Compagni

All'insaputa di Izmir, a pochi chilometri di distanza dalle mura del castello, una maga dall'aspetto alquanto bizzarro recitava sommessamente degli incantesimi, una litania ripetitiva che però non sortì alcun effetto. Il cappuccio della tonaca bianca era abbassato, rivelando i tratti albini del volto, i capelli di un biondo sbiadito, quasi bianco. Aveva la pelle lattea; le ciglia incolori e sottili come pagliuzze le incorniciavano gli occhi dalle iridi venate di rosso, che si socchiudevano disturbati dalla luce del sole.

La roccaforte color sabbia torreggiava su quella piana boscosa. Era stata edificata in un luogo senza alcuna protezione naturale né alcun corpo di guardia, segno di come la stirpe che aveva sempre abitato le sue mura non temesse attacchi nemici o assedi. I due bastioni tozzi e circolari si ergevano agli angoli opposti della fortificazione, osservando in lontananza come due custodi truci e sinistri.

La fortezza del Re Demone era distaccata dalla capitale del regno, li separavano più di due leghe di territorio spianato, ma riuscivano comunque a distinguere le mura della città in lontananza, gli stendardi verde acqua che risaltavano contro l'orizzonte plumbeo.

Nime smise di recitare e chinò mestamente il capo, si risistemò in tutta fretta il cappuccio sulla testa, come se si fosse scottata, e si rifugiò velocemente all'ombra protettiva del grande albero, dove l'aspettavano i suoi compagni.

"Niente da fare, non riesco a rintracciarla. Tutta l'area del castello è protetta da una barriera magica d'inaudita potenza" si limitò a dire con voce atona.

"Merda!" esclamò Gavin, il giovane arciere dai capelli scuri. "Merda, ci siamo fatti fregare con una facilità enorme. E quella testona di Heris si è lanciata contro il nemico senza alcuna prudenza! Quando la rivedo... " la sua minaccia cadde nel vuoto, inoffensiva in quell'atmosfera pesante.

Nime si lasciò scivolare lungo il tronco dell'albero, chiudendo gli occhi pensosa. Era sempre stata taciturna e riservata, lasciava che il mondo scorresse di fronte ai suoi occhi con apatia, come attraverso un vetro trasparente.

Nime Goriat portava il cognome che veniva di solito dato agli orfani, ai figli di nessuno. Quando i suoi genitori biologici l'avevano vista da neonata, pallida come un corpo già morto e con gli occhi rossi di un coniglio, dovevano aver pensato che avesse qualche malattia ignota e che non sarebbe sopravvissuta a lungo. Così era stata lasciata alla ruota dei trovatelli ed era stata cresciuta al brefotrofio di Valante, per poi venire indirizzata all'apprendistato magico. Era conscia del proprio talento ma non era mai stata troppo ambiziosa, aveva sempre voluto rimanere nel suo spicchio di mondo, nella sua patria a Valante, la città dalle mura di ossidiana, uscendo solo nel caso in cui i servigi richiesti dai committenti lo richiedessero. Avrebbe sicuramente terminato là i suoi giorni, se fin dall'inizio Heris non si fosse fatta spazio nella sua bolla con ostinazione, se non avesse bussato ossessivamente su quel vetro cercando di richiamarla, anche a costo di romperlo in mille pezzi e farsi sanguinare le mani. 

Quando era giunta a Valante due anni prima per reclutare il mago che avrebbe fatto parte del suo seguito, Heris aveva saputo delle sue eccellenti doti e l'aveva reclamata per sé, poco intenzionata ad accettare un rifiuto.

Il suo status di Poliedrica, che Nime aveva raggiunto a soli quattordici anni, l'aveva resa fin troppo appetibile per i suoi riservati gusti. Significava appartenere alla casta più elevata, essere in grado di manipolare sia la materia organica che quella inorganica, il materiale e l'immateriale, e avere percezioni sopraffine. I Poliedrici erano gli unici in grado di sostenere uno scontro diretto con un demone e di tenergli testa senza soccombere all'istante, ma persino a Valante, la fucina di maghi della Coalizione, appena poche decine d'individui potevano essere annoverati in quella prestigiosa categoria.

Pur essendo quasi coetanee, all'inizio Nime l'aveva trovata molesta, un piccolo insetto rumoroso e insistente che sbatteva contro il vetro. Fu quando si rese conto che Heris non avrebbe mai tentato di cambiarla, di piegarla a quelle logiche ruffiane che aveva sempre rifuggito come una pestilenza, che Nime aveva iniziato a cambiare, a vederla in modo diverso.

