𝚟𝚒𝚝𝚝𝚒𝚖𝚊 𝚍𝚒 𝚞𝚗 𝚊𝚗𝚐𝚎𝚕𝚘
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.──
Quando arrivo a lavoro, il giorno dopo, lo faccio da solo.
Parcheggio la macchina, esco dall'abitacolo, m'incammino per quel breve tratto che mi separa dall'ingresso, completamente da solo.
Ed eppure la mia memoria solo non mi ci fa sentire, quindi sorrido, contento, soddisfatto, probabilmente più sereno di quanto non mi sia mai capitato in una situazione del genere.
Satori si è svegliato presto, stamattina, e quando il suo muoversi fra le lenzuola ha costretto anche me ad abbandonare il sonno, non avevo alcuna voglia di tirarmi su e cominciare la mia giornata, per cui l'ho invitato a procedere nella sua routine lasciandomi perdere, che so di potermi concedere qualche volta di entrare dopo e rilassarmi un po' di più.
Avrei preferito se fosse rimasto con me, ma comprendendo che magari doveva passare in camera sua per cambiarsi o per prepararsi alla giornata o qualunque altra cosa, non ho espresso questo parere, e ho guardato con gli occhi socchiusi il suo corpo muoversi nella mia camera da letto.
Si è rimesso la gonna, ma quando mi ha chiesto se potesse tenere la maglietta che gli ho prestato addosso, non ho trovato valide ragioni per dirgli di no.
Si è seduto sul bordo del materasso, prima di andarsene, e ha stretto tre volte la mia mano in silenzio, poi mi ha baciato, ha lasciato che percorressi la linea dei suoi nei con le dita tutto il tempo che mi fosse stato necessario, mi ha detto che ci saremmo rivisti a breve, mi ha lasciato là a dormire.
Sento già la sua mancanza.
Saranno un paio d'ore che siamo separati, e per tre quarti di quel tempo ho semplicemente dormito, ma mi manca, so che mi sentirei meglio se lo vedessi e se fossimo assieme.
Alla fine mi sono dimenticato di dirgli che voglio uscire con lui.
Magari l'ha inteso dai miei atteggiamenti, magari ha capito l'intenzione sotto al mio ripetergli costantemente quanto mi piacesse, ma come con tutto, ho bisogno di avere la certezza che sappia cosa vorrei da lui, quindi mi riprometto di chiederglielo appena lo vedrò, se vuole anche lui uscire con me.
Ho anche scritto a Iwaizumi, stamattina.
È l'unica persona che conosco bene che in questo momento è in una relazione seria.
Ho provato a chiedergli prima come si facesse a capire se ti sei innamorato di qualcuno, e la sua risposta è stata esaustiva ma forse troppo poco pratica per i miei gusti, e dunque allora gli ho domandato quanto tempo si debba aspettare prima di dirlo, a quel qualcuno, e anche quanto è opportuno uscire assieme prima di proporre la convivenza, perché l'unica risposta razionale al mio sentire costantemente la mancanza di Satori è il renderlo parte integrante di ogni aspetto quotidiano della mia vita, casa compresa.
Mi ha risposto che lui non lo sapeva.
Però poi mi ha mandato una nota vocale di Oikawa, che invece pare sapere tutto di questo genere di cose, il quale dopo avermi definito un "sottone senza speranza" – non ho idea di cosa sia un "sottone" e credo di avere delle speranze – e aver preteso dei ringraziamenti per avermi costretto ad assumere qualcuno al posto di "Iwa-chan" – l'ho ringraziato, ma non ho chiamato il mio vecchio amico "Iwa-chan", non so perché ma la prospettiva mi metteva a disagio – ha dato indicazioni precise circa la mia indecisione.
Prima di tutto ho annotato i segnali che sei innamorato di qualcuno su un foglietto che ho messo in tasca, mi interrogherò sulla cosa durante la pausa pranzo, poi mi ha detto che prima di dirlo devo condividere con lui almeno due appuntamenti a fare cose che piacciono a me e due a fare cose che piacciono a lui per essere perfettamente sicuro che siamo compatibili, e che la convivenza dev'essere preceduta da almeno tre mesi di frequentazione delle rispettive abitazioni per mettere a proprio agio entrambe le parti in gioco.
È stato molto utile.
Non so perché lui pensi di non piacermi, Oikawa, intendo, certo, fatico un po' col modo in cui si esprime e trovo complesso avere a che fare col suo atteggiamento sempre un po' subdolo, ma mi è stato d'aiuto, e gliene sono grato.
Dovrei contraccambiare il favore in qualche modo.
Forse potrei mandargli dei fiori.
Magari un cesto di frutta.
Sistemo i polsini della camicia sotto la giacca, entro nell'androne, procedo fino all'ascensore e quando lo trovo libero, premo il pulsante della freccetta verso l'alto.
Arriva, io passo fra le porte, scelgo il piano corretto, attendo pazientemente che mi porti su.
Chissà se è nel mio ufficio.
Certo, non gli ho chiesto di andarci, ma magari l'ha deciso lui, magari è lì che mi aspetta, magari si è cambiato e ha messo quella gonna coi quadretti che mi piace tanto, magari è seduto sulla mia scrivania con una sigaretta in bocca, magari è sul divano con le gambe tirate su che guarda il cellulare.
Vorrei tanto che ci fosse.
Anche se non si direbbe apprezzo particolarmente il contatto fisico in quell'occasione che definirei "la mattina dopo", non averlo avuto prima mi genera il bisogno di averlo adesso.
A letto sarebbe stato più comodo, certo.
