Capitolo 2 - Dèi e Mortali (Parte Seconda)

«Oh, andiamo, Nurak. Non fare quella faccia» si lamentò la Divina Lera. «Non ti si chiede nulla che sia al di là delle tue capacità.»

Tryn la fissò spiazzata. "Nulla che sia...? Ma fa sul serio?!"

In un primo momento, diede per scontato che quello fosse sarcasmo – e del tipo fuori luogo, considerando che c'era il suo futuro in gioco; d'altronde, la Divina Lera era proprio il tipo da interventi del genere e battute di pessimo gusto.

Poi studiò meglio la smorfia felina che le si stava attorcigliando in viso e si rese conto che, per quanto indubbiamente divertita e beffarda, era anche... sincera.

In un'altra situazione, Tryn sarebbe stata lusingata dall'opinione tanto alta che la Divina Lera aveva di lei. In quella, aveva solamente una gran voglia di urlarle contro. O di scoppiare a piangere.

Forse entrambe le cose contemporaneamente.

«Mio Nume, io mi sono appena diplomata. Questa cappa non ha nemmeno un giorno» obiettò, strattonandone il colletto. «E pretendete che sia allo stesso livello di Devoti che hanno avuto una vita intera per perfezionare la propria arte?»

«No, pretendo che lo superi» replicò tranquilla.

Tryn sbuffò incredula. «... È una follia!»

«Sì, lo è» concordò, appoggiandosi alla parete di mattoni dietro di sé. «Come lo è che una ragazzetta di vent'anni passi gli esami finali da Carità, ben sei fasi prima del dovuto, a pieni voti. O che abbia un controllo tale sulla sua Benedizione di Guarigione da far invidia a Devoti adulti che hanno speso decenni anche solo per imparare a incanalarla. O che impieghi non più di dieci secondi per confezionare la diagnosi giusta partendo da un pugno di sintomi quasi vuoto. Eppure...»

«Quello... è diverso» sostenne Tryn.

«Perché? Perché quello ti viene facile e questo no?» la incalzò. «Non dirmi che basta deviare un po' dal percorso battuto per farti subito annaspare, Nurak.»

Tryn serrò la mascella. «Certo che no.»

«Bene. Perché mi hanno riferito che aspiri a diventare una Carità del fronte. Come Ela. E il nostro non è un mestiere per persone deboli di spirito» asserì, stavolta con espressione solenne e voce ferma. «La vita e la morte ci scorrono tra le mani. E spesso, la differenza tra l'una e l'altra sta nelle decisioni che prendiamo sotto pressione, in una frazione di secondo, sulla base della manciata di informazioni in nostro possesso. L'istinto che ti richiedo oggi è lo stesso che ti servirà là fuori domani. E, da quanto ne so, non ti manca affatto.»

«Ma oggi mi manca l'esperienza» puntualizzò Tryn, «e il vostro esempio e i vostri insegnamenti da accompagnargli. Domani, invece, lì avrò e sarò pronta a qualsiasi—»

«Non sarai mai davvero pronta a tutto, Nurak» la troncò. «Ancora non lo sono io dopo trecento anni, non vedo che speranze abbiate voi altri. È l'agire nonostante ciò che caratterizza un buon Devoto del fronte. È il riuscire a prevalere, volta dopo volta, su qualunque imprevisto ti si pari davanti con ingegno e sangue freddo... Cosa che, ammetto, non è alla portata di chiunque, men che meno di una neo Carità» le concesse. «Per questo, capirei se non volessi sottostare a questa scommessa e preferissi fare un esame di conferma normale, passando a occhi chiusi, a tempo debito.»

Tryn osservò Xarve e le sue bruciature. Se avesse affermato che l'idea di rimandare l'esame di conferma non fosse stata allettante, avrebbe mentito.

