𝚍𝚞𝚙𝚕𝚒𝚌𝚘 𝚒𝚕 𝚖𝚒𝚘 𝚋𝚊𝚝𝚝𝚒𝚝𝚘
!! smut alert!!
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.──
Non so quale scenario mi aspettassi si sarebbe presentato una volta che saremmo entrati in macchina.
Avevo uno strano senso d'impazienza che mi serpeggiava nella trachea, senso che tutt'ora provo, ma non mi ero soffermato a pensarci su, non avevo una chiara previsione di quello che sarebbe successo.
Certo la cosa non rappresentava una preoccupazione, ne sono consapevole, ma mi sorprende rendermi conto che non avevo tentato di prefigurarmi cosa sarebbe successo, perché è qualcosa che faccio sempre, cercare di avere il controllo sugli eventi che si verificano, e le uniche volte che non me ne curo è quando so che quello che avverrà non disturberà la mia pace.
Non mi era mai capitato con un'altra persona.
Con me stesso più volte, non suppongo quello che succederà quando tornerò a casa mia in solitudine, so che sarò tranquillo, non mi serve prepararmi a quello specifico avvenimento.
Ma con qualcun altro, in una situazione dove l'arbitrio in gioco non è solo il mio ma anche quello di qualcun altro, questa condizione non si era mai verificata.
Mi rallegra, constatare questo fatto.
Dovrebbe spaventarmi, perché so che sto abbassando la guardia.
Ma non mi spaventa e anzi mi rallegra.
Intendevo quel che gli ho detto oggi pomeriggio, ogni singola parola, non sono capace di mentire e anche lo fossi la troverei comunque una perdita di tempo.
Non sono intimorito dalla prospettiva di aprirmi a lui e lasciare che la distanza che ci separa sia così poca da permettergli di vedere di me anche i punti deboli.
Ho fatto una stima, su di lui, ho formulato un'opinione, e per me credere in quella stima e in quell'opinione è più importante di tenere alta la muraglia difensiva che fare il mio lavoro mi ha costretto a creare.
Pagherò le conseguenze di qualsiasi scelta io abbia fatto nei suoi confronti, se dovessero mai presentarsi.
So, e nessuno potrebbe convincermi del contrario, che in questo specifico caso ne vale la pena.
Satori tiene le gambe accavallate, la cintura gli corre trasversale sul petto, l'orlo della gonna si aggrappa alle sue cosce chiare tirandosi su ad ogni movimento del suo corpo, ha le mani aperte sulle gambe, rilassate, di tanto in tanto si sposta una ciocca di capelli scarlatti dal viso.
Guardo la strada, guido in silenzio, ma quando sono costretto a frenare e a fermarmi dai semafori rossi, non m'imbarazzo a spostare lo sguardo fugacemente dalla sua parte per carpire qualche dettaglio.
La sua presenza rilassa la mia mente, ma il suo aspetto soddisfa tutta la parte più istintiva e corporea di me.
Il senso d'impazienza si acuisce, e con lui si presenta anche la curiosità di sapere se lo provi anche lui, se stia pensando le stesse cose che penso io, se sia d'accordo con me.
Rompo il silenzio per primo, trasportato dalla spontaneità di voler mettere in chiaro le mie intenzioni.
– Satori, tu sai dove sto andando, vero? –
Ho lo sguardo fisso di fronte a me, ma noto con la coda dell'occhio il suo corpo che reagisce all'aver sentito chiamare il suo nome, sposta il volto dalla mia parte, mi guarda.
– A casa tua, no? –
– Esatto. –
Passa qualche istante, la mia curiosità non si esaurisce, ricomincio a parlare.
– Tu sei d'accordo col venire a casa mia? –
– Sono d'accordo, 'Toshi. Non sarei qui se non fossi d'accordo. –
– Hai ragione, volevo solo esserne sicuro. –
– Ora lo sei. –
Intravedo giusto un barlume del suo viso che sorride.
Sento la mia faccia imitarlo.
– E sul rimanere a casa mia per la notte sei d'accordo? –
– Sempre d'accordo. –
– Perfetto. –
Resisto all'impulso di guardarlo, vorrei vedere che espressione sta facendo, vorrei tanto, ma non è sicuro e non posso farlo.
Lui invece, che non ha questo problema, mi sta apertamente fissando.
– Più che d'accordo, in realtà. Diciamo pure che non vedo l'ora. – mugugna poi, spostandosi sul sedile per rivolgere il suo corpo dalla mia parte.
– Anch'io mi sento così, sono felice che tu provi la stessa cosa. –
– Oh, 'Toshi, miseria se non la provo. –
Ridacchia piano, il rumore si spande delicato nell'aria che ci circonda.
– Il mio cervello ancora fatica a metabolizzare che la prima volta che farò sesso senza essere pagato sarà proprio con te fra tutti. – commenta, dopo qualche istante.
– È tanto che non ti capita? – mi ritrovo a chiedergli.
– Qualche anno. –
Annuisco brevemente.
– È che a farlo per lavoro ti passa la voglia. Stai tutto il giorno con le gambe aperte, l'ultima cosa che vuoi fare quando torni a casa è riaprirle per qualcun altro. – aggiunge.
– Capisco. Ora ti è tornata, invece? La voglia, intendo. –
– In senso generale no. Non è una cosa che mi va di fare così tanto per. Credo che quel tipo di attrattiva per il sesso senza pensieri non mi tornerà mai. Però con te è diverso, quindi va bene. –
– Cosa intendi con "con te è diverso"? –
Scavalla le gambe, le accavalla di nuovo nella posizione invertita.
– Intendo che se l'atto fisico in sé mi è andato a noia, quello mentale no. E almeno da parte mia ci saranno dei sentimenti, là in mezzo, e quindi non sarà fare sesso per fare sesso, sarà un'altra cosa, e quella invece mi piace. –
– Ce ne saranno anche da parte mia. –
– Sono molto contento di sentirlo. –
L'impulso di toccarlo mi coglie alla sprovvista, e quando sposto la mano per appoggiargliela addosso l'idea è così nuova che alla fine rimango bloccato a metabolizzarla, è lui che prende le dita fra le mie e se le appoggia sulla coscia, aiutandomi nel mio processo, e lo ringrazio sottovoce mentre affondo i polpastrelli sulla sua pelle.
Un attimo dopo lo sento ridacchiare piano, parla e credo scherzi, anche se io non riesco a prendere giocosamente quella che lui dice solo come una battuta.
– Dovrei dirlo a quel verme del mio ex con chi sono andato alla fine, cazzo, gli starebbe bene, vorrei proprio sbatterglielo in faccia. –
Sento le mie sopracciglia aggrottarsi.
– Hai un brutto trascorso con lui? –
– Decisamente. Era davvero un gran figlio di puttana. Quando ci siamo lasciati era tutto un "guarda che non troverai nessun altro che ti voglia perché nessuno vuole una cosa che hanno già usato tutti". –
Gli lancio un'occhiata anche se non dovrei.