Ma credo andrà bene anche così.
Le porte si aprono, entro nella stanza che precede l'ufficio, faccio per salutare i miei sottoposti come faccio ogni mattina, ma prima di poterlo fare mi fermo nei miei passi e studio la scena che mi si pone di fronte, sicuramente non qualcosa a cui sono abituato.
Goshiki e Semi non sono alle loro scrivanie, neppure Shirabu, il primo e il secondo sono stretti attorno al terzo che sembra avere il respiro affannoso, e qualcosa di profondamente disordinato addosso.
Shirabu disordinato è qualcosa che il mio cervello non processa.
Solo ieri l'ho visto perdere le staffe, è vero, ma pochi secondi gli sono bastati a tornare quello di sempre, e ora non comprendo perché sia in questo stato.
Ha le mani che tremano, il petto che sale e scende come avesse corso una maratona, i capelli spettinati, tiene a sé Semi come se gli si stesse aggrappando addosso, come se fosse un salvagente nel mare in tempesta.
La mia confusione richiede immediato rischiararsi delle mie idee.
– Buongiorno. Che cosa è successo? –
Shirabu si gira verso di me come se non si fosse accorto della mia presenza fino a questo esatto momento.
Ha gli occhi lucidi.
C'è sollievo nella sua espressione.
Non spiega, però, cosa tutto questo significhi, e invece dice qualcosa che mi sembra una chiara e palese menzogna.
– Ciao, Ushijima. Niente, non è successo niente. –
– Niente? Non mi sembra proprio che "non sia successo niente". –
Panico? Istinto di piangere? Paura? Rabbia?
Cos'hai, in faccia, Shirabu?
Apre la bocca per rispondere ma Semi lo precede.
– Shirabu ha avuto dei problemi personali a casa, Ushijima, credo preferisca non parlarne. Non è nulla che riguardi il lavoro, comunque. – interviene, rendendomi la situazione improvvisamente più comprensibile.
Oh, capisco.
Sì, ha senso che non voglia che io m'intrometta, ha senso anche che sembri scosso, mi dispiace sinceramente vederlo così ma preclude tutta una serie di scenari che non avrei voluto percorrere.
– Va bene. Perdonami per l'indiscrezione, allora. – rispondo.
Shirabu china il capo, non risponde, noto quando lo fa che ha qualcosa sul collo, di fronte alla gola, come un graffio sottile perfettamente dritto.
Mi sento in dovere di commentare, ma solo per offrire il mio aiuto.
– Qualcuno ti ha fatto del male, Shirabu? Perdona l'invadenza, ma sai che non posso lasciar correre se qualcuno ti ha fatto del male. –
– Nessuno mi ha fatto nulla. Non è successo niente. Niente, Ushijima, niente, niente, assolutamente niente. – ripete, e il modo di ripeterlo desta in me qualche sospetto, ma più di quello la consapevolezza che lui davvero non necessita il mio intervento.
Faccio un passo indietro.
Rispetto reciproco è anche rispettare la privacy altrui, e ho tutta l'intenzione di farlo.
Caduta la questione dello shock di Shirabu, torno con la testa dov'ero prima.
– Satori è già arrivato? Qualcuno di voi l'ha visto? –
Semi gira la testa verso di me, Shirabu guarda per terra, Goshiki si morde l'interno di una guancia.
Risponde il primo, palesemente il più controllato dei tre, col tono di voce calmo e pacato.
– È passato prima. Ha detto di dirti che oggi si prende un giorno libero. –
– Un giorno libero? –
– Sì, ha delle... delle cose da fare. Già, delle cose da fare. –
– Che cose deve fare? –
– Non ne ho idea. –
La delusione quasi mi strappa via la razionalità. È vero che secondo gli accordi presi può avere dei giorni liberi a sua discrezione, è vero che ha tutto il diritto di avere questioni personali da risolvere, è vero che è una persona dotata di libero arbitrio ma...
M'intristisce.
Io speravo in tutt'altro.
Se fossi un bambino, pesterei i piedi al grido di "non è giusto".
– Ha detto a che ora torna? Ha detto se poi dopo passa? –
Semi scuote la testa.
– No, solo che doveva andare. –
– E non ha detto di dirmi nient'altro? –
– No, Ushijima. –
– E io che faccio adesso? –
Alla domanda, il mio sottoposto ammutolisce.
Mi rendo conto dopo averla detta, che probabilmente non è opportuna.
Non vedo perché debba essere un loro problema il fatto che io abbia programmato la mia giornata solo ed unicamente su Satori, non vedo perché debbano essere un loro problema la mia delusione, l'ansia dei piani cambiati all'ultimo, la mancanza che provo per lui.
L'ho pensato, l'ho pensato davvero, "e io che faccio adesso", ma non so perché l'ho detto.
Respiro.
– Lascia perdere, fa' finta di nulla. Vado in ufficio. Se serve qualcosa sono dentro. –
Li supero senza curarmi più del fatto che tutti e tre siano un po' strani, stamattina, m'infilo dentro la porta aperta e me la richiudo alle spalle, improvvisamente qualsiasi cosa a cui stessi pensando è subbuglio dell'imprevisto, sono confuso, a disagio, infastidito.
Calmo, Wakatoshi, sta' calmo, succede, va tutto bene, ha solo da fare, è normale che abbia da fare, tutti hanno da fare, tu hai da fare.
Non è successo niente di grave.
Mi siedo alla scrivania, gli occhi sbarrati, il corpo rigido.
Prendo il cellulare dalla tasca, una flebile speranza mi suggerisce che forse a loro non ha detto nulla, ma potrebbe avermi scritto.
