Capitolo 5 - La voce del sangue (Parte Seconda)
Come Revi fosse finito a sedere alla tavola della sala da pranzo, o quando Guraz e Slia – i suoi due ultimi fratelli maggiori – fossero rientrati dal giardino, non era qualcosa che il suo cervello si era preso la briga di registrare.
E in verità, Revi non era certo che avesse ricominciato a funzionare propriamente neppure allora. Perché il massimo dell'agognato silenzio che era mai stato capace di strappargli era qualche frazione di secondo tra un pensiero e l'altro; e adesso, invece, dall'ultimo di essi che si era concretizzato abbastanza da far rumore non avrebbe neanche saputo dire quanto tempo fosse passato.
«... to.»
«Ah?»
Lera rialzò la testa dalla cassetta di pronto soccorso che aveva in grembo per lanciare un cenno al braccio di Revi. «Ho fatto» ripeté.
Revi osservò smarrito le bende che lo fasciavano; sì, a procurarsi quella ferita era stato proprio lui, ma allo stesso tempo tutto ciò che era appena successo assomigliava troppo a un sogno perché il suo corpo ne riportasse delle conseguenze reali.
«Non ho potuto guarirlo» lo informò Lera con una lenta perplessità, abbassandoglielo fino al tavolo. «Nelle tue condizioni, sei troppo debole per sopportare anche solo un'altra briciola della mia energia. E per rattopparti dopo quello che ti hanno combinato quei ragazzini, n'è servita, credimi. Mi spiace, ma ti toccherà soffrire per qualche ora, o... giù di lì, e aspettare che si rimargini per conto suo. E sarà meglio che...»
"Qualche... ora?"
La punta del coltello, per assicurarsi la libertà, Revi se l'era spinta fino all'osso. Un taglio largo e profondo come quello avrebbe dovuto impiegare settimane a chiudersi; eppure, Revi quasi ne percepiva i lembi sbracciarsi per incontrarsi e saldarsi assieme l'uno dopo l'altro. Anzi, quasi li vedeva. Aveva come l'impressione che gli sarebbe bastato concentrarsi un po' di più perché...
«Revi!»
Revi trasalì e, nel notare il piglio irritato di Lera, si affrettò a drizzare la schiena e a dedicarle la sua completa attenzione. «Sì?!»
«Mi stai ascoltando?»
«S-sì!» esclamò. «Cioè, no! Cioè... Scusami, no. Mi sono distratto. Cosa stavi dicendo?»
Lera sospirò. «Ho detto che comincerà a pruderti presto. È un buon segno. Non grattarti. Non scoprirlo. E per l'amor della Dea, non staccarti la crosticina. Sono stata chiara?»
Revi annuì furiosamente. «Sissignora! Non... lo guarderò neanche senza permesso!»
Lera sgranò gli occhi a mandorla a quella risposta e Revi si paralizzò temendo che la sua pronta obbedienza fosse scambiata per insolenza; ma se anche così fosse stato, Lera non parve interessata a disciplinarla: tornò infatti a riordinare la cassetta del pronto soccorso come nulla fosse. E Revi tornò a respirare... almeno finché non rivide il panno sporco di sangue che le copriva la mano.
«Ah, e mi... Sono davvero, davvero dispiaciuto per averti... uhm... pugnalata» aggiunse. «Non ci sono scusanti, ne sono consapevole, ma spero che—»
«Revi» lo fermò Lera. «Ti sei svegliato in una camera da letto che non riconoscevi, in una casa piena di sconosciuti che pensavi volessero farti la pelle o peggio e che ti hanno pure circondato, sbarrandoti le uscite. Direi che di scusanti per esserti difeso, ne hai in abbondanza.»
Revi sbatté le palpebre a rilento; forse neppure in contemporanea. «Ma... io ti ho pugnalata.»
Lera storse la bocca. «Va bene, sei ancora un po' stravolto. Cosa poi non così sorprendente se consideriamo che cinque minuti fa il cervello rischiava di colarti dalle orecchie. Quindi permettimi di ricordarti, in caso te lo fossi scordato di nuovo, un dettaglio molto importante sulla nostra famiglia. Noi siamo dei, Revi. Dei immortali. Questo» specificò, tirando via il panno per mostrargli la mano già miracolosamente risanata, «è meno di un graffio per noi. Questo è niente.»
«Avresti dovuto vedere come io e Lera ci riducevamo quando stavamo imparando a combattere e a controllarci» intervenne Slia, dal bracciolo del divanetto accostato alla parete.
«O come riducevano noi quando ce lo stavano insegnando» si accodò Fyn; e Kelon non parlò, ma la smorfia e lo sbuffo drammatici con cui reagì subito a quell'affermazione furono più che esaustivi.
«Ti prego! Tu sei l'ultimo che ha il diritto di lamentarsi» protestò Lera, scagliando un rotolo di garza che Fyn acchiappò al volo. «Entro sera, lividi e tagli erano spariti...»
«... ma l'elettricità statica ci rimaneva addosso per giorni» riattaccò Slia. «Prendevamo la scossa da qualsiasi...»
"Non capisco." Revi seguì lo scambio più con lo sguardo che con l'udito, soffermandosi incredulo sulle espressioni divertite e allegre di ognuno dei suoi fratelli. "Sul serio non è arrabbiata? Nessuno di loro lo è?"
«... Per non parlare dei capelli!»
«Vi ricordate quando la puzza di bruciato ha attivato l'allarme antincendio?» ghignò Kelon; al suo fianco, Fyn sghignazzava così forte da rischiare di cadere dalla sedia. «O quando...»
"Sul serio me la stanno facendo passare liscia?"
«E chi se lo scorda!» proruppe Lera, imbestialita, sebbene le guance arrossate – o meglio, tinte di viola – raccontassero un'emozione ben diversa. «Alla fine, me li tagliai per disperazione e—»
«Mi stai dicendo che—»
Revi si ammutolì, ma fu troppo tardi. Quelle parole gli erano scappate e adesso tutti lo stavano fissando; Lera compresa.
"Merda!"
«M-mi dispiace! Non volevo interrompere!» balbettò. «È che, uhm, io non...»
Revi si rilassò sotto il tocco di sua madre prima ancora che le dita di Lida, seduta sulla tavola dietro di lui, gli si posassero sulla spalla.
