La Coalizione

Padre Taros non poteva vantarsi di aver visto molte cose nella propria vita. Aveva sempre condotto un'esistenza lineare, monocorde, sempre ben indirizzato da chi stava sopra di lui. Non si sarebbe mai immaginato di percorrere, un giorno, quel lungo corridoio in preda ai foschi presagi che oscuravano il suo volto. L'andito era male illuminato, solo alcune torce erano state accese in maniera frettolosa, e ciò faceva comprendere ancora di più l'urgenza con cui erano stati convocati i rappresentanti della Coalizione. Spostò nervosamente il vetro che usava come lente dall'occhio sinistro a quello destro, senza migliorare molto la propria visione perennemente nebulosa, mentre incedeva con passo irregolare.

Si trovò presto di fronte al portone che dava sulla sala principale del Palazzo Regio di Durian, e vide che era socchiuso. Una guardia lo fece entrare con modi sbrigativi, dando a quella congrega un'aria ancora più segreta di quanto già non fosse. La voce del rapimento non si era ancora sparsa e nulla doveva trapelare al di fuori di quelle mura.

Taros entrò nel salone ottagonale e vide che i rappresentanti erano seduti ai loro posti. Avevano già iniziato a scambiarsi i loro pareri con toni più o meno concitati. Prese posto al grande tavolo di quercia, tentando di rendere la propria presenza il meno ingombrante possibile, cosa che sembrava riuscirgli sempre alla perfezione e senza il minimo sforzo.

Re Ardis, il sovrano di Durian, stava parlando. La sua voce baritonale echeggiava come un tuono tra quelle mura; accanto a lui, dritto come un fuso, si ergeva il conte di Gesias, che lanciava occhiate scattose e rapaci in ogni direzione. Osen, la decana di Valante, se ne stava seduta alla sua sinistra, taciturna, massiccia e inamovibile come una roccia, lo sguardo fisso di fronte a sé, come se fosse la sola presenza in quella stanza.

"Muovere guerra a Kenmare in questo momento è fuori discussione. Senza Kiogin e la Portatrice non avremmo alcuna possibilità, quel mostro ci tiene per la gola" disse Re Ardis.

"Mi permetto di dissentire su questo punto, Vostra Maestà. I nostri infiltrati nel regno del Re Demone hanno potuto osservare lo stato d'avanzamento della Palude Mortifera; sembra si sia estesa di circa una lega e mezzo nell'ultimo anno, se continua così sarà Yagen a ritrovarsi alle strette: l'erosione dei suoi territori indebolirà la sua popolazione sempre di più, e non potrà certo ospitare tutti i civili nella capitale!"

L'ambasciatore di Dakan, un ometto tutto azzimato con piccoli occhi da lucertola, sembrava ben deciso a portare avanti i suoi argomenti con particolare fermezza.

L'inviato di Joria fu rapido nel caldeggiare l'argomentazione dell'altro: "Mi trovo d'accordo con lui, Sire. Aggiungo che la graduale distruzione di territorio coltivabile gli renderebbe molto difficile sostenere un lungo assedio".

"E quindi cosa vorreste dire? Che non abbiamo più alcun bisogno di Kiogin e della Portatrice?" obiettò il Re.

"Sto solo dicendo," proseguì l'ambasciatore, "che nell'arco di due-tre anni al massimo la Portatrice non sarà più così indispensabile. Potremmo riuscire a sconfiggere il Re Demone e annettere il suo regno lanciando l'attacco per primi, proprio quando non se lo aspetta ed è più vulnerabile, invece di aspettare la sua dichiarazione di guerra e stare sulla difensiva come è sempre accaduto, con i risultati di cui tutti siamo a conoscenza" disse lanciando alla sala un'occhiata di eloquente scetticismo.

"Quello che proponete mi pare una mossa assai avventata" rispose Re Ardis aggrottando la fronte.

"Potrebbe essere avventata, ma è sempre meglio che ripetere all'infinito la stessa commedia ogni due o tre decenni. I Portatori finora hanno sempre fallito nel loro compito, fatico a credere come si possa ancora riporre tanta fiducia nel loro operato" ribatté l'ambasciatore di Dakan.