Doveva sorridere, mostrare il viso, essere più loquace, più accattivante, perché le capacità da sole non sarebbero bastate, se non si era in grado di vendersi... questo solevano ripeterle con insistenza i suoi mentori.

Heris aveva spazzato via tutto, aveva fatto a pezzi quelle direttive ipocrite.

"Tu farai le cose a modo tuo e io farò le cose a modo mio."

Bastò quella frase e il patto fu suggellato. Heris mantenne la promessa, mai una volta la costrinse a essere diversa da ciò che era e nei due anni precedenti avevano formato un connubio bizzarro ma ben funzionante; Nime si era adagiata in quell'incastro confortevole, arrivando ad apprezzare quella personalità traboccante, testarda, impulsiva. A pensarci meglio, forse si era adagiata anche troppo. Quando erano alla cittadella avrebbe dovuto insistere, dire che era troppo presto per quell'incursione, far valere le proprie ragioni invece di evitare la discussione con la sua solita indolenza, e forse li avrebbe convinti. Se si trovavano in quella situazione era anche colpa della sua ignavia.

Nime alzò il capo guardando Gavin, in piedi accanto a lei, gli occhi ancora fissi sulle mura lontane e la postura rigida, l'unico segno di nervosismo erano le unghie conficcate nella corteccia porosa dell'albero.

Gavin di Gesias era il rampollo di una delle più nobili famiglie di Durian. In lui tutto era preciso e lineare: spalle spigolose, mento appuntito, occhi allungati, persino le labbra sottili erano un'unica linea retta. Era il prodotto perfetto della classe che rappresentava. Il rapporto con Heris all'inizio non era stato semplice, non sempre si trovavano d'accordo, avevano due caratteri caparbi e divergenti che cozzavano come arieti. Ciononostante, superato lo scoglio iniziale, l'ammirazione reciproca aveva assestato i loro rapporti in un antagonismo amichevole.

Poco dietro di loro, il ragazzo gigante taceva guardando desolato verso il castello lontano. Le lacrime solcarono le sue guance mentre piangeva in silenzio. Non era capace di parlare, Kone. Del resto parlare non era certo una priorità per un fenomeno da circo quale lui era stato. L'avevano bollato come ritardato, come subnormale, quasi ai livelli di una bestia, ma allo stesso tempo la sua statura e la sua immensa forza ne avevano fatto oggetto di stupore e di meraviglia, attributi che erano stati sfruttati per fare quattrini. Era capace di piegare l'acciaio come se fosse burro e combatteva a mani nude sia uomini che bestie.

Terrorizzato dalla frusta, Kone si limitava a obbedire, con quel viso considerato bestiale, il naso camuso, i capelli incanutiti anzitempo e i segni delle scudisciate a costellare quella povera schiena scabra. Sarebbe morto in modo ignobile, un animale dimenticato da tutti, se Heris non fosse entrata in quel tendone e non l'avesse preso per mano, dicendo di volerlo con sé. Era la Portatrice, a lei non poteva essere negato nulla. Kone, da allora, l'aveva ripagata con la massima abnegazione, con l'amore più onesto e disinteressato. Era riuscito persino a spiccicare qualche parola in sua presenza, pur con molta fatica.

Ma adesso Heris non c'era, si trovava nelle mani di un essere senza scrupoli e la sua intera esistenza era appesa a un filo.

Nime guardò entrambi amareggiata. In assenza di Heris toccava a lei gestire quei due e non era proprio il suo forte. Sospirò e disse: "Gavin, Kone, è inutile angustiarsi adesso". Si girò guardando quelle mura maledette in lontananza. "Da quanto ho potuto appurare studiando i casi precedenti, il Re Demone non è solito uccidere a sangue freddo i suoi avversari, di solito usa altri mezzi."

"E quali sarebbero?" chiese Gavin, non del tutto convinto. A differenza di Heris e degli altri due, l'arciere aveva vissuto per un mese a Kenmare, il reame del Re Demone che si era inimicato tutti gli altri regni limitrofi del continente. Si era infiltrato come spia nel castello, per poco tempo era persino riuscito ad avvicinarsi abbastanza all'entourage del Re Demone per studiarne le mosse, e aveva potuto avere conferma della crudeltà e della personalità orribile del sovrano. Era durato poco alla corte, però, perché era stato presto mandato a unirsi alle truppe di confine, da dove poi era fuggito per tornare al suo regno d'origine a Durian. Aveva capito di non essere decisamente portato per i lavori di spionaggio, perciò aveva deciso di mettere a frutto la sua prodigiosa abilità con l'arco e i risultati erano stati così impressionanti che venne scelto per unirsi al gruppo.