– Ma non ha alcun senso, quello che ti ha detto. Tu mica sei una cosa, Satori. Non puoi essere usato come una cosa, non sei una cosa. –
– Lo so, era lui che non lo sapeva. –
Un nodino di fastidio mi si allaccia nello stomaco.
– È stato molto crudele a dirti quelle parole. – affermo, nel tentativo non so se di consolarlo o di fargli sapere che sono d'accordo con lui nel ritenere questa persona un "gran figlio di puttana", come l'ha definito un attimo fa.
– Era molto crudele in generale. Non so manco perché io mi ci sia messo assieme, mi picchierei da solo se potessi tornare indietro, non ho passato un solo secondo piacevole con quel bastardo. –
– Mi dispiace che ti sia successa questa cosa. Davvero, Satori, mi dispiace tanto. –
Mi dispiace, è vero.
Ma non solo.
Mi mette un'ansia... strana, che non conosco.
Un'ansia che m'impone di sapere, e di risolvere sapendo.
– L'hai ucciso? Era uno di quelli che hai ucciso? – chiedo dunque.
– No, no, lui no. –
– Come mai? –
– Probabilmente sotto sotto ancora mi spaventa un po'. Non volevo rivederlo. –
Sentirlo ammettere che qualcosa lo spaventi mi prende in contropiede. Dà il via a tutta una serie di ragionamenti che portano i miei pensieri verso una direzione che non mi piace, accresce la mia ansia, forse tinge il mio dispiacere con qualche pennellata di rabbia.
– Non mi fa sentire per niente a mio agio l'idea che ci sia qualcuno nel mondo che ti spaventa, Satori. Non mi piace l'idea che sia una cosa che ti fa stare male. –
– È carina questa cosa che stai dicendo, 'Toshi, ma non posso mica chiederti di ucciderlo perché è stato uno stronzo con me anni fa, credo tu debba farci l'abitudine. –
– No, no, invece puoi chiedermelo. Avrei la tentazione di farlo anche se non me lo chiedessi, a dirla tutta. –
– Sul serio? –
Mi rendo conto di avere le dita strette un po' più forte del previsto sulla sua pelle, allento la presa, cerco di renderla più dolce.
– Sì. Sul serio. L'eventualità che il suo essere in vita possa in qualche modo ferirti mi fa sentire arrabbiato. Non voglio che qualcosa ti ferisca. –
Appoggia chiedendomelo brevemente prima le dita sopra le mie.
Incastra le nostre mani assieme.
– Vorrei che fosse qui con noi in questo momento solo per dirgli che non è vero che nessuno mi vuole e che la persona che mi vuole e che mi dice tutte le cose carine che lui non mi diceva mai potrebbe ucciderlo perché è Ushijima Wakatoshi della Shiratorizawa. La sua faccia sarebbe arte. –
Ridacchia, ma io non lo imito.
– Se vuoi posso fare in modo che accada, Satori. Basta che tu me lo chieda, davvero. Non ho alcun problema a farlo per te. –
Stringe tre volte la mia mano.
La strizza una, due, tre volte, regolarmente, la mia ansia non è che scompaia, ma viene un po' risucchiata via dal calore che questo gesto suscita in me.
– Ne parliamo in un altro momento, ora non voglio proprio più parlare di lui. C'è un problema più importante di cui occuparci. –
– Che problema? –
– Non siamo ancora a casa tua e io sto iniziando ad avere davvero caldo con tutti questi vestiti addosso. –
Stringo le labbra fra loro.
Il suo ex diventa un pensiero tanto piccolo nella mia testa da scomparire quasi, sepolto da tutto quello che invece ora ricomincia a crescere e farsi sentire.
– Che c'è, vorresti toglierteli, per caso? –
– Togliermeli da solo sarebbe terribilmente noioso. Preferirei se qualcuno fosse così gentile da farlo per me. –
– È un'offerta? –
– Accetteresti? –
Lancio un'occhiata al cartello stradale che segnala il limite di velocità nelle strade cittadine. Io rispetto sempre le regole alla guida, e sono davvero ligio, ma stasera non c'è davvero nessuno e non credo che sarebbe più spiacevole prendere eventualmente una multa rispetto al dover aspettare ancora.
I soldi li ho.
La pazienza inizia a scarseggiare.
– Sì, accetterei. –
– Allora sì, è un'offerta. –
Schiaccio l'acceleratore.
Mi dispiace, se mi arriverà una sanzione a casa.
Ma, dopotutto, ho dei limiti anche io.
Quando l'ascensore si apre di fronte alla porta di casa mia, non sono addosso a Satori come forse qualcuno si sarebbe potuto aspettare, non tengo la sua schiena schiacciata al muro cercando di bere anche l'aria che respira, non gli sono saltato addosso.
Gli tengo solo la mano.
Nulla di più.
La mia impazienza brucia, l'eccitazione è ancora lì, ma non sento l'ansia di dover far tutto subito, anzi mi godo l'agio che poter prendere le cose con calma mi genera.
La foga non è qualcosa che mi appartiene.
Quantomeno, non mi appartiene se prima non sono totalmente calmo, lasciar andare le redini è una concessione che faccio a me stesso soltanto quando le ho saldamente fra le mani, quelle redini, e prima devo appianarmi, tranquillizzarmi, comprendere la situazione.
Mi piace così tanto che Satori capisca, o se non lo fa che comunque abbia pazienza, che aspetti, che lasci me alla conduzione del nostro tempo.
Le persone hanno sempre definito "strana" la mia mancanza di impeto, soprattutto quando ero un adolescente o nei primi anni dell'età adulta, mi hanno sempre fatto sentire come se qualcosa di me fosse stato montato male, al contrario, dal verso sbagliato.
Satori no, però.
Sorride e aspetta.
Mi fa sentire rilassato come lo sono stato poche volte nella mia vita.
Tiro fuori le chiavi dalla tasca, apro, lascio che entri prima di me e richiudo la porta alle nostre spalle, mentre lui vaga con lo sguardo nell'ambiente illuminato dal lampadario che accendo in un gesto d'abitudine, io mi sfilo ordinatamente le scarpe, appendo il cappotto e allento il nodo della cravatta.
– Miseria, casa tua è enorme. –
– È grande, sì. Mi piacciono i posti spaziosi. –
– Claustrofobico? –
– Non lo so. Non ci ho mai ragionato su più di tanto. –
Percorre un passo verso il salotto, ma quando vede la placca di metallo che divide le piastrelle del primo mezzo metro dell'ingresso dal parquet del resto della casa, si ferma.
Non glielo devo neanche dire.
Sfila gli stivali senza che nemmeno glielo debba dire.
Suscita nel mio rigore un sospiro di sollievo e nella mia mente la placida sensazione di aver avuto ragione a portarlo qui, lui che non è mai un'invasione, sempre e solo una compagnia.
Persi quei quindici centimetri di altezza mi risulta più esile, non per questo meno bello, e non commento né penso troppo a vederlo vagare in casa mia.