"Mi trovo di nuovo d'accordo. Non vedo in che modo quella ragazzina possa riuscire, laddove hanno fallito individui più forti ed esperti di lei. L'avrei già data per spacciata, se la teca vuota nella cattedrale non mi desse la certezza che ancora vive, da qualche parte" rincarò il rappresentante di Joria, il quale poi volse lo sguardo verso Osen, che continuava a sedere impassibile senza intervenire. "Non me ne voglia la venerabile Osen qui presente, ma forse avete dato troppo credito al vecchio stregone Ukai quando creò quella spada. Sicuramente ha fatto guadagnare tempo alla Coalizione, di questo devo dargliene atto. Se non ci fosse stato lo spauracchio di Kiogin, quel demone avrebbe già piantato i suoi sudici stendardi ovunque e fatto suo tutto il continente di Thannaus, ma pensare che quell'artefatto possa essere la soluzione definitiva a tutto, soprattutto in mano ad una sola persona, mi pare davvero poco plausibile."

"Non capite, signori miei," intervenne il conte di Gesias prendendo infine la parola, "Kiogin e il Portatore, così come il seguito di eroi che li accompagna, hanno valore non solo per la minaccia reale che rappresentano per la stirpe dal sangue nero, ma sono anche un simbolo imprescindibile a cui il popolo può aggrapparsi, un baluardo di speranza per tutta la Coalizione. Fare a meno di loro è impensabile."

"Nessuno sta dicendo che dobbiamo farne a meno, ma forse dovremmo capire che si tratta solo di questo, di un simbolo e nulla più. Non possiamo permettere che quel maledetto tenga la Coalizione in ostaggio solo perché è entrato in possesso di Kiogin e della Portatrice. La Palude Mortifera sta fiaccando Kenmare dall'interno ogni momento di più, sicuramente è un segno dall'alto, dobbiamo attaccare per primi questa volta" disse l'ambasciatore di Dakan.

Re Ardis si strofinò gli occhi in un gesto stanco e gettò un'occhiata a Osen, come se sperasse di ricevere una qualche forma di sostegno. La donna però rimase chiusa in un mutismo stoico.

"Al di là del valore simbolico, come dite tutti voi, Kiogin rimane comunque indispensabile per poter uccidere definitivamente il Re Demone; non potremmo mai giustiziarlo senza di essa e tenerlo prigioniero non è un'alternativa praticabile, non si può contenere un demone dal sangue così antico per un tempo troppo lungo. Inoltre, basta una sola mossa azzardata e potrebbe essere Yagen a decidere di assassinare la ragazza."

"Dopo di lei arriverebbe un altro Portatore, non sarebbe poi una gran perdita. Magari stavolta arriverà quando saremo già in vantaggio, e saremmo noi a dare il colpo di grazia e porre fine a quella stirpe dannata una volta per tutte."

Taros sentì il sangue farsi ghiaccio nelle proprie vene, sentendo quelle persone disquisire della vita e della morte di Heris come se fosse una questione di poco conto. Avrebbe già dovuto farci il callo dopo tanti anni, ma non era ancora riuscito a far proprie quelle logiche utilitaristiche e fin troppo pragmatiche.

"Scusate..." pigolò debolmente tentando di farsi udire. Tutti i presenti si voltarono verso di lui guardandolo stupefatti, come se fosse appena comparso magicamente in mezzo a quella stanza.

"Padre Taros, dovete proprio scusarci, ma non avevamo notato la vostra presenza, nonostante sia stato io a convocarvi" disse il Re con tono benevolo. "Sicuramente un vostro pensiero mi sarebbe gradito, visto che la decana Osen al momento sembra essere avara di parole."

"Grazie Maestà." L'uomo mingherlino tossicchiò per schiarirsi la voce e suonare il più autorevole possibile. "Vorrei ricordare ai presenti che addestrare un Portatore è un compito che richiede tempo e risorse, solo chi è coinvolto direttamente lo comprende appieno. Vorrei quindi che la morte della Portatrice non fosse un'opzione presa così alla leggera." L'affermazione venne accolta da dei mormorii d'assenso, seppur poco convinti. "Vorrei poi chiedere ai rappresentanti come intendano in pratica portare avanti l'attacco. Sicuramente i nostri eserciti di fanteria e cavalleria non hanno nulla da invidiare a quelli del Re Demone, ed è vero che in caso di conflitto prolungato, Kenmare potrebbe trovarsi in difficoltà, ma non possiamo dimenticare che i demoni hanno le virtù del sangue nero dalla loro parte, poteri enormi e ancora non del tutto conosciuti. Come potremmo contrastarli?"

