Capitolo 4 - ... e ritrovato (Parte Seconda)
«Uh, va bene» lo assecondò lei.
Revi si schiacciò contro la parete alle sue spalle. «Cosa vuoi fare?»
Kelon non fiatò, eppure Revi scattò in avanti e si issò sulle ginocchia come tirato da fili invisibili. Gli mostrò il collo, addirittura si scostò i ricci che il sudore freddo vi aveva incollato, e infine si immobilizzò.
«Per favore, no!» lo implorò. «Esploderà! Mi farà saltare via la testa!»
«Non succederà.»
«Non si può togliere!» insistette. «Ci ho provato per tutta la vita!»
«Tu non sei un Dio.»
«Questo non—»
Revi fu costretto al silenzio, con la lingua di pietra e le labbra fuse assieme. Ansimò e mugugnò e fissò Ric con la coda dell'occhio per invocare disperato il suo aiuto, ma lui rimase dov'era.
«Non corri alcun pericolo, ragazzo, te lo prometto» gli assicurò. «Da bambino gliel'ho visto fare decine di volte. Smagnetizzerà il chip con un pizzico della sua energia divina e lo estrarrà in sicurezza. Per te la procedura consisterà in un taglietto o poco più. Non sentirai neanche dolore.»
Revi ne dubitava. Se già le dita di Kelon sulla sua pelle erano incandescenti, tremava alla sola idea di quanto quel "pizzico" avrebbe bruciato. E se il chip non esplodeva alla prima scintilla, l'avrebbe fatto captando il bisturi o qualunque cosa avrebbe usato per afferrarlo.
Non esisteva una maniera per liberarsene. I cadaveri decapitati di un numero incalcolabile di Brigadieri nel corso dei secoli ne erano la prova lampante.
Kelon espirò spazientito. «Quei maledetti hanno pure cambiato posizione al chip oppure... Ah, no, eccolo. Come non detto. Procedo.»
Se Revi avesse avuto il ben che minimo controllo sul suo corpo, avrebbe tremato. Avrebbe scalciato e urlato, forse sarebbe scoppiato a piangere. Invece, quando quella scossa si conficcò nella sua carne come un tizzone ardente, a malapena gemette.
«Fatto, la parte brutta è andata. Non è stata la fine del mondo, no?» puntualizzò Kelon, con un tono da maestro d'asilo armato di cerotto che mal si sposava con la realtà della situazione. «Adesso arriva quella delicata. Per cui, sta' molto fermo o rischio di forarti la carotide.»
La punta del bisturi penetrò dentro Revi con strabiliante delicatezza. Ric aveva ragione: non sentì dolore. E per quanto paradossale, questo lo agitò persino di più. La leggera, stordita pressione che ne prese il posto non gli permetteva di avere un'idea chiara di quanta distanza separava bisturi e chip.
E di quanti secondi gli restassero da vivere.
Pregni dell'anticipazione elettrica che permeava l'aria prima di una tempesta, ognuno di loro scoccava sull'orologio sopra la porta con il fragore distante di un tuono.
Revi non era certo se fosse il mondo intero a star trattenendo il fiato o se l'unico a farlo fosse lui.
«Pinze» richiese Kelon a Tryn. «Le più piccole che hai.»
«Hm!» mugolò Revi. «Hmpf! Hm!»
«Andrà tutto bene, ragazzo. Non temere» continuò a rassicurarlo Ric.
Revi lo ignorò e cercò piuttosto lo sguardo di Kelon per piantarvi una preghiera silenziosa, cosa che lui gli stava impedendo con impegno.
"... Per favore" pensò allora, come ultima spiaggia; intanto, il suo sangue sgorgava caldo e veloce dal taglietto per scivolare sotto il colletto del pigiama. "Ti scongiuro, non farlo. Non voglio—"
Ma i suoi stessi pensieri gli furono strappati e soppressi.
«Questo non è il momento di distrarmi» asserì Kelon. «Quindi, ti sarei grato se tu—»
Magari, fu proprio per quello che Revi riuscì ad afferrargli il polso: per istinto. Per un riflesso alimentato dal puro terrore che nulla aveva a che fare con il raziocinio.
Kelon trasalì. «Come hai...?»
«Non... voglio... morire...» singhiozzò Revi.
Kelon indugiò per un istante, ma Revi ebbe il sospetto che non fosse affatto per pietà. «Io e te abbiamo una bella chiacchierata da fare dopo, ma adesso devi abbassare il braccio.»
«... Ti...»
«Abbassa. Il. Braccio» scandì.
Revi fu sopraffatto dal bisogno di obbedirgli; opporglisi fu come ostinarsi a non respirare mentre si stava soffocando, mentre l'unico, soverchiante impulso che aveva era di cedere e basta. E smise presto di resistergli.
«Bravo bimbo. Ora apri le orecchie e ascoltami: non stai per morire» chiarì una volta per tutte. «Ho disattivato il protocollo d'esplosione come ho già fatto in passato per centinaia di altri Brigadieri. Il chip è completamente innocuo. Per cui, calmati, intesi?»
Revi non ne aveva alcuna intenzione, ma si ammansì lo stesso. Il suo corpo teso e rigido si ammorbidì e la sua mente si svuotò di ogni preoccupazione. Divenne placido come una nuvola cullata dal vento.
Non protestò persino mentre le pinze rovistavano nella sua carne e si agganciavano al chip. Persino mentre sentiva Kelon rigirarlo in cerca di un angolo d'uscita che non lesionasse muscoli o arterie. E assistette quieto e disinteressato, con un sorriso spento sulle labbra, al momento che aveva atteso fin dal giorno in cui quel chip gli era stato impiantato.
Non fu finché Kelon non attraversò la stanza per pulirlo, rilasciando Revi dal suo giogo, che lui ritorno in sé e metabolizzò di che miracolo fosse appena stato protagonista.
Crollò carponi con i muscoli tremanti e indolenziti, e fu assalito da tutte le emozioni che erano arretrate per ordine di Kelon, ma quel sorriso non fece che allargarsi.
"Sono vivo..." articolò piano, come se temesse le conseguenze di dirlo ad alta voce. "Ha funzionato...? Ha funzionato sul serio! Non ho più il chip!"
«Stai bene?» pigolò Tryn, che si sporse per controllarlo.
«Se sto bene...?» Revi scoppiò a ridere. «Sto alla grande, cazzo! Non sono mai stato più—»
Revi tentò di alzarsi, ma le gambe non lo ressero e lo trascinarono giù. Se non cascò per terra, fu merito di Tryn che lo tirò indietro.
