Il poema originario
Heris lo stava aspettando, lo sguardo rivolto oltre le mura e lui la colse di sorpresa:
"Mi hai spaventata!" lo rimproverò senza però apparire davvero arrabbiata.
"Perdonami, ma sei adorabile quando spalanchi quei begli occhi" rise Yagen osservandola di sottecchi. Sembrava tranquilla quel giorno, come se il turbamento della sera prima non l'avesse scalfita più di tanto. Aveva davvero una tempra adamantina, quella ragazza, anche se Yagen non riusciva ancora a capire i suoi pensieri; a volte avrebbe voluto sfilarli uno a uno dalla sua testa, come filamenti di seta. La prese per mano tirandola con sé.
"Vieni, voglio mostrarti un posto."
La portò ai piedi della terrazza Nord e le indicò la piccola scalinata:
"Prego, dopo di te" disse con un gesto ampio del braccio.
La osservò salire a piccoli balzi, cogliendo l'occasione per sbirciare le caviglie sottili che spuntavano di tanto in tanto da sotto l'orlo della gonna. Quando furono quasi in cima non resistette e tentò di afferrarle la veste per farle uno scherzo, ma lei fu più svelta e si sottrasse al suo tocco, guardandolo con un lieve sorriso di sfida.
"Ottimi riflessi, vedo" disse Yagen.
"Mi hanno addestrata bene" ribatté Heris, poi si voltò, colpita dall'odore dolce nell'aria. Vide con stupore gli alberi da frutto che proiettavano le loro ombre irregolari sulle mattonelle della terrazza, e udì il frusciare del fogliame mosso dalla brezza.
"Questo è il mio luogo preferito, ho pensato che potesse piacere anche a te" disse Yagen con orgoglio, alzando il braccio e carezzando le foglie allungate e odorose di un pesco.
Heris camminò tra i piccoli alberi guardandosi intorno stupefatta, e lui la seguì godendosi la sua meraviglia.
"Non dirmi che te ne occupi tu?" gli domandò lei con un filo di scetticismo.
"Purtroppo i miei impegni non mi consentono di badare a questo frutteto con costanza, ma ho degli ottimi giardinieri che lo curano e fanno un lavoro impeccabile. Io cerco di venirci quando posso."
Tastò una pesca per saggiarne la durezza, rimpiangendo di avere le mani guantate e di non potersi godere la sensazione della buccia vellutata sui polpastrelli.
"Queste sono un po' indietro..." osservò per poi voltarsi altrove. Heris lo seguiva curiosa, ma standogli sempre a una certa distanza.
"Le albicocche sono mature, serviti pure" disse cogliendone una e porgendola alla sua piccola accompagnatrice.
Heris prese il frutto e lo mangiò con soddisfazione, poi si affacciò alla terrazza dalla parte che dava verso l'esterno del castello, e sputò il nocciolo di sotto senza tante cerimonie.
Yagen scoppiò a ridere per quel gesto spudorato e fu felice che lei si lasciasse finalmente andare in sua presenza, che liberasse la sua vera natura:
"E quello cos'era? L'anima popolana che torna in superficie?"
"Grazie per avermi dato della popolana" disse lei sorridendo di rimando. "E comunque vado fiera delle mie origini."
"Ah, non mi lamento, ho sempre amato la gente del popolo" rispose Yagen, poi con uno scatto repentino tentò di abbracciarla, ma lei schizzò via di nuovo. Prillò attorno all'albero prima di spiccare un salto e cogliere un'altra albicocca, mordendola mentre guardava dalla terrazza verso i territori di confine. Il cielo era terso in quella mattina d'inizio estate e si poteva vedere chiaramente il paesaggio in lontananza. Yagen le si avvicinò e osservò nella stessa direzione.
"Sai, è curioso. Mi trovavo esattamente qui quando mi comunicarono la notizia della morte di mio padre, guardavo il cielo da questa stessa terrazza."
"Quando è stato?" chiese Heris, dandogli finalmente la sua piena attenzione.
"Un secolo fa, letteralmente; è passato così tanto tempo. Non ricordo più nemmeno il suo viso."