Consapevole di essere finalmente a casa spengo il cellulare, in un gesto d'abitudine e totalmente volto a dedicarmi solo a lui.
Poi lo seguo.
Seguo il movimento dei suoi fianchi, l'ondeggiare delle sue anche, gli occhi fissi sul retro della sua nuca e sui capelli scarlatti che sembrano gocce di sangue sulla tela chiara della sua carnagione.
– Questa sì che è una televisione bella grande. Ero lì lì per dirti di venire in camera mia a guardare un documentario uno di questi giorni ma sarebbe uno spreco, preferisco autoinvitarmi da te. – commenta, ridacchiando, mentre studia i mobili e l'arredamento del mio salotto.
– Quando vuoi. –
– Ti prendo in parola. –
Sposta lo sguardo sulla libreria al fondo della parete, semplici scaffali di legno scuro riempiti di libri ordinati per casa editrice e cognome dell'autore, si muove da quella parte, di nuovo gli vado dietro.
Non tocca nulla, ma fissa incuriosito le costine perfettamente spolverate di fronte ai suoi occhi, la cornice di una fotografia cattura la sua attenzione, piega il volto per guardarla meglio.
– Quanti anni avevi, qui? –
Non distolgo gli occhi da lui, rispondo andando a memoria, conosco quella foto, il retro del suo collo è molto più piacevole da guardare.
– Sedici. –
– Eri così bello già a sedici anni? Miseria, io facevo paura, non è giusto. –
– Scommetto che non è vero. –
– Perderesti. –
Si avvicina.
– Lui chi è? – chiede, riferito suppongo alla persona che è al mio fianco.
– Iwaizumi, la mia vecchia guardia del corpo. Ci conoscevamo da poco, allora, ora che sono passati dieci anni è molto diverso. –
Satori appoggia il mento sopra la spalla, mi guarda negli occhi col corpo girato per farlo, il modo in cui i muscoli affusolati della sua schiena si piegano per permetterglielo, è ipnotico.
– Hai ventisei anni? –
– Ventisette. –
Non me l'aveva mai chiesto, mi rendo conto, ma la sua espressione non mi comunica sorpresa né disagio, quindi credo se lo aspettasse, o quantomeno l'avesse immaginato.
Io so quanti anni ha lui, c'è scritto sulla scheda informativa che ho fatto compilare quando l'ho assunto.
Diciannove, venti a maggio, fra qualche mese.
Non credo rappresenti una differenza d'età tanto vertiginosa, la cosa finché è un adulto non mi preoccupa, l'unico dettaglio che mi mette a disagio è pensare che se ha dovuto iniziare a vendere il suo corpo tre anni fa, allora questo significa che di anni ne aveva sedici, e in quel caso, invece, sono decisamente pochi.
Se non l'avesse uccisi tutti con le sue mani, avrei sentito io stesso il bisogno di farlo.
Non ha bisogno del mio aiuto, però, e ha sepolto i suoi demoni assolutamente da solo.
Torna a guardare la foto, io mi avvicino ancora, si rilassa contro il mio corpo quando gli stringo la vita fra le mani, appoggia le dita sopra le mie, mentre avvolgo con le braccia il centro del suo corpo e sistemo il mio viso a fianco del suo.
Non dice niente.
Però si lascia andare, si ammorbidisce, e vedo dal riflesso in controluce sul vetro di fronte alla cornice, che sta sorridendo.
Inspiro piano.
Mi piace così tanto il suo profumo.
Vorrei poterlo sentire ogni volta che voglio.
Appoggio il naso contro il suo collo, respiro il sentore dolce della sua pelle, sento il brivido che gli corre sulla schiena, lo stringo un po' più forte, finché non sono sicuro che avverta su di sé l'irregolarità del mio battito cardiaco.
Geme piano, quando mi ritrovo con le labbra sulla sua carnagione chiara.
Geme, prende aria dalla bocca, parla col tono di voce più sottile, più arioso, più tranquillo.
– Ma tu che cosa ci fai qui con me, Wakatoshi? – chiede, mentre un'ombra dei miei denti gli sfiora la spalla.
– Non capisco che intendi. –
– Non te lo chiedi mai, come diavolo ci sei finito con me in questa situazione? Non ti sembra assurdo? –
Apro le dita sulla sua pancia, poi più in su, verso la base del collo. Spingo indietro la testa dal mento, per avere più accesso su di lui.
Dio, mi sento tanto a mio agio con lui che potrei anche dimenticarmi di tenere tutto sotto controllo. Mi sento tanto calmo che potrei anche lasciare il comando del mio cervello alla parte del mio corpo che di solito è meno lucida.
– No, non mi sembra assurdo. Sei qui con me, perché dovrebbe essere assurdo? –
Lascia cadere il capo sulla mia spalla con un tonfo sordo.
La schiena s'inarca appena, lo sento spingere le anche indietro contro le mie.
– Sei così fuori dalla mia portata che neanche nei miei sogni più lontani ci avrei mai sperato, 'Toshi. Mettiti nei miei panni, certo qualche speranza ce l'avevo anch'io, ma tu... –
– Non sono fuori dalla tua portata. Perché credi che lo sia? –
– Sei troppo bello, troppo ricco e troppo gentile per me. –
Aggrotto le sopracciglia, lascio perdere per un secondo il sapore dolce della sua pelle fra le mie labbra, mi stacco piano. Quando giro il suo volto per costringerlo a guardarmi, lo trovo con le guance un po' arrossate, le labbra morse dai suoi stessi denti, gli occhi lucidi.
– Sono lusingato che tu creda questo di me, Satori, ma sono costretto a dirti che non sono affatto d'accordo con te. –
– Non sei d'accordo? –
– No, certo che no. –
Guardo il suo viso e non so cosa leggere nel suo sguardo, se insicurezza, timore, forse solo la voglia di sentirsi apprezzato.
– Non credo di essere troppo gentile, la bellezza è soggettiva, e i soldi non sono un metro di misura adeguato in questo contesto. Credo invece che se ci piacciamo a vicenda basti quello, no? Tu mi piaci tanto. Se anche io piaccio a te va bene così. –
Sorride, guarda i miei occhi, poi le mie labbra. Si è pulito il viso, in macchina, e l'ha fatto a me prima che partissimo dal locale, ma gli rimane ancora qualche sottile venatura di rossetto nelle rughette della bocca, giusto l'alone del colore sull'arco di cupido.
Si sporge per lasciarmi un bacio che accetto con piacere.
Non è vorace, è solo affettuoso.
– Te l'ha mai detto nessuno che sei adorabile? –
– No, non me l'ha mai detto nessuno. Però grazie di dirmelo. –
– E di che, è la verità. –
Appoggio la punta del naso contro la sua, per un istante rimaniamo fermi, la calma e la tranquillità si espandono dentro di me.
Ok, ora sono rilassato, sono in pace, sto bene. Satori in casa mia non è un problema, aver portato qualcuno che conosco da così poco a casa mia non è un problema, lui mi piace, è bello, io lo voglio e il mio corpo pure, non c'è bisogno di prendersi altro tempo.