«Non sei nelle condizioni di scendere dal letto! Eri già anemico prima di questa storia, ora... ugh, tieni, premitela sul taglio» raccomandò, porgendogli un po' di garza. «Vado a prenderti una sacca.»
Revi obbedì, più che altro per gioire dell'assenza di quello stupido spigolo duro, sotto l'orecchio sinistro, che ancora stentava a metabolizzare. Non gli importava del sangue o della prigionia o della fame o di qualsiasi altra cosa. Non allora.
"Sono libero..." Ridacchiò; gli fu impossibile trattenersi. "Sono—"
«... Ma è fuori uso» rivelò Kelon.
Da che era steso, Revi si issò su un gomito.
«Non ti sei regolato e l'hai fritto?» lo accusò Ric.
«Se fosse quello il caso, staremmo scegliendo un nuovo arredo da abbinare alle pareti che le cervella di Revi avrebbero tinto di rosso» si difese. «Doveva essere così... da prima che lo toccassi.»
«Beh, è un peccato,» riconobbe, «ma perché sei sconvolto? Sospettavamo che fosse un disertore, per cui... Aspetta, credi sia un mercenario, invece?»
«Disertore o mercenario non fa differenza» rispose. «In entrambi i casi, l'avrebbe spento con un magnete. E questa non è opera di un magnete.»
«Che intendi?»
Tryn emerse dal bagno con una sacca di sangue viola tra le mani, ma non tornò subito da Revi; si soffermò sulla soglia del piccolo arco di pietra ad ascoltare la conversazione.
Kelon mostrò il palmo a Ric. «Questo chip è rovinato come se fosse stato in funzione per una vita intera. Così rovinato che deve essere morto per conto suo chissà quanti anni fa. In certi punti è addirittura arrugginito.»
«Il ragazzo non può essere molto più grande di Tryn» sottolineò Ric. «E non mi risulta che abbia l'acido per batterie nelle vene al posto del sangue, perciò com'è possibile questa cosa?»
Tryn si riscosse alla menzione del suo nome e si affrettò a montare la sacca sull'asta per flebo incorporata al letto, benché non avesse smesso di origliare.
«Non ne ho idea. Non ha alcun senso. La lega metallica di cui è composto neanche sapevo fosse soggetta alla ruggine.»
Ric incrociò le braccia. «E se glielo avessero impiantato già in questo stato?»
«Santo me, e a che scopo?»
«Beh, magari questa nuova civiltà sylcra non è avanzata come stiamo assumendo e controlla le Brigate grazie a una farsa» ipotizzò. «Insomma, se ti ficco un chip nel collo e minaccio di farlo esplodere se ti allontani troppo o se contravvieni agli ordini, converrai con me che non ti sogneresti mai di cimentarti con una delle due cose.»
"Il chip era solo un ammasso di ferraglia inutile?" si chiese Revi. "No. No, io li ho visti esplodere. Erano—"
«E Revi improvviso poliglotta come te lo spieghi?»
Ric indugiò. «Hm. Forse... No, hai ragione. Se hanno le capacità e i mezzi per realizzare una tecnologia che fa apprendere le lingue sulla base di qualche frase, è illogico crederli incapaci di ricreare i classici chip di controllo.»
«Per l'appunto» concordò Kelon.
Ric si dondolò sui talloni. «E se...»
«Il sangue si è fermato?» chiese Tryn, bloccandogli la vista.
Revi levò il capo di scatto. «Eh?»
«Fammi vedere» disse, sfilandogli la garza dalle dita. «Hm... sta rallentando. Il taglio è profondo, ma...»
Revi le scoccò una serie di «Hm-hm» e si affacciò oltre la sua gonna.
«... d'accordo. Ma lo sono sul fatto che c'è qualcosa che ci sta sfuggendo» mormorò Kelon. «Prestami il tuo binocolo.»
Ric acconsentì con prontezza e se ne pentì subito dopo, quando Kelon lo spaccò per servirsi di una delle lenti.
«Non fare quella faccia, te ne compro un altro» lo consolò. «Dammi pure una forcina. Ho della ruggine da grattare via.»
«Era un regalo di Patt» borbottò, gettandogliene una sul tavolo con sdegno.
«Bene! Quest'anno non sarà indecisa su cosa regalarti al compleanno.»
Ric sbuffò malgrado il sorrisetto che gli storceva le labbra. «Che cerchi?»
«Il numero di serie. Termina con la data e il luogo in cui è stato creato crittografati. Grazie a esso, stabiliremo definitivamente se si tratta del modello originale o di una sua versione modificata. Spero nella seconda» palesò. «E fossi in te, Revi, farei lo stesso. Perché in caso contrario, mia sorella sarebbe costretta a condurre un sacco di esami su di te per scoprire a quale altro impianto sono dovute le tue stranezze. E tu non vuoi conoscere mia sorella, fidati.»
Revi deglutì. Della risma di Kelon, ne aveva già abbastanza.
«La Divina Lera è... difficile. Ma non è il mostro che ti sta descrivendo» lo rasserenò Tryn, che gli stava medicando il taglietto.
«Sì, perché è peggio.»
«Capo!»
«Prova a essere il suo fratellino per qualche secolo e poi ne riparliamo.»
«Piantala di scherzare e concentrati sul chip» lo richiamò Ric, nonostante il sorrisetto fosse sfociato in un risolino.
«Sono serissimo. E secondo te che sto facendo?» lo rimbeccò. «È questo affare che è restio a collaborare, ma dovrei aver quasi—»
Kelon si ammutolì e si fermò. Dopo qualche attimo, si stropicciò gli occhi, pulì il vetro e ritentò. Qualunque cosa avesse letto, lo spinse a posare chip e lente sulla tavola con una delicatezza degna di un paio di bombe inesplose.
«Cosa?» s'intromise Revi. «Che c'è scritto?»
«... Unizona 5, Terra, 1027 d. U.» recitò.
Ric fischiò. «Più originale di quello, si muore.»
Revi sperimentò una sensazione dolceamara a quella conferma. Da un lato, era sollevato che il chip e, di conseguenza i suoi ricordi, non fossero falsi; dall'altro, erano ricordi terribili e una parte di lui avrebbe preferito averli persi per sempre.
«Io... non capisco» bisbigliò Kelon. «L'ultimo atterraggio sylcra riuscito risale al 1022. Cinque anni prima che questo chip esistesse. Come ha fatto ad arrivare su Calàudi? A finire dentro Revi? E perché?»
«Kel, il sistema di difesa planetario era loro, non puoi aspettarti che non sapessero aggirarlo. O che a Fyn non sfuggisse qualche solcatore nel bel mezzo di una guerra planetaria anch'essa.»