«Cosa?» lo incoraggiò; e fronteggiare Lera all'improvviso non fu più difficile.
«Tu... stai dicendo che mi perdoni?» si azzardò Revi. «Mi perdoni e basta?»
«... Mi pare ovvio» asserì Lera, aggrottando le sopracciglia color inchiostro. «Che credevi? Che me la sarei presa e avrei preteso delle scuse ufficiali o chissà cosa? Mi immagini tanto permalosa?»
«No!» esplose; e con un panico appena più contenuto si assicurò di moderare tono e volume nel continuare. «Cioè, nossignora! Tutto il contrario! Era... per esserne sicuro. Grazie per la comprensione.»
Stavolta, Lera gli occhi li assottigliò con un sospetto tanto intenso e tagliente da minacciare di tranciare di netto la testa a Revi. Ma invece di tralasciare la questione come aveva fatto prima, o sgridarlo come lui si aspettava, Lera... rise.
«Ma sentitelo! "Sissignora", "nossignora", tutto rispetto e formalità. Adorabile.» Si alzò per riporre la cassetta del pronto soccorso e la poggiò sulla testa di Fyn e poi su quella di Kelon nel passare dietro di loro. «Mica come voi altri debosciati. Dopo oggi, sono a tanto così dal disconoscervi, sappiatelo. Perché è chiaro che l'unico fratellino in questa casa a trattarmi come si confà alla sorellona bellissima e perfettissima che sono è Revi. Ed è pure più piccolo e carino di voi. In pratica, è migliore sotto tutti i punti di vista.»
Revi l'osservò inorridito. "Ma perché cazzo gli ha detto una cosa del genere?! Mi farà odiare!"
Kelon schioccò la lingua disgustato. «Ah-ah, dagli un paio di giorni per conoscerti e vedremo se manterrà quest'atteggiamento schifosamente servizievole e...»
"Ecco, appunto. Cazzo! Stavo andando bene, stavo facendo una bella—"
«Revi?» lo interpellò Lida.
Revi si resettò e montò il miglior sorriso che aveva in repertorio. «Sì?»
«Guraz ti ha fatto una domanda.»
«Oh.»
Il sorriso già traballante di Revi scomparve in toto quando si voltò verso Guraz, perché suo fratello, teso, si era sporto dal divanetto e lo stava scrutando con un piglio greve che non presagiva niente di buono.
"Non stavi ascoltando! Di nuovo!" si rimproverò. "Hai intenzione di farti cacciare dopo nemmeno un giorno?! Perché è quello che succederà se non la pianti di comportarti di merda! Datti una regolata!"
«Uhm, ho... ho paura di essermela persa, Guraz. Perdonami. Giuro che staro più attento d'ora in poi» farfugliò. «Me la ripeteresti?»
«Volevo avere la conferma che... Ma sei sicuro di stare bene, ammi?» ritrattò. «Perché non c'è alcuna fretta. E se tu preferissi riposare e rimandare questa conversazione a domani—»
«No, no, sto, uh—»
"Smettila di parlare sopra di loro, cazzo!"
«Uhm, scusami per averti... non era mia...!» Revi si bloccò, poiché ormai il danno era fatto, e tentò di redimersi con le parole successive. «Io... apprezzo la preoccupazione, Guraz. Sei gentilissimo. Ma sto bene. Sto alla grande.»
Guraz annuì, ma le sparute – fin troppo, per un uomo della sua età – rughe d'espressione nella sua pelle scura non fecero che acuirsi.
«È che sei alquanto nervoso. E distratto. E sull'attenti. Il che è perfettamente naturale dopo il... bentornato poco caloroso che ti abbiamo rifilato e il forte sconvolgimento di poco fa, bada bene» lo rassicurò, con nient'altro che dolcezza nella voce profonda. «Ma è altrettanto plausibile che questo sia il modo del tuo corpo di comunicare che sta tuttora processando quanto accaduto. E costringerti ad affrontarlo prima del tempo non è affatto necessario. Specie se lo stai facendo per accomodarci. Per cui, se non ti reputi pronto, ti prego di dircelo. La sola cosa importante in questo momento è che tu ti riprenda e ti ambienti, il resto può attendere.»
"... È un test, questo?" s'interrogò Revi. "Per vedere se sono debole? O se gli mentirò? O se metterò la famiglia al primo posto? Se lo fallisco, finirò nei guai?"
Ma più studiava Guraz, con quel viso tondo tutto corrugato, gli occhi lucidi dalla coda all'ingiù che gli donavano un'aria persino più addolorata e la bocca stretta in apprensione al punto da sparire tra la barba; e più l'idea che quello fosse un inganno gli appariva folle e impossibile.
Per qualche motivo che non riuscì a rintracciare, Revi seppe che Guraz non aveva che il suo bene a cuore.
E per quando Lida prese a carezzargli i ricci sulla nuca in un tacito incoraggiamento, Revi aveva già deciso di fidarsi e rispondergli con sincerità.
«In realtà, la testa mi fa un male pazzesco e ho la vista un po' sfocata,» ammise, stringendosi nelle spalle, «ma ho dormito... quanto, un giorno intero?»
«Tre, veramente» lo corresse Lera, tornando a sedersi davanti a lui.
«Ah. Beh, più che abbastanza» semplificò. «Adesso, non mi farebbe schifo iniziare a capirci qualcosa di, ecco, tutto... S-se non è un problema per voi, intendo!»
«Affatto» promise Guraz, con un nascente sorriso. «Devi avere persino più domande di quante ne abbiamo noi.»
"Eh. Neanche te le immagini."
Lida gli pettinò una ciocca dietro l'orecchio, approfittandone per sbrogliargli i capelli attorcigliati dal sonno. «Da dove ti piacerebbe iniziare, ge'alin?»
Revi dovette impegnarsi affinché il cervello non gli si inceppasse ancora e ancora sotto ogni nuovo tocco di sua madre. «Uh... da voi... Da noi.»
«Noi?» ripeté Lera. «Quella bella testolina non li aveva rimessi a posto, i ricordi che ci riguardano?»
«Uh...» Revi si azzardò infine a guardare la bimba imbronciata, mezza fagocitata dallo schienale del divanetto a cui poggiava, che non gli aveva staccato gli occhi di dosso per un secondo da quando si erano accomodati in sala da pranzo. «Non... proprio.»