Dopotutto, alla luce di quella svolta, sarebbe stata la scelta più prudente. Dalla sessione seguente, quella regolare, la separavano poco più di sei fasi. Durante le quali avrebbe potuto finalmente rallentare e godersi un po' quel tratto finale della sua adolescenza – come non aveva fatto per niente nell'ultimo periodo – prima che fosse la specializzazione a portargliela via.

E sei fasi sarebbero passate molto più in fretta dell'anno intero che, se quel giorno avesse provato e fallito, sarebbe stata costretta ad attendere prima di ritentare.

Ma allettante era anche la prospettiva di festeggiare un vero successo, oltre a un titolo ancora da colmare e qualche bel voto, quella sera in taverna. Successo che l'avrebbe portata, finalmente, più vicina di un gradino al coronare il suo sogno di sempre. E che le avrebbe comunque permesso di staccare per qualche ciclo e di iniziare, per giunta, la specializzazione in anticipo.

L'unico problema risiedeva nel come si arrivava a quel successo.

«Va bene, Nurak, ascolta. Sei stata cacciata in una brutta situazione, nessuno lo nega,» premise la Divina Lera di malavoglia, «ma secondo me la stai rendendo più complicata di quanto non sia in realtà. Invece di scervellarti sui pro e i contro e girare in tondo, chiediti semplicemente se te la senti di rischiare o meno. Se sì, grandioso. Procediamo. Se no, pazienza. Non c'è disonore nel riconoscere i propri limiti, anzi. Per un Devoto è una qualità imprescindibile.»

"... Se me la sento?"

Tryn si sfiorò il petto per riflesso, come soleva fare quando era in dubbio o sovrappensiero, lì dove la collana di sua madre – sotto i lacci incrociati della cappa – le riposava contro la pelle.

Ed ebbe la sua risposta.

«Ma io i limiti non so neanche cosa siano» bisbigliò.

«... Prego?»

Tryn si specchiò nel suo sguardo smarrito e avvampò; di nuovo, la sua bocca aveva tradito la sua mente.

"Santa Dea, Tryn, controllati!"

«Oh, è s-solo una cosa che mi ha detto la nonna per...» abbozzò e si morse una guancia, in parti uguali per punirsi e per riaversi dall'imbarazzo. «Lasciate stare, non ha importanza. Accetto. Voglio almeno tentare.»

La Divina Lera la squadrò più a fondo di quanto non avesse mai fatto, con un'intensità che minacciò di schiacciarla. «Sei sicura?»

Tryn si rannicchiò su sé stessa e strusciò il pollice sul ciondolo rotondeggiante della collana, lucidandolo accidentalmente finché non scintillò quanto i petali del Sangue degli Dei cristallizzato al suo interno.

«Beh, a essere onesta, no.» Le scappò una risata nervosa. «Ma ho la sensazione che, se rifiuto, me ne pentirò fino alla fine dei miei giorni. E finora la Maestra Kipa non mi hai mai delusa. Né io ho deluso lei, a prescindere dalle miriadi di prove che mi ha rifilato. Per cui, se ha fiducia nel fatto che riuscirò anche in questa, non può essere impossibile come sembra, no?»

«O forse lo è eccome» obiettò la Divina Lera. «E il fallimento ti sarà da lezione.»

Tryn inghiottì a secco e fu molto tentata di spacciare gli ultimi minuti di conversazione per un'elaborata battuta – e non una delle sue migliori – per poi filarsela mentre la Divina Lera era preda della confusione. Ma un'occasione come quella era troppo preziosa per lasciare che la paura la rovinasse. Perciò, piuttosto che cedere a essa, Tryn incarnò la persona che più le era estranea tra quelle che meglio conosceva, sperando che lei non avrebbe notato la differenza. La maschera sfrontata e ostinata che le calò sul volto non vi calzava a pennello come avrebbe fatto su quello del Capo Kelon, ma era un'imitazione più che valida.

«Beh... allora ho un motivo in più per rischiare, mio Nume.»

La Divina Lera sorrise con la soddisfazione famelica di un cacciatore al suono di una trappola scattata. «La Maestra Kipa ti ha insegnato bene.»