Sono a mio agio.
Per me, questo basta.
E proprio dato che mi basta, la mia razionalità defluisce, goccia a goccia cade e si perde, rendendomi partecipe di tutta una serie di istinti più fisici, che ora tornano a farsi sentire sotto forma di pura, semplice, deliberata fame.
La foga, la fretta, l'impeto, tornano tutti.
Ora che concedo loro di avere la libertà che richiedevano, se la prendono senza pietà.
– Satori? –
– Dimmi. –
– Andiamo in camera da letto? –
Piega il volto, sorride, si passa la lingua sulle labbra.
– Andiamo in camera da letto, Wakatoshi. –
E allora visto che lui mi ha detto che lo vuole, visto che lui è d'accordo, smetto d'impormi la calma e comincio a concedermi la disperazione, perché in effetti credo di esserlo un po' da quando l'ho conosciuto, disperato.
Disperato di sapere tutto di lui e tutto dentro, come ragiona, come pensa, come parla, ma anche di sapere com'è fuori, conscio che, frenato dalla consapevolezza che il rispetto m'impone di non vagare troppo oltre i vestiti, non è il modo in cui voglio conoscere il suo corpo.
È che sei perfetto, così perfetto, così armonioso.
Le tue mani sono della giusta misura per stare fra le mie.
La tua vita è della giusta circonferenza per essere stretta da me.
Ma è la tua voce della giusta tonalità per dire il mio nome?
Sono le tue gambe della giusta lunghezza per avvolgersi attorno a me?
Sei tu della giusta fattura per potermi incantare allo stesso modo in cui lo fa la tua mente?
Credo di sì.
Ma mi sento obbligato a volerlo scoprire.
Senza chiedere, perché l'intenzione era chiara e il permesso datomi giorni fa pure, stringo le sue cosce fra le mani e lo tiro su, costringendolo ad aggrapparsi a me.
Inspiro forte il suo profumo, ma mi ritraggo appena in tempo prima di farmi inebriare troppo per poterlo trasportare verso la camera da letto.
Mi godo la sua presenza, il peso della sua figura, il modo delicato in cui stringe le braccia dietro al mio collo, in cui separa le labbra per prendere fiato, in cui il suo viso arrossisce.
Procedo di fretta, senza sballottarlo troppo ma disperato a sufficienza da non voler perdere tempo, trovo la porta della camera da letto aperta, accendo la luce a tentoni perché non sopporterei l'idea di non poterlo guardare, lo lascio scendere piano sul materasso.
Mi guarda, con le cosce aperte, il fiato corto, i capelli spettinati. Mi guarda e di nuovo si lecca le labbra, io mi ritrovo a seguire il gesto come ipnotizzato dal movimento della sua lingua sulla carne rosata della sua bocca, mi accorgo dopo, con un istante di ritardo, della sua mano che cerca la mia.
Gliela lascio.
La porta sulla zip della sua stessa gonna.
Fisso gli occhi sui suoi.
– Posso spogliarti? –
– Ti prego. –
Apro la cerniera come se fosse necessario alla mia sopravvivenza. Mi dimentico della cautela per indumenti che vorrà probabilmente rimettere e la strattono su, la sgancio, tiro via il lembo di pelle ora aperta sul pavimento della camera da letto, guardo e non mi vergogno di guardare.
Non è la prima volta che lo vedo in intimo, spero vivamente non sia l'ultima.
Ma prima era diverso.
Prima era una consapevolezza, più che una vera e propria opportunità di guardare, perché è ineducato fissare qualcuno, ma ora che vuole che lo fissi, Dio, lo fisso.
È così bello.
Ha la pancia piatta, il solco accennato sull'addome che trafigge l'ombelico, le anche sporgono appena, il pizzo scuro delle mutande sembra inchiostro sulla pelle lattiginosa. I coltelli che non si è ancora tolto stringono la carne delle cosce, guardarlo e sapere che se volesse, in questa situazione, potrebbe allungare le mani, prenderli e tagliarmi la gola nella spanna di pochi secondi mi fa ribollire il sangue nelle vene.
Fiero, Satori, fiero e folle, col potere che gli scorre in corpo, qualcuno che decide per se stesso, che non piange ma risolve da solo, che non teme di sporcarsi le mani.
Mai capita io, l'attrazione per l'indifesa accozzaglia di lamenti che chiede di essere salvata e prega qualcuno che gli conceda attenzione.
Io non ho mai voluto qualcuno che si facesse sovrastare da me.
E se credevo di preferirli solo caratterialmente saldi, ora so che è un po' diversa, la questione, e che quel che cerco è lui, che mi concederà pure di guardarlo ansimante sulle mie lenzuola, ora, ma sa che potrebbe avermi allo stesso modo senza nemmeno fare troppa fatica.
Per un secondo mi ritrovo confuso riguardo a cosa fare.
Vorrei baciarlo, vorrei spogliarlo del top che ha ancora addosso, vorrei poterlo toccare, vorrei guardarlo negli occhi.
Però più di tutto credo di voler...
Sì, decisamente.
Appoggio una mano sul materasso, abbasso una gamba alla volta, premo le ginocchia a terra, lo stringo dai fianchi.
Lo vedo tirarsi su sui gomiti, guardarmi, immergo la faccia nel suo interno coscia nell'esatto istante in cui me lo ritrovo davanti.
Sembra crema, la consistenza, il profumo, mi sembra che si sciolga su di me e che se volessi ci potrei affogare dentro.
Il profilo rigido e ruvido del fodero s'incide nel mio viso, non è una sensazione fastidiosa, però, non la rifiuto, premo più forte il volto sulla sua pelle, la respiro come se fosse aria.
Di più, ne vorrei di più, fino a sommergere i miei sensi, fino ad anestetizzarli, a rendermi limitato solo a te anche se solo per qualche istante.
Piaci al mio corpo molto di più di quanto non riuscissi ad ammettere persino a me stesso.
Chiudo le sue gambe attorno al mio collo stringendolo con le braccia, chiudo i denti cercando di non fargli male sulla pelle chiara, la sua voce mi raggiunge in piccoli ansimi sussurrati, i suoi muscoli tremano, sento le sue mani cercare appiglio sulle lenzuola.
Più guardo il modo in cui il pizzo nasconde il suo corpo, più mi viene voglia di vedere cosa effettivamente nasconda. Più fisso là il mio sguardo, più sento i miei pantaloni farsi troppo stretti.
Sento la necessità fisica di togliergli le mutande di dosso.
Alzo la testa e lo guardo, col volto fra le sue gambe, aspettando che i suoi occhi incontrino i miei.
Le luci fanno di nuovo somigliare il colore delle sue iridi a quello del sangue.
Mi piacciono così tanto, i tuoi occhi, quando più che del castano caldo che si vede al sole, sembrano pregni e strabordanti di una violenza che tu trattieni e non nascondi.
