, cercando di mettersi in posizione per tentare almeno di tenere quella figura sotto tiro, ma venne bloccato immediatamente da una morsa immateriale che frenò i suoi movimenti. Anche il gigante si lanciò contro di lui, la bocca spalancata in un muto grido di rabbia, ma subì la stessa sorte, immobilizzandosi con le enormi braccia tese verso quell'obiettivo irraggiungibile, come una statua dalla posa grottesca.

Avrebbe potuto senz'altro fargli di peggio se la ragazza dalla tunica bianca, che era rimasta prudentemente indietro, non si fosse intromessa sussurrando una nenia inaudibile, e intraprendendo con la figura sconosciuta una battaglia invisibile, uno scontro intangibile che si consumava su un altro territorio, oltre il campo sensoriale. D'improvviso la morsa cessò, come se lo sconosciuto avesse perso interesse per quella schermaglia. Fece pochi passi indietro e, così com'era venuto, si dissolse come se fosse fatto di fuliggine, lasciando nell'aria un pesante odore di sangue e bruciato.

L'arciere prese grandi boccate d'aria per riprendersi dallo stordimento di quello scontro così inatteso, mentre la ragazza si assicurava che non avessero riportato danni. Una volta che si furono calmati si guardarono tutti negli occhi, come colti da un presentimento funesto. La ragazza dalla tonaca bianca esaminò i dintorni dando fondo alle sue facoltà, ma ciò che avevano intuito si fece reale.

La ragazza con la spada era svanita nel nulla.

Note dell'autrice: eccoci qua con il prologo dell'opera, ho deciso volutamente di non descrivere nel dettaglio i personaggi né di dare loro dei nomi, verranno tutti svelati nei prossimi capitoli, per ora rimangono così, un po' astratti.

p.s Ma voi lo sapevate che il sostantivo amalgama è maschile? Io no, l'ho scoperto scrivendo questo prologo perché Word mi dava errore e mi scervellavo per capire cos'avessi sbagliato, poi ho controllato e ho visto che aveva ragione Word 😂 mi sento ignorante.

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