Lei gli lanciò uno sguardo affranto e gli si avvicinò, ma non abbastanza.
"Perché non mi parli della tua famiglia?" le chiese Yagen per alleggerire l'atmosfera.
"Non c'è molto da dire. Mia madre è una donna semplice ma di buon cuore, ne ha passate davvero tante ma ha sempre resistito a tutte le disgrazie che le sono capitate. Mia sorella è una nanetta birbante, una piccola carogna!"
"Da che pulpito, ha parlato la spilungona."
Heris gonfiò adorabilmente le guance, ma la rispostaccia che Yagen si aspettava non arrivò. Invece lei proseguì a parlare, del resto mancava ancora un membro della famiglia all'appello:
"Neppure io mi ricordo molto di mio padre, è morto quando avevo cinque anni in un incidente in miniera".
Yagen si congelò sul posto senza riuscire a dire niente. Dunque suo padre era stato uno degli innumerevoli morti nelle miniere di Durian, vittime sacrificali che lavoravano una vita come formiche operose e che come formiche spesso finivano schiacciate prima del tempo. Non occorreva essere particolarmente perspicaci per capire la ragione per cui l'uomo si trovasse là sotto. In vista della guerra che sarebbe esplosa di lì a poco, le miniere lavoravano a pieno regime e ciò favoriva il verificarsi di tragedie di quel genere. A Kenmare i metalli venivano estratti principalmente dai Valthasaki grazie ai poteri del sangue nero e la forza lavoro che doveva avventurarsi sottoterra era quindi ridotta al minimo, ma a quanto pareva la Coalizione preferiva utilizzare i loro maghi Scioglimateria per altri compiti e delegare alla povera gente.
Yagen non parlò perché capiva che ogni parola, ogni banale frase di circostanza sarebbe sembrata minuscola e inadeguata. Le si avvicinò e l'avvolse tra le braccia in una stretta gentile ma ferma. Sapeva che, se si era fatta prendere, era solo perché lo aveva voluto lei, altrimenti sarebbe volata via di nuovo, lontana dalla pania delle sue mani. Ma andava bene così, doveva essere lei a decidere, decidere se scappare, farsi prendere o se correre verso di lui.
La sentì irrigidirsi ma non fece nulla per divincolarsi.
"Ti ho acchiappata" disse trionfante poi le sussurrò piano "Non fuggire. Non ti farei mai del male."
"Non è facile, quando ti ripetono continuamente certe cose per tutta la vita, abituarsi..." ammise lei in un soffio.
Yagen le prese la testa tra le mani stringendola delicatamente e la guardò negli occhi.
"In questo momento vorrei aprire questa testolina ed estrarne tutte le idiozie e le calunnie che vi hanno infilato a forza negli anni."
"Dicevi che non t'importava" rispose lei.
Il Re demone sospirò. Vero, l'aveva detto e se ne era anche compiaciuto di fronte a lei. Che idiota.
"Beh... ora m'importa. Incredibile a dirsi, ma a volte puoi dare poca importanza a ciò che pensano interi regni della tua reputazione, e allo stesso tempo puoi tenere in altissima considerazione l'opinione di un'unica persona."
"Non dire sciocchezze, mi stai dicendo che la mia opinione è così importante?" chiese Heris distogliendo lo sguardo.
"Lo è, che tu ci creda o no."
Lei non rispose nulla e finalmente si lasciò baciare. Yagen calò su di lei e catturò quelle labbra che sapevano di dolce, la sentì ammorbidirsi in quell'abbraccio. Tutto stava andando nel migliore dei modi, eppure il senso di trionfo che si sarebbe aspettato di provare non arrivò, quel boccone così squisito non aveva il sapore che si era pregustato, perché baciarla gli stava piacendo troppo, perché il tormento che aveva visto negli occhi di lei la sera prima, quando gli aveva puntato addosso la sua spada, era diventato anche il suo tormento, perché quando Heris l'aveva supplicato in lacrime di ucciderla era stato male per lei, perché la trovava deliziosa quando si alzava in punta di piedi per arrivare a baciarlo meglio, come se potesse dettare il ritmo con quel corpo esile che si ritrovava. Perché, perché, perché... c'erano troppi perché nella sua testa e questo non era nei piani.