«L'ho riprogrammato personalmente» disse con tono sconnesso e sguardo assente. «E abbiamo ritrovato i resti di ogni singolo solcatore che aveva rilevato e che Fyn aveva abbattuto.»
Ric gli toccò la spalla e Kelon si riebbe. «Il chip è qui, in qualche modo deve aver raggiunto Calàudi. Magari la memoria ti inganna» si azzardò. «Andiamo a dare un'occhiata ai registri prima di imbarcarci in teorie al limite del complotto.»
Kelon sospirò piano e abbandonò la sua mente con riluttanza. «Sì, è la mossa migliore. Con un po' di fortuna, i danni sono limitati all'esterno e riusciremo a recuperare qualche informazione dal chip... Almeno adesso è chiaro perché sia così deteriorato.»
«Cioè?» inquisì Revi.
Kelon fu preso allo sprovvista da quella domanda e Ric lo batté sul tempo.
«Perché in pratica è un reperto, ragazzo. È un miracolo che sia ancora integro.»
«Sei o sette anni mi sembrano pochi per chiamarlo "reperto"» commentò. «E li fanno resistenti, mi pare normale che è integro.»
Kelon arricciò il naso largo come non avesse sentito bene. «Sei o sette anni...?»
Revi arrossì. «Beh, forse otto o nove. La mia età precisa non me la ricordo, ma sono sicuro che me l'hanno messo quando ne avevo dodici. Perciò, troppo tempo fa non può essere.»
Kelon lo osservò in silenzio per qualche interminabile attimo. «Revi, mi sapresti dire in che anno sei nato?»
«No... Ero serio, non—»
«Te lo ricordi, sì. Ho capito» lo anticipò. «Ma se dovessi fare una stima approssimativa, quale sarebbe?»
Revi ragionò per un po'. «Nel... 1015 o 1016. Penso... Perché mi fissi in quel modo?»
Kelon lo stava squadrando di nuovo con un estremo, inumano interesse tale da mettergli i brividi. «Perché tento di capire se sia il trauma cranico a parlare o se tu creda veramente di essere nato più di trecento anni fa.»
Revi rise con un secondo di ritardo. «Cosa?»
Tryn gli acciuffò il mento e gli avvicinò una collanina luminosa al viso. «Le pupille sono reattive e uniformi. Non biascica o confonde le parole e gli esami di stamattina erano perfetti. Niente indica che abbia riportato danni cerebrali dai—»
«Ovvio che non ho il cervello rotto!» le urlò, liberandosi. «Siete voi che mi state pigliando per—»
Revi colse di sottecchi l'espressione turbata sul viso di Ric e non ne fu più tanto certo.
Che Tryn stesse al gioco di Kelon, era scontato. Anche se non avessero avuto lo stesso cognome, la dinamica tra loro due era chiaramente quella tra subordinato e superiore.
Che Ric, che aveva trattato Kelon da proprio pari, l'aveva sgridato e rimesso al posto senza remore, stesse al suo gioco, non lo era altrettanto.
«Se questo... è un trucco idiota per farmi sputare qualche—»
«Nessun trucco» lo troncò Kelon. «A che servirebbe? Non hai informazioni da sputare.»
"È davvero...?"
Revi rise ancora, più e più volte di fila, in sbuffi che finirono per assomigliare ad ansimi. «No. No! Non è... non è...»
«Possibile? No, mi trovi d'accordo, non lo è» ribatté Kelon. «Perché se lo fosse, non saresti su Calàudi. Non saresti vivo.»
Sebbene lui si stesse avvicinando, la voce di Kelon gli giungeva distorta, ovattata dal battito folle del suo cuore e dal vorticare inconcludente dei suoi pensieri.
«Vero è che hai mostrato una certa avversione al morire e al restare morto. E in qualche modo hai resistito al mio potere. E come se non bastasse, c'è tutta la questione con Keras da considerare. Il che mi porta a reputare questo nuovo dettaglio del mistero che ti riguarda non così impensabile.»
Kelon si chinò sulle ginocchia, socchiudendo gli occhi per studiarlo meglio, e Revi si sentì persino più in trappola di quando era controllato come una marionetta; lo sguardo con cui lo inchiodava non era più quello di chi si sarebbe accontentato di indizi e mezze verità.
«... Tryn, Revi sopporterebbe qualcosa di più di un pizzico della mia energia divina?»
«Beh, ho evitato di proposito di curarlo con la mia Benedizione, quindi—»
«No, neanche per sogno» s'impose Ric. «I suoi ricordi sono praticamente dietro un muro. Non sarebbe una tipica passeggiata nella sua mente, sarebbe un'irruzione. La scelta più sicura è aspettare che riemergano da soli.»
«E quanto ci vorrà? Giorni? Fasi? Anni?» domandò Kelon. «Non possiamo permetterci di rispettare i suoi tempi. Con dei sylcra là fuori, ogni secondo conta.»
Ric sbuffò. «Non fingere di volerlo fare per un motivo che non sia assecondare la tua curiosità. Un minuto fa eri più che pronto ad alzare i tacchi e cercare risposte altrove. La sicurezza della nostra gente non valeva la tortura di un bambino allora, ma improvvisamente adesso sì?»
Kelon si raddrizzò e le iridi gli si infiammarono ma, al contrario di Revi, Ric non ne fu minimamente spaventato.
«Hai ragione, le stranezze di Revi mi incuriosiscono e vorrei trovare loro una spiegazione al più presto» ammise. «Sai cos'altro mi incuriosisce? Scoprire quale tecnologia fa sì che un ragazzino nato nel 1015 ancora respiri. E sai perché? Perché è la prima, di chissà quante, che i discendenti della civiltà immortalata nella storia per aver conquistato la galassia in mezzo migliaio d'anni, proprio grazie alle loro rivoluzioni scientifiche e tecnologiche, hanno avuto ben tre secoli per perfezionare. E gradirei conoscerle prima di ritrovarle puntate addosso alla nostra gente e alla nostra famiglia.»
«Ma—»
«Inoltre» lo interruppe. «Mi sembra di ricordare che l'ultima volta che ho dovuto ricorrere a questa spiacevole tecnica su uno dei nostri prigionieri più recalcitranti, tu eri proprio lì in quell'angolo a goderti le sue urla. Per cui, tu non fingere di aver improvvisamente sviluppato una coscienza quando si tratta di sylcra soltanto perché questo sylcra è un ragazzino.»
Ric strinse i denti, schiacciandovi ogni protesta rimanente. «Entri, ottieni le informazioni di cui abbiamo bisogno ed esci. Se mi accorgo che stai curiosando dove non ti compete causandogli della sofferenza inutile, ti tiro fuori per i capelli.»