Lida seguì il suo sguardo e ridacchiò. «Kitti è un caso a parte, Revi. Non hai alcun ricordo di lei perché non era neppure nata quando tu vivevi qui con noi su Calàudi. Non sarebbe successo per altri undici anni, in verità.»
Revi si rilassò; non troppo però, perché per qualche ragione quella spiegazione parve adirare la bimba persino di più. «... Perciò non è colpa mia?»
«No» confermò, aprendosi in un sorriso tenue. «Semplicemente non hai fatto in tempo a conoscerla. Ma possiamo rimediare adesso.»
Lida saltò giù dalla tavola e andò a cucciarsi davanti al divanetto.
«Re'vi, questa piccola peste è Kital Brya,» annunciò, «incarnazione della vita, Nume dei boschi e, cosa più importante, la tua sorellina.»
"... Ho una sorellina" asserì piano, per familiarizzare con l'idea, mentre il sorrisino sbilenco sulle sue labbra continuava a crescere; ai suoi famigliari dovette sembrare ridicolo, se non addirittura patetico, ma l'imbarazzo non arrivò perché non lo fece neppure il pensiero: le sue preoccupazioni erano ben altre. "Devi dirle qualcosa di carino. O pure meglio, di divertente! Tu non le piaci, è ovvio, ma è piccola. Se ti ci metti, te la rigiri subito!"
Tuttavia, la risposta brillante che si affannava a rincorrere richiedeva una lucidità e un'acutezza mentali che, al momento, davanti al broncio di Kital, all'attenzione della sua famiglia al completo e all'assordante orologio in cucina che ticchettava imperterrito e impaziente, Revi semplicemente non possedeva.
Alla fine, fu un «C-ciao! C-come v-va?» farfugliante e scordato l'unica frase di senso compiuto che riuscì a cavarsi di bocca.
Kelon lo scimmiottò. «Tutto qua? Non ti è venuto in mente niente di meglio?»
Fyn gli rifilò un'occhiataccia. «Non tormentarlo. Non tutti hanno la lingua sciolta e nessun tipo di vergogna come un certo presuntuoso di nostra conoscenza.»
«Io però n-non ho finito» protestò Revi, arrossito fino alle punte delle orecchie.
Kelon ghignò. «Ah, sì? Prego.»
«Grazie. Cioè, non grazie. Cioè, uhm, quello che stavo per dire è che... Ecco...» Revi sbirciò Kital, rimasta impassibile, e forse fu proprio il suo atteggiamento, tanto distante da quello che una qualunque bimba di nove anni avrebbe avuto, che lo convinse a smontare la farsa e a parlare dal cuore. «Non... sono mai stato il fratello maggiore di qualcuno. E sinceramente non ho mai pensato che un giorno lo diventavo. Ma a dire che il pensiero non mi elettrizza, mentirei. Non posso prometterti che sarò uno di quelli bravi, ma ti prometto che cercherò di fare... meno... schifo possibile. O a-almeno, di non fare schifo troppo spesso. Da parte tua, ti chiedo solo un po' di pazienza, va bene? Ho... un sacco da imparare.»
Fyn si sporse verso Kelon sogghignando tronfio e lui gli spinse via il viso con un sospiro.
«Sì, d'accordo, questo era meglio.»
Lida concordò con un sorriso. «Sei stato molto dolce, ge'alin.»
Revi ebbe l'improvvisa voglia di contare ciascun'asse del parquet di legno. «Grazie...»
Se Kital fosse stata della stessa opinione, non si curò di dimostrarlo. Le sue braccine restarono conserte e le guanciotte sempre gonfie di rabbia; persino i capelli castano scuro, ingabbiati in delle trecce che lottavano disperate per contenerli, parevano aver assorbito il suo malumore e guizzavano come serpi a ogni respiro.
Fu Lida a spezzare – o a tentare, più che altro – il silenzio imbarazzante che si venne a creare.
«Allora?» la spronò, scuotendole un piedino sporco di terra. «Cosa te ne pare di questo nuovo, vecchio fratellone?»
Gli occhietti affusolati di Kital lampeggiarono, ma lei non emise un fiato.
«Secondo me, promette molto bene» continuò Lida, scoccando a Revi un occhiolino. «Ma dovrebbe aver un po' più di fiducia nelle sue capacità. Non credi anche tu?»
Ancora, Kital si rifiutò di parlare.
«Kital» la richiamò Guraz, con un tono severo che fece irrigidire Revi e che su di lei non ebbe alcun effetto. «Non c'è proprio nulla che vorresti dire a tuo fratello?»
Kital lo osservò con la coda dell'occhio. «Quello che voglio dire non posso dirlo, o sbaglio?»
Revi abbassò lo sguardo. "Perciò non ha funzionato e ti odia a prescindere... Bello." Si massaggiò il dorso della mano, pulendo il sangue che qualche graffio nervoso di troppo aveva versato. "Non provare nemmeno ad affezionarti a uno di loro, chiaro? Non sceglieranno mai te invece di lei. E lei non ha nessuna intenzione di averti attorno a lungo. Goditela finché dura. Sei già stato fortunato a incontrarli."
«Di nuovo con questa storia?» Kelon alzò gli occhi al cielo. «Quando te ne farai una ragione e la pianterai di—»
«Kelon, di nostra sorella mi sto occupando io» lo troncò Guraz. «Kital, hai cinque secondi esatti per porre fine a questi futili capricci e mostrare a Revi la medesima cortesia che lui ti ha riservato.»
"Oh cazzo, no." Revi si coprì il viso con una mano e, con l'innocenza di un bambino, sperò che sarebbe bastato per renderlo invisibile. "Non tirarmi in mezzo, ti prego."
Di tutta risposta, Kital gli fece la linguaccia.
Guraz scosse la testa con disappunto. «Sono molto deluso dal tuo comportamento, signorina. Quando ti sarai calmata, mi aspetto delle scuse sentite» la avvisò. «E lo stesso pretenderò per Revi, col quale stai facendo davvero una magra figura. Dopo oggi, ti giudicherà di certo una bimba viziata e capricciosa!»