La sollevò tra le braccia suscitandole un sussulto di sorpresa che lo fece sorridere, e la portò all'ombra del frutteto. Non sapeva quanto tempo era passato, ma era certo che presto qualche scocciatore sarebbe venuto a richiamarlo ai suoi doveri e voleva godersi quegli ultimi minuti con lei smettendo di pensare e fare macchinazioni.
Per il momento non gli importava più di nulla.
Heris non seppe come si era ritrovata là. Era ancora rossa in viso quando Yagen l'aveva lasciata per iniziare la sua "giornata densa d'impegni", come l'aveva definita lui. Si chiese se quegli impegni includessero anche il pianificare un nuovo attacco nei confronti della Coalizione. Non occorreva essere fini strateghi per capire che una nuova guerra sarebbe stata deleteria, ed era esattamente quello che lei per prima aveva voluto evitare, inoltre ritrovarsi a vagare per quel castello senza poter fare nulla la faceva sentire impotente, avrebbe voluto saperne di più e poter agire secondo la propria volontà e coscienza, ma non poteva dimenticarsi di essere pur sempre una prigioniera, e tale rimaneva pur godendo di un trattamento di favore. Heris si turbò pensando a quelle ultime parole.
Favore. Favorita.
Era esattamente ciò che il Re Demone le aveva proposto di essere e lei sembrava avere formalmente accettato. In realtà la sua mente era stata priva di calcoli o pianificazioni quando si era gettata nel suo abbraccio la sera prima. Aveva agito d'impulso, senza pensare, la testa una tabula rasa come suo solito.
Ma non si era pentita, non riusciva a rimpiangere di aver abbracciato quelle sensazioni struggenti, violente, quel desiderio e quella tenerezza inusitati, non provava rimorso per aver calcato quel terreno incognito. Qualsiasi nome avesse ciò che provava, non l'avrebbe rinnegato ma allo stesso tempo intendeva preservare la propria identità, non si sarebbe lasciata sopraffare.
Fu in quell'esatto momento che nacque il suo proposito, forse avido, forse troppo esigente.
Yagen, i suoi doveri verso la Coalizione, Kiogin, i suoi compagni, il suo cuore. Non voleva dover scegliere, perché avrebbe dovuto? Voleva tutto, poteva avere tutto, doveva solo trovare il modo. C'era sempre un modo, una via da imboccare.
Mentre meditava si trovò di fronte ad una piccola porta socchiusa che non aveva mai visto. Era sempre rimasta nascosta alla sua vista e Heris si sporse per sbirciarvi dentro. Vide una serie di scaffali sui quali erano stati riposti vari incartamenti, rotoli di pergamena e persino dei volumi rilegati in pelle di splendida fattura, alcuni ricoperti da tessuti e broccati, altri da smalti e pitture. In alcuni erano addirittura incastonate pietre preziose che attirarono la sua attenzione per i loro colori variegati. Fu talmente distratta da quegli oggetti che solo in seguito notò il massiccio tavolo di legno al centro di quella piccola sala, e soprattutto la persona che vi era seduta a capo chino. Agendo d'istinto, Heris fece un passo indietro nascondendosi dietro la cornice della porta. Non temeva più per la propria vita ormai, ma, ufficialmente, si trovava sempre in una fortezza nemica, quindi non poteva sapere come avrebbe reagito una persona estranea e come l'avrebbe trattata, qualora avesse conosciuto la sua identità.
"Ti vedo" disse l'individuo, senza neppure alzare gli occhi da ciò che stava studiando.
