PARTE III

Ritentò altre due volte, poi sentì avvamparle una rabbia non sua: era evidente che quei maledetti genitori avessero tagliato i fili del campanello o comunque trovato il modo d'impedire al figlio di rispondere! Allora la ragazza scavalcò il cancello. Non era affatto semplice, era alto e la maglietta le era rimasta incastrata più di una volta. Per fortuna aveva l'agilità di una ballerina qual'era e si ritrovò nel curatissimo giardino all’inglese della villa, così diverso dal suo che era dominato dalle erbacce.

La camera del ragazzo secondo lei doveva essere al piano terra sul lato sinistro, poiché la sua era invece sul lato destro del suo casolare. 
Scovò subito la finestra, eccitandosi all’idea di bussare, ma si bloccò appena vide l'ombra sulle tendine beige: era un'ombra... Strana. Giulia si accorse subito che qualcosa non quadrava: stando a quell'ombra, quello sarebbe stato un ragazzo con un naso proporzionato e ciò era inammissibile.

Questa incredibile scoperta stava per farla desistere, ma la curiosità di saperne di più su quel musicista che le aveva rapito i suoi pomeriggi obbligandola a guardare fuori dalla finestra la spinse a bussare.

Davide in quel momento non stava suonando, non stava facendo proprio niente. Era occupato a pensare che fosse solo al mondo quando udì qualcuno bussare contro la finestra: ”Che strano, di solito la mano bussa contro la porta.” pensò Davide, che guardò anche l'orologio: le 09:20, sicuramente troppo presto per il pranzo. Ma non importava. Aprì comunque uno spiraglio, quanto bastava per far entrare il cibo. 
Allungò una mano in attesa del piatto. Si stupì non poco quando, invece del mangiare, si trovò a contatto con un'altra mano, una mano molto simile alla sua
”Puoi aprire un po' di più? Non riesco a passare attraverso questo spazietto.” chiese una voce squillante che non era quella della mamma. Davide obbedì meravigliato e nella stanza fece il suo ingresso una ragazza, che, appena lo vide in faccia, urlò terrorizzata. Davide la imitò anche se non sapeva bene perché lei stesse urlando, solo non si era mai trovato in una situazione simile e aveva paura. Voleva chiamare la mamma, era l'unica mano che conosceva, ma ora quella mano stava distribuendo farmaci a un cliente.

Era strano: per tutta la vita avrebbe voluto cobottare o suonare con qualcuno, ma, ora che incontrava una ragazza, aveva paura. Fissava negli occhi Giulia. Lui non si era mai potuto vedere in faccia, dunque non sapeva se il suo aspetto fosse simile a quello della ragazza.

Giulia aveva la pelle giallastra come se fosse ammalata, gli occhi scurissimi, le sopracciglia folte e unite dal monociglio, i capelli grigi nonostante la giovane età e le labbra storte e zeppe di febbri sorde. Inoltre era gobba e aveva un'enorme voglia sulla fronte. E per quanto riguardava il suo naso… era tutto meno che perfetto, così carnoso e simile a quello di un maiale. 

Giulia invece fissava Davide ed era terrorizzata. Il ragazzo aveva un fisico perfetto, da atleta, anche se non si era mai allenato ed era anche leggermente abbronzato anche se non era mai stato al sole. Aveva i lineamenti del viso dolci come se fosse stato l'incarnazione di una statua greca, negli occhi azzurri ci si poteva specchiare mentre i capelli biondi di lunghezza accettabile, né troppo lunghi né troppo corti, erano lisci e ben curati, sembravano fatti apposta per essere scompigliati per scherzo. Giulia faceva una magra figura, dovevano esserci oltre 20 centimetri fra lei e quel ragazzo che sarà stato 1 e 80 o poco più.

Nonostante ciò, dopo l'attimo di spavento, fu lei che si mise a piangere per lui
”Il musicista dei miei pomeriggi... Oh, non lui, perché proprio lui?”
”Cosa succede?”
chiese il ragazzo molto a disagio. Non sapeva cosa fossero quelle goccioline che scendevano dal viso di Giulia. Se ne stava attaccato al muro, non avrebbe mai saputo come consolare la ragazza e poi aveva una fifa terribile. Lei tirò su col naso
"Scusa, ragazzo, ma... aspetta, com'è che ti chiami?”
”Davide.”
”Davide, te lo devo proprio dire: tu sei brutto. Noi, quelli come te, non li accettiamo. Mi dispiace che questa disgrazia sia capitata proprio a te, ti ascolto sempre suonare, sei così... Bravo!”

Il giovane non sapeva come replicare, non capiva cosa stesse dicendo l'altra. Però era soddisfatto: esistevano davvero degli altri ragazzi nelle altre stanze! 
”Tu vivi in una stanza come me, giusto?” chiese e stavolta fu la ragazza a rimanere perplessa
”Be', sì, come tutti. Che cavolo di domanda è?”
”Significa che avevo ragione!”
si esaltò Davide
”Ma perché dici che sono brutto? Perché non mi accettate?”
”Davide, guarda il tuo aspetto.”
lo implorò la ragazza che stava per rimettersi a piangere porgendogli un telefono con la telecamera rivolta verso di lui.