È ancora spento da ieri, lo accendo premendo il tastino e patendo ogni secondo che ci impiega ad illuminarsi.
Non ci sono messaggi da lui, la delusione si fa sconforto.
Ci sono innumerevoli chiamate perse da Shirabu, da Semi, da Goshiki, ma mi rendo conto mentre le scorro che non mi viene neppure da chiedermi che cosa volessero dirmi con tanta impazienza, perché la voragine che mi si apre nel petto a non vedere il suo nome da nessuna parte, nessuna, risucchia anche il logico istinto di curiosità.
Appoggio il telefono di piatto sulla scrivania.
Tornerà.
La mia ansia è immotivata.
Lui tornerà.
Lui...
Il secondo giorno, quando entro in ufficio, la mia speranza è raddoppiata e dimezzata contemporaneamente. Se da una parte sono più impaziente di rivederlo, dall'altra ho l'impressione che se davvero concedessi alla mia mente di aggrapparmi così tanto a quel desiderio, allora quando questo dovesse eventualmente trovarsi disatteso, starei peggio.
Chiedo di nuovo ai miei sottoposti dove sia, se l'abbiano visto.
Mi rispondono che non lo sanno, non ne hanno idea.
Torno seduto alla mia scrivania, il fastidio che ho provato due mesi fa a dormire senza poterlo toccare ora è un'inezia di fronte alla tormenta delle mie emozioni.
Lo chiamo.
Non risponde.
Lo cerco al piano sotterraneo.
Mi dicono che non si fa vivo da ieri.
Col cuore in gola scorro le notizie di cronaca nera.
Del suo nome manco l'ombra.
Guardo disperato il file che ho fatto compilare su di lui all'inizio della nostra conoscenza.
Non c'è nemmeno un indirizzo plausibile.
Penso, penso e ripenso, ragiono, m'interrogo, dubito e domando, cerco di capire, di comprendere.
Non riesco.
Torno a casa infelice.
Mi stendo sul letto ma invece di dormire fisso il soffitto.
Tornerà.
Tornerà?
Il terzo giorno il dolore è fisico.
Non saprei come spiegarlo, mi è nuovo, sconosciuto, ma c'è, è lì, presente e urlante sul mio corpo.
Prima di entrare a lavoro mi fermo al pronto soccorso, perché non so cosa mi succeda, e la pressione che sento spingere contro le costole mi fa ingenuamente pensare che forse sono i miei organi, che stanno male, non la mia testa.
Non ho niente che non vada, mi dice il dottore.
Forse sono solo molto stressato.
So già che Satori non ci sarà quando arriverò, lo so mentre guido, mentre esco dall'abitacolo, mentre mi sistemo i polsini sotto la camicia, mentre premo la freccetta in alto e il piano, mentre rivolgo le stesse due domande alle persone che sono qui con me, mentre spero e cado, avendo sperato, nella consapevolezza che lui, non c'è.
L'autocommiserazione mi trascina a terra come un rullo compressore.
Decido però, per il terzo giorno di fila che soltanto entro nel mio ufficio e mi siedo alla scrivania, che non so cosa mi stia succedendo, ma che devo provare ad affrontarlo come affronto tutto nella vita.
Prendendo la situazione di petto e chiarendo i punti che sono confusi.
I fatti sono che io e Satori abbiamo fatto sesso, che il giorno dopo sembrava tranquillo prima di lasciare casa mia, che una volta a lavoro mi hanno detto che non sarebbe tornato per la giornata e che da lì non è più riapparso.
Ma i fatti sono anche che avevo un'infinita sequela di chiamate perse, quello stesso giorno, e che Shirabu, rigido, freddo, composto Shirabu, sembrava completamente sotto shock quando mi sono presentato qui.
I due fatti sono correlati?
Potrebbero esserlo.
Perché allora mi ha detto che aveva avuto dei problemi personali?
Potrebbe aver fatto qualcosa di cui non andava fiero. Potrebbe aver detto a Satori qualcosa che l'ha allontanato. Potrebbero aver discusso, e per questo lui abbia deciso di scomparire.
Oppure, e calcare questa strada mi fa soffrire, magari è successo qualcosa fra noi di cui non mi sono reso conto, magari ha inteso la mia volontà di rendere quel che avevamo più serio, più ufficiale, e se n'è voluto tirare fuori.
Magari è il lavoro, che non gli piace. Magari si è ritrovato in una situazione complicata per colpa di quello e ha preferito scappare prima che succedesse qualcosa di grave, magari non si fidava davvero della mia promessa di proteggerlo, e ha preferito farlo da solo.
Magari qualcuno l'ha preso.
Magari me l'hanno portato via.
Magari...
Cerco disperatamente di riordinare le ipotesi, e valuto quali fra queste io possa sondare all'effettivo.
La maggior parte di quel che mi è venuto in mente potrei saperlo soltanto parlandogli, e non riesco a farlo, perché non so dove sia.
E allora come potrei fare, come...
Un'altra ondata di ansia mi trascina, la mareggiata della mia infelicità anestetizza i pensieri, il dolore torna, se dovessi descriverlo direi quello che ho detto al dottore stamattina, sembra che qualcosa voglia uscirmi dal petto e che stia spingendo per farlo.
Respiro con la bocca, credo mi stiano tremando le mani.
Non so cosa succede.
Non mi è mai capitato, non so cosa mi succede.
Cosa mi sta succedendo?
Cosa...