Nime proseguì il suo discorso: "Il Re Demone preferisce i sotterfugi e le manipolazioni, non è tipo da sporcarsi le mani, quindi possiamo star certi che non ucciderà Heris per ora".

"Quindi cosa dovremmo fare? Siamo riusciti ad attraversare il confine e giungere fin qui senza quasi trovare ostacoli, significa che ormai il bastardo ha ciò che vuole, non ha più interesse a fermarci e non ci teme, si fa beffe di noi... " proseguì Gavin. "E poi come diavolo ha fatto a scovarci così in fretta?"

"Probabilmente ci tenevano sott'occhio già da prima che entrassimo nella foresta. Purtroppo sono riuscita ad accorgermene solo quando ci siamo trovati tra gli alberi, mi dispiace."

Gavin sembrò sul punto d'interromperla, ma lei continuò: "Non ci resta che aspettare, sperare e avere fiducia in Heris, fiducia che lei resisterà e non cadrà nei raggiri di quell'essere, e magari nel frattempo troveremo uno spiraglio, un modo per liberarla".

"Aspetteremo invano, allora" replicò caustico l'arciere.

"Gavin," lo ammonì Nime, "tu ti saresti davvero unito a Heris, se non ti fossi fidato di lei? Sii sincero... "

Lui fece una smorfia, ma alla fine dovette assentire con un cenno del capo. Kone emise un suono gutturale, il suo modo personalissimo per dirsi d'accordo.

All'improvviso udirono un fruscio dietro le loro spalle e questo bastò a innescare i riflessi di Gavin, che si portò entrambe le mani alla schiena, incoccando e scoccando in una movenza fulminea quasi impossibile da percepire per l'occhio umano. Avvenne tutto in un istante e un individuo dalle vesti logore cadde a terra, il petto trafitto con precisione chirurgica. Subito dopo sentirono un tramestio di passi concitati in mezzo al fogliame, segno che i compagni dell'uomo colpito avevano saggiamente deciso di darsela a gambe, piuttosto che ingaggiare uno scontro perso in partenza.

"Briganti" disse Gavin in tono spiccio. "Conviene andarcene da qui e tornare a Durian, non ha senso restare entro i confini di un regno ostile con le provviste che stanno per terminare. In più dobbiamo comunicare la notizia del rapimento, la Coalizione deve sapere."

Nime annuì mesta; non si prese neanche la briga di andare a esaminare l'uomo a terra, sapeva bene che l'orgoglio di Gavin, già ferito gravemente dalla magra figura di qualche giorno prima, non gli avrebbe mai permesso di farsi cogliere impreparato una seconda volta. Quel poveraccio era spacciato nel momento stesso in cui aveva mosso il primo passo verso di loro.

La giovane maga fece per alzarsi in piedi, ma appena appoggiò le mani sul terreno erboso si bloccò. Percepì come una vibrazione, un palpito inspiegabile proveniente dal suolo. Si mise in ginocchio e fece scorrere i palmi ad accarezzare il manto sottostante, poi si alzò e camminò a passo spedito verso un altro punto a Est, dimentica del sole che le cadeva sul volto, laddove la sensazione si faceva più forte, suscitando la confusione dei suoi compagni.

"Ma cosa stai facendo?" le chiese Gavin, mentre Kone la fissava con muta curiosità, seguendo con la testa ogni suo movimento.

Nime rispose con un'agitazione che non le era abituale: "C'è qualcosa... qualcosa di profondamente sbagliato in questa terra, come se un equilibrio si fosse spezzato... "

"Siamo nel territorio occupato da quei demoni bastardi, non è una sorpresa!" disse Gavin, ma Nime scosse piano la testa.

"No, non si tratta di un essere vivente, è altro... "

Se non fosse già stata più bianca di un lenzuolo, Nime avrebbe potuto dire di essere impallidita. Non sapeva come descrivere ciò che stava avvertendo, era come se il terreno emettesse un'esalazione putrescente. Era appena percettibile, ma era innegabilmente là, impregnava quel suolo infetto. Fu presa da inquietudine e guardò di nuovo la roccaforte lontana, pensando che il Re Demone forse non era l'unica minaccia presente in quel regno martoriato.

Note dell'autrice: Ed ecco una carrellata dei personaggi che formano la compagnia della Portatrice, un bell'assortimento sconclusionato! Spero di averne dato un'idea abbastanza precisa e averli resi chiari e vividi ( che è la cosa che mi preme di più). A presto e alla prossima!

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top