Il primo giorno
L'orologio segna le 7:30.
Tic.
7.30 e 1 secondo.
Tac.
7:30 e 2 secondi.
Tic, Tac.
Ogni secondo è un blocco di piombo in più aggiunto in bilico in cima alla mia testa. Un peso che cresce e grava sul mio petto. Un ulteriore anello connesso alla catena legata stretta al piede.
Ogni secondo è, di fatto, un secondo in meno per scegliere cosa farne della mia vita dopo la fine del Liceo.
Tic, Tac.
Ogni secondo è un secondo in meno per rilassarmi. Un secondo in meno per parlare. Un secondo in meno per studiare, per amare.
Ogni maledettissimo secondo è un avvertimento.
Grazie tempo, che mi ricordi che sono alle strette, che affogo in un mare di idee confuse.
Mi alzo dal letto, deciso ad iniziare la giornata con il piede giusto, ma la distanza tra la mia camera e la cucina è più lunga di quanto ricordassi. Lunga abbastanza da permettermi di sentire il ticchettare del mio orologio.
Tic, Tac.
"La colazione è prontaaa!" sento dalla cucina.
Tic, Tac.
Il mio cervello no però. Non è pronto per nulla. Nemmeno le articolazioni sembrano esserlo, i piedi soffrono a contatto con il duro pavimento, le gambe sono indolenzite.
Mi sembra di vivere in costante ritardo, come se nonostante l'impegno non fossi portato per questo strano sprint che è la vita.
Tic, Tac.
Saluto mia madre con un cenno, le parole sono ancora troppo impastate ed imprigionate dentro di me anche solo per emettere un suono.
Mi siedo e fisso il tavolo di fronte a me. Che cavolo mangio? Ci sono brioche, biscotti, barrette, cereali e cibo non classificato a non finire. Le brioche sono troppo pesanti. Per quanto riguarda i biscotti, uno tira l'altro e finisco per riempirmi. Le barrette sono per chi è a dieta. I cereali vanno con il latte, ma il latte mi fa venire il mal di stomaco quindi non se ne parla.
Come posso decidere cosa fare della mia vita se nemmeno so cosa mangiare a colazione?
Tic, Tac.
Alla fine opto per i biscotti e comincio a mangiare prima di eventuali ripensamenti.
I miei cominciano a farmi domande di circostanza come " A che ora torni a casa tesoro?", "Vai in bici?" o ancora "Come è andato allenamento ieri?" e convinto di sembrare uno zombie rispondo con cenni o a monosillabi. Per la testa tra l'altro, mi passa tutt'altro.
Oggi è il mio ultimo primo giorno di scuola.
Un giorno in meno per la fine di questa tortura? Si, esatto.
Eppure anche un giorno in meno per decidere che università frequentare una volta ottenuto il diploma.
Tic, Tac.
Molti miei amici sembrano prendere questa questione molto ala leggera e alle mie domande rispondono con vaghi "Farò economia. Poi? Boh, si vedrà" o "Proverò medicina, al limite posso cambiare".
Io, al contrario vivo la situazione in una felice condizione di ansia perenne, grazie alla quale ho incubi ricorrenti in cui vivo sotto un ponte o spiego a mio figlio quanto è nobile il lavoro di bidello.
Faccio la doccia anche se sono in ritardo, ho bisogno di svegliarmi per affrontare questa giornata.
L'acqua è piacevolmente bollente. Rimango sotto il getto finché la pelle olivastra non acquista un colorito rossastro e poi mi vesto con la mia solita "mise" elegante: jeans e felpone grigio di marca probabilmente cinese. Infilo la cuffia per difendermi dal vento glaciale contro cui dovrò combattere andando a scuola in bici e inforco occhiali e zaino, quasi totalmente vuoto.
Con le cuffie nelle orecchie, contro le indicazioni preoccupate dei miei genitori, parto.
La distanza che separa la mia casa dalla scuola non è molta, arrivo in pochi minuti e dopo aver legato la bici entro.
Dentro l'edificio c'è un gran caos generale, causato dai primini in cerca della propria classe e dagli amici che si salutano calorosamente in seguito al ritrovamento dopo le vacanze.
Mentre salgo al secondo piano, dove sono certo troverò la mia classe allo stesso posto di sempre, noto gli sguardi fugaci che mi rivolgono le ragazzine che sorpasso. Sono sguardi a cui sarei certamente interessato, se la mia attenzione non fosse rivolta a tutt'altro.
Entro in classe in orario per un pelo e noto subito il crearsi di una certa agitazione.
"Eccolooo!"
"Ma allora è vivo!"
Urlano i miei due migliori amici dall'infanzia, Gabriele e Tommaso, che hanno già preso posto in ultima fila.
Saluto gli altri compagni con l'entusiasmo di chi per anni, anche se in classe assieme, non si è mai parlato, e mi avvio verso il fondo, dove Lele mi ha tenuto il posto secondo accordo.
Mi guardo intorno. Lei non c'è.
Inizia la lezione e il timore si fa strada lentamente in me. Tutto ciò è molto strano, lei non è mai, mai, in ritardo.
Mi dico che magari è in bagno e cerco di darmi pace, ma il mio subconscio mi suggerisce che magari ha cambiato scuola, o è andata a fare l'anno all'estero, o ancora è ammalata. Magari è morta, magari l'ho investita mentre facevo scuola guida e non me ne sono reso conto.
Mentre sto per rassegnarmi ad un'esistenza in carcere bussano alla porta e la vedo finalmente entrare, con le guance rosse e tutta trafelata. I capelli bruni, lunghi e mossi che scommetto tutte le invidiano, le stanno tutti scompigliati e attaccati al viso.
"Scusi per il ritardo prof" sussurra con l'imbarazzo di chi ha commesso un omicidio, piuttosto che di qualcuno che è arrivato tardi a scuola.
Lancia un'occhiata alle bancate e una volta individuato il banco libero si avvia.
Le bastano due passi per essere pericolosamente vicina. Alza gli occhi e incrociandoli con i miei mi lancia un saluto d'intesa attraverso un sorriso divertito.
Ci manca poco che io canti per la gioia che tra noi nulla sia cambiato e ricambio decisamente impacciato e troppo entusiasta. Lei però già non mi guarda più.
Lascia cadere lo zaino affianco al banco, si sfila la giacca e io non posso che ammirare il fisico slanciato per cui è sempre notata, fisico che lei nasconde con cura sotto felpe pesanti e abiti maschili.
Ahhhhhhh. Magari non so cosa mangiare a colazione, magari non so cosa fare all'università, o chi voglio essere, come voglio essere ricordato, ma se c'è una cosa che so, è che voglio stare insieme a lei. Il ticchettio quando le sono vicino scompare, mi sento sollevato, al sicuro, il tempo non è mai buttato.
Il fatto che lei non sappia tutto questo non è un problema da poco, ma paragonato ad altri problemi al riguardo quasi scompare.
Ciò che infatti mi impedisce di perseguire il mio ammirevole sogno non è questione di coraggio, di segreti, cose non dette o mai pronunciate. Il problema è, oserei dire, fisico, tangibile. Non solo, ma è qui presente, le sta accanto, respira e ha la forma del mio amico Tommy, di cui lei è la fidanzata da quota 236 giorni, 1 ora e uno, due, tre, quattro, cinque tic, tac.
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