Revi si morse un labbro con tanta forza da farsi male. "Per il Trio, smettila di insistere! Stai solo peggiorando le cose!"
Kital scattò in piedi sul divanetto, tremendamente offesa a quella insinuazione. «Gli unici che dovrebbero scusarsi siete voi! Avete mentito!» li accusò, additando poi Lida. «Tu hai mentito!»
«Kital, siediti» sibilò Guraz, che fu ignorato.
«Kitti, non abbiamo fatto altro che riferti ciò che conoscevamo» rispose Lida, ragionevole. «E ci dispiace che oggi non corrisponda più al vero e tu ne sia amareggiata, ma—»
«Ma non è colpa nostra» s'intromise ancora Kelon, incapace di astenersi. «E puoi sostenere il contrario quanto vuoi, ma sei tu quella che si è affezionata a una fantasia senza alcun fondamento e sei sempre tu quella che—»
«Avevate detto che era piccolo!» strepitò Kital.
Revi, che stava sbirciando la scena dagli spazi tra le proprie dita, si raddrizzò e controllò spaesato i dintorni per qualche secondo di troppo prima di rendersi conto che l'indice di Kital adesso stava puntando proprio lui.
«... Io?»
«Sì, tu!» strillò Kital. «Avresti dovuto essere piccolo! Come me! Ma sei grande! Come loro! Che me ne faccio di un altro stupido fratellone?! Ne ho già cinque!»
"Aspetta, cosa?"
«Kital!» tuonò Guraz. «Revi è tuo fratello maggiore, che ti vada a genio o no, e tu lo rispetterai e lo accoglierai come—»
«No! Revi sarà il mio fratellino!» stabilì, in acuti che rischiavano di infrangere le porte-finestre da un momento all'altro. «E se a lui non va a genio... beh, possiamo comunque essere amichetti, perché sembra simpatico. Ma non sarà mai il mio fratellone!»
Revi la squadrò in silenzio, gli occhi socchiusi nello sforzo di strizzare quelle parole per ricavarne un minimo di senso.
"Lei... È per questo che è arrabbiata? Sul serio?" Scrutò a turno i suoi fratelli in cerca di un qualsiasi tipo di indizio, ma la maggior parte di loro tradiva soltanto una vaga stanchezza. "Non perché...?"
Lera era tra le eccezioni: piuttosto che sospirare, se la ghignava sotto i baffi. «Per caso sei confuso? Attonito? Allibito?» gli chiese. «Benvenuto nel nostro mondo.»
Guraz rappresentava l'estremo opposto: col naso tra le dita, le palpebre calate e dei borbottii lamentevoli quasi inudibili a fior di labbra, era il ritratto dello sfinimento. Ruotò con fatica un polso in direzione di Kelon, in un via libera che lui non mancò di cogliere.
«Non abbiamo mai detto che Revi fosse un bambino» dichiarò pronto.
«Sì che l'avete detto!» ribatté Kital. «Avete—»
«Ah!» esclamò, troncandola; e dovette rifarlo svariate volte prima che Kital si decidesse ad ascoltarlo senza ostinarsi a interrompere. «Quello che abbiamo detto è che Revi aveva otto anni quando la sua connessione con la mamma si è spezzata. E che non avevamo sue notizie da allora.»
"Cosa?"
«Non abbiamo» enfatizzò, con tanto di pausa perché il concetto si solidificasse, «mai detto che Revi fosse rimasto un bambino per tutto questo tempo. Quello l'hai presunto tu, sulla base di ciò che ti sarebbe piaciuto succedesse. Ma la realtà è questa. E prendertela con noi, o peggio con Revi, non la cambierà. Lui è grande ormai e tu lo devi accettare.»
Il visino tondo di Kital si raggrinzì e scurì fino ad assomigliare a una prugna e Revi temette che stesse per mettersi a urlare contro Kelon con tutto il fiato che aveva in corpo; o magari a esplodere, cosa che, per quanto assurda, non si sentì di escludere visto cosa lui stesso era stato capace di fare nella prigione in un momento di particolare stress.
E in un certo senso ci prese, perché Kital alla fine scoppiò davvero, ma a piangere.
Il che, inspiegabilmente, fu peggio.
«Io lo... lo so che... che Revi è...» biascicò, le manine che si affannavano ad asciugarle le lacrime. «Ma... ma desideravo tanto...»
«Kitti...» mormorò Slia, caricandosela in braccio; Kital singhiozzò più forte e le si attaccò come una scimmietta alla mamma. «Sai che Kelon ha ragione e che Revi non può essere il tuo fratellino, ma eri così emozionata all'idea di averne uno che ora ti è molto difficile rinunciarvi. Ho riassunto bene?»
Kital strusciò la guancia contro l'incavo del collo di Slia in assenso.
«E ho ragione anche a pensare che ti dispiace aver trattato male Revi e che sei scattata per frustrazione, non per astio nei suoi confronti?»
Revi arrossì e distolse lo sguardo. "Ce l'avevo scritto in faccia?"
«Non... volevo urlare» pigolò Kital poco dopo, confermandole il sospetto. «E nemmeno essere cattiva con lui. Ma non sono riuscita a trattenermi.»
"Questa è la tua occasione!" si rianimò Revi. "Dille che non fa niente!"
Slia però fu più rapida. «A tutti capita di sbagliare, ammi. Nessuno ti biasima per questo. E sono certa che Revi sarà più che disposto a perdonarti appena ti sarai scusata come si deve.»
«Non serve! Non—»
«Insisto» disse Slia, con un tono che spinse Revi a cucirsi la bocca e Kital a riaprirla.
«... Ti chiedo scusa, Revi. A essere onesta, sono contenta che tu sia tornato da noi. Pure se non sei un fratellino» ci tenne a specificare; quando fece capolino dall'abbraccio di Slia, gli occhioni le si erano riempiti di nuovo di lacrime. «Però se ora sei tu che non mi vuoi come sorellina, lo capisco. Sono stata—»
«Kital, no, è tutto a posto!» la rassicurò alla svelta. «Non me la sono presa. Le... cose nuove spaventano anche me, a volte. Nei tuoi panni, forse facevo di peggio... Tipo pugnalare Lera. E me stesso.»
Kital tirò su col naso e abbozzò un sorriso timido.