"Possiamo contare sull'accademia di Valante, che è sempre stata prodiga di maghi eccezionali. Negli ultimi anni gli apprendisti meritevoli hanno raggiunto un numero cospicuo. Giunti al termine dei loro studi possono tener loro testa senza problemi, mi sbaglio? Voi stessa, Osen, tenete in altissima considerazione la vostra pupilla, colei che è stata scelta per il seguito della Portatrice" disse l'inviato di Joria, sorridendo amabilmente all'indirizzo dell'immobile Osen.

La donna si spostò i ciuffi grigio opaco che le ricadevano sulla fronte e che screziavano la sua chioma bruna, quasi come se si preparasse a esporre finalmente i suoi pensieri reconditi, poi parlò con voce fioca e graffiante.

"Mi lusingate, signori. È vero che a Valante poniamo la massima cura nell'istruzione dei nostri maghi, tuttavia peccate di eccessivo ottimismo, se pensate che siamo disposti a mandarli al macello in una guerra senza maggiori garanzie di successo e, al momento, per quanto mi riguarda, non ve ne sono a sufficienza."

L'atmosfera si fece tesa, i due fautori del conflitto tacquero senza sapere come ribattere a quella risposta tagliente. Fu Re Ardis a intervenire per stemperare la tensione: "Riferite ai vostri sovrani che si tratta di una decisione da ponderare, ma che verrà senza dubbio valutata attentamente, anche osservando gli sviluppi dei prossimi mesi, nell'interesse di tutti i membri della Coalizione. Con questo dichiaro l'assemblea conclusa".

Tutti i membri dell'assemblea si alzarono in piedi e s'inchinarono mentre il re lasciava la sala, anche se Taros poté capire, dalle espressioni dei rappresentanti di Dakan e Joria, che questi non avevano ottenuto l'esito sperato.

"La regina Grobelna non ne sarà felice" disse il primo seccato, per poi lanciare un'occhiata torva alla decana Osen, che si era alzata in piedi in tutta la sua fiera e imponente statura e aveva lasciato la sala, ignorandoli come se fossero al pari del pulviscolo che ricopriva la tappezzeria consunta. I due ambasciatori iniziarono a bisbigliare tra loro in un'accozzaglia di sibili serpentini, ma Taros riuscì a cogliere chiaramente alcuni stralci della conversazione:

"Preghiamo Zorianne che ci dia scampo da quella donna superba e insopportabile!" disse l'inviato di Joria esasperato.

"Eppure dovrebbe ben saperlo, che più in alto si sale con la propria alterigia, più forte è il tonfo in caso di caduta" replicò l'altro.

"Se continua così magari farà la fine del suo predecessore, se accadesse non vorrei perdermelo per niente al mondo" ghignò il primo con malignità.

Taros smise di ascoltare e sospirò stancamente. Avrebbe voluto prendersi la testa tra le mani per l'angoscia che lo attanagliava da quando aveva ricevuto la notizia del rapimento, chiedendosi dove fosse finita quella che era a tutti gli effetti la sua figlia adottiva.

"Heris, che cos'hai fatto? Cos'hai combinato? Dove ti trovi in questo momento?" pensò afflitto.


Quando sentì le sedie grattare sul pavimento di onice, Gavin seppe che la riunione era giunta al termine. Era riuscito a cogliere solo alcuni stralci di quello che gli era sembrato un dibattito accalorato, ma gli erano bastati per capire che si era concluso tutto con un nulla di fatto. Decise di defilarsi prima che il padre potesse uscire e intercettarlo, riempendolo di domande sul perché stesse origliando, coi suoi occhi fiammeggianti e la bocca, incorniciata da una barba a pizzo nera, che sovente si spalancava per puntualizzare e redarguire.