– Posso togliertele, Satori? –
– Fai quello che ti pare, 'Toshi. –
– Ok. –
Incastro le dita contro l'orlo di pizzo, lo tiro giù sulle gambe sottili, per qualche istante lo osservo là, sui gomiti, con la pelle arrossata, le mutande che penzolano giù dalle ginocchia.
No, no, niente mi piacerà mai quanto te.
E dovrei forse pensare che non posso saperlo, perché parte della mia vita non l'ho ancora vissuta, ma io so che è così, e non riesco a negarlo a me stesso.
Gliele sfilo, lascio che il tessuto cada a terra.
– Il lubrificante, Satori. Comodino a sinistra, secondo cassetto dall'alto. – dico poi, ancora ipnotizzato a fissarlo.
– Arrivo. –
Si sposta, si gira sul fianco per allungarsi verso il lato del letto, a guardarlo senza particolari restrizioni di coscienza o di vestiti, concludo che sì, è un bel culo avvolto dagli indumenti che mette, ma così, senza niente, è molto di più.
Quando lo vedo prendere la bottiglietta fra le dita, seguo la sua richiesta di "fare quello che mi pare" e lo ritrascino dalla mia parte senza chiederglielo prima.
Pare un po' sorpreso, poi ridacchia, s'irrigidisce e rilassa in un secondo.
Quando mi passa il flacone, è com'era prima, con le gambe aperte, la mia testa in mezzo, su sui gomiti a guardarmi.
Apro il lubrificante.
– Ci vorrà un po'. – lo avverto, mentre lascio che il liquido gelatinoso mi si impasti fra le dita.
– A fare cosa? –
– A prepararti. –
Gli faccio appoggiare il retro delle ginocchia sulle mie spalle, gli bacio la pelle morbida mentre avvicino la mano a lui.
– Puoi anche non farlo troppo attentamente, forse sarà di cattivo gusto dirlo ma 'fanculo, sono abituato. –
– No, Satori, fidati, non sei abituato. –
Mi guarda con le sopracciglia che si alzano, l'espressione interrogativa.
– Cos'è che mi nascondi, ragazzone? –
– Non è che lo nascondo, è che è socialmente inaccettabile andare in giro nudi. –
– Davvero, non riesco a capire che cosa inte... oh. No, forse ho capito. –
Mi fissa, poi scende con lo sguardo verso il basso, torna dalla mia parte.
– Allora le dicerie sono vere. – commenta.
– Ci sono dicerie di questo tipo? – mi ritrovo a chiedere.
– Certo che ce ne sono, guarda che sei famoso, sulle strade, a noi povere stronze costrette a vedere uomini schifosi tutto il giorno piace fantasticare sul grande e grosso capo cattivo che va in giro ad ammazzare la gente. –
Ridacchia di nuovo, io non so cosa pensare, quindi non penso niente.
– La tipa che stava sul mio stesso incrocio mi diceva sempre "Satori, un uomo che si comporta come lui, o è uno psicopatico o ha davvero un cazzo enorme". –
– E com'è che mi comporterei da suscitare queste speculazioni, scusami? –
– Dai che lo sai anche tu, taciturno, sicuro di te, tranquillo, sempre con quel modo di fare di chi ha la situazione sotto controllo. Com'era, "can che abbaia non morde"? Beh, can che non abbaia morde, invece. –
– Mi stai dando del cane? –
– No, no, era una metafora. –
– Oh, ok, allora. –
Allunga una mano verso di me, aspetta che io annuisca e poi me l'appoggia sulla guancia, mi accarezza piano il solco della mandibola.
– Comunque va bene. Mettici quanto ti pare. Per me non è un problema. Non è che qualcuno ci corre dietro, no? –
– Sì, è vero. –
– Ecco, allora non ti preoccupare. –
Faccio "sì" con la testa, torno dov'ero prima che c'interrompessimo per metterci a parlare, schiaccio piano una delle sue cosce aperta sul materasso. Lo trascino un po' più verso di me, inarco di più il suo bacino, avvicino la mano.
– Posso, Satori? –
– Certo, certo che puoi. –
Il suo corpo è caldo, a contrasto con le mie dita fredde. Si contrae, poi si rilassa, fa un po' di resistenza ma poi si ammorbidisce, il suo fiato s'interrompe, riprende quando appoggio il palmo contro il suo corpo, rimango un istante fermo.
Le mie mani sono più grandi delle sue, e da quanto ho capito non ha fatto molto di questo di recente, quindi controllo che non ci sia fastidio, in lui, prima di continuare.
Non ce n'è.
Muovo le dita.
Piano, dentro e fuori.
Il rumore del lubrificante è bagnaticcio, si mescola con la sua voce che ansima, il suo corpo è accogliente, la sua pelle si arrossa anche qui, fra le cosce, non so se d'imbarazzo o cos'altro.
Procedo con calma.
Satori non è un tipo rumoroso, imparo a comprendere, nonostante il modo appariscente e fragoroso in cui uccide, nonostante la risata che qualche volta pare coglierlo senza freni, qui, dove siamo solo noi due, i suoi gemiti sono sottili, il tono arioso, sembra che immerga il fiato in una goccia della sua voce in un suono dolce, soave, silenzioso.
Le sue ginocchia tremano, stringe le dita al polso del mio braccio libero, getta indietro la testa, quando piego i polpastrelli dentro di lui, ma non è violento o aggressivo come ci si aspetterebbe da lui, è delicato, è melodioso.
Da una parte lo trovo meraviglioso, mi ritrovo adorante a guardarlo essere sempre così sinuoso, sempre così sensuale.
Dall'altra...
Mi viene voglia di strapparglieli dalla gola, quei suoni che non fa.
Mi sale una sensazione calda e bollente di impormi su di lui che potrebbe imporsi su di me e vedere chi dei due vince, se lui, se io, se nessuno dei due, se entrambi.
Aggiungo il terzo dito un po' prima di quanto avrei creduto di voler fare.
Il gesto è netto, Satori lo sente, geme un po' più forte.
Lo fisso con gli occhi che non possono fare a meno di cercarlo e rimanergli incollati.
Io mangio te o tu mangi me, Satori? Come funziona? Vinco io, con la mano fra le tue gambe che ti fa tremare e chiamare il mio nome, o vinci tu, col coltello a fianco della mia faccia, con la totale libertà di farmi a pezzi come preferisci?
Affondo i denti sull'interno della sua coscia.
Il gemito un po' più forte, diventa l'articolato scandirsi del mio nome.
– Wakatoshi! –
Mi tiro su meglio sulle ginocchia, prendo i suoi fianchi fra le mani, il suo bacino si piega in alto e lo schiaccio più saldamente contro il materasso, piegato così lo vedo per bene in faccia, lui vede me, mordo di nuovo la carne morbida delle sue gambe.
Quando aggrappa la mano ai miei capelli, lo fa senza chiederlo.
Non m'importa che non l'abbia chiesto.
Non credo di avergli chiesto io se potevo azzannargli la pelle solo perché volevo che gemesse più forte.
Mi piace che mi tiri le ciocche fra le dita.