«Perché diamine ti eri attaccata tanto a quell'idea in primo luogo?» domandò Kelon.
«Perché mi sono stufata di essere la più piccola...» parlottò, incupendosi. «Non mi prendete mai sul serio. Mi escludete sempre dalle decisioni importanti. E mi lasciate sola a casa durante la maggior parte delle riunioni del Consiglio. Con un fratellino, speravo che mi avreste rivalutata...»
«Kitti, ci dispiace che tu ti sia sentita sminuita,» premise Guraz, ripresosi, «ma non ti coinvolgiamo troppo negli affari del Consiglio per il tuo bene. Perché certe questioni non sono adatte a una bambina. Non perché non ti riteniamo all'altezza di affrontarle.»
«Hm» mugugnò Kital, mesta ma comprensiva.
«E poi guarda il lato positivo: ora che c'è Revi sei comunque la più piccola, ma non sei più l'unica piccola della famiglia» fece notare Kelon. «Adesso escluderemo anche lui dalle decisioni importanti e vi farete compagnia a vicenda quando vi lasceremo a casa durante le riunioni del Consiglio.»
Revi strabuzzò le palpebre. «Io non ho tipo... trecento anni?»
Kelon sbuffò divertito come se Revi avesse fatto una battuta. «No, tu ne hai venti da duecento e passa.»
«... E non è la stessa cosa?»
«Ti sembra che Kital abbia trecento anni?» lo incalzò. «In qualunque senso?»
Revi indugiò.
«No che non ti sembra» replicò Kelon in sua vece. «Perché per noi l'età cronologica non corrisponde all'età biologica. Quella dei nostri corpi, per intenderci. E la sola che conti nel nostro caso, perché non la dimostriamo soltanto al livello fisico, ma soprattutto a livello mentale. Dunque, bimba. Bimbo grande» esemplificò, gesticolando da Kital a Revi e infine verso sé stesso. «Giovane adulto.»
Lera sogghignò. «Sono piuttosto sicura che a quarant'un anni, tu non rientri più—»
«Giovane adulto» ribadì Kelon, a voce più alta.
«Ma io non sono un "bimbo grande"» ribatté Revi. «Cioè, ho venti anni. Sono un adulto anch'io.»
Kelon sbruffò dal naso. «Tra gli umani magari lo sarai stato, vista la loro ridicola aspettativa di vita. Tu però sei su Calàudi, e qui sei a malapena grande abbastanza per bere gli alcolici leggeri e stare in giro con gli amici la sera tardi senza che qualcuno venga a recuperarti per le orecchie. Legalmente, non saresti definibile un adulto fino ai venticinque. Culturalmente, fino ai trenta. E se invece consideriamo gli standard della nostra famiglia, che ti ricordo essere composta da divinità immortali, beh... Diciamo che sei fortunato se ti faremo usare le forbici dalla punta arrotondata sotto stretta supervisione.»
Guraz schioccò la lingua. «Non prestargli ascolto, Kelon sta esagerando come suo solito. Non sei un bambino, Revi, e non ti tratteremmo mai come tale... Ma rimani un ragazzino, per cui avrai comunque un bel po' di regole da rispettare e non ammetterò obiezioni a riguardo.»
«Ah, non ce ne saranno!» gli garantì subito. «Non sarò un problema. Lo prometto.»
«Eccellente.»
Lera si schiarì la gola, alquanto spazientita. «Ora che l'argomento "Kital" è archiviato, potrei avere una risposta alla mia domanda? I tuoi ricordi di noi sono ritornati al loro posto oppure no?»
Revi si grattò il collo. «Non... proprio» fu costretto a rispondere ancora.
Lera si schiacciò due nocche sulla fronte. «Santo cielo, almeno te li ricordi i nostri nomi?»
«Certo che me li ricordo!» bofonchiò. «Lo so chi siete! E so chi sono io! So persino di cosa siamo le incarnazioni... Non ho idea di che significa, ma lo so comunque.»
«E allora cos'è che non ti è chiaro?»
«Tutto il resto!»
Slia s'impensierì. «Revi, eri appena un neonato ai tempi. Dubito che esista un resto.»
Revi si crucciò. "Allora me le sono sognate quelle... cose? Non sono vere?"
Sua madre si rialzò da terra con lentezza, incuriosita, quasi speranzosa, e non diffidente come le sue sorelle. «Ci stai dicendo che ricordi altro?»
«Non lo so, "ricordare" è una parola grossa, io... È più...» Revi si stropicciò gli occhi e faticò a lungo per riordinare ciò che stava pensando e provando in concetti di senso compiuto. «Se mi concentro un sacco, vedo le vostre facce. Non quelle di adesso, ma come, come eravate quando ero piccolo. Credo. E riesco quasi a toccare questo coniglietto, questo... pupazzo, o questi solcatori che mi volano sopra la testa. E vi sento ridere e... litigare in lontananza, come da un'altra stanza» elencò, adagio, oscillando tra la sala da pranzo e l'ombra di una casetta circondata dal verde, persa chissà dove e chissà quando. «C'è questa tenda a fiori che mi fa il solletico quando tira vento. E una voce che mi legge... roba difficile? E questo giardino? O parco...? Oppure un... Bah, forse era solo un cortile. È questo il punto: ho tutti questi altri ricordi, ma sono a pezzi. Sono immagini. Suoni. Sensazioni. Momenti, in pratica, sparsi e confusi e... inventati, per quanto ne so.»
«Non lo sono» lo contraddisse Kelon.
Revi tremò. Kelon aveva parlato dall'altro lato della tavola, e non dal suo posto nel cerchio di sedie improvvisato attorno al divanetto, da dove se lo sarebbe aspettato. E questo perché si era alzato, mentre lui raccontava, per andare a recuperare una manciata di quadretti da un tavolino che ne era stracolmo.
«Queste sono...?»
«Le tue foto» confermò, allineandole davanti a lui. «Le uniche che abbiamo.»
Revi le raccolse con delicatezza – riverenza – e le ammirò una dopo l'altra, passando di volta in volta il pollice sul vetro che le racchiudeva come a tracciarne i contorni. "Sono piccolissimo..."
«Oh, quel povero coniglietto» commentò Lida, da sopra la sua spalla. «Me n'ero scordata.»