Le auto in strada fanno troppo rumore. I vestiti addosso mi pesano, ho l'orologio messo storto, la penna continua a rotolare sul legno come se la superficie non fosse piatta, ma lievemente inclinata. Questo posto sa di chiuso, mi fa male la testa, la cravatta è stretta, le mie mani sono vuote, vuote e doloranti, vorrei far fare loro qualcosa ma non fanno niente, credo ci sia ovatta, ovatta e cotone incastrati fra le articolazioni che non si piegano, mi sento come se avessi paura, come se avessi l'ansia di sentirmi tutto crollare addosso da un momento all'altro.
Devo reagire razionalmente, io lo so che devo reagire razionalmente.
Ma non ci riesco.
Più me lo dico più non ci riesco.
Dove sei, Satori?
Dove sei?
Che cosa mi hai fatto?
Fa male, Satori.
Fa tanto male.
Non credevo che il tuo farmi stare così bene avrebbe fatto tanto male quando sarebbe finito.
Che cosa ti ho fatto?
Perché non sei qui?
Perché sei scappato?
Ho sbagliato qualcosa?
Posso rimediare, se ho sbagliato qualcosa, posso rimediare e posso cambiare. Posso migliorare, posso imparare, posso...
Mi alzo dalla scrivania anche se sono a lavoro da meno di un'ora.
Dico di non sentirmi tanto bene, quando torno all'ascensore.
Cerco i sintomi su internet anche se non dovrei farlo perché non è un posto tanto affidabile, quando rientro a casa.
La mia ricerca dice che ho il cuore spezzato.
Finora, non avevo idea di cosa significasse.
Non tornerà, vero?
Il quarto giorno prendo la decisione che indagherò su quel che è capitato. Il mio lato emotivo probabilmente ha accecato quello ragionevole, e seppur mi renda conto che sperare nel meglio significherà che quando vedrò il peggio probabilmente starò così male da non riuscire più a muovermi, mi dico che è quantomeno opportuno che io affronti analiticamente la questione.
Siccome dopo averci pensato giungo alla conclusione che né Shirabu, né Semi, né Goshiki mi risponderanno se dovessi chiedere spiegazioni, ho già fatto loro delle domande e hanno risposto a monosillabi ed eludendo la questione, prima di arrivare a lavoro contatto il sistema di videosorveglianza interno all'ufficio, e chiedo che mi mandino i nastri delle tre ore prima che io arrivassi a lavoro qualche giorno fa.
Quando salgo in ascensore la prospettiva di riuscire a dipanare i miei dubbi diminuisce un po' il mio dolore.
Saluto di fretta, mi butto dentro alla porta aperta senza dilungarmi in chiacchiere o domande, mi siedo, apro il PC, guardo fra le mail e ringraziando anche cose in cui non credo di trovare quello che cercavo, alzo al massimo il volume e apro l'allegato.
Mando avanti veloce le prime due ore circa della ripresa.
Ci sono Semi e Shirabu che entrano, poi Goshiki, Semi scende a prendere il caffè, Goshiki si toglie le scarpe e si stende all'indietro sulla sedia per fare un pisolino che non ha il permesso di prendersi, Shirabu non reagisce, solo continua imperterrito a guardare il telefono. Shirabu riceve una telefonata. Spalanca gli occhi. Parla. Semi e Goshiki si girano verso di lui. Tutti e tre prendono il telefono, a turno chiamano, Shirabu alterna il suo cellulare all'interfono, scrive, annota, si piazza la mano di fronte alla bocca in stupore.
Non rallento il video, non è questo che m'interessa.
M'interessa...
L'ascensore che si apre.
Il numero sullo schermetto che indica il piano, l'ascensore che si apre.
Premo "pausa" sulla tastiera.
Rimetto la velocità alla sua condizione standard.
Prendo fiato.
Guardo.
Satori entra vestito non com'è uscito da casa mia. La maglietta è la mia, ma non ha gli stivali, porta gli anfibi, e al posto della gonna ci sono un normalissimo paio di leggings. È bellissimo, esattamente com'è nella mia memoria, coi capelli bagnati dalla doccia che suppongo abbia fatto, il sorriso spensierato, gli occhi grandi e del colore del sangue.
Mi stringe il cuore, vederlo.
Vorrei poterlo fare dal vivo.
Vorrei...
Percorre giusto un passo all'interno della stanza prima che il resto della scena si componga di fronte a me.
Shirabu guarda Semi, Semi guarda Shirabu, annuiscono a vicenda.
Semi tira fuori la pistola dal retro dei pantaloni.
La punta su Satori.
Satori si immobilizza.
Shirabu chiede...
– Dove cazzo è Ushijima? –
Satori alza le mani.
– A letto che dorme, perché? Che cosa sta succedendo? –
– È vivo? Ushijima è vivo? –
– Dio, certo che è vivo, perché non dovrebbe esserlo? Cristo, se uno deve farsi puntare un'arma di prima mattina così, che cazzo vi è preso lo sapete solo voi. –
Semi non tira giù la pistola.
Shirabu non smette di guardarlo con la postura rigida.
– Tu lo dici a noi, perché non dovrebbe esserlo. È da ieri sera che è irraggiungibile. C'è stata una cazzo di sparatoria e noi non ne sapevamo niente. Che cazzo avete fatto tutto questo tempo? –
– Sesso. Poi la doccia, sesso nella doccia, di nuovo sesso nel letto. Poi siamo andati a dormire. Cosa c'è, non si può? –
Shirabu lì per lì non risponde, Satori fa spallucce, guarda Semi, ancora con la pistola in mano.