È un dolore che quasi non sento, ma è come il freddo quando sei stanco, ti tiene sveglio, presente a te stesso, ti permette di concentrarti di più.
Di più, Satori, dammi di più.
Piego le dita più a fondo dentro di lui, la sua voce esce chiara, io dovrei sentirmi soddisfatto ma non mi ci sento, perché so che ne voglio ancora e non so se mi sia mai capitato di volerne ancora in questo modo ma sono così sovraccarico di tutti gli stimoli fisici che non riesco a pensarci e allora me ne fotto, perché fottersene è un'opzione che in questo momento apprezzo particolarmente.
Mordo nell'incavo fra la gamba e il bacino, la mia mascella si stringe più forte, il sapore della sua pelle è paradisiaco, mi tira forte i capelli, ripete il mio nome ancora, ancora, ancora.
Al quarto dito fatica.
E non so se fatichi ad accoglierlo o fatichi a resistere alla stimolazione o fatichi in generale, so che il suo respiro si fa più saltellante, più singhiozzato, so che i muscoli si tendono.
Mi lancia un'occhiata.
Io ricambio.
Quando vede la mia espressione pare capire qualcosa, sussurra un "Gesù Cristo" che essendo da soli sento perfettamente e poi lascia che le gambe si aprano, spinge la mia testa contro se stesso e si lascia andare.
Non ci vuole molto perché si abitui.
Il suo corpo è reattivo ed è giovane, Satori è rilassato, geme più forte, più forte ancora, ma annuisce quando chiedo tacitamente e chiede ancora, prega e vuole e ad un certo punto io capisco che umanamente, naturalmente, io non resisto un secondo di più.
E allora mi tiro su, mi alzo, mi avvicino a Satori che ansima e fondo la bocca con la sua, lasciando che il suo sapore si mescoli col mio, bevendo la sua voce, il suo respiro.
No, questo è molto più di coprire il fosso della solitudine lasciato da un amico che se n'è andato, è molto di più di pensare che tu sia bello o di trovarti divertente.
Io mi sento proprio bene quando tu sei qui con me.
Mi sento bene in tutti i piccoli dettagli.
Gli altri non sono come te, Satori.
Loro proprio non lo sono.
E non vedo perché dovrei volerli, visto che loro non sono... te.
No?
Non ha senso anche per te, questo?
Non credi anche tu che...
Si stacca, prende fiato, ricomincia a baciarmi con le mani che mi stringono forte a sé, le ginocchia chiuse sul mio corpo. Risoluto, energico, mi bacia con l'enfasi che ci metto io, si sfila di dosso il top senza nemmeno staccarsi da me, mi chiede, mi prega di toccarlo. Io lo tocco ovunque. Sui fianchi, sul viso, sulle spalle sottili, sulle anche e sul culo, la linea della schiena, le costole, le vertebre e i capelli, ogni centimetro, perché mi soddisfa, mi toglie dalla testa la sensazione di avere le mani vuote, la testa vuota, il petto vuoto.
Mi spinge piano di lato, lascio che abbia quel che vuole, mi ribalta di schiena e atterra con le cosce a lato dei miei fianchi, mi bacia ancora, ancora, fino a finire il fiato, e quando lo finisce si stacca, si alza, mi guarda.
La nudità gli dona.
Ci sono persone che vestite sono più belle, ma lui no, e non so se sia il suo corpo in sé o il desiderio che mi suscita, però lo guardo, nudo, e penso di non aver mai visto nulla di tanto perfetto.
Ed è vero che si veste sempre poco, è vero che è spesso scoperto e che ci sono angoli di lui che a forza di guardarli conosco a memoria, ma in questo istante è diverso, perché lui è qui di fronte a me, vuole farsi vedere da me e sapere che ne ha l'intenzione, mi rende più attratto, più coinvolto.
– Sei bellissimo, Satori. – non riesco a fare a meno di dire, catturato e rapito da ciò che mi sta di fronte.
È sinuoso, il suo corpo mi ricorda la forma flessuosa dello stelo di un fiore, è sottile, esile, nonostante questo forte, pelle chiara distesa sopra muscoli affusolati, tracce del passaggio dell'esistenza sul suo corpo in piccoli segni chiari, l'inchiostro sulla pancia, il rossore del suo viso.
Ha tutto e ce l'ha tutto nel modo giusto.
È come aver trovato qualcosa che cercavo da sempre.
Mette pace, ai miei sensi che in pace non sono mai.
Sorride, china lo sguardo senza rispondere, temo per un secondo che gli torni l'insicurezza e allora convinto nel mio intento di fargli sapere quanto mi piace a costo di sembrare ripetitivo, alzo una mano e appoggio le dita sul suo viso, faccio in modo che mi guardi negli occhi, mi rendo conto quando parlo che normalmente la mia voce non è così, ma che con lui è più dolce, più pacata, più lieve.
– Davvero, Satori, sei bellissimo. Non sono capace di spiegarti quanto, ma è più di quanto tu possa immaginare. –
– Così mi metto a piangere, 'Toshi. –
– No, no, non piangere. Non te lo dico per farti piangere. –
Ride appena, appoggia le mani sul mio addome, l'espressione che mi rivolge è strana se dipinta sul suo volto, ma allo stesso modo intima, qualcosa che so di aver visto solo io, che mi rende felice, proprio perché l'ho vista solo io.
Lui non è timido.
Lui ride mentre uccide e sorride mentre condanna, lui è fiero e forte, inarrestabile.
Però ora ha qualcosa di morbido, addosso.
Soffice, quasi.
Si stringe una guancia fra i denti, nervosismo, suppongo, poi apre la bocca per parlare.
– Ti posso fare una domanda? Non voglio rovinare il momento, ma... –
– Chiedi pure, tutto quello che vuoi. –
Accarezzo il suo viso.
Lui china lo sguardo e poi lo riporta su di me.
– Davvero a te non importa di quello che facevo prima? Ci scherzo su, sai, per farlo sembrare meno peggio, però... davvero, sei sicuro che non ti dia fastidio che io abbia dovuto fare... quello? –
– Fastidio? A me? Credi che io abbia il diritto di provare fastidio sul modo in cui tu hai dovuto condurre la tua vita? Credi che l'abbia di giudicare le cose che ti sono successe? –
La domanda suona pericolosamente retorica, ma non lo è, io non so come si usino il sarcasmo o la finezza linguistica di dire una cosa dicendone un'altra, chiedo perché voglio sapere, nulla di più.
– Tu non lo credi? –
– No, non lo credo. Ma m'intristisce sapere che tu ti aspetti questo dal mondo. Significa che è qualcosa a cui sei abituato, e non vorrei che lo fossi. –
I suoi occhi cercano e incontrano i miei, il mio viso sorride da solo, passo i polpastrelli sulla tela chiara del suo volto nel tentativo di mandar via quell'angoscia che sembra provare.