«Perché non eri tu che lo rattoppavi un giorno sì e l'altro pure» sospirò Lera.
«E perché?» chiese Revi.
«Perché voi due avevate un rapporto molto complicato» lo informò Kelon. «E da parte tua, indubbiamente tossico. Se quel pupazzo avesse potuto parlare, non ci avrebbe chiesto altro che una morte misericordiosa.»
Revi abbozzò un sorriso. «Cosa?»
«Lo distruggevi di continuo» spiegò Fyn. «Lo strappavi, lo mordicchiavi, lo lanciavi. Addirittura lo disfacevi con i tuoi poteri.»
«Oh. Beh, avete mai pensato che magari lo odiavo a morte?»
Guraz soffiò dal naso. «Se è questo il caso, avevi uno strano modo di dimostrarlo. Perché quando era a un passo dal rompersi definitivamente, scoppiavi a piangere e non smettevi finché qualcuno non lo aggiustava. Dopodiché, ricominciavi subito a strapazzarlo. Guarda, in questa foto qua abbiamo catturato il ciclo.»
L'indice di Guraz picchiettò una foto scattata in una cucina, davanti a un tavolo apparecchiato per il compleanno di qualcuno; Revi era in braccio a un Fyn adolescente, che tentava di distrarlo dal suo pianto disperato accendendo le candeline con schiocchi di dita. Sul divano nello sfondo, Lera stava riparando con foga il coniglietto.
«... Me la ricordo quella torta.»
«Me lo auguro» asserì Slia, avvicinandosi con aria trasognata. «Hai provato a nuotarci poco dopo. E sei pure riuscito a ficcarvi un pugno prima che ti fermassimo... Eri davvero una peste all'epoca.»
«Solo all'epoca?» intervenne Kelon. «A me non pare sia cambiato granché.»
Revi rifuggì il suo sguardo, concentrando il proprio sul tavolo. "Era una frecciatina? È arrabbiato per il casino che ho combinato nella prigione? Mi conviene scusarmi pure con lui per..."
L'ultima foto, inquadrata per caso, rapì la sua attenzione e destinò quel dubbio a restare inconcluso.
All'inizio, Revi non colse il perché. Non vi era ritratto niente di più che la sua cameretta, dal pavimento affollato di libri della buonanotte aperti, blocchi da costruzione e giocattoli vari; e dal soffitto puntellato di stelle di plastica luminose e nuvole dipinte. Poi, Revi adocchiò la culla, dove lui stava dormendo infagottato, e finalmente gli fu tutto chiaro.
La copertina che lo avvolgeva era a malapena distinguibile, poco più che una macchia gialla tra le assi verticali di legno chiaro. Ma Revi ne ricordava ogni dettaglio: l'angolo difettoso, i bordi bianchi, il suo nome ricamato storto e sbilenco sulla parte interna.
Perché quella era la sua copertina, l'unica cosa che avesse mai posseduto davvero. La stessa che l'aveva riscaldato la notte in cui era stato lasciato sui gradini dell'orfanotrofio e innumerevoli notti dopo quella. La stessa che aveva stretto finché non si era ridotta in brandelli; curato finché non era diventata grigia; annusato finché quell'odore di gelsomino – o caffè o salsedine o disinfettante? – era sfumato e soltanto il suo era rimasto.
«Revi?» lo chiamò Slia, chissà quante volte prima che Revi lo processasse. «Qualcosa non va?»
«Uh? No! No, è che...» abbozzò, scuotendo la testa come a scacciare quei pensieri. «Non... non capisco perché... Insomma, i miei ricordi di voi in teoria sono vecchi uguali, no? Perché allora alcuni sono così chiari e altri invece...?»
Revi non aveva nemmeno le parole per descrivere lo sfacelo in cui versavano.
«La differenza è che la maggior parte è straordinariamente naturale, e quindi intaccata dal tempo» replicò Lida. «E quelli intonsi sono tali perché te li ho trasmessi io.»
Revi si voltò verso di lei. «Trasmessi...?»
«Sì. Dalla mia memoria alla tua» precisò. «Neppure nelle mie previsioni più floride avevo osato sperare che tu ti ricordassi più di qualche piccolezza su di noi. Questo, se ti ricordassi di noi in primo luogo. D'altronde eri ancora un neonato. Avrai avuto non più di, uhm...»
"Quattro mesi."
«... quattro o cinque mesi» calcolò, «quando mi sono separata da te. Troppo pochi per trattenere alcunché, persino per una mente adatta all'eternità come la tua... A oggi, è evidente che mi sbagliassi.»
Lida accennò un sorriso e Revi la imitò in automatico.
«Ma allora ne ero convinta. E benché sarebbe stato l'ideale per la tua situazione, non riuscivo a sopportare la mera idea che un giorno avresti potuto dimenticarci del tutto. Perciò, decisi di prendere in mano la situazione: ti impiantai quei ricordi, di modo che vi fosse una traccia indelebile di noi dentro di te. Ma li nascosi, perché non riuscivo a sopportare neppure l'idea che sentissi la nostra mancanza. Era a questo che serviva la "barriera" che hai abbattuto: a celarteli e a custodirli finché non ti avessimo raggiunto. Non so cosa le sia capitato, ma col passare degli anni deve essersi inspessita perché invece di crollare naturalmente in nostra presenza o sotto il mio comando, tu hai—»
«Aspetta, aspetta» la frenò Revi. «R-raggiunto? Voi volevate raggiungermi? Voi, tu non mi hai... uhm...»
Un lampo di orrore le balenò sul volto e Lida si catapultò in ginocchio, tra le gambe di Revi, per intrecciare le mani alle sue e stringersele al petto. «Abbandonato? No, mai! Come puoi pensare una cosa del genere?»
«Ah, m-mi dispiace! Io—»
Kelon incrociò le braccia con uno sbuffo. «Già, Revi. Come puoi pensare che la mamma ti abbia abbandonato quando tutto quello che ha fatto è stato scaricarti in un orfanotrofio e sparire per il resto della tua vita? Ma che ti passa per la testa? Sono due cose ben diverse!»
«Kelon» lo sgridò Guraz, in quello che non fu più di un mormorio spossato.