«Sissignore» sibilò.
Kelon tornò a badare a Revi e forzò un sorriso rassicurante, ma la luce delle sue iridi non fece che acuirsi.
«Ora. Hai fatto del tuo meglio per essere collaborativo, per cui mi dispiace adottare quei metodi poco civili ed educati a cui accennavo, però—»
Revi saltò giù dal letto e si fiondò alla porta. Non aveva un piano concreto né lo scheletro di uno – a malapena era in grado di mettere in fila due pensieri, con il panico che gli pompava nelle vene. E anche se fosse riuscito a mantenere la calma e ragionare, semplicemente non esisteva un piano che gli avrebbe permesso di lasciare quella stanza.
Eppure, l'impulso di fuggire lo stesso fu troppo forte per essere ignorato.
Kelon sospirò. «Qui, bimbo.»
I piedi gli si pietrificarono così repentinamente da farlo ruzzolare. Revi salvò la testa riparandola dietro le braccia, ma la botta finì comunque per stordirlo.
Il suo corpo, tuttavia, si rialzò e marciò subito indietro, per poi sedersi sul bordo del letto con la schiena ben dritta e il mento alto.
Revi strattonò ancora quei fili invisibili che lo vincolavano al volere di Kelon, ma stavolta non riuscì neanche a scuoterli. "No! Fa' qualcosa! Supplicalo, piangi, ma fermalo, per Dio!"
«T-ti prego, non—»
«Farò in fretta» lo scavalcò, e gli afferrò la fronte.
Quel tocco fu tutto ciò che servì perché Revi perdesse il controllo della propria mente; perché essa non divenisse altro che creta nelle mani di Kelon, sua da plasmare e manipolare a piacimento.
E sua da rivoltare.
Mentre Kelon avanzava dentro di lui, Revi ebbe i pensieri ronzanti e agitati scacciati a buffetti come mosche fastidiose; la paura soffiata via e dispersa come polvere da un soprammobile; e l'ansia seccata, con passi rapidi e sicuri a guadare il letto in cui a lungo aveva scorso.
Sarebbe stato liberatorio, essere svuotato in quel modo, se puro fuoco non avesse seguito Kelon ovunque andasse.
Si addensava in faville, in lingue vorticanti, ricalcava le orme e le impronte da lui lasciate. E al contrario del pizzico, non si estingueva in una frazione di secondo: divampava e divorava, correndogli per vene e capillari come scintille su una miccia.
Quando Kelon infine giunse a destinazione e spalancò i portoni della sua memoria, Revi era già sull'orlo di perdere i sensi.
Decine di ricordi vi si riversarono come comete, ma soltanto alcuni rallentarono abbastanza – o furono costretti a rallentare – da essere compresi.
La microscopica stanzetta di un solcatore di trasporto truppe, dove un ragazzo dal viso zeppo di lentiggini armeggiava con chissà che aggeggio, seduto a una scrivania improvvisata. La nuca di una ragazza dai capelli ricci che trascinava Revi per mano in un corridoio interminabile, riempito dal loro sghignazzio. Un campo di battaglia assordante, grigio e rosso, affrontato in una carica disperata. Del whisky che sgorgava da una bottiglia rovesciata e si spandeva lento verso un paio di candeline accese raffiguranti un venti. Il sorriso di Yaro, caldo e rassicurante, offerto insieme a un biscotto.
"Ah. Sono andato troppo avanti" si lamentò Kelon; la sua voce scosse le pareti stesse del cervello di Revi. "Perdonami, faccio spazio."
Molti ricordi furono risucchiati oltre i portoni e altrettanti ne furono sputati. Kelon ne acchiappò certi al volo, altri li accalappiò e altri ancora li attirò; quali che fossero, tutti finivano per essere spiegati e poi scartati ai suoi piedi come carta straccia.
"Ma quand'è che sei approdato su Calàudi?" domandò, tanto a lui quanto a sé stesso. "E quand'è che hai—"
"Basta..." implorò Revi; la sua, di voce, a stento fu in grado di concretizzarsi. "Ti scongiuro..."
"Ho... quasi fatto, te lo prometto" gli garantì, per la prima volta da quando lo conosceva, con tono genuino, umano. "Tu resisti. Cercherò di rendertelo più facile."
Kelon tenne fede a quelle parole e deviò dal compito per un attimo per alleviare la sua sofferenza, ma qualche goccia di pietà non scalfì neppure l'incendio che ormai imperversava nella testa di Revi.
"Per... favore..."
"Un altro po'. Resisti solo un altro po'."
Revi non rispose, non ne ebbe più la lucidità. Gli sembrava che le fiamme si fossero infine spinte fin dietro i suoi occhi, fin dentro il suo cuore, e l'intero universo fosse composto di ombre e bruciature.
"Ci sono! Vedo Calàudi e... un solcatore! Ma... è da ricognizione? Eri in avanscoperta? Questo significa che sei l'unico—"
Revi crollò sul pavimento con un tonfo sordo, annaspando e tossendo come avesse i polmoni pieni di fumo. Aveva la vista annebbiata, i timpani perforati da un fischio acutissimo e la pelle pulsante; in bocca, aveva il sapore della cenere.
China sopra di lui c'era Tryn, che continuava a prendergli il mento per obbligarlo a guardarla mentre si indicava il viso; stava parlando, ma Revi non la sentiva e a stento la distingueva.
«Brucia» sussurrò; o forse lo pensò e basta.
Poi dovette svenire per qualche tempo, perché al risveglio era nella doccia del piccolo bagno, sotto una pioggia di acqua gelida.
Revi inspirò di colpo e artigliò le mattonelle per sfuggirvi.
«Va tutto bene!» si affrettò a rassicurarlo Tryn, abbassando il miscelatore. «Respira!»
Revi la fissò a occhi sgranati, tremante, zuppo e smarrito.
«Va tutto bene» ribadì. «Hai avuto un colpo di calore, tutto qui.»
Ric, dietro di lei, si affacciò dalle porte scorrevoli con una timidezza che non gli si addiceva. «Come sta?»
«Lui... si riprenderà» semplificò Tryn. «Ma come sua Carità, non ho intenzione di autorizzare nessun altro salto nella sua—»
«Oh, non preoccuparti» sibilò Ric, lanciando un'occhiata affilata a Kelon. «Dopo oggi, sarà un miracolo se permetterò a Kelon anche solo di guardare il ragazzo da troppo vicino.»
Kelon incrociò le braccia ed evitò qualunque sguardo, in un atteggiamento che Revi faticò a identificare come colpevole se cucito addosso a lui.