– A me non importa, Satori, di quello che facevi prima. M'importa nella misura in cui mi dispiace che tu abbia dovuto soffrire, ma non credo di avere il diritto di sentenziare su di te come persona per le cose che hai fatto o subito. Per me sei quello che vedo, non quello che sei stato. A me piaci tu. Tu adesso. Non potrei essere più felice di essere insieme a te in questo momento. –
– Wakatoshi... –
– Te l'ho detto prima e te lo ripeto. Tu non sei una cosa che si può usare e che si sciupa se la usano in tanti, perché non sei una cosa. Sei una persona. Qualcuno può averti trattato come un oggetto, ma qui con me, Satori, io ti prometto che non lo sarai mai. A me interessa che cosa vuoi, che cosa pensi. M'interessa che tu scelga, e sono onorato che adesso tu ora abbia scelto me. –
S'incide il labbro inferiore, forse intravedo una patina lucida nei suoi occhi, ma non ne sono sicuro.
– Non credo mi sia mai piaciuta così tanto una persona prima. –
– Neanche a me. – risponde.
Ci guardiamo per un istante.
– Neanche a me. – ripete.
E questa cosa mi fa sentire felice, e siccome sono felice lo tiro verso di me, lui si china dalla mia parte, c'incontriamo a metà strada.
La fierezza torna, poi, la forza e la risolutezza, la sua fragilità si allontana, ma continuo a sentirmi meravigliato all'idea di averla potuta vedere, e so che me ne ricorderò quando questo sarà finito.
Ricomincia a toccarmi, lo fa piano, però, giusto quel tanto che si vede non riesce a imporsi di evitare, e allora gli mugugno che va bene, che mi tocchi, che mi piace, che lo può fare.
Si aggrappa a me tanto quanto io mi aggrappo a lui.
Sapere che è lui a farlo e che ne ha il permesso e che se glielo dicessi smetterebbe, mi induce una pace diversa nei confronti del contatto fisico, e me lo fa piacere di più.
Apre le cosce, strofina il bacino contro il mio, geme il mio nome, io gemo il suo, lo tengo fermo con una mano fra i capelli, mando giù la sua voce.
Quando si muove di nuovo, devo staccarmi dalle sue labbra per prendere aria.
Mi ero quasi dimenticato di quanto anch'io fossi preso.
Però, in effetti, sono parecchio, parecchio...
Satori torna su, le sue mani si appoggiano di nuovo contro la mia pancia, sono ancora completamente vestito ma suppongo importi poco a lui come a me di perdere tempo a spogliarmi, ansima, aggancia la mia cintura coi polpastrelli.
– Posso, 'Toshi? –
– Sì, puoi. –
La sgancia in un secondo. Non la sfila via, la lascia là mezza aperta, sbottona l'orlo, lascia scendere la zip, infila la mano per spostare l'elastico dei boxer e lo fa di fretta, senza renderlo uno spettacolo, proprio come se non potesse resistere senza.
La sensazione dell'aria che mi batte addosso mi dà un po' di sollievo.
Miseria, davvero, non mi ero reso conto di quanto ne avessi bisogno anch'io.
Guardo Satori, lui guarda me, sto per prenderlo dai fianchi e trascinarlo verso di me che vedo il suo naso arrossire e gli occhi spalancarsi un po'.
– Satori, stai be... –
– Oh, per la miseria, ma cosa ti davano da mangiare da piccolo per colazione? – dice invece, generandomi non poca confusione.
Aggrotto le sopracciglia.
– Il latte coi cereali. Cosa c'entra, ora, però? –
– Ok grosso, ma questo è molto più di grosso. Non so se sono eccitato o spaventato e sto iniziando a temere per la mia incolumità. –
Rimango un attimo interdetto.
Poi studio la direzione inequivocabile del suo sguardo e credo di afferrare la sua preoccupazione.
Ah, ho capito.
In effetti so che è un po' singolare.
Certo io non ne ho responsabilità, se mai i geni dei miei genitori, però comprendo che possa essere un po'... fuori dal comune?
– Se non te la senti possiamo anche fermarci qui, non è che devi per forza... –
– No, no, ma che dici. Io e te faremo sesso, fosse l'ultima cosa che faccio. –
– Ok, come preferisci. –
Mi guarda negli occhi, poi rivolge di nuovo la sua attenzione al punto di me che a quanto pare al momento lo interessa tanto, a tentoni cerca sul materasso qualcosa, capisco che quel qualcosa è il lubrificante quando glielo vedo fra le mani.
– Tu sei proprio un ragazzone sotto tutti i punti di vista immaginabili, eh? –
– Sì, credo di sì. –
Ridacchia, apre il flacone, si ferma un secondo prima di procedere.
– Test per le malattie? L'hai fatto? –
– Tre settimane fa. Se vuoi vederlo è nella cartellina dei referti sanitari. Nel mio salotto sulla... –
– No, no, mi fido. –
Sbatte le ciglia.
– Il mio è di un paio di mesi fa ma non ho fatto sesso con nessuno dopo. Però non so come fartelo vedere, quindi... –
– Mi fido anch'io. –
Annuisce brevemente, sorride fra sé e sé, torna con l'attenzione verso di me, mi spreme una generosa quantità di lubrificante addosso. Chiude le dita, muove la mano, il tremore che corre nel mio corpo è quello di un disperato a cui finalmente dai la cosa per la quale si dispera.
La sensazione è piacevole e oltre che piacevole è sollievo dopo quelle che sembrano ore di agonia, le sue dita sono così chiare e affusolate contro di me e non è solo il contatto ma anche la vista, che mi appaga, lui e le sue belle mani su di me, il suo profumo attorno a noi, il rumore del mio respiro, il gusto delle sue labbra sulla lingua.
Quando si ritiene soddisfatto sale con le cosce, porta il bacino più in alto del mio, io mi tiro su sui gomiti, lui si abbassa con la fronte sulla mia spalla e io guardo oltre la sua schiena il suo corpo nudo sopra di me.
– Posso farlo, Satori? – chiedo, con me stesso fra le mani ad un millimetro dal suo corpo.
– Fa' piano, solo, per favore. –
– Certo. –
Entro nel suo corpo con calma. Lentamente, con la mascella serrata per cercare di tranquillizzare la parte di me che prega di avere tutto subito, concentrato sul suo viso per captare nell'espressione che fa il minimo segno di fastidio, la mia coscienza inizia a disfarsi, catturata com'è dalla sensazione di sentirmelo addosso, ma mi aggrappo a lei con ogni forza che possiedo, non voglio fargli male, non voglio che si senta a disagio.
Satori tiene le labbra separate fra di loro, il suo respiro è affannoso, il cuore gli batte forte nel petto premuto contro il mio. Ha gli occhi lucidi, le gambe che tremano.
Premo le labbra contro il suo zigomo.
Mi godo la sua voce che sgorga ad un centimetro da me mentre arrivo fino in fondo.
Mi fermo, i miei occhi si chiudono da soli, il piacere è così inebriante che mi ci vuole effettivamente un attimo, per controllarlo.
Stiamo immobili per tutto il tempo che ci serve.