Il ragazzo era stupito: finalmente poteva vedere il suo volto. Se lo studiò nel dettaglio, lo analizzò molte, troppe volte, per non scordarselo più, chissà quando mai gli sarebbe ricapitata un'occasione simile. Non sapeva dire se fosse bello o brutto, non poteva fare un paragone poiché non aveva mai visto nessun altro ragazzo. Ma Giulia gli diceva che era orribile. Eppure, già ammirava i suoi occhi così chiari. Anche gli occhi scuri della ragazza non erano male, ma quelle sopracciglia erano così diverse dalle sue, così... brutte. Si stupì: lui considerava brutta Giulia

”Non ti accettiamo perché non rispetti i nostri canoni di bellezza. Noi dobbiamo essere tutti uguali, Davide, sennò si crea l'invidia, che è già presente verso le persone ricche come i tuoi genitori o verso le persone talentuose come te: che bisogno c'è di aggiungere altro odio? Non è meglio essere tutti uguali? Ma tu sei nato malformato, ora capisco perché i tuoi genitori ti tengono chiuso in casa.”
”Vuoi dire che... tutti gli altri possono uscire?”
si stupì il giovane, ma doveva essere vero se la ragazza era riuscita a raggiungerlo. Lei stava per rispondere, ma dei rumori spaventarono entrambi, seguiti da dei passi lenti
”Chi c'è a quest'ora? I tuoi non sono al lavoro?”
chiese Giulia provando terrore per quei passi sempre più vicini
” I miei chi?”
domandò Davide senza capire, ma non fece in tempo a terminare la frase che la porta si aprì, ma non apparve una mano, bensì un uomo.

Un uomo dall'aspetto malaticcio, dalle enormi sopracciglia unite da un monociglio, dalla gobba curvissima. Era la fotocopia di Giulia, solo in versione maschile e adulta. Si stupì nel vedere una ragazza e cercò di non fissare invece l’altro che gli provocava ribrezzo, poi sospirò
”Vedo che qualcuno ti ha trovato, Davide. Sei la figlia dei Muzzi, giusto? Le telecamere di casa nostra ti hanno ripreso. Sono collegate al mio cellulare.”.
Giulia si lasciò sfuggire un
”Oh!”
imbarazzato.
L’uomo si rivolse di nuovo a Davide
”Avevamo pensato di lasciarti morire, ma ci sembrava così... disumano, ecco perchè ti abbiamo rinchiuso.”
Il giovane non capiva. Fissò l'uomo, al quale si sentiva chissà perché legato ”Quindi sei tu che mi hai rinchiuso? Sei come mia mamma?”
”Sono tuo padre, diciamo la versione maschile di tua madre. Scusaci, Davide, ma non è solo colpa nostra: se fossi uscito, se ti fossi comportato come un ragazzo normale, qualche poliziotto ti avrebbe sparato e ucciso: persone come te, nella nostra società, non devono esistere. Ora hai scoperto tutto, ma non puoi farci niente: il resto della tua vita dovrai trascorrerlo lo stesso qui dentro.” 

Davide non sapeva cosa dire. Gli faceva troppo male la gola, aveva parlato davvero tanto. Inoltre si sentiva il cervello come appannato, non era abituato a ragionare
”Forse non sto bene...”
mormorò.
Notò un comò bianco in corridoio, dietro al braccio del padre. Il mobile non era importante tanto quanto la foto che vi troneggiava: vi era raffigurato l'uomo che diceva di essere suo padre, una donna identica a lui con lo smalto color porpora sulle mani e... un cane. Lui, in quella famiglia, non era mai esistito, sostituito da un animale che veniva addirittura considerato più bello di lui.

Davide era stanco, voleva solo dormire, voleva non avere mai appreso nulla di simile, voleva continuare a credere ai ragazzi identici a lui rinchiusi nelle altre stanze. Queste persone non lo volevano, forse avevano addirittura paura di lui. 
Le ragazze non lo volevano, sua madre non lo voleva, suo padre non lo voleva.

Davide volse gli occhi azzurrissimi, per la prima volta malinconici, al padre che, nonostante considerasse rivoltante, fissava in viso
”Io non sono d'accordo: forse è meglio morire invece di non vivere qui dentro.” 

Furono le ultime parole che Davide pronunciò nella sua vita. Quando, quella sera, la mano con le unghie color porpora bussò e aprì lo spiraglio, nessuno venne a prendere il cibo. La mano si preoccupò e aprì la porta quanto bastava per vedere un bruttissimo corpo a terra sommerso dai cavi della play. Davide aveva dovuto passare un intero pomeriggio a capire come togliersi la vita: non aveva mai studiato, non sapeva quindi come faceva a vivere, figurarsi come morire.

Chissà perché, di lui si conservò la sua foto da morto, con i fili attorno al collo e gli occhi chiusi non faceva una grande impressione. Eppure, i posteri di centinaia di anni dopo, si stupirono di come un ragazzo così bello avesse deciso di suicidarsi.

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