Uno strano, scomodo silenzio calò nella sala da pranzo. Non come se quell'argomento spinoso non fosse mai stato affrontato; ma come fosse stato affrontato così tante volte da cavare fino all'ultima goccia di sangue disponibile. Semplicemente, non ne rimanevano più.
«Giusto per la cronaca, tutti noi, incluso Guraz che è fisicamente incapace di non difendere a spada tratta ogni azione della mamma,» sottolineò Kelon, «è d'accordo sul fatto che la sua sia stata la mossa più stupida e irresponsabile mai concepita. E che se si fosse degnata di confrontarsi con noi, invece di... rapirti, nei cinque minuti che ho impiegato a comprare un nuovo pacco di pannolini, per poi volatilizzarsi dall'esistenza per i successivi dieci mesi, l'avremmo convinta a desistere. E a quest'ora staremmo parlando di tutt'altra situazione.»
«... Mossa?» ripeté Revi.
Non fu in grado di articolare nulla di più; non mentre ciò che era appena uscito di bocca a Kelon e le mille domande che erano sorte di conseguenza nella sua testa si amalgamavano in una poltiglia incomprensibile di frasi a metà e pensieri rotti.
«Usarti come tramite per monitorare l'Unitariato nel cuore pulsante del loro impero: la Terra» svelò Fyn, giochicchiando con un bicchiere con una freddezza che mal gli si sposava. «Mamma non è più la Dea dei tempi della creazione. L'unico modo in cui poteva gettare un occhio dall'altra parte della galassia è attraverso uno di noi... Sarebbe dovuto toccare a me, sai? Ma all'ultimo ha stabilito che ci serviva più potenza di fuoco qui, su Calàudi. E l'onere è ricaduto su di te.»
«E sarebbe dovuto ricadere anche su Kital, vero mamma?» la incalzò Kelon. «Ma quella volta eravamo preparati.»
Malgrado il tono velenoso, Lida non parve offesa o arrabbiata, solo... sconfitta.
«Comprendi meglio di chiunque altro quanto assicurare la presenza di uno di voi sui punti nevralgici dell'Unitariato e della Coalizione fosse di fondamentale importanza per il piano. E quanto rinunciare a Revi, non vederlo crescere, non poterlo stringere né consolare, mi sia costato.»
Kelon indurì la mascella con forzata indifferenza, ma i suoi occhi presero a sfarfallare a mo' di lampadine difettose e, come specchiassero quelli di Lida, si riempirono delle stesse lacrime.
«Già» concordò, con voce rotta. «E comunque non comprendo la tua decisione. E mai l'avrei presa.»
«E io non vi avrei mai messo in condizione di doverlo fare» replicò, e Kelon sbuffò di nuovo. «Quel peso doveva essere soltanto mio da sopportare. E spero che un giorno possiate perdonarmi. Che tu, Revi, possa—»
«Non osare chiederglielo» sibilò Kelon.
«Non sto pretendendo il suo perdono, ammi. Né pretendo una risposta, ora come ora. Ma avrò almeno il diritto di esternare ciò che—»
«No, non hai alcun diritto quando si tratta di Revi» la scavalcò Kelon. «Anzi, prima anche solo di pensare di avere qualcosa da lui, dovresti offrirgli ciò che gli spetta. In cima alla lista, delle scuse vere, o quantomeno una premessa sul modo in cui rimedierai al torto che gli hai fatto preferendo sacrificare l'intera infanzia, e buona parte della sua adolescenza, piuttosto che cinque minuti della tua vita per trovare—»
«Sai che avrebbe dovuto trattarsi soltanto di un paio di anni, che Revi non avrebbe neanche ricordato» insistette Lida, stanca, come fosse la millesima volta che pronunciava quella frase. «Come sai che non esisteva un'altra soluzione e che se avessimo aspettato ancora—»
«Aspettato quanto, mamma?» eruppe Kelon. «Un anno? Un mese? Un giorno?! Quanto, per te, era un lasso di tempo accettabile? Perché non ci hai concesso neanche un secondo! Quale stramaledettissima differenza avrebbe fatto un secondo di discussione prima di—»
«Ahem» tossì Guraz. «Questo non è il luogo né il momento. Dovremmo focalizzarci su Revi, non impelagarci su avvenimenti vecchi di secoli che ci è impossibile cambiare.»
Lida annuì solenne. Kelon gli diede piuttosto le spalle e camminò nervoso per la sala da pranzo finché Fyn non si alzò e lo acchiappò per la vita; quindi, con qualche parola sussurrata vicino al suo viso al punto da non essere udibile per nessun altro, lo convinse a risedersi accanto a sé.
«Dunque» ricominciò Guraz, accavallando le gambe. «Dove eravamo rimasti?»
Lida si schiarì la voce. «Stavo spiegando a Revi che non era mai stata mia intenzione...»
Revi ebbe difficoltà a sentirla finire quella frase. A metterla a fuoco, persino. Nonostante Lida fosse proprio davanti a lui, la sua voce andava via via distorcendosi; la sua figura sfocandosi.
Revi sedeva su una sedia di legno duro, solido; poggiava i piedi nudi a terra, sul pavimento fresco, fermo. Eppure, era come se non avesse mai abbandonato la rupe del suo incubo; come fosse ancora sporto sull'abisso in un mondo in procinto di capovolgersi. Solo che, questa volta, il mondo non si capovolgeva mai. Quell'ultimo momento si protraeva all'infinto. Il fiato gli rimaneva bloccato tra le costole. Il cuore non si azzardava a completare il proprio battito. Le dita strette al loro appiglio – non più l'erba, ma i pantaloncini che aveva indosso – rimanevano contratte a prescindere dai crampi.
Una vita intera. Ecco quanto Revi aveva speso a immaginare chi fossero i suoi genitori e per quale ragione non l'avessero voluto.
Qualche minuto era invece il tempo che la realtà aveva impiegato a disfare fino all'ultima di quelle fantasie.
E forse Revi avrebbe dovuto esserne felice. Essere felice – e sollevato – che gli scenari più orribili fossero stati scongiurati e quelli più rosei superati. Che sua madre l'avesse desiderato e amato e pianto, e che il dolore della separazione la devastasse ancora a distanza di secoli.