«Riconosco... di aver commesso un piccolo errore di giudizio, ma considerando il lato positivo—»
«L'avresti ucciso, se io non fossi intervenuto!» sbottò Ric. «Non parlarne come fosse uno sbaglio da niente!»
«E mi dispiace, va bene?!» ribatté con uguale intensità. «Non credevo che avrebbe rischiato l'autocombustione in due schifosi minuti! Un ottantenne sul letto di morte avrebbe resistito di più!»
«Credevi o speravi?» lo incalzò Ric.
Le iridi di Kelon si accesero di rabbia. «Non osare insinuare che avrei sacrificato la sua vita per capriccio. Tu mi conosci.»
«Invece il Nume irresponsabile e impietoso che ho assecondato nella folle scommessa di scambiare le pene atroci di un bambino per chissà quale fantomatico vantaggio—»
«Tu non c'eri durante la Riconquista!» proruppe. «Non hai visto in prima persona cosa ha fatto la sua gente alla nostra! E se ritieni un Brigadiere un bambino innocente, sei pure più—»
«Capo» lo chiamò Tryn. «Questo non è il luogo né il momento.»
Kelon si passò un palmo sul viso e le sue iridi si spensero. «Perdonatemi. Non era mia intenzione perdere il contegno. Chiudo il discorso dicendo che avrei preferito scoprirlo senza mettere Revi in pericolo, tuttavia il fatto che lui non appartenga a una civiltà sylcra sviluppatasi in seno a Calàudi, ma sia un semplice ricognitore che vi è incappato, è di fondamentale importanza per i nostri piani futuri» si giustificò. «L'Unitariato continua a essere morto su Calàudi, ma là fuori è più vivo che mai e le nostre difese devono essere aggiornate per affrontarlo.»
Ric gli voltò le spalle come non riuscisse nemmeno a guardarlo. «Noi andiamo a fare rapporto al Consiglio. Ti aiuto a riportare il ragazzo di là, prima?»
Tryn osservò Revi in un tacito quesito.
«No, no, andate!» si sbrigò a rispondere. «C-ce la faccio.»
«Sicuro?» insistette Ric.
Revi si sforzò di alzarsi per dimostrarglielo e, prima ancora delle gambe, fu la testa a tradirlo. Una vertigine mista a un'emicrania la attraversò, strappandogli un gemito e minacciando di cappottarlo.
Kelon scattò d'istinto in avanti e gli tese una mano. «Posso far sparire il dolo—»
«Non toccarmi, cazzo!»
Revi perse l'equilibrio e cadde in ginocchio, ma nemmeno avvertì la botta sopra l'ondata di terrore che l'aveva travolto.
Tryn accorse da lui. «Ti sei fatto male?»
Kelon avanzò di nuovo, al posto di indietreggiare, e Revi scalciò per incastrarsi nell'angolo della doccia.
«Non essere illogico, ho solo—»
«Ti ha dato la sua risposta» sottolineò Ric, sbarrandogli la strada.
«Ma io—»
«Tu dovresti andare, adesso, Capo» s'intromise Tryn. «A Revi ci penso io.»
Kelon lesse l'atmosfera ostile nella stanza e infine si arrese. Si sistemò la camicia con fare aristocratico e si schiarì la gola.
«D'accordo. Io e Ric torneremo dopo—»
«Domani come minimo. Se non il prossimo ciclo» lo corresse lui. «Il ragazzo si merita un po' di pace.»
«... Come vuoi.»
Ric attese che Kelon uscisse dal bagno, quindi si congedò con un cenno del mento e lo seguì come un'ombra finché entrambi non sparirono nel corridoio.
Tryn e Revi restarono in silenzio persino più a lungo.
«... Io non so cosa gli sia preso» confessò lei. «Di solito, è un po' insensibile e brusco, questo sì. Ma non avrei mai pensato che...»
«Che mi torturava senza farsi mezzo scrupolo?» domandò Revi, ancora rannicchiato su sé stesso. «Cos'hai, cinque anni? O sei soltanto stupida?»
Tryn accusò il colpo e Revi nascose pentito il viso nell'incavo del gomito.
«Scusa, non... È che... Va' via, per favore» la pregò, rifuggendo il suo sguardo. «Ho bisogno di stare da solo per un po'.»
Tryn si cucciò e montò il miglior sorriso comprensivo di cui fu capace. «E a me piacerebbe accontentarti, ma prima devo cambiarti i bendaggi.»
«Non puoi farlo un'altra volta?»
«No, se per te è una priorità scongiurare le infezioni» replicò. «Mi leverò di torno appena finito. Promesso.»
Revi annuì con un sospiro.
«Ci sono dei vestiti asciutti in quel mobiletto nell'angolo. Se ti serve una mano—»
«No.»
Tryn si rialzò. «Va bene, allora. Ti aspetto di là, hm?»
«Hm.»
Revi la raggiunse poco dopo e si accasciò sul letto con la maglietta già alzata per ridurre al minimo le chiacchiere. Pochi minuti prima, sarebbe arrossito e avrebbe sbirciato Tryn di continuo per intuire quando avrebbe avuto il permesso di ricoprirsi; ora, contemplava apatico il vaso di fiori freschi sul comodino senza neanche riuscire a inquadrarlo.
«Te li manda Yaro» lo informò Tryn.
Revi spostò confuso gli occhi su di lei.
«I fiori» chiarì. «Tecnicamente, sono da parte di tutto il plotone. Come augurio di pronta guarigione. Ma l'idea è di Yaro. Ed è stato lui a sceglierli e portarli. Ti ha pure scritto un bigliettino.»
Revi li scorse d'un tratto alla perfezione ed ebbe l'impulso di strapparli. «Beh, digli che se li può infilare in culo uno per uno.»
Tryn restò a bocca aperta; non tanto per la volgarità, sospettò Revi, quanto per la rabbia in cui era stata avvolta. «Ti ha salvato la vita. Come puoi—»
«Salvata? Me l'ha fottuta! Mi ha fatto abbassare la guardia e poi mi ha pugnalato alle spalle. Anzi... lanciato. E adesso, per colpa sua, sarò un prigioniero finché non schiatto!» soffiò. «Se doveva proprio ammazzarmi, almeno... almeno poteva farlo bene...»
«Tu... credi che sia stato Yaro a scagliare la lancia?»
Revi sbuffò. «Era la sua, no? Chi altro aveva—»
«Sua cugina» lo sovrastò Tryn. «Sua cugina Zev. Sai, la ragazza alta, coi capelli rossi, che ha provato a ucciderti fin da quando ti ha visto.»