– Puoi per favore smettere di tenermela addosso? Scusa, ma mi metti ansia. Ushijima è vivo, siamo tutti felici e contenti, non è morto solo eravamo un po' impegnati a scopare per rispondere alle chiamate. Possiamo finirla qui? –
– Non finisce proprio un cazzo qui. Proprio un cazzo. – risponde...
Goshiki?
Perché Goshiki ce l'ha con Satori?
Goshiki fra tutti?
Satori pare pensare la stessa cosa, perché si gira sbigottito.
– Anche tu? Ma volete dirmi cosa ho fatto? Che cosa avete tutti? Cos'è, un club di gente innamorata di 'Toshi che vuole seccarmi perché io mi sono fatto la vostra crush o... –
– Smetti di fare finta. Lo sai tu. Lo sappiamo noi. L'unico che non lo sa è lui. –
– Non riesco davvero a capire di co... –
– Satori, io lo so chi sei. Basta con la messinscena. Io lo so, chi sei. –
Il tono di Shirabu è duro, è secco, è intenso.
Colpisce persino me, che lo sento dalle casse del PC quattro giorni dopo, e colpisce Satori sullo schermo, che rimane immobile, non dice niente, e poi solo smette di sorridere.
Ho così tante domande.
Così tante...
Continuo a guardare.
– Credevi che nessuno l'avrebbe mai scoperto, no? Credevi che ti bastasse avere controllo su di lui e che noi avremmo rispettato ogni ordine che ci avrebbe dato. Non pensavi che qualcuno avrebbe scavato su di te. –
Satori non risponde.
Non...
– Perché credi che ci abbia assunti, Satori? Perché credi che siamo qui? Per prendere polvere? Per scrivere le scartoffie? –
Deglutisce, la glottide gli sale e scende, la sua espressione è vuota e distante, non riesco a guardare gli altri, io guardo solo lui.
– Ushijima non è un idiota. Tu credi che lo sia, forse, credi di potertelo rigirare come ti pare perché hai capito come avere a che fare con lui, come sfruttare le sue debolezze per manipolarlo. Ma lui lo sa di avere delle debolezze. Noi siamo qui per coprire quelle debolezze. –
– Io non credo che sia un idiota. Non è un idiota. Non l'ho mai detto. – sento rispondere per la prima volta da diversi minuti da Satori, che non parlava, fino ad un attimo fa, e invece ora lo fa.
– Tu sei solo una cazzo di serpe che aspetta il momento giusto per pugnalarlo alle spalle. Tu stai solo aspettando che abbassi la guardia per fare quello che ti pare di lui. Tu non hai un briciolo di rispetto per lui che invece è pronto a buttare al vento qualsiasi cosa per te. –
– No, non è vero. Non è vero. Lo so che... lo so come sembra, lo so, ma quello era prima e ora è diverso e... –
– Voglio vedere quanto sarà diverso quando gli racconterò chi sei e capirà che non hai fatto altro che mentirgli per tutto questo tempo. –
Mentirmi?
Mentirmi su...
Io...
Non... non capisco.
Non capisco, non capisco.
Su cosa mi avrebbe mentito?
Che cosa intende quando dice che "non è vero"?
Che cosa... significa che "quello era prima e ora è diverso", che vuole dire, cosa dice, cosa pensa, dov'è, dove sei, dove vai, torna, Satori torna e spiegami e dimmi e...
Nello schermo il movimento è tanto repentino che credo nella vita reale nemmeno l'avrei visto.
Nonostante le due pistole puntate addosso, come se sapesse che alla fine nessuno avrebbe sparato, come se nemmeno gli importasse di essere sotto tiro, Satori si sporge in avanti, prende Shirabu dal colletto della camicia, lo tira verso di sé.
Il mio sottoposto ha gli occhi sbarrati, gli altri due credo provino a reagire ma se ne trovino impossibilitati dal non avere un tiro pulito per colpire l'uno e non l'altro, spalle contro il petto, testa tirata indietro, Satori sfila il coltello dal fodero sulla coscia che è ancora lì, sempre lì, la lama si appoggia di piatto sul collo sottile di Shirabu.
– Tu non gli dici un cazzo. Tu a Wakatoshi non gli dici un cazzo. Ti taglio la gola così a fondo che ti si staccherà la testa, se provi a dire qualcosa a Wakatoshi. –
Semi e Goshiki sono come impietriti, Semi abbassa l'arma, a Goshiki tremano le mani.
Shirabu ha paura.
Ma nonostante ce l'abbia, parla lo stesso.
– Perché non dovrei dirglielo, eh? Perché non dovrei? A lui devo la mia fiducia, non a te. Tu non sei nessuno. –
– Una sola parola di questa storia e giuro su Dio che... –
– Che cosa? Che mi ammazzi? Ammazzami, Satori. Poi glielo spieghi tu. Perché siamo morti in tre, perché ci hai fatti a pezzi, perché hai dovuto reagire così. –
– No, no, io non... non... non volevo che... –
Satori ha paura come Shirabu.
Glielo leggo in faccia.
Ha paura.
Di cosa ha paura?
– Me ne... me ne vado. Non torno mai più. Però non glielo dovete dire, non diteglielo, non dite niente a Wakatoshi. Ditegli che... che ho preso il giorno libero. Non... –
– Credi di cavartela così? Tu te ne vai e noi stiamo zitti? Credi che... –
La paura viene sostituita dalla furia, ma è una furia che nel suo viso è tutta sbagliata, perché mi ricorda davvero tanto la disperazione.