«E voi a lei.»

Una risata secca risalì la gola della dea. «Moine del genere non funzionano con me, Nurak... Ma i fatti sì. Supera quest'esame in maniera decente e, magari, farò un pensierino sull'accoglierti sotto la mia ala durante la specializzazione. Hai...» Si controllò l'orologio da taschino e lo rigettò senza cura sotto la cappa. «... venti minuti.»

«Dite davvero?!» squittì Tryn. «Ricomincerete a formare personalmente degli allievi? E io sono tra i papabili candidati?»

«Frena l'entusiasmo, Nurak. Questo è ancora da vedere e ho in mente decine di nomi oltre al tuo. Ma sì, l'intenzione ce l'ho» dichiarò. «Credo sia ora... Anni fa ho giurato che mi sarei tenuta alla larga da voi cuccioli di Devoto per un po', dopo aver perso...» Si morse la lingua e cambiò a disagio posizione sulla vecchia scrivania di legno, che cigolò inascoltata nel silenzio.

Proprio come le sue parole.

Perché Tryn aveva smesso di badarvi più o meno da quando aveva realizzato di avere la possibilità di affiancare la Maestra Kipa e sua madre, e decine di altri Devoti tra i più promettenti di ogni generazione passata, nelle fila degli allievi della Divina Lera.

«E così è stato» riprese la dea, incrociando braccia e gambe. «Ma adesso è il momento di tornare ai miei compiti. Per troppo tempo li ho delegati ai miei—»

«Venti minuti?!» strepitò Tryn con una quindicina di secondi di ritardo, sovrastandola, perché tanto le era servito a metabolizzare il resto della frase.

La Divina Lera scrollò le spalle con un mezzo ghigno. «È il massimo che posso offrirti.»

«Ma sono pochissimi!»

«Sono diciannove in più di quanti ne avresti sul campo, non essere avida.» Sbirciò ancora l'orologio. «Rettifico: diciotto.»

«Mio Nume—»

«Ah-ah. Niente "mio Nume"» la fermò, scimmiottando il suo tono supplichevole. «Le condizioni sono queste e non cambieranno. Per cui, fossi in te, la pianterei di protestare prima di scendere a diciassette e mi darei una mossa.»

Tryn serrò i denti, intrappolandovi la parolaccia che si era arrampicata dal pezzettino più blasfemo del suo spirito, e si focalizzò su Xarve.

Normalmente, per far fluire la Benedizione dentro un sofferente durante una visita, il mezzo più comodo per tutti i coinvolti erano le mani. Se incosciente, si preferiva accedere dalla pancia per estendergliela allo stesso tempo su e giù per il corpo con efficienza e rapidità.

Con Xarve, Tryn meditò piuttosto un terzo approccio tanto più ostico e anticonvenzionale quanto vantaggioso: la fronte.

Addentrandosi nel suo cervello avrebbe potuto sperimentare in un colpo solo tutte le sensazioni da lei provate, come fossero state le proprie. Avrebbe rivoltato il suo sistema nervoso per scovare ogni punto d'interesse in questione di secondi invece di setacciare organo per organo in cerca di stranezze. E, se fosse stata fortunata, avrebbe addirittura potuto cogliere qualche stralcio di memoria per aiutarla nell'inchiesta.

Ma un approccio così diretto comportava dei rischi. Per Xarve, che avrebbe assorbito una quantità maggiore dell'energia benedetta di Tryn in un lasso di tempo ridotto. E per Tryn stessa, che avrebbe sperimentato su di sé qualunque cosa Xarve stesse patendo.

«C'è un motivo se evitiamo di entrare nella testa dei nostri sofferenti, salvo in situazioni di estrema necessità» le rammentò la Divina Lera. «Se non ti stordiscono gli antidolorifici, ci penserà il dolore. Sempre che tu non svenga appena vi mischiate.»

«Non succederà. Resisterò.»