Heris trasalì leggermente; eppure credeva di essere stata abbastanza silenziosa. Decise che era inutile continuare a nascondersi ed entrò nella biblioteca con fare guardingo. L'uomo che le aveva parlato alzò finalmente gli occhi su di lei, un'espressione sorniona in volto, gli occhi neri e lucidi come perle di ossidiana, la pelle cerea con le vene in evidenza. Heris lo riconobbe, l'aveva visto a volte aggirarsi nel cortile del castello e osservarla da lontano con placido interesse. Non le aveva trasmesso ostilità né alcuna sensazione di pericolo ma di nuovo, non poteva davvero sapere cosa quei cortigiani covassero davvero dentro di loro.
"Prego, siediti se ti fa piacere" le disse il demone indicando il posto di fronte a lui con un gesto spiccio.
Heris si sedette con circospezione, poi si decise a parlare.
"Come hai fatto a vedermi? Stavi con gli occhi appiccicati a quel manoscritto."
"In effetti vedere è un termine improprio, diciamo che ho dei sensi molto sviluppati che mi permettono di percepire molto chiaramente le presenze intorno a me."
Voltò una pagina di quello che sembrava essere un libro molto antico con estrema delicatezza e senza neppure usare la mano, ma aiutandosi solo con un piccolo bastoncino dalla punta sottile, per non rischiare di sgretolare quella materia così fragile.
"Ti piacciono le letture?" le chiese.
"Veramente no," ammise Heris con sincerità, "preferisco ascoltare le storie piuttosto che leggerle, chi racconta mette sempre qualcosa di sé nella narrazione."
"Capisco, in effetti mi hai dato l'impressione di essere una personalità istintiva più che riflessiva, quando ci siamo incontrati la prima volta."
"Incontrati? Non ricordo di averti mai incontrato prima d'oggi."
"Vedo che non mi riconosci, esercito sempre un'impressione così effimera sulle persone" disse senza sembrarne davvero dispiaciuto. "Non volermene, ma temo di essere la causa per cui ti trovi qui."
A quelle parole, Heris ebbe una visione del giorno del suo rapimento. Quella voce, quei modi, ora rammentava.
"Eri tu, quel giorno in cui siamo arrivati al confine. Mi sei venuto addosso di proposito al mercato, e poi ci hai seguiti fino alla foresta" esclamò colpita.
"Sì, esatto. Il mio nome è Kair. Spero tu non nutra rancore nei miei confronti."
Heris fece spallucce: "Sarebbe ingiusto, no? Sono caduta in trappola per la mia avventatezza, sarebbe insensato incolpare qualcun altro. Immagino tu stessi solo svolgendo il tuo compito."
"Ma potrei aver ucciso uno o due dei tuoi compagni, per quanto tu ne sappia" disse Kair con un velo di malizia nello sguardo, come aspettandosi di sortire una reazione.
Lei lo guardò intensamente negli occhi senza vacillare.
"No, non hai potuto farlo. Io posso essere una sciocca sprovveduta, ma i miei compagni sono molto abili e non si fanno cogliere di sorpresa facilmente" concluse come se fosse un'ovvietà.
"Hai ragione, quella giovane maga mi ha quasi umiliato" ammise Kair con una certa ammirazione.
Il viso di Heris s'illuminò, come se fosse stata lei a ricevere il complimento.
"Nime è fenomenale, non è vero? È sempre stata la migliore di noi, la più saggia, ci ha sempre tenuti tutti coi piedi ben piantati per terra. Dicevano tutti che ero io il collante della compagnia, ma non è vero. Avrei dovuto ascoltarla più spesso..." ammise con una certa malinconia.
"Capisco, così si chiama Nime" disse Kair assorto, poi proseguì: "Naturalmente non sono riuscito neppure a sfiorare lei e nessun altro dei tuoi alleati, perdonami per la mia insinuazione di poco fa, Portatrice. A volte mi diverto a fare dei dispetti, ma vedo che non ti ho scossa più di tanto".
"Ormai inizio a capire il vostro umorismo perverso" replicò Heris. "A proposito, se Yagen ti ha inviato quel giorno, significa che sei uno della sua cerchia stretta."
"In effetti posso fregiarmi del titolo di consigliere, sempre che questo abbia ancora qualche valore quando quel lunatico decide di fare di testa sua, cosa che avviene sovente. Diciamo che lo conosco da tempo immemore, con tutti i pro e i contro del caso."