– Sparirò e non mi farò mai più vedere. Non mi infilerò più nelle vostre vite o nella sua. Ma se glielo dite, fosse l'ultima cosa che faccio, vengo a prendervi uno ad uno. Nessuno è ancora mai riuscito a scappare. Fidatevi, non volete provare a farlo voi. –
Stringe più forte Shirabu, la lama è sulla sua pelle, intravedo una goccia di sangue scendere sul suo collo.
Satori chiama l'ascensore con la mano libera.
Nessuno parla più.
Le porte si aprono, lui s'infila dentro.
Goshiki e Semi raggiungono Shirabu immediatamente.
Cinque minuti dopo arrivo io, col sorriso stampato in faccia, e la mente ancora illusa di qualcosa che non esiste.
Chiudo il PC.
Non mi fermo a pensarci.
Mi alzo, apro la porta, appoggio una mano sulla prima scrivania all'esterno, non so perché mi sembri che respirare sia così difficile.
– Shirabu? –
– Sì, Ushijima? –
– Ho visto il video della videosorveglianza. Di quattro giorni fa. Che cos'è che... che cos'è che è Satori? Che cos'è che è successo? –
Non riesco a vedere la sua espressione, credo di avere lo sguardo annebbiato.
Inizia a parlare ma non lo capisco.
Lo interrompo.
– Per favore, dimmelo... dimmelo e basta. Chi è? –
M'impegno nel capire la risposta.
La dice spaventato, ma esaustivo, come se il terrore che gli ho visto in faccia in quel video sia niente in confronto alla disperazione con cui lo sto pregando.
– Figlio di una delle famiglie che tuo padre ha sterminato trent'anni fa. Non era qui per aiutarci, era qui per ucciderci. Le persone che hanno cercato di spararti l'altra sera, lavorano per i suoi genitori. –
Mi trema la voce.
– Quindi la storia di suo padre che si suicida e di lui che deve fare quel lavoro e tutto il resto... non è vera? –
– No, è vera, è un figlio bastardo, secondo le mie ricerche è stato dato in adozione e quel che ha detto di sé stesso è tutto vero. Però ha omesso di dirti... della sua famiglia biologica. L'ho scoperto l'altra mattina, stavo cercando di capire chi avesse mandato il sicario e ho trovato una foto dove c'è un bambino coi capelli rossi. Da lì non è stato difficile. –
Prendo fiato perché non so come mai, non ce l'ho più.
– E tu lo sai perché lui era qui? –
– Per riprendersi quello che la tua famiglia ha tolto alla sua, suppongo. Per farti fuori. –
– Ma la sua famiglia l'ha abbandonato. –
– Secondo le mie fonti uccidere te era la condizione per farsi riprendere in casa. –
– Chi sono le tue fonti? –
– Un informatore di cui mi ha parlato Kunimi del Seijoh. Pare che sappia di tutto, mi è bastato fare una telefonata e mandare qualcuno a cercarlo e collegare i pezzi è stato molto semplice. –
Guardo Shirabu.
– Lui secondo te lo sa dov'è? –
– Chi? –
– Satori. –
Non mi risponde.
Nessuno mi risponde.
Osservano tutti, anzi, osserviamo tutti quella goccia d'acqua che è caduta improvvisamente sul legno della sua scrivania.
Cos'è?
Da dove arriva?
Che...
Ah.
Io sto...
Mi tocco la faccia.
Guardo le dita.
Sto piangendo.
– Mandami... mandami una mail dove mi spieghi co... come trovare que... questo informatore. Per favore. – cerco di dire, anche se la mia voce non mi obbedisce più.
Non sento la sua risposta.
– Ora io vado... vado a casa. Voi... fate quello che dovete. Quello... non lo so. Fate qualcosa. Andate... a casa anche voi, non... ne ho idea. Io non... –
Chiamo l'ascensore.
Esco.
Torno a casa.
Non so come si faccia a smettere di piangere.
Allora non lo faccio.
Non smetto.
Lui non tornerà.
Il quinto giorno, contro ogni aspettativa, mi rendo conto che sto meglio. Mi sveglio col dolore meno pungente, riesco a respirare più facilmente e non mi trascino in casa costretto dalla forza delle cose ad andare avanti, anzi reagisco, e più saldo con me stesso, mi avvio nei meandri di ciò che devo fare.
Rispondo ai messaggi che ricevo con la verve di sempre, mi scuso coi miei sottoposti per l'exploit di ieri, non credo sia necessario scusarmi per essere stato emotivo, ma non so perché ne sento comunque il bisogno.
Mi vesto, mi lavo, mi preparo, e invece di andare al lavoro, seguo passo passo le indicazioni precise che ho ricevuto nella mail.
Non credo di stare meglio perché la situazione sia migliorata o perché mi sia in qualche modo andata via la tristezza.
Credo di stare meglio perché almeno so perché sto male.
E sapere che lo saprò ancora di più, non è bello, ma è onesto, e l'onestà è qualcosa che riesco ad elaborare più del non avere risposte.
Shirabu dice che questa persona io la troverò all'incrocio di due strade un po' fuori città, dove i lampioni sono rotti e la mattina d'inverno mantiene ancora la notte, e che quando l'avrò pagata risponderà alle mie domande.
So che dopo quanto accaduto in merito a Satori la fiducia dovrei probabilmente imparare a re-indirizzarla, ma Kunimi l'ha detto a Shirabu, e Oikawa l'ha detto a Kunimi, e Suga l'ha detto a Oikawa e così via in una catena di persone che, se usano questo tipo di servizio, lo rendono automaticamente affidabile.
