1. Buon Compleanno

Compiere gli anni d'estate fa schifo! Compierli il trenta di agosto ancora di più. Il trenta agosto, una data veramente insulsa, non è neanche l'ultimo giorno del mese, non è niente... è solo il giorno del mio compleanno. Perfetto!

Era ciò a cui stava pensando Cecilia Rossi.

Era il trenta agosto del 2018 e la ragazza, sbuffando, guardò fuori dalla finestra. Anche il tempo aveva deciso di remarle contro: pioveva. Fino a ventiquattrore prima c'era stato un sole che spaccava le pietre e trentacinque gradi. Quel giorno, invece, il cielo era grigio come il piombo e sin dal suo risveglio una pioggia incessante le aveva impedito di uscire senza inzupparsi.

Cecilia se ne stava seduta in quella che era la sua camera, a casa dei nonni paterni a Bologna. In salotto, nonno Mario guardava per l'ennesima volta un film di Bud Spencer ˗chissà mai perché˗ mentre nonna Lina, stava preparando il sugo da almeno due ore. Suo fratello minore Cosimo, il nano malefico, stava giocando con la play e lei non vedeva l'ora che quell'insignificante giornata finisse.

I suoi amici, quei pochi che aveva, erano ancora al mare e i suoi genitori, già rientrati al lavoro dopo le vacanze estive, avevano deciso che avrebbero festeggiato il compleanno della loro primogenita la domenica successiva a pranzo con i parenti.

Cecilia accese il telefonino ed entrò su Facebook. C'erano gli auguri dei compagni di classe, dei suoi genitori, degli zii e di alcuni amici del mare e di Londra.

"Auguri, Cecilia! Finalmente oggi sei maggiorenne!"

Sì, auguri!

Si fosse sprecato qualcuno a farglieli di persona, quei dannati auguri. Purtroppo, le sue migliori amiche, Benedetta, detta Bene, ed Emma non erano ancora rientrate dalle vacanze e Tommaso, il suo vicino di casa, nonché amico del cuore, era fuori per un'escursione padre figlio.

Certo non si aspettava fiori o cioccolatini, ma almeno un 'Auguri!' detto con sincerità, guardandola dritta in faccia, questo sì.

Si accorse delle lacrime che le rigavano il viso solo quando una arrivò a sfiorarle il labbro superiore.

L'adolescenza, che periodo di...

Fin da quando aveva iniziato le medie aveva capito che il suo calvario era solo al principio.

Quello sarebbe stato l'ultimo anno del liceo scientifico e poi non aveva la più pallida idea di quello che voleva fare nella sua vita, anche se la sua famiglia e i suoi amici continuavano a prenderla in giro quando esprimeva i suoi dubbi.

Cecilia era un talento naturale in matematica e fisica, tanto da vincere il campionato italiano tra studenti liceali ed essere selezionata per un periodo di formazione negli Stati Uniti, dove avrebbe finito gli studi non tanto lontano dalla nota Silicon Valley, con tutti quei cervelloni. Era stata scelta per il progetto Cosmus, sezione astronomia, una passione che aveva coltivato grazie allo zio Giovanni, scienziato rinomato del Cern, a Ginevra. Per via dei suoi studi non aveva avuto figli, ma Cecilia era come se lo fosse: era la figlia di sua sorella, la prediletta nonché la prima. Non c'era lo stesso tipo di connessione con il fratello minore della ragazza, un po' per l'età e un po' perché tutti i geni della famiglia materna erano confluiti in Cecilia, che a detta dello zio aveva preso tutti i neuroni dei Bongi.

Era anche molto portata in inglese, sempre merito dello zio che la portava spesso con sé quando viaggiava per lavoro a Londra. Era una secchiona tale che, quell'estate, si era imposta di imparare lo slang americano.

Tuttavia, Cecilia non dubitava tanto le sue capacità e la possibilità di fare carriera, ma temeva il futuro perché non era mai stata lontana di casa, e il suo atteggiamento timido e avverso al cambiamento non le faceva apprezzare a pieno la possibilità che le si era presentata.