"... Oh."
«Quello che Yaro ha fatto è stato convincere il guaritore del suo plotone a non lasciarti morire dissanguato» precisò. «E rischiare il mantello da Messo e l'eredità di un'intera linea di sangue pur di scamparti un'esecuzione.»
"Lui ha..."
«... Ma perché?»
Tryn scrollò le spalle. «Yaro è fatto così. Non riesce a starsene buono davanti alle ingiustizie o alle persone in difficoltà... Anche se le suddette persone non avranno neanche la decenza di essergli grato per il suo aiuto.»
Revi si ingobbì. «Non dirgli che ho detto quella cosa... Digli "grazie".»
Tryn terminò il lavoro con un taglio di forbici e addolcì l'espressione. «Glielo dirai tu. Sono sulla buona strada per persuadere la Divina Lera ad autorizzare qualche visita. E Yaro è sulla buona strada per non aspettare l'autorizzazione e presentarsi comunque.»
Revi abbozzò un sorriso. «Non è uno che rispetta le regole, eh?»
«Oh, al contrario, Yaro è fissato con le regole e le rispetta alla lettera. Il problema è che lo fa solo con quelle che gli piacciono.»
Revi ridacchiò piano, per non peggiorare il dolore, e Tryn gli sfregò una gamba per conforto.
«Ti attacco le flebo. Ti sentirai meglio presto.»
Revi adocchiò la sacca di sangue viola. «Pure quella mi attacchi?»
«È del Divino Kelon, non preoccuparti.» Nel vedere Revi scrutarla stranito, si spiegò oltre. «È compatibile con il sangue di qualsiasi specie nell'universo. In senso stretto, non è nemmeno sangue, nonostante lo sembri in apparenza.»
«Hm. Ma sei sicura che non mi ammazzerà?»
Fu Tryn a ridacchiare. «Lo giuro sul mio onore di Carità. Un Custode passerà tra poco con la tua cena. Chiedi a lui di staccarti il deflussore. Che l'unica cosa che staccherò io sarà me stessa dal doppio turno.»
Si estrasse dalla tasca lo stesso telecomandino con cui gli aveva disattivato le manette in precedenza e lo azionò. Il polso di Revi fu proiettato all'indietro e sbatté con forza contro la spalliera del letto. Presa a sbadigliare e stiracchiarsi, in un primo momento Tryn non notò lo sguardo spasmodico con cui Revi lo seguì. E quando infine lo fece, lo mal interpretò.
«È il protocollo, scusa. Mentre ti somministro le flebo, sei bloccato a letto. Ti libererà il Custode» gli assicurò. «Noi due ci vediamo—»
«Aspetta!» gridò, afferrandole la gonna. «Prima... uh, prima che vai, mi... dici che c'è scritto sul bigliettino?»
Tryn strabuzzò le ciglia.
«Io... so parlare la vostra lingua. Non leggerla... L'alfabeto è diverso.»
Tryn sorrise e pescò il bigliettino. Lo dispiegò con fare teatrale e si schiarì la voce nel declamare... ignara della mano di Revi che sgusciava nella sua tasca e rubava il telecomandino.
«"... e che ti porterò un'intera teglia di biscotti al cioccolato per farmi perdonare. Riprenditi!"»
Revi si sbrigò a nasconderlo sotto il cuscino prima che Tryn, rimesso a posto il bigliettino, si girasse.
«Ti serve altro, prima che scappi?»
«No, no, sto alla grande. Grazie.»
Tryn gli scoccò un occhiolino. «E di che, ammi. Ci vediamo domani.»
«Sì. Uh, ciao.»
Revi attese che Tryn uscisse e chiudesse la porta dall'esterno; poi che i suoi passi si affievolissero; e solo dopo un paio di minuti extra, di sicurezza, agguantò il telecomandino.
"Come funziona?!"
Revi cliccò i pulsanti in ordine – ritrovandosi a un certo punto persino incastrato con entrambi i polsi contro la spalliera; o piegato in avanti, perché anche il pavimento era capace di attrarle – finché, con l'ultimo, quel solco dello spessore di un'unghia non si schiuse di un paio di dita.
Stette per togliersi subito le manette, ma si ricordò dell'avviso di Tryn.
"Sta per arrivare il... la guardia con la cena. Non mi conviene fuggire adesso, mi scoprirebbero subito. Meglio farlo a stomaco pieno, magari stanotte, quando la guardia sarà stanca e mi sarà più facile sopraffarla in caso di—"
La porta si spalancò all'improvviso e Tryn l'attraversò per curiosare nella stanza.
«Revi, per caso hai visto il—»
Revi si affrettò a infilare il telecomandino sotto i vestiti, ma fu troppo lento e Tryn lo colse in fallo. Non chiamò aiuto, né fiatò o si mosse. Lo fissò – e Revi fissò lei – in un silenzio teso e fremente che nessuno dei due osava spezzare.
"Vuole... permettermi di fuggire?"
Revi considerò seriamente quella possibilità. E fu certo che Tryn stesse facendo lo stesso. D'altronde, aveva assistito in prima fila al trattamento che i suoi carcerieri gli avevano rifilato; e che ne fosse rimasta molto scossa non era un segreto.
Ma un fremito di paura fuggitivo nell'espressione rese palese a Revi che era stata la lealtà a vincere il dibattito, e che quella facciata di comprensione era sfociata in una recita, per cui scattò in piedi.
Tryn si voltò all'istante per fiondarsi al lettore a muro esterno e richiudere la porta. Non fece in tempo. Revi la strattonò all'indietro per la cappa e la imprigionò tra le proprie braccia, tappandole la bocca.
«Non—»
Tryn gli pestò un piede con tutta la forza che aveva, troncandolo. Riuscì a compiere mezzo passo e gridare mezza parola prima che Revi la colpisse in testa di rovescio con ancora le manette ai polsi.
Tryn ondeggiò, la tempia spaccata dal metallo che perdeva sangue sul suo visino e gli occhi appannati, e si accasciò con un versetto soffocato. Revi l'accompagnò a terra e si strappò le manette di dosso.
«Mi dispiace, mi dispiace!» bisbigliò. «Dovevo farlo.»
Tryn era troppo stordita per capirlo e rispondergli; o per protestare, quando Revi mise a lei le manette e le attivò, agganciandole al pavimento.
«Ti lascio il telecomando qui, così quanto ti riprendi—»
Revi udì uno sferragliare lontano e guardò nel corridoio giusto in tempo per incrociare lo sguardo del Custode, che stava arrivando con la sua cena su un carrellino.