I soldi li vuole in mazzette, tagli piccoli, prendo la valigetta quando scendo dalla macchina, e non si farà vedere in faccia, quindi non saprò chi è.
Non m'importa.
Cammino per raggiungerlo e non m'importa.
Non so bene cosa ho intenzione di fare, ma ho supposto che arriverò a saperlo quando la situazione mi sembrerà più chiara, e allora per prima cosa troverò tutte, tutte le risposte che cerco, e poi mi deciderò sul da farsi.
Ho sempre fatto così, nella vita.
Farò così anche adesso.
M'infilo nell'incrocio, più le luci sono buie più mi rendo conto di starmi avvicinando, quando arrivo in fondo al vicolo su cui mi è stato detto d'incamminarmi, so di essere arrivato.
Allora appoggio la valigetta per terra.
Stringo le braccia al petto.
Mi schiarisco la voce.
All'inizio non risponde nessuno, ma intravedo nell'ombra qualcosa che si muove. Sento il rumore di una scala antincendio, di suole di scarpe contro l'asfalto, l'aria si sposta e la valigetta scompare, qualcosa cigola.
Quando parla, non so se sia un ragazzo con la voce un po' alta o una ragazza con la voce un po' bassa, o se nessuno dei due.
So solo che viene dall'alto.
– Allora, Ushijima Wakatoshi della Shiratorizawa, credo di sapere perché sei qui ma fammelo dire, proprio non ti aspettavo. –
Sa chi sono?
Beh, certo che lo sa.
Se sa tutto sa anche chi sono.
– Come mai non mi aspettavi? –
– Non sembri proprio il tipo che viene a chiedere le cose di persona. Nemmeno Shirabu è venuto di persona, tu sei il super capo, converrai che non è una cosa comune. –
Conosce anche Shirabu?
Se sa tutto sa anche chi è lui, mi ripeto.
Devo smettermi di pormi questa domanda, la risposta è sempre la stessa.
– Sono qui perché voglio sapere di Satori. Tu sai qualcosa di Satori? –
– Io so tutto di Satori. –
– E allora dimmi tutto di Satori. –
La voce s'interrompe, sospira, quando torna su di me è più in basso, come se si fosse spostata.
– Satori Tendō, diciannove anni, buttato fuori di casa a cinque, adottato da due idioti a sette, venduto per pagare i debiti di suo padre a quindici dallo stesso che si è suicidato, ha fatto la puttana per tre anni e mezzo, ha ucciso tutti i suoi debitori, è rientrato in contatto con la sua famiglia, è stato mandato da te per riprendersi tutto quello che la tua ha rubato alla sua, quattro giorni fa è scappato, nessuno sa più dov'è. Tranne me, ovviamente. Io so tutto. –
– Perché l'hanno buttato fuori di casa a cinque anni? –
– La sua mamma ha fatto un figlio con qualcuno che non era il suo dolce marito. Quando suddetto dolce marito si è reso conto che il bambino aveva i capelli rossi come quelli del domestico si è fatto a buona ragione un paio di domande. –
– E perché allora è rientrato in contatto con la sua famiglia? –
– Perché la mamma è sempre la mamma. Si scrivevano le lettere, Satori e la mamma, e quando l'unico figlio legittimo è rimasto secco in un incidente stradale allora la mamma ha pensato che fosse una geniale idea far tornare Satori. Sai, giusto per avere qualcuno. –
– Quindi non è stata sua l'idea di uccidermi? –
– No, è stata della mamma. Però lui era d'accordo, fidati. Super d'accordo. Ti segue da... quattro mesi? Ti conosce bene, il ragazzo, sa tutti i tuoi segreti. –
– Satori non è un ragazzo. –
– Ah, è vero, pardon. –
Mi segue da quattro mesi?
Ma noi ci conosciamo da due.
Ci conosciamo da...
Oh, dev'essere per questo che sembra sapere sempre cosa dire e come comportarsi. Dev'essere che mi ha... studiato. Ora capisco.
– Dunque due mesi fa lui e mamma decidono di fare secco il tuo debitore. Te lo ricordi? Quello che hai trovato tutto a pezzi. –
– Quello di quando ci siamo conosciuti? –
– Lui. –
Quindi era tutta una montatura?
Anche quella?
Tutto?
– Questo è, versione riassunta, versione lunga o mi paghi il doppio o lo chiedi a lui. Comunque dovrei averti detto tutto. Di quello che è successo prima. –
Non rispondo, sto ancora pensando.
La voce coglie l'occasione per ricominciare a parlare.
– Però c'è la versione corta di quello che è successo dopo. Secondo me ti va di sentirla, vero? –
– Sì. Mi va. –
– Perfetto. Allora, vediamo, diciamo che... ok, Satori e mamma sono organizzati per farti secco, ma sai che fa Satori? Rimanda. Si vedono e lui dice "mah, forse no, forse dobbiamo aspettare, forse..." e lo fa tutte le volte, tutte, Ushijima, tutte tutte. Allora mamma perde la pazienza e cerca di incalzarlo ma Satori non sembra proprio volerlo fare. Mamma dunque chiama gli uomini che hai visto l'altra sera e organizza l'attentato senza dire niente di niente a Satori. –
– Quindi lui non sapeva... –
– No, non lo sapeva. Satori voleva rimandare. Almeno, questo ha detto, cos'abbia pensato ancora non sono capace di dirtelo. –
– E come mai voleva rimandare? –
– Questo non gliel'ho sentito dire, ma solo un coglione non capirebbe perché, Ushijima. –
– Io credo di essere un coglione, perché non ne ho la minima idea. –
La voce sospira.