Tryn prosciugò la vita dai fiori che portava intrecciati in un paio bracciali; e poi da quelli che indossava come cavigliere, per sicurezza. La intessé in sua protezione, in una calda maglia stretta e resistente, che avrebbe demarcato dove iniziasse e finisse lei e dove lo facesse Xarve, persino mentre sfumavano l'una nell'altra.

A lavoro ultimato, la pelle scura – e probabilmente le sclere – le risplendeva di un tenue bagliore violaceo, tradendo la mole di energia benedetta che vi circolava al di sotto.

«Ho il vostro permesso?»

La Divina Lera piegò il capo, forse incuriosita, forse impressionata, e compì un cenno in direzione di Xarve. «Accomodati pure.»

"Ce la farai" si impose Tryn, durante gli ultimi attimi buoni per raccogliere coraggio, concentrazione e determinazione; quindi, toccò Xarve.

L'ingresso nella sua mente fu mille volte peggiore di quanto si fosse immaginata. Tryn non la saggiò a distanza di sicurezza né vi si immerse dapprima soltanto con i piedi: vi si tuffò. E fu fagocitata dalla pozza di miele puntellata di ferri ardenti a cui era ridotta.

Si sentì soffocare. Si sentì sciogliere e disfare come mai prima di quel momento le era successo con un sofferente. E sentì anche quello che turbava Xarve: un dolore sordo diffuso in ogni fibra del suo essere; un bruciore secco e pulsante che le divorava le dita; una stanchezza parassitaria aggrappata tanto ai suoi muscoli quanto al suo spirito.

L'istinto di catapultarsi all'esterno fu soverchiante, e se Tryn non lo assecondò fu solamente perché non ne aveva la forza. L'impatto l'aveva lasciata del tutto inerme, le aveva strappato lucidità e controllo, trasformandola in un ammasso di sabbia in balia della corrente, tenuto assieme esclusivamente dalla maglia protettiva che si era fabbricata.

Tryn affondò.

E quando dall'inconscio sfociò nel conscio, nemmeno se ne accorse.

Non finché la miscela tra sé e Xarve non fu portata a termine e alle sensazioni dell'inventrice si aggiunsero le sue: il battito stabile nel suo petto; il peso e la morbidezza della cappa sulle sue spalle nude; il tepore della collana di sua madre che si muoveva in sincrono con i suoi respiri, facendole il solletico.

Tryn si ricordò chi era, e che era – che esisteva ancora là fuori – soltanto allora. E soprattutto, si ricordò cosa stesse facendo.

Tornò a mettere a fuoco giusto in tempo per scansare un pensiero di Xarve. Fendeva la nebbia rotolando lento e rimbombante, scontrandosi... no, attraversando altri suoi simili; che al contatto si univano in grossi macigni di parole o si scomponevano in sassolini di sillabe e suoni incomprensibili.

Tryn rilasciò un sospiro meravigliato mentre li ammirava. Mentre ammirava quel luogo – sempre se avesse potuto essere definito "luogo" – privo di confini e logica e regole. Ebbe l'impressione che il pavimento fosse fatto di carbone. E il soffitto di metallo incurvato. Come si trovasse nel cuore di una gigantesca fornace.

«Nurak, questa è la prima volta che metti piede nella mente di qualcuno?»

Tryn si voltò nella direzione da cui era arrivata la voce ma, con i suoi veri occhi chiusi, quello che scorse fu l'orizzonte nero e lontano che si espandeva davanti alla sua proiezione; e non la Divina Lera appollaiata sulla scrivania.

«... Sì» ammise in un sussurro. «E prima che mi sgridiate, lo so che è stato un azzardo, ma—»

«Sì, lo è stato. E del tipo irresponsabile e pericoloso» replicò, caustica.

Tryn deglutì. «Mio Nume, perdo—»

«Per cui, assicurati che ne sia valsa la pena» continuò. «Fa' quello che devi fare ed esci. Senza addestramento, lì dentro non resisterai a lungo.»

«Ah! Sì, mio Nume!»

