VI

James si svegliò di soprassalto. Si sedette nel letto, pensando che tutto, quella notte, era stato solo un sogno.
"Che razza di sogno" pensò, portando una ciocca di capelli all'indietro.

Alzandosi, si recò verso la finestra da cui si scorgeva la luna piena. La aprì, e sentì la frescura della notte infilzare le sue braccia nude.
La sete si fece sentire, così nel mentre si avvicinava alla porta, rivide per un attimo gli occhi della castana.
Scosse la testa, aprendo di scatto la porta come per far volare via quel sogno.

Nonostante la sete, scese mal volentieri le scale che andavano verso la cucina. Al buio, facendo attenzione a non farsi sentire da nessuno, scivolò lentamente verso la cucina con le spalle al muro, avendo visto la luce accesa.
"Ti sento James" disse Peter dall'interno, con un fil di voce.

Anche lui quella notte non riuscì a prendere sonno.
Le lancette dell'orologio della cucina segnavano le 2.00.
James rimase lì impietrito per un pò prima di parlare.
"Paura per la verifica?" Sentenziò il moro, mettendosi seduto di fronte al castano, tamburellando le dita sul marmo della penisola.
"Assolutamente." Lo fermò, con la mano. "Solo" sospirò strano le braccia "Strani pensieri".
"Donne?"
"Per mia fortuna, non mi chiamo James."
"Hai la faccia di uno che è stato mollato, però!" Affermò.
Peter sbarrò gli occhi, e li accigliò subito dopo, guardandolo fisso.
"E tu hai la faccia di chi non è ricambiato." Disse cupo, prima di alzarsi.
"Dove vai?" Chiese James, dondolandosi con lo sgabello "io non ho mica finito di indagare!"
Peter si fermò all'entrata della cucina, mostrandogli le spalle.
"Prima di indagare su di me, indaga su te stesso."

Peter salì lentamente le scale, massaggiandosi le tempie. Troppi ricordi.
Non voleva assolutamente, bruciarsi di nuovo. O bruciare l'amico. Prima di compiere un passo, questa volta avrebbe dovuto accertarsi che lui, non volesse lei.

Lei si svegliò. Ore 6:30. Si sedette nel letto, con un insolito velo di tristezza, fissando il vuoto.
A volte si rifugiava in quel vuoto dove trovava solo la fede. Nessun ragazzo l'aveva mai corrisposta, nessun ragazzo l'aveva mai apprezzata per quello che era veramente: una ragazza che voleva essere amata con l'amore che lei sapeva di dare.

Passarono i minuti e quei pensieri si tramutarono in immagini, e le immagini in una lacrima.

Ma il bussare alla porta la fece sobbalzare.
Battè più volte le palpebre. " Oh Dio!" Esclamò. "Oh mio Dio!"

Balzò giù dal letto, a piedi nudi, passò davanti allo specchio per aggiustarsi malamente i capelli. Aprì la porta della stanza con furia e panico, dirigendosi giù per le scale ancora in piagiama. Inghiottì un toast al burro e sotto gli occhi sbarrati ed increduli della madre, che stava per versarle il caffè, corse in bagno. Fece scorrere l'acqua fredda, si sciaquò il viso velocemente, e con ansia costante si lavò i denti pensando alla verifica che avrebbe perso se fosse arrivata tardi. Scivolò poco prima di arrivare alla sua stanza, ma la trattenne un tocco sicuro.
"Ehy, ehy..." Disse dolcemente suo padre fissandola negli occhi.
"Papà..." iniziò "lo so, sono i un ritardo spaventoso..."
"Amore, non ti devi preoccupare, se stai male, puoi stare a casa oggi..." le disse con voce preoccupata.
Angie ci pensò per qualche secondo, poi sospirò. " No, papà, ho una verifica, ci penso questo pomeriggio al riposino. " Lui fece un mezzo sorriso e la lasciò andare. "Ok, promettimelo però". Lei sorrise dolcemente "ok, grazie papà".




"Piano, piano, piano!"
La voce seria della professoressa di letteratura inglese bloccò il bussare feroce della ragazza. Aprì lentamente la porta, in punta di piedi, chiedendo perdono più volte prima di sedersi al suo posto, sotto gli occhi increduli dell'amica.
Si, in effetti: mai un ritardo, mai un capello fuori posto. La conoscevano così, la piccola Angie. Invece era questo quello che lei stentava a far vedere di sé: il lato normale, maldestro ed insicuro di un'adolescente che prega invece di fumare, che confida in Dio invece che negli imbrogli e nelle raccomandazioni.

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