– Dai, un passetto alla volta. Proviamoci assieme. Facciamo mente locale. Satori non vuole ucciderti, Satori non vuole che tu sappia che è un cattivo, Satori preferisce sparire dalla tua vita piuttosto che dirti in faccia che è stato qui tutto questo tempo per un complotto, Satori parte da camera sua senza portarsi niente dietro tranne un bel paio di orecchini di corallo, in lacrime, con la tua maglietta addosso. Dai che ce la fai, Ushijima, io credo in te. –
– No, davvero, scusa, io non le so fare queste cose. Non sono capace. Dimmelo tu. –
La voce emette un verso di esasperazione, dice qualcosa che mi pare essere "forse l'eroina serve più a te che a me", poi, grazie al cielo, mi dà una risposta.
– Wakatoshi, tu a Satori piaci sul serio. Lui si è preso, per quello non vuole farti secco. Sa che non può rimettere a posto la situazione, sa che ha fatto un casino, per questo non ti risponde, perché crede che tu ora sappia tutto e ce l'abbia a morte con lui. –
– Io non ce l'ho a morte con lui. Anzi, io... so che dovrei esserlo, ma non sono arrabbiato. –
– Sì, dillo a me, che ti sente. –
Prendo fiato, ma ci penso su un attimo.
La tesi della voce non è improbabile.
Non è del tutto...
Mi rendo conto in un attimo che in realtà non m'importa. Che in realtà se anche Satori non fosse stato sincero un solo secondo con me, un solo istante, se anche lui avesse mentito quando mi ha detto che gli piacevo, quando mi ha detto di sì, quando mi ha stretto a sé, a me non importerebbe comunque.
Li ho guardati, i segnali dell'innamoramento che mi ha detto Oikawa, l'altro giorno.
Io innamorato lo sono davvero.
E anche avessi perso, anche fossi stato sconfitto, anche dovessi morire, perdere il mio lavoro e quel che conosco, io sceglierei di farlo, se questo significasse rivederlo e risentire la sua voce.
Sto perdendo tempo.
Sto perdendo tempo, qui, io non ho bisogno di risposte, a me andrebbe bene qualsiasi cosa.
Io ho bisogno di vederlo.
Ho bisogno di dirglielo, anche se non dovrei perché Oikawa ha detto quattro appuntamenti prima, perché ho bisogno che lui lo sappia e ho bisogno di smettere di sentirmi così male da quando lui non c'è.
Io non...
Non è che non voglio stare solo.
Non è più quello il problema.
È che non voglio stare senza di lui.
E avevo detto che l'avrei fatto e ora lo farò.
Ne pagherò le conseguenze.
Ti amo anche se tu non lo fai, anche se tu vuoi uccidermi, anche se mi detesti.
È chiaro per me che perdere tutto ma non te è meglio dell'inverso, perché io non so chi sono se non chi sono mentre ti amo.
– Lui dov'è? –
– Ha un biglietto per un bus che lo porti all'aeroporto fra due ore e mezza, un biglietto di sola andata per l'Europa, se te lo stai chiedendo sì, ha ancora gli orecchini, no, non ha smesso di piangere. –
– L'indirizzo della fermata. Mi devi dire dov'è. –
– Te lo scrivo. Apri la manina. –
Manina?
Non credo di avere il tempo di discutere con una voce in un vicolo, lascio perdere nonostante sia piuttosto confuso.
– Ora ti tocco. – mi avverte, e non mi ritraggo quando lo fa.
Mi scrive qualcosa sulla pelle, aspetto che finisca.
Quando mi lascia andare faccio per allontanarmi, ma parla di nuovo, e mi trattiene.
– Senti, io non dovrei essere di parte ma un po' lo sono. Satori è il mio secondo preferito di voi bastardi cattivi in questo postaccio. Non è cattivo, è solo... un po' strano. Io credo che ci tenga davvero a te. –
Annuisco, apprezzo la sua opinione.
– Grazie. –
La curiosità però mi coglie e allora glielo chiedo.
– Però chi è il tuo primo preferito? Io? –
– Ma che tu, sì, sei carino ma non così tanto. Il corvo con gli occhi azzurri, Kageyama. Il mio preferito è lui. Ma non glielo dire. –
– Ho capito, ok, non glielo dirò. –
– Dio, Ushijima, sei una persona assurda. –
– Non credo di esserlo. –
La voce ridacchia.
Poi scompare.
Io torno sui miei passi.
Mentre la luce si dirada la scritta sulla mia mano si fa più definita, capisco dove devo andare, non trovo in me motivo di non dirigermi là immediatamente e allora non mi trattengo.
Hai fatto un buon lavoro, se quel che t'interessava era manipolarmi e avermi in pugno, un ottimo, ottimo lavoro.
Te lo dirò.
Hai vinto.
Io ho perso.
Fa' di me quel che vuoi.
Però fa' qualcosa, perché questo niente, questo nulla, è molto peggio.
Lui potrà anche non tornare.
Ma credo mi sia ormai totalmente chiaro, che io, invece, da lui tornerò sempre.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.──
eheheheheheh non so neanche cosa dire mi sento tipo come se vi avessi tirato uno schiaffo e stessi qui ad aspettare che mi diciate grazie eheh scusate
cioè dai un po' di pepe dovevo pur mettercelo
no?
ok non uccidetemi pls
grazie
bacino
a domani
(nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo sì cuori è collegata con la kagehina dovevo farcelo un collegamentino quindi ecco shōyō informatore pazzo con la dddddroga came back to us)
<3
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top