"Se è così perché non sei con lui adesso? Da quanto ho capito siete in una fase delicata."
"Dubito che necessiti dei miei consigli in questo momento, il cavaliere Izmir è una spalla più adatta quando il nostro re è lucido e sereno, io gli servo più da valvola di sfogo quando dà in escandescenze; fatto che, lo ammetto, mi procura sempre un certo divertimento."
"Che amicizia peculiare" commentò Heris.
"Ti si è sciolta la lingua vedo, i primi giorni non facevi altro che guardarti intorno spaurita" disse Kair sorridendo. "Quando sei in vita da più di due secoli devi trovare il modo di passare il tempo, Scricciolo, preferibilmente nel modo più piacevole possibile. Il che mi riporta al testo che ho qui sotto, che di tanto in tanto torno a rileggere con piacere."
Heris si sporse incuriosita, osservando quelle pagine usurate dove i caratteri, trascritti in bella grafia, spiccavano sulla pergamena bianco sporco, le cui fibre coriacee trattenevano strenuamente l'inchiostro contro lo scorrere impietoso del tempo.
"Una battaglia impari" pensò Heris. Per questo amava i racconti orali e mal sopportava i libri; tutto appariva più vivo, più tangibile, quando era la voce a declamare. Lo trovava più avvincente, piuttosto che tentare di decifrare ghirigori sbiaditi. Il povero Maestro Taros ci aveva provato in mille modi a farle cambiare idea, ma invano. Sentì quindi che avrebbe amato quella storia, se gliel'avesse raccontata.
"Si tratta del poema originario che narra di come noi siamo nati. La mia memoria, purtroppo, tende a offuscarsi col tempo, perciò ogni tanto torno a rileggerlo per rinverdire i miei ricordi" continuò Kair.
Heris non ebbe difficoltà a capire a chi quel noi si riferisse, e il suo interesse si fece più acceso. Di solito l'origine della stirpe dal sangue nero aveva sempre contorni sfocati nei poemi che lei conosceva. Dopotutto era il male incarnato, la feccia del mondo, non vi era alcun bisogno di approfondire, a detta dei cantori. Ma adesso era diverso, Heris voleva sapere, era affamata di dettagli.
"Potresti raccontarmi la storia, Kair?" chiese con la voce che risuonava di genuina curiosità.
"E a cosa devo questo interessamento?" chiese lui.
"Mi piacciono le vicende antiche, se narrate con abilità," rispose la ragazza, "e poi, come hai detto tu, non sarei qui se non fosse per te. Sei in debito di una buona storia come minimo."
"Stai diventando furba, Scricciolo" rise Kair, poi lisciò la superficie della pergamena con la bacchetta girapagine, come se stesse maneggiando qualcosa di estremamente prezioso. "Bada bene che si tratta di qualcosa di autentico, la realtà non viene idealizzata o romanticizzata come in molti dei poemi-paccottiglia che sei abituata ad ascoltare, non c'è niente di epico in questa vicenda."
Fece una breve pausa e, visto che Heris non sollevò obiezioni, proseguì:
"Il principio è incerto, risale a circa un millennio fa, si dice che il primo individuo di sangue nero sia stato concepito in un accampamento di soldati, al culmine di un conflitto assai cruento. Una prostituta affamata e dalle vesti lacere riuscì a intrufolarsi, e a giacere col più infimo dei soldati. Nove mesi dopo nacque un pargolo bastardo e senza nome. La sorte possiede una strana ironia, non trovi? Abbiamo fondato una stirpe reale, abbiamo quasi conquistato un intero continente, ma le nostre origini sono ben misere" disse Kair mentre Heris lo ascoltava rapita.