Si lanciò sulla porta nello stesso momento in cui il Custode si lanciò verso la stanza. Revi la chiuse dal lettore esterno con la carta d'accesso di Tryn, con una sedia incastrata sulla soglia per impedirle di richiudersi dietro di lui, e spaccò lo schermò per accertarsi che non potesse essere riaperta.
Sgusciò all'interno e sfilò la sedia per far scorrere la porta un secondo prima che la punta di una lancia la ammaccasse.
"Merda!" Indietreggiò un altro po'. "La via di fuga è andata! Non esiste che lo metti k.o.! È un armadio!"
Tryn gemette piano e Revi meditò di usarla come ostaggio, ma nel migliore dei casi la porta sarebbe stata aperta meccanicamente in un paio d'ore; nel peggiore a spallate in un paio di minuti.
"No, devi scappare. Ora! O in questa stanza ci schiatti!"
Revi si affacciò dalla finestra. La caduta non parve meno mortale quando ne prese di nuovo le misure, come aveva ingenuamente sperato.
"La... devi attutire!"
Revi tirò le lenzuola dal letto e le annodò in una corda che fece capo alla struttura in ferro che lo costituiva; quindi, spinse il materasso fuori dalla finestra. Quello atterrò su un modesto patio pieno di aiuole e panchine, oltre venti metri più in giù.
"Va bene, ora devi solo calarti... Ce la farai. Ce la—"
La porta vibrò e si accartocciò e Revi tagliò corto sul discorso d'incoraggiamento prima che diventasse un discorso di commiato. Salì sul davanzale e afferrò con forza la corda di lenzuola... che gli scappò di mano quando Tryn strillò.
«Revi, no!» La sua voce era incostante e la parlata strascicata. «È troppo... alto. Morirai.»
Revi riafferrò la corda e montò un sorriso spavaldo, ma non la fronteggiò, perché lei non vedesse quanto stava tremolando. «Almeno l'avrò scelto io.»
E si gettò.
Il primo tratto della corda resse senza problemi. Il secondo si sciolse non appena gli affidò il suo peso. Revi precipitò tanto in fretta da non avere il tempo di urlare. Recuperò all'impatto, per una caviglia che, più che rompersi, si spappolò.
Ma non si fermò a rifiatare, né si concesse più di un secondo per calmarsi e scacciare le lacrime. Si rialzò zoppicante e si schiantò contro la portafinestra che conduceva al gigantesco atrio colonnato della prigione... zeppo di Custodi armati.
"Merda! Merda!"
Revi non aveva modo di superarli o aggirali, e loro stavano convergendo in fretta su di lui, per cui fece marcia indietro. Si ritrovò di nuovo in trappola, stavolta con una porticina di vetro, e non una di ferro, dietro cui ripararsi. Legò le maniglie con un lenzuolo, ma fu inutile. I Custodi lo snodarono infilando una mano tra i battenti e invasero il patio, disponendosi a punta di freccia inversa per circondarlo.
Revi retrocesse ancora, fino a sbattere la schiena contro la balaustra che affacciava su un dirupo nel versante del monte. Vi si arrampicò, ma vi rimase cucciato; la cimasa della balaustra era a malapena più spessa della pianta dei suoi piedi e con uno fuori uso gli sarebbe stato impossibile mantenere l'equilibrio a lungo.
«Un altro passo e mi butto, chiaro?!»
«Non ce n'è alcun bisogno!»
Un uomo alto e biondo sbucò dalla massa indistinta e ribollente di Custodi, che si scostò per agevolargli il passaggio.
«Sei Revi, giusto?»
Revi non fu in grado di notare altro nel suo aspetto che non fosse quel paio di maledette iridi viola.
«Tu sei... imparentato con Kelon?»
«Sono suo fratello» confermò. «Mi chiamo Fyn.»
«Sei un Dio pure tu?»
«Sì.»
Revi gesticolò con foga. «Allora ordinagli di levarsi!»
«I Custodi si ritireranno quando tu scenderai da lì.»
«Beh, io non scendo finché loro non si levano!»
«E lo capisco, ma—»
«Cosa speri di ottenere con questo ridicolo spettacolino?!»
Revi rischiò di scivolare dalla balaustra nel sentire la voce di Kelon. Era comparso in un istante sulla soglia della portafinestra, con Ric e una donna sconosciuta al seguito. Aveva i capelli elettrizzati e i vestiti fumanti; forse, ciò aveva a che fare con i ripetuti boati di tuono, nonostante il cielo sgombro, che il cervello di Revi aveva percepito ma non aveva registrato a pieno. Dopotutto, dell'estensione dei poteri di quei bizzarri dei, non sapeva nulla.
«Torna dentro» sibilò Kelon.
«Così puoi torturarmi finché non crepo?!» strepitò. «Piuttosto la faccio finita adesso!»
Kelon barcollò all'indietro e Revi comprese, dalla sua smorfia scioccata, che doveva aver tirato i fili invisibili per costringerlo al suo volere; e aver scoperto che quelli non avevano neppure attecchito.
"Non funzionano più su di me?!"
«Di che sta parlando?» domandò Fyn.
Kelon schivò il suo sguardo inquisitore. «Ne discutiamo dopo.»
«Kelon, hai forzato la sua mente?»
«Ammi, mi sgriderai più tardi. Adesso abbiamo un tentato suicidio da sventare.»
Fyn scosse la testa con disappunto e lo maledisse sottovoce; una nube di scintille gli saettò attorno alle mani.
"Ma che cazzo?!"
«Soggiogalo» propose la donna.
«Lo farei, se potessi, Patt!»
«Che significa che non puoi?»
Kelon lo indicò irritato. «Che per qualche motivo, Revi ha acquisito un'immunità al mio potere!»
«Ma questo non ha alcun senso.»
«Per tua informazione, sarebbe l'ultima di una lunga serie di cose riguardanti Revi che non hanno—»
Ric, che era l'unico che aveva mantenuto l'attenzione su di lui, si fece avanti. «Ragazzo, ascolta me. Quello che è successo oggi non si ripeterà mai più» sostenne. «Ti do la mia parola.»
Revi sbirciò Kelon e rabbrividì. «Non mi basta.»
Un lampo di colpevolezza, che stavolta calzò a pennello, balenò nel piglio stoico di Kelon e lo spinse a prendere parola.
«Hai anche la mia» affermò, avanzando a mani alzate e capo chino. «Il mio risentimento nei confronti della tua gente non avrebbe dovuto farmi sentire autorizzato a ignorare i tuoi limiti. E ad anteporre la mia curiosità alla tua salute e sicurezza. D'ora in poi sarai trattato con rispetto, compassione e dignità... Come sarebbe dovuto accadere fin dall'inizio.»
