V
“Best,
you’ve got to be the best
you’ve got to change the world
and you use this chance to be heard
your time is now”
(Batterflies and Hurricanes)
“Ehy fratello! è da quando la Smith mi ha messo in punizione che non parli!” intervenne James, dando un pacca sulla spalla a Peter che, disturbato dalla sua presenza, mentre stava cercando di studiare, ricurvo sul libro di storia, grugnì senza rispondergli.
“Non ti va di parlare ho capito” commentò indifferente facendo spallucce, uscendo dalla stanza dell’amico.
Peter lo conosceva dalle medie, ma ancora non capiva come faceva ad essere così immaturo. Sembrava che fosse ancora un dodicenne.
Lui, invece, era cresciuto troppo velocemente. La morte del padre lo aveva invaso di responsabilità come quelle di prendersi cura di Larry e di sua madre, che però li abbandonò la notte di un lontano 25 Dicembre. La famiglia di James li aveva adottati, e Peter non sapeva come ripagare questo dono se non tenendo d’occhio i ragazzi.
Si erano trasferiti lì, in quella casa identica a tutte le altre del quartiere, per vivere insieme e suonare in completa libertà. In quella tranquilla cittadina però, un gruppo rock si fa subito notare e Peter faceva le veci sia di un manager che di un diplomatico con i vicini di casa. Belle ragazze e alcool erano protagonisti del sabato sera in casa “devils” e lui era quello che poi metteva a posto i casini degli altri due.
Chiuse il libro con un gesto deciso e poggiò la fronte sulle braccia. Il suo momento di quiete però durò poco, perché il campanello suonò delicatamente.
“Andate ad aprire per favore?” strillò, alzando forzatamente la testa dalla scrivania e rivolgendola alla porta semichiusa.
“Io non posso!” urlò James dalla stanza accanto.
“Io sto mangiando!” gridò Larry a piano terra, il più vicino alla porta, ma il cibo aveva sempre la precedenza.
Il giovane biondo e dagli occhi castani dovette alzarsi sbuffando. Scese lentamente le scale con uno sguardo cupo.
Passando dalla cucina vide il fratello alle prese con un sandwiches. Peter fissò il ragazzo inclinando la testa di lato.
“Che c’è? Perché quello sguardo?” gli chiese Larry alzando le spalle, con in una mano una fetta di pan carrè e dall’altra il coltello.
“Grazie a proposito!”
“Il cibo viene prima di tutto!”
Per Peter, Larry era senza speranza: ha sempre pensato che se non fosse per la batteria e la palestra il suo fratellino sarebbe ben presto diventato il suo fratellone.
Il campanello suonò per poco prima che il giovane aprisse la porta e avesse un leggero colpo alla bocca dello stomaco.
“Oh, scusa il disturbo, sono Angie, James è in casa?” domandò frettolosamente la ragazza allungando il collo verso il soggiorno.
Si sentiva uno stupido ad aver percepito quel colpo allo stomaco, ma era successo.
“Si è in casa, James ha fatto qualcosa?” le chiese preoccupato, dopo tutto non era la prima volta che una ragazza suonava per picchiare James per qualche sua confidenza di troppo.
“Ehm non proprio …” Angie doveva parlare solo con James. Era una sciocchezza, ma le apparteneva. James aveva osato prendergli qualcosa che le apparteneva, ed ora era furiosa.
“o- ok… ah! Scusami entra pure!” si era incantato sul suo viso, inevitabilmente, lei le assomigliava così tanto.
Angie entrò a piccoli passi, stringendo le braccia al petto.
Angie entrò guardinga. Non sembrava la casa di tre rockettari.
Era arredata bene, con mobili moderni, con l’essenziale per rendere una casa accogliente. Peter chiuse lentamente la porta e le disse con uno strano tono di voce caldo e rassicurante: “ vuoi che te lo chiami o ti accompagno nella sua stanza?”
Angie gli sorrise e rispose : “accompagnami ti prego”. “ Seguimi ” il sorriso sghembo di Peter fece inarcare il sopracciglio di Larry che si era gustato la scena masticando il sandwiches, coi gomiti poggiati sul marmo della penisola della cucina.
Salì le scale, seguendo Peter con lo sguardo basso, cercando di moderare la rabbia. “Eccoci” le sorrise, mordendosi il labbro interno, con le mani dentro le tasche.
“Grazie … ti chiami?” domandò con qualche esitazione la castana.
“Giusto, non ci siamo presentati.” Rispose porgendole la mano “ io sono Peter”
“Molto lieta”
Peter bussò alla porta bianca, su cui vi erano divieti scritti a lettere cubitali. Il moro faceva sentire la sua voce cantando Hysteria.
“ Ma” intervenne Angie “ perché non apre?”
“And i want it now! Give me your heart and your soul!” all’interno della stanza riecheggiava la voce di James, che ascoltava la canzone a tutto volume. Ad un tratto la musica si bloccò è il suono della chitarra scoppiò nelle orecchie della ragazza.