"Ad ogni modo chiunque, inclusa la madre, si sarebbe aspettato che il neonato morisse presto, ma ciò non accadde, quell'esserino si avvinghiava alla vita con la stessa veemenza di una zecca attaccata alla coscia di un cane, e non solo. Il sangue che scorreva nelle sue vene era nero, un fluido scuro che rimarginava in fretta le ferite, che scorreva sotto la pelle e lo rendeva immune a qualsiasi morbo. Presto, come un'epidemia, ne nacquero altri. Questi esseri non invecchiavano, non potevano essere uccisi in alcun modo, e in più cominciarono a mostrare poteri e una longevità fuori dalla norma. Potevano persino prolungare l'esistenza degli umani a loro vicini, marchiandoli col proprio sangue.
Come potrai immaginare, tutti questi eventi crearono un enorme scompiglio. Era qualcosa di troppo grande perché gli uomini potessero accettarlo, andava tutto troppo oltre la loro comprensione, quindi tentarono di ridimensionarlo con l'unico mezzo che avevano a disposizione: le parole. Gli uomini tentarono d'imbrigliare qualcosa d'incommensurabile e di renderlo finito, controllabile. Il termine più abusato fu demone, come ben sai, oltre a una lunga serie di epiteti poco lusinghieri. Quale che fosse il termine usato comunque, la nuova stirpe assunse presto il controllo dei territori interni e dei principali corsi fluviali del continente di Thannaus. Allargò molto la sua influenza, almeno finché un certo stregone non mise loro i bastoni tra le ruote, creando un artefatto micidiale. Il resto della storia credo tu lo sappia."
Kair tacque e Heris si limitò ad annuire. La storia l'aveva affascinata molto, ma allo stesso tempo non aveva saziato la sua curiosità, anzi aveva acceso molti altri interrogativi.
"Ma com'è possibile che sia accaduto questo? Com'è possibile che voi dem... che voi siate nati così all'improvviso? Senza una causa o una spiegazione?"
"E chi lo sa? Purtroppo ne capisco quanto te e neppure il poema originario riesce a dare una spiegazione esaustiva. Però di una cosa sono certo: se cerchi dei cattivi in questa storia, qualcuno a cui appiccicare il ruolo del malvagio, temo che sarà un compito assai ingrato, Portatrice. Lo sono tutti e non lo è nessuno."
Heris non sembrava affatto soddisfatta e si accigliò, suscitando l'ilarità di Kair.
"Dovresti smetterla di tormentarti tentando di dare una spiegazione a tutto, Heris, altrimenti non ne uscirai più. Sempre se abbiamo qualche speranza di uscirne tutti vivi, da questo marasma."
Si alzò chiudendo con cura il libro e riponendolo attentamente sullo scaffale, poi afferrò la chiave che era appoggiata sul tavolo. "Ora devo chiudere la biblioteca, siamo in pochi ad avervi accesso, visto il valore di certi volumi; se però vorrai di nuovo ascoltare qualche storia sarò lieto di accontentarti, avere un'ascoltatrice così attenta è stata davvero una piacevole distrazione. Sono sicuro che anche Yagen sarebbe lieto d'istruirti, quando non se ne sta tra i suoi alberelli" concluse Kair spostandosi un ciuffo di capelli neri dalla fronte e ammiccando al suo indirizzo.
"Ti ringrazio, sei stato molto cortese" disse Heris con un piccolo inchino, prima di accingersi a lasciare la stanza.
Lui la osservò brevemente, poi le diede una leggera pacca sulla testa.
"Ora capisco tante cose" sussurrò enigmatico, prima di serrare la robusta porta e lasciarla sola a rimuginare.
Note autrice: capitolo bello ciccioso stavolta, e anche denso di spiegazioni che spero siano state chiare. Volevo solo aggiungere due cose: se pensavate che Heris d'ora in poi sarebbe stata una gelatina senza volontà vi sbagliavate di grosso 😂 e mi fermo qui. Seconda cosa, più importante: l'origine del sangue nero, e soprattutto la sua causa, non è un fatto che verrà solo accennato e poi lasciato perdere, ma anzi avrà un ruolo fondamentale nel proseguo e nella risoluzione delle vicende. Per maggiori dettagli però bisognerà attendere il secondo volume.
Questo è tutto, grazie mille a chi legge, vota e commenta, vuol dire davvero molto per me!
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