Partenza


Heris comunicò con calma la decisione ai suoi compagni e il piano, seppur con qualche dubbio, incontrò il loro favore. Izmir fin dall'inizio non sollevò alcuna obiezione, era un cavaliere caduto in disgrazia, un fuggiasco traditore della sua corona, non aveva nulla da perdere e tenersi defilato non poteva che andare a suo vantaggio. Kone si era limitato a indicare se stesso e aveva fatto capire con la sua gestualità grezza che l'avrebbe seguita ovunque. Infine Nime sarebbe stata il fulcro del piano, si sarebbe spacciata per un'emissaria di Valante in visita per motivi di ricerca e, come ogni altro mago di grado elevato, si sarebbe portata dietro il suo seguito di servitori, sarebbe stata una copertura perfetta.

Cresma era un'entità autonoma, un'autarchia che si era trincerata nel suo isolamento e che intratteneva rapporti commerciali esclusivi solo con Valante, i cui abitanti, almeno così sostenevano i cresmani, erano abbastanza nobili e sapienti da giustificare le relazioni intessute nel corso dei secoli. Che poi Valante fosse anche il principale acquirente dei materiali da costruzione estratti nelle loro cave era una questione nettamente secondaria, almeno a detta di quegli arcigni isolani. Con il resto dei regni di Thannaus invece, Cresma non voleva averci nulla a che spartire: erano ritenuti troppo rozzi e bellicosi e i cresmani, con la concretezza che li contraddistingueva, volevano evitare di ritrovarsi impastoiati in alleanze sterili e controproducenti, col rischio di farsi trascinare in quelle infinite e sanguinose guerre che avevano sfibrato il continente. Vista la situazione attuale, potevano dar loro torto? Heris pensò che, se nei prossimi anni non avessero trovato un modo per porre fine a quell'inutile faida e non avessero contrastato il marciume che stava corrodendo la loro terra, i cresmani sarebbero stati i soli a sopravvivere.

L'unico a rimanere escluso da quel trasferimento estemporaneo fu Gavin e, come c'era da aspettarsi, non fu affatto felice di essere tagliato fuori. Per fortuna Osen zittì in fretta le sue lamentele con argomentazioni inoppugnabili:

"Non essere sciocco, ragazzo. Posso giustificare l'invio della mia allieva più abile in una missione per conto di Valante, anche se so già che dovrò sorbirmi le ire di quelli di Durian per aver preso la decisione da sola, immagina cosa accadrebbe se sottraessi il figlio dei Gesias, spedendolo in un'isola remota per due anni. Vista la tua posizione non puoi decidere di andartene dove ti pare, la tua famiglia non lo permetterebbe mai e le mie scorte di pazienza sono troppo esigue per sorbirmi anche le lagne del conte tuo padre. Inoltre ci servi qui, sul continente; ho bisogno di un informatore a Durian, qualcuno che sorvegli le mosse della Coalizione per mio conto e tu sei il candidato ideale."

Di fronte a quei ragionamenti Gavin non poté che concordare, anche se Heris poté leggergli in volto quanto dispiacere gli costasse. Lei e l'arciere non avevano parlato spesso dei propri affari personali, ma era sempre più convinta che, nonostante il suo rango e la sua posizione privilegiata, Gavin non avesse mai avuto degli amici o degli affetti autentici. Sebbene all'inizio non fossero mancati gli attriti, il giovane conte aveva trovato la sua dimensione con quei compagni così bizzarri, così lontani dal mondo formale e asettico in cui era cresciuto.

Heris e gli altri sarebbero stati lontani ma insieme, lui sarebbe rimasto solo nella sua prigione dorata senza neppure poter loro scrivere, per evitare che i messaggi potessero essere intercettati e finire nelle mani sbagliate. La Portatrice provò pena per lui e sapeva che le sarebbe mancato moltissimo.

"Quanto a lui," disse Osen indicando Kone con un cenno svogliato del capo, "non credo che la sua partenza creerà problemi, dubito che qualcuno reclamerà una bestione da circo ritardato."

Heris reagì d'istinto a quelle parole. "Per favore, non parlare così di fronte a lui. Ha problemi a esprimersi, ma capisce benissimo quello che gli viene detto, non è un animale" concluse con occhi furenti.

In quel momento non le importava nulla della gerarchia che la poneva in posizione subalterna rispetto a quella donna. Le ingiurie che la decana sputava contro di lei non la tangevano, ma s'imbestialiva quando prendeva di mira i suoi compagni. Dopo quella rispostaccia, Heris si sarebbe aspettata un'altra stoccata velenosa, invece Osen tacque guardandola intensamente con occhi glaciali, poi parlò cambiando completamente argomento:

"Partirete fra due giorni, prima di allora vi è assolutamente vietato uscire di qui e girare per il palazzo, eccezion fatta per Nime." Detto questo uscì serrando la porta dietro di sé.

Heris sbuffò sfinita mentre Izmir fischiò colpito: "Che donna impressionante, non si può dire che manchi di personalità, farebbe quasi invidia a Mamma Arnauk".

Heris scoppiò in una risata nervosa in cui riversò tutta la tensione accumulata in quelle ultime ore.

"Non voglio immaginarle una di fronte all'altra, sarebbe uno scontro tra titani, ora capisco perché ti mette tanto in soggezione" disse rivolgendosi a Nime, la quale era rimasta talmente in silenzio che Heris sospettò volesse fingersi morta. Si sentì in colpa per essersi lamentata in passato del Maestro Taros, a confronto con quella virago il suo tutore era un mite agnellino.

I preparativi per la partenza furono così celeri ed efficienti che Heris non ebbe neppure il tempo di metabolizzare ciò che stava accadendo. Solo quando si ritrovò sul ponte di quella nave, lo sguardo fisso sulla sua terra natia che mai prima di allora aveva lasciato, l'enormità di tutta la situazione la travolse quasi schiacciandola. Gavin se ne stava ritto e impettito sulla banchina del porto, gli occhi sconsolati puntati in alto verso di loro. Non c'erano state lacrime d'addio, Heris sapeva che i piagnistei mettevano il bisbetico arciere a disagio, ma si erano salutati abbracciandosi forte e lo stesso avevano fatto gli altri. A Gavin spettava forse il compito più ingrato di tutti, sopravvivere in quella tana di lupi senza poter contare su nessuno, neppure il Maestro Taros doveva sapere che fine lei avesse fatto.

La Portatrice guardò assorta l'orizzonte e per un attimo il ricordo di una voce suadente, quasi fanciullesca la sfiorò. Rammentò solo per un istante mani lisce e sensuali, occhi immobili e intensi che sapevano regalarle sguardi così brucianti, così teneri, così addolorati. L'ombra di Yagen passò ad accarezzarla con dita di nebbia, indugiando sul suo volto seminascosto.

La voce rasposa di un marinaio fendette l'aria, l'ancora venne salpata e la nave si mosse sotto i suoi piedi. Scacciò via quella visione con un movimento rapido del capo e questa si dissipò come bruma mattutina.

Dio solo sapeva quante volte sarebbe passato a visitarla negli anni a venire.


Note autrice:  capitolo un po' magrino ma che preannuncia l'epilogo e che sarà incentrato su lui (voi sapete chi). Spero che l'idea del salto temporale piaccia, anche se spesso non incontra il favore di alcuni, ma l'ho ritenuto una cesura necessaria sia per la storia sia perché mi piace l'idea di avere a che fare con personaggi più adulti e cambiati (molti cresceranno, qualcuno invece cambierà in peggio). 

Niente, grazie mille come al solito a chi legge e commenta e un bacio grande.

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