Angie aggrottò la fronte, batté più volte il pugno della sua piccola mano contro la porta, ma la risposta che ne ebbe fu il falsetto del ragazzo che si ostinava a non aprire. Stanca di aspettare andando avanti e indietro mentre Peter si sforzava a non aprire la porta dell’amico, temendo l’imbarazzo per la giovane, che l’avrebbe visto, nel peggiore dei casi, in boxer mentre si dimenava nel suonare la sua chitarra.
Ma non conosceva Angie. La ragazza, infatti, se perdeva la pazienza, poteva pure buttare giù una porta.
Sgranò gli occhi dalla sorpresa, quando vide, che con un colpo deciso del piede, la ragazza aprì la porta trovandosi, inevitabilmente, di fronte ad un’immagine di James non proprio ortodossa.
Peter le copri con entrambe le mani gli occhi, per rimediare all’imbarazzante visione di James che in slip, suonava la sua chitarra nera lucida, in piedi, sul letto.
“Oh Cristo!” esclamò James nel vedere la ragazza nella sua stanza, protetta da Peter, il quale lo guardava in cagnesco.
“Scendi. Dal. Letto. Vestiti. Adesso.” Scandì bene le parole: era così che faceva quando voleva far capire di essere arrabbiato oltre ogni limite.
“Ma non si bussa?” replicò con un sorriso beffardo, saltando giù dal letto e avvicinandosi alla ragazza, che a braccia incrociate, tamburellava le dita nel braccio.
“ Abbiamo bussato, Collins!” intervenne Angie, che cercava di divincolarsi da Peter, pronta a prenderlo a schiaffi.
James allungò il collo verso il viso della giovane di cui si potevano vedere solo le labbra serrate tinte di un rosa naturale. Lei poteva sentire il suo respiro vicino al viso, lui la osservò fino a quando con una spinta il biondo non lo fece indietreggiare.
“ Tesoro, evidentemente avevi così tanta voglia di vedermi in questo stato, dato che hai buttato giù la porta”
“Io voglio solo quello che mi appartiene!” affermò togliendosi le mani di Peter dagli occhi.
Le sue labbra i schiusero, il suo viso divenne rosso in poco tempo, deglutì e si girò verso la parete dedicata ai ricordi dei concerti Muse, per evitare di mostrarsi volubile, quando doveva essere decisa e forte.
Il moro si abbottonò i jeans neri “ Non so di cosa parli” disse, guardandola dallo specchio attaccato alla parete.
“James, smetti di fare il bambino e dalle quello che chiede” intervenne Peter con tono perentorio.
“ Per la seconda volta: non so a cosa si riferisca”
La ragazza si voltò verso la schiena nuda di James con occhi lucidi “Sai essere così crudele? Non dovevo dirtelo, avresti dovuto capire che quel diario era importante per me.”
“ E così rubi, James Collins?” era davvero troppo. Peter strinse i pugni contro i fianchi cercando di placare i nervi.
“Cosa?” chiese girandosi di scatto con sguardo accigliato “ non farei mai una cosa del genere! Pensavo se lo fosse dimenticato, l’ho portato a casa così che non lo perdesse. Gli e l’avrei dato domani.” Disse, mentre, aprendo il cassetto della scrivania, cercava il diario della ragazza e “ Ecco, tieni!” trovatolo lo buttò sul letto, irritato.
Angie lo prese, si sentì una stupida, ma i dubbi rimanevano: l’aveva letto? Certo che l’aveva letto. Nn c’era mica una sicura che gli impedisse di leggere. Se lo strinse al petto e, con una lacrima che scorreva lungo la guancia lo fissò, cercando il suo sguardo, per chiedergli scusa delle sue insinuazioni e della sua impulsività. Ma il ragazzo fissava il pavimento, con sguardo torvo,con braccia incrociate.
“Se vuoi saperlo, ho letto le prime due pagine…e” alzò gli occhi per incontrare il suo sguardo, ma la ragazza mostrava le spalle, pronta per andarsene. “ hai un grande talento. Non smettere di scrivere.”
La ragazza avvertì un colpo allo stomaco e corse verso le scale, scese di fretta, apri la porta e uscì e non sentì nemmeno il saluto di Larry, che la vide sfrecciare fuori, con l’impressione che stesse piangendo.
Corse, corse, senza nemmeno vedere dove metteva i piedi, mentre James la guardava andarsene dietro le fessure delle tapparelle della finestra. Per lei erano stati troppi momenti i momenti imbarazzanti, per lui era stato un motivo di ispirazione la venuta di quella strana ragazza, che gli aveva buttato giù la porta per il diario su cui c’erano scritte poesie.
Quello era il suo diario su cui scriveva testi di canzoni, le sue, che avrebbe cantato, un giorno.
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