Una volta Heris, dopo un breve incontro con l'anziano conte di Gesias, coi suoi classici modi sfrontati aveva detto a Gavin che capiva da chi avesse preso il suo orrendo carattere. Lui aveva reagito agguantandole un mazzo di quei capelli crespi e tirandoli come se fossero una briglia, gesto a cui lei aveva risposto con un forte pestone che gli aveva fatto spiccare un balzo da cavalletta. Avevano continuato ad accapigliarsi, finché non era intervenuto Kone a occupare lo spazio tra di loro col suo braccio possente, ponendo fine al loro "maturo e pacato scambio di opinioni", come l'aveva definito Nime.

Quella scema, chissà dove si era cacciata.

Nonostante tutto, quei momenti stupidi e puerili gli mancavano. Non ne aveva mai vissuti molti prima di allora. Del resto, se si trovavano in quella situazione era soprattutto colpa loro, che non l'avevano protetta a dovere.

Tornò nella stanzetta dove i suoi compagni stavano seduti ad attenderlo. Avevano mandato lui a spiare perché sapevano che era l'unico a cui le guardie non avrebbero detto nulla, in virtù del suo legame filiale col conte.

"Cos'hanno deciso?" chiese Nime in un soffio.

"Per ora nulla, rimane tutto fermo fino a nuovo ordine" rispose Gavin, prima di aggiungere: "La decana di Valante dovrebbe ripartire subito stanotte. È strano che sia voluta venire di persona, invece di mandare qualcuno in sua vece".

"Non è strano, è proprio da lei" rispose Nime.

"Non vai a salutarla? So che è stata la tua maestra..."

"Preferisco di no" rispose lei lapidaria.

Gavin capì che non era il caso d'insistere. Accanto a lei, Kone sedeva in equilibrio su una sedia troppo piccola per lui, e riempiva il silenzio della stanza col suo respiro pesante e i suoi gorgoglii incomprensibili.

"Dobbiamo tornare là" proferì Nime all'improvviso, con voce calma ma ferma.

"Per quale motivo? Non c'è niente che possiamo fare adesso, l'hai detto anche tu" obiettò Gavin.

"Non ha importanza, se esiste anche una singola possibilità, un minimo spiraglio, dobbiamo essere pronti a coglierlo, anche a costo di rischiare. Heris per noi lo farebbe" rispose Nime inflessibile.

Gavin si chiese da quando la maga era diventata così assertiva, poi disse: "Non è necessario che me lo ricordi, so benissimo che lei smuoverebbe un intero esercito se si trattasse di uno di noi, però..."

Non fece in tempo a terminare la frase che Kone fece tuonare il tavolaccio a cui sedevano, sbattendovi il pugno con una forza tale che Gavin temette si sarebbe fracassato a metà.

"An... and.. iamo..." tentò di sillabare con grande sforzo, per poi infilarsi una mano tra i capelli e grattarsi lo scalpo con veemenza, come faceva sempre quando non riusciva a esprimersi come avrebbe voluto.

"Ho capito, non c'è bisogno di far crollare le pareti" disse Gavin, voltandosi a guardare la porta con fare circospetto, per paura che qualcuno potesse sentirli. "Andremo, non appena le acque si saranno calmate. Re Ardis e mio padre non ci daranno mai l'autorizzazione adesso, a così poca distanza dal rapimento. Fra qualche giorno vedrò di ottenere il permesso per una ricognizione."

Quella proposta sembrò quietare gli animi e Gavin sperò davvero che quella nuova sortita non si sarebbe rivelata un'altra missione infruttuosa e azzardata.


Note autrice: niente Heris e Yagen in questo capitolo, chiedo perdono! Del resto anche la trama deve andare avanti e ne ho approfittato per mostrare un po' meglio la Coalizione, coi suoi intrighi e segreti.

Aggiungo solo una cosa: Osen, prestate bene attenzione al suo personaggio, perché sarà importantissimo (e pure lei sarà un caratterino tutt'altro che morbido, nel caso non si fosse capito).

Concludo dicendo che presto ci addentreremo nella parte più cicciosa della storia d'amour (chi ha orecchie per intendere 🤭) quindi chiamate il dentista (e il cardiologo).

Grazie a chi legge, vota, commenta e anche ai fantasmi che passano silenziosi tra queste mie righe, un bacio e a presto.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top