«Non mi basta!» ribadì Revi. «Voglio una garanzia che mi lascerete andare!»
Kelon espirò con difficoltà. «Questo non è possibile.»
«Non subito, non sono stupido!» sbottò. «Quando vi avrò detto tutto! Quando avrò mantenuto la parola e me lo dovrete!»
«Revi, tu non capisci. La tua cella è l'unico posto sicuro per te sull'intero pianeta» dichiarò. «Se acconsentissimo alla tua richiesta e ti liberassimo, alla meglio saresti preso a sassate appena uscito dall'Ala di Contenimento. Alla peggio saresti ucciso dai Custodi o dagli Urbici che ti scorterebbero all'uscita dell'Ala o per le strade. La tua gente ha causato l'estinzione dei loro antenati. Non sarai mai altro che un nemico ai loro occhi.»
Revi strinse i denti. «Allora datemi un solcatore e fatemi lasciare—»
Kelon soppresse una risata nervosa. «E dove vorresti recuperarlo, un solcatore?»
«Ne avrete almeno uno!»
«No, li abbiamo distrutti tutti mentre epuravamo Calàudi dall'Unitariato! Perché non potessero abbandonare il pianeta!» chiarì Kelon. «Te ne dovrei costruire io uno da zero!»
«Bene! Costruiscimelo e—»
«D'accordo, gli abbiamo dato retta pure troppo a lungo» decretò Patt. «Custodi, catturate il prigioniero.»
Revi scattò in piedi e chiunque sul patio sussultò nel vederlo vacillare.
«Mi butto di sotto!» minacciò, a braccia aperte per inseguire disperatamente un minimo di equilibrio. «Giuro che mi butto!»
«Fallo» lo incoraggiò Patt, con una scrollata di spalle disinteressata.
"Cosa...?"
«Patt!» la sgridò Fyn. «Per la Dea, che stai—»
«Hai intenzione di passare qui la notte?» lo interruppe. «Perché il mocciosetto è intelligente e non verrà giù di lì finché non sverrà dalla stanchezza. O noi non asseconderemo le sue richieste. E nessuna delle due cose avverrà tanto presto. Per cui...»
Patt scrutò Revi con un'espressione di sfida.
«... avanti, mocciosetto. Buttati, se ne hai le palle, e chiudiamo questa storia.»
«Revi, no!» lo pregò Ric. «Ignorala e affidati a me!»
Kelon adocchiò il fratello dalla propria spalla e lui sbuffò, come davanti a una richiesta ingiusta. Fyn iniziò a molleggiò sulle ginocchia a mo' di pugile, spargendo scintille a ogni saltello.
Revi li guardò dal primo all'ultimo e quindi guardò giù; eppure, nemmeno la disperazione fu capace di fornirgli abbastanza coraggio da affrontare il vuoto.
«E va bene!» Si arrese. «Starò alle vostre condizioni, ma per favore—»
«Le nostre sono che tu scenda da lì e basta. Delle tue non ci importa nulla» lo sovrastò Patt. «Thay, rimuovilo con la forza, se necessario.»
Uno dei Custodi più giovani, dalla faccia da schiaffi e i capelli rossi, si separò dal gruppo per braccare Revi e gli agguantò il polso.
«Vieni giù, sylcra.»
Revi si dimenò. «No, lasciami! Ti prego!»
Thay schioccò la lingua. «Non te lo ripeterò una terza volta. Vieni giù o—»
«Ho detto lasciami, cazzo!»
Una frazione di secondo.
Fu il tempo necessario perché qualcosa si sbloccasse dentro Revi. Una fiammella, che prima di quel momento una folata di vento sarebbe stata sufficiente a estinguere, divampò e crebbe e crebbe, fino a trasformarsi in una stella.
La realtà stessa si piegò alla sua gravità. Spine fatte della pietra del patio, del terreno delle aiuole e del ferro delle panchine si innalzarono come placche durante un terremoto, con Revi come loro epicentro.
Thay fu il primo a esserne travolto. E quello a cui spettò il destino peggiore. Fu impalato e sollevato a un metro dal suolo, con la mano ancora protesa e la bocca aperta; il petto dilaniato, le costole spezzate e un occhio trapassato.
La seconda ondata arrivò invece agli altri Custodi. Li spazzò via come soldatini giocattolo e irruppe nelle loro fila, in un tripudio di carni strappate e arti menomati.
Quando la terra infine smise di ribollire, gli unici ancora in piedi erano Revi, Fyn e Kelon, che per qualche ragione le spine avevano evitato di proposito.
«Revi...» Kelon mosse un passo instabile in avanti e sussurrò il suo nome a fior di labbra; non con spocchia, non con compassione, non con arroganza: con una delicatezza incredula, con un dolore fresco di rinascita. «... Sei davvero tu?»
Revi crollò dapprima in ginocchio, esausto e spento, e poi all'indietro verso il dirupo. Se il vuoto non lo reclamò, fu perché Fyn si mutò in fulmine e si schiantò contro la balaustra. La sfondò, ma ebbe la prontezza di acciuffarlo per le gambe e lo tirò sul patio con l'aiuto di Kelon.
Entrambi lo inondarono di parole, di tocchi leggeri su viso e braccia per riscuoterlo. Revi non riuscì ad ascoltarli; o a spiegarsi cosa fosse quel potere a cui aveva attinto; o a ipotizzare che quello fosse il mero delirio di una mente morente e lui in realtà non si fosse mai rialzato dal materasso.
Fu soltanto in grado di chiedersi perché quel suo riflesso, specchiato sullo scudo riverso di uno dei Custodi, fosse sbagliato.
Perché quel suo riflesso lo guardasse con un paio di iridi viola.
E di abbandonarsi alla stanchezza.
◄●►
Foto: Ric Nurak, Guardia del Nume della ragione.
E con un giorno di ritardo rispetto a quanto stabilito (se non consideriamo i mille mila rinvii >-<) finalmente il capitolo 4 è concluso. Ora capite perché ci ho messo una vita??? Non solo è lunghissimo, è pure iper complicato!
Spero che sia valso l'attesa e che questo primo colpo di scena vi abbia sorpresi senza cogliervi del tutto impreparati (li avete notati gli indizietti? Io mi sono divertita tantissimo a piazzarli fin dal prologo!). Detto ciò, questo capitolo "mi ha completamente confiscato la vita, consumata come solo un lavoro da eroi riesce a fare", perciò mi godo un weekend di relax e ci aggiorniamo lunedì sulle tempistiche del prossimo. A presto!
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