Avrebbe perso l'ultimo anno di scuola, la gita finale e tante altre cose. Non avrebbe visto ogni giorno i capisaldi della sua vita, la sua famiglia, le sue amiche. Non avrebbe più rivisto lui... Marco...

Ma perché continuo a crucciarmi per lui? pensava tra sé e sé mentre si rigirava nel letto.

Il lui in questione, neanche sapeva chi fosse Cecilia Rossi. Marco Bagni, classe 2000, piccolo prodigio delle giovanili del Bologna, era monitorato anche da grandi squadre e si montava la testa che sarebbe diventato il prossimo Zlatan. Nonostante fosse uno sportivo convinto, frequentava con lei il Liceo Scientifico Fermi. Era il bello e dannato della scuola: alto, atletico, con le spalle ampie e gli occhi nocciola. Aveva decine di ammiratrici e sicuramente non aveva mai notato Cecilia in quei cinque anni di scuola, se si escludono i convenevoli dovuti alla vita di classe.

Anche se Marco a malapena sapeva chi fosse, lei in America non ci voleva andare. Quello era un sogno di suo zio e lei lo aveva accettato controvoglia, convincendosi che fosse la cosa migliore da fare. Lui cercava sempre di spronarla al massimo, di pensare in grande, quando lei si sarebbe accontentata di una pizza tra amiche a piazza Santo Stefano e di lavorare come contabile nel negozio dei suoi.

«Con le tue capacità, non puoi accontentarti!»

«Devi puntare in alto! Oltre le stelle!»

Come poteva sottrarsi a questa chance quando metà dei suoi coetanei potevano solo immaginare una possibilità del genere?

Così si era iscritta al concorso. Ormai era tutto stabilito da mesi. I suoi genitori erano impazziti dalla gioia e a scuola l'avevano premiata come miglior studentessa dell'anno, ma a lei tutto quello non importava. Soprattutto perché, adesso, il suo adoratissimo zio, il suo life coach personale, era morto da poco, nell'aprile di quell'anno. Cecilia e la sua famiglia, a causa del lutto, non era riuscita a godersi a pieno le vacanze e i preparativi della partenza.

Avrebbe solo voluto essere come gli altri, non una nerd, in fissa con la matematica. Che poi lei non si sentiva affatto tale, non amava i videogiochi e i fumetti. Odiava Guerre Stellari, il fantasy, i giochi da tavola. Avrebbe scambiato senza problemi una partita a scacchi con una sessione compulsiva di shopping. Amava la moda e i cantanti maledettamente fighi come Harry Williams, però non bastava a fare in modo che si integrasse fino in fondo con le sue compagne. Era come se la sua competenza in matematica e il suo amore per l'astronomia mettessero fra Cecilia e loro una distanza astrale. Inoltre, la sua estrema timidezza non le era d'aiuto nel sviluppare relazioni sociali al di fuori del suo cerchio già ristretto di amici.

Cecilia stava ancora guardando fuori dalla finestra quando sua nonna Lina la venne a chiamare per la cena: i suoi genitori avrebbero fatto tardi in negozio e loro dovevano cenare. Stavano facendo gli straordinari per poterla accompagnare negli Stati Uniti, due settimane dopo.

Aveva tentato di preparare la valigia, ma sua mamma aveva deciso che doveva rifarsi il guardaroba per la sua nuova vita e potevano comprare quello che era necessario direttamente a New York. Infatti, avrebbero trascorso qualche giorno nella Grande Mela prima di raggiungere il College che l'avrebbe ospitata in California. Chissà se era tanto diverso il modo di vestirsi e se il suo stile sarebbe andato bene anche lì?

La prospettiva di dover cambiare pelle, oltre allo stile di vita, la terrorizzava.

I suoi amici, invece, erano elettrizzati all'idea che andasse negli Stati Uniti e fantasticavano per lei, grazie a un cospicuo bagaglio di esperienze da telefilm. Sarebbe stata una straniera in terra altrettanto straniera e non sapeva se ce l'avrebbe fatta ad essere all'altezza della situazione.

Sospirando andò a cena. Ormai era rassegnata al fatto che sarebbe dovuta andare via.

Sei mesi non dureranno poi tanto, no?

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