Ma l'unica cosa che Revi provava era... fastidio. Un formicolio sordo lì dove le mani di Lida si erano a lungo soffermate, come le sue non fossero state carezze ma schiaffi; come se ogni parolina dolce o nomignolo affettuoso che gli aveva rivolto gli si fossero accumulati d'un tratto sulla pelle e lui si fosse scoperto allergico.
Un formicolio che Revi non poté non grattare.
«... Perché?» bisbigliò di getto, tanto piano che non si sarebbe sorpreso se nessuno vi avesse fatto caso.
Non aveva alcuna idea di cosa aggiungere dopo. Perché non aveva alcuna idea nemmeno di cosa, nello specifico, cercasse di ottenere con quella domanda; ma dovette porla. Dovette spingere Lida a continuare a parlare nella speranza che si tradisse. E, allo stesso tempo, che non lo facesse affatto; che qualunque risposta gli avesse dato avrebbe scacciato ora e per sempre ogni dubbio rimastogli.
«Perché cosa?» chiese. «Perché era così fondamentale? Perché proprio tu? Perché un neonato?»
Revi annuì e quasi sorrise: in qualche modo, sua madre era stata capace di capirlo alla perfezione persino mentre Revi stesso stentava a capirsi.
"Visto? Non ti ha dato un solo motivo per non fidarti di lei o per pensare che ti sta nascondendo qualcosa" si disse, mentre Lida si concedeva qualche attimo per intavolare il discorso. "Sei tu che sei paranoico."
«Solo poche ore dopo la tua nascita, l'Unitariato esportò i suoi piani di espansione nei territori della Coalizione, che non avrebbe mai lasciato impunito un tale affronto» iniziò. «La galassia straripava già di bambini resi orfani dagli infiniti conflitti e lotte di potere umani e interspecie. Con una vera e propria guerra senza confini sul punto di scatenarsi, nel giro di qualche mese il loro numero sarebbe divenuto incalcolabile... E chi ne avrebbe mai notato uno in più tra i miliardi di cui non si conosceva nulla? Chi avrebbe mai sospettato che in lui vi fosse qualcosa di speciale? Che da dietro quel paio di splendidi occhioni verdi si affacciasse un'entità ben più antica e potente, in trepidante attesa dell'occasione con cui riportare ordine e pace nel suo creato?»
"Questo mi sembra... giusto" ammise Revi a malincuore. "E intelligente."
«Senza contare che il Mimetismo ti avrebbe a lungo reso indistinguibile da un qualsiasi neonato umano. Al contrario dei tuoi fratelli, già adulti o sull'orlo della maggiore età, che in aggiunta a esso sarebbero stati costretti al continuo utilizzo dei propri poteri per garantirsi l'anonimato» riprese. «Poteri attorno ai quali avevamo inoltre impiegato decenni di pianificazione e che sarebbero stati sfruttati meglio qui, a impedire il lancio delle atomiche da terra o dall'orbita; o a contrastare gli squadroni di solcatori e le brigate che sarebbero rimaste fedeli inviate a schiacciare l'insurrezione; o a proteggere i civili e ripristinare le infrastrutture basilari dopo i bombardamenti a tappeto; o a prestare cura a feriti, malati e bambini persino senza provviste o attrezzature. In breve...»
Lida smise di sfregarsi il palmo di una mano con il pollice dell'altra e piuttosto si gettò alle spalle i capelli dietro ai quali si era rifugiata; scoprì un sorriso che tentava di spacciarsi per rincuorante, ma finì per sembrare nient'altro che rammaricato.
«... non eri soltanto il candidato perfetto per il compito. Eri anche l'unico che potesse svolgerlo» riassunse. «E se il nostro piano alla fine è riuscito, gran parte del merito è tuo e delle informazioni che mi hai fornito sulle reazioni dell'Unitariato alle nostre mosse. E prima ancora di imparare a parlare, per giunta.»
Lida si azzardò infine a guardarlo di nuovo negli occhi e Revi, che l'aveva fatto fino a quel momento, non ne ebbe più il coraggio e si strinse nelle spalle. Non era certo di cosa si fosse aspettato da quel racconto. Forse che non avesse alcun senso e lui fosse più che autorizzato a serbare rancore; o forse che un senso lo avesse eccome, che fosse logico, inattaccabile e perfettamente condivisile – come si era rivelato in seguito – e che lui si sarebbe rassegnato una volta per tutte alla sua inevitabilità.
Quale che fosse il caso, ciò che ne ricavò fu soltanto una profonda vergogna. Un senso di colpa incarognito determinato a marchiargli a fuoco nella memoria il fatto di aver dubitato della sua stessa madre; e che gli sedeva pesante sullo stomaco, rosicchiandogli a turno viscere e costole.
«E in ultima battuta, a essere davvero sincera, nella mia decisione c'era anche un pizzico di egoismo» confessò Lida. «Non ti volevo su Calàudi. Non con una guerra di quella portata in corso. Saresti stato...»
"In pericolo" intuì, stropicciandosi la faccia con meritata rudezza. "Sei un testa di cazzo. L'ha fatto per proteggerti. Per salvare chissà quanta gente. E tu l'hai scambiata per una stronza senza cuore che—"
«... completamente inutile» scandì invece, lasciandosi sfuggire una risatina nervosa. «Peggio, non saresti stato altro che un impedimento.»
Revi si bloccò. Si congelò; muscoli, cervello e lo stesso sangue che aveva in circolo: rimase del tutto immobile, tranne per gli occhi.
Quelli strisciarono lenti e tremanti verso l'alto, verso Lida, verso il suo viso amorevole e pentito che gli avrebbe assicurato di aver sentito male. Di aver frainteso il tono o le parole o i modi o qualcos'altro. A Revi non importava cosa.
Ma se il viso di sua madre era lo stesso di un attimo prima – addolorato, rigato di lacrime, segnato da stanchezza e preoccupazione – l'espressione che lo ricopriva era... imbarazzata, un po' perplessa; quasi non capisse perché Revi non avesse riso con lei e si limitasse a fissarla in silenzio.
«I... tuoi fratelli avrebbero abbandonato le loro postazioni per correre da te al primo singhiozzo e il nostro piano ne sarebbe stato—»
La voce di Lida fu coperta dal rumore della sedia di Kelon che si schiantava contro il pavimento.
Foto: Kital Brya.
Meme bonus per farmi perdonare per l'attesaaa:
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