Satori si sposta piano su di me, come se cercasse di abituarsi alla sensazione, gli gemo piano addosso quando stringe i muscoli interni, accarezzo la sua schiena nuda, attendo che mi dica che posso procedere.
Lo fa con la voce ridotta ad un filo.
Mi guarda con le ciglia infoltite di lacrime, sorridendo, e mi dice che a lui va bene, e allora va bene anche a me.
Passo le mani sul suo corpo, stringo la vita e i fianchi, spalanco di più le sue cosce, afferro saldamente le sue spalle dal retro, piego le ginocchia per avere più appoggio.
Incredibile.
È incredibile.
È incredibile la sensazione di sentirmi avvolto da lui quanto quella di sentire la sua voce non riuscire più a trattenersi, incredibile sentire il mio nome cadere nella sequela di gemiti spezzati di qualcuno che fatica persino a respirare, incredibili le sue dita che affondano sulla mia pelle, sul mio viso, alla ricerca del mio sguardo.
– Posso... Cristo, 'Toshi, posso, posso... – balbetta, alla ricerca di qualcosa, non so cosa, mentre il rumore del mio corpo che sbatte contro il suo invade la stanza.
– Quello che ti pare, Satori, tutto quello che ti pare, sì, puoi. – rispondo, perché pur non sapendo a cosa si riferisca, la fiducia, la devozione che provo in questo istante mi concedono di lasciare che decida al posto mio.
Mi stringe una mano sul braccio, l'altra la tiene fra i capelli scuri che ora mi cadono di fronte agli occhi e il mio viso, si china, mi bacia.
Mi concentro su di lui, l'emozione diventa soffocante quanto il piacere che provo.
Mi accoglie con un po' di fatica. Devo insistere un po' nel movimento, per arrivare fino in fondo, ma non credo di fargli male, quantomeno, non un male del tutto negativo. Geme forte ogni volta che siamo completamente uniti, ho la sensazione che qualsiasi sia il punto che preferisce dentro di sé è probabile che io lo stia toccando, la sua schiena s'inarca, perde il controllo sul bacio tanto inebriato da non riuscire a mantenerlo.
Ha le labbra morbide, il modo in cui i piercing sui suoi capezzoli strofinano contro la mia camicia mi piace, mi fa sentire anche lì il movimento del suo corpo sul mio, lo stringo più forte, più forte ancora.
– 'Toshi, cazzo, cazzo, cazzo... –
Respiro col naso immerso fra i suoi capelli.
– Satori, cosa c'è? –
– Io, io... –
– Parlami, Satori, dimmi cosa vuoi. Cosa c'è? –
Affonda le unghie sul tessuto della camicia, io sporgo il mio sguardo oltre la sua spalla, guardo la sua spina dorsale meravigliosamente piegata, la sua pelle chiara tinta dal passaggio delle mie mani, sciolgo le braccia, gliele avvolgo attorno alla vita, mi mordo l'interno della bocca, è così caldo da sembrarmi bollente.
– Più forte, 'Toshi, ti prego, ti prego, ti... –
– Sei sicuro? –
– Sì, sì, sono sicuro, ti prego, 'Toshi, ti pre... –
Spingo lui su di me e i miei fianchi in alto su di lui.
Non mi trattengo, questa volta, e decido che se lui me l'ha chiesto, lui l'avrà.
Probabilmente smetto di ricordarmi come mi chiamo.
Tutto quello che so è la sensazione del suo corpo sul mio, il rumore della sua voce che danza sopra quello della sua pelle nuda che impatta contro i vestiti, il sapore delle sue lacrime mentre gli bacio il viso, il suo odore dolce mentre tento di respirarlo fin dentro i polmoni, la bellezza del suo aspetto di fronte a me.
Mi cerca, io cerco lui, le nostre labbra s'impastano assieme, sento le doghe del letto cigolarmi sotto alla schiena, la testiera battere contro il muro, Satori si aggrappa forte, più forte.
Ci stacchiamo, prende fiato, vorrei baciarlo di nuovo e da capo ma lui ha bisogno di respirare ancora, arrivo così a fondo dentro di lui che mi pare di spremergli via l'aria dal corpo.
Mi tocca il viso.
– Wakatoshi. – sussurra, come se volesse solo constatare che ci sono, non con l'inflessione di chi vuole domandarti qualcosa.
Sorrido.
La spinta dopo la sento anch'io, come lui.
Inizia a farmi annodare il piacere nella pancia.
– Wakatoshi. – ripete, e mi rendo conto che non è il movimento, è lui che dice il mio nome, a farmi sentire di più, più a fondo, quello che stiamo facendo.
E allora glielo chiedo.
– Continua a chiamare il mio nome, Satori. –
– Wakatoshi. – mi risponde.
Mi piace che tu dica il mio nome.
Sì, sono io, io qui con te, dentro di te, assieme a te. Siamo noi due, io e te e basta, e tu parli di me e allora questo significa che ci sei per davvero e che questo sta succedendo ora e adesso.
Lo ridice.
Prima lo sussurra, poi lo geme, ad un certo punto lo urla. Lo abbrevia, lo spezza, lo strappa fuori da se stesso, lo dice a me e io sono certo di esserci, perché lui mi chiama.
Viene per primo.
Sui miei vestiti di cui mi rendo conto non m'interessa niente.
Chiede a me di farlo dentro al suo corpo.
Mi sento paradossalmente a casa, quando lo faccio, stretto e avvinghiato e in un certo qual modo parte di lui.
Riprendiamo fiato, ancora legati l'uno all'altro, in silenzio, labbra separate a cercare aria, sudore sulla pelle, occhi negli occhi.
Ora andremo a farci una doccia, Satori, e poi magari lo rifaremo. A me andrebbe, spero vada anche a te. Poi cambierò le lenzuola, metterò a lavare quelle sporche, ti presterò degli indumenti per dormire, cercherò di capire quando ti stringerò a me se anche in quel caso il tuo corpo sarà della misura perfetta per stare contro al mio.
Quando ti addormenterai poi, sperando che tu lo faccia prima di me, prenderò il telefono e cercherò su internet come si fa a capire se ti sei innamorato di qualcuno.
Perché l'adorazione che sento nel petto mi fa sospettare che forse potrebbe essere successo.
Ma mi renderebbe felice oltre ogni misura, averne realmente la certezza.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.──
ok we in con la smut non so chi si aspettasse qualcosa di più movimentato ma l'ho riletta e riscritta tre volte alla fine ho deciso che il soft è la loro via quindi così è stato pardon ma nella loro dinamica relazionale sarebbe stato strano qualcos'altro, quantomeno considerando che è la primissima volta che questi due ballano in orizzontale
ushijima mi sta costringendo alla via del "quantomeno" lo dico sempre e anche "suppongo" bro mi stai cambiando la chimica del cervello
ah si certo perdonate le battute ma lo sapete che per me ushijima canon nasconde meraviglie nelle mutande senza questo hc non vado da nessuna parte è più melissa di melissa quello dare a tuttx delle troie e fissarmi con oikawa
niente
prossimi due capitoli SI BALLA
ciao cuori a domani
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