Tryn si guardò attorno, individuò il pensiero più vicino e gli corse dietro.

"Brucia..." recitava. "Rotto... l'ho rotto. Gocciola su, gocciola giù" mugugnava un altro. "Una parte di cielo... due parti di fuoco..." delirava quello dopo ancora.

"E questi sono quelli comprensibili... Dea, così non andrò da nessuna parte." Tryn si morse una guancia e si inginocchiò di colpo, provando piuttosto a connettersi a nervi e vene. "Me le trovo da sola le informazioni che mi servono."

Xarve oppose poca resistenza a quella seconda, più intima, invasione. Tryn dubitava che fosse abbastanza in sé anche solo per accorgersi della sua presenza, ma si appuntò comunque di visitarla per scusarsi, quando si sarebbe ripresa.

Nel frattempo, si fece strada dentro di lei, inseguendo qualunque accenno di sofferenza o fastidio. La maggior parte erano ben noti: le mani ustionate, il cervello in fiamme e le ossa doloranti per la febbre, lo stomaco in subbuglio per la nausea. Altri, furono una vera sorpresa.

Tryn inseguì un leggero bruciore nei polmoni e tossì tutta l'aria che aveva nei propri non appena ne varcò la soglia. Vi era in corso un incendio, alimentato dai resti di una sostanza liquida e oleosa incastrata nei bronchi che non sembrava avere alcuna intenzione di sloggiare.

"Cosa... cos'è questa roba?"

Fu costretta a ritirarsi poiché, al contrario di Xarve, non aveva né le medicine né il sonno a mitigare il dolore.

"Non ho mai visto un composto del genere... L'ha creato Xarve? Se sì, a che scopo? E come ci è finito nei suoi... Ma certo."

Tryn cessò di canalizzare la Benedizione e fu sbalzata di nuovo nel proprio corpo.

«Mio Nume!» esclamò, scattando in piedi. «So come Xarve si è... Oh, Dea...»

La stanzetta sul retro le girò attorno in un vortice di legno, ferro e tende a fiori, e la sedia della scrivania le si piantò in un fianco.

«Nurak!»

Tryn barcollò all'indietro e sbatté la schiena all'armadio incassato che costituiva la colonna sinistra dell'alcova, a cui si affidò per non capitombolare.

«Sto... bene» parlottò, tenendo la Divina Lera a distanza con un palmo.

«Non hai una bella cera» l'avvisò. «Sei sicura di non aver manifestato più energia benedetta di quanta ne puoi reggere?»

«Sì. Sto bene» ribadì. «Sono un po'... frastornata per via di Xarve. Tutto qui. Mi passerà presto.»

La Divina Lera la soppesò contrariata. In assenza di segni evidenti a cui appellarsi, però, non ebbe scelta che fidarsi del suo giudizio.

«D'accordo... Che stavi dicendo?»

Tryn sorrise e avanzò verso la stanza principale dell'Officina; gli occhi castani puntati su un determinato bancone e sul kit di distillazione che vi troneggiava.

«I polmoni di Xarve sono... contaminati da un composto chimico che non conosco ad alta concentrazione di carbonio, ottenuto attraverso un... lungo e complicato processo di distillazione.»

La Divina Lera la tallonava, più attenta ai suoi passi che alle sue parole. «Hm. Credi che si sia ustionata le mani mentre ci sperimentava?»

«Esatto. Forse se l'è versato addosso per sbaglio e ha finito con l'inalarne i fumi» ipotizzò. «O forse è stato l'averne inalato i fumi a farglielo versare. Il risultato è lo stesso. Una provetta rotta e...»

Tryn aveva programmato di arrivare alla sua meta, per quando sarebbe arrivata a quella parte della spiegazione – come accadeva nei gialli che Yaro adorava. Purtroppo, quella era la realtà e Tryn si arenò ben prima, nei dintorni della postazione da disegno, che dovette usare per sostenersi.

«... una macchia recente nel legno.»

«Va bene, bella ricostruzione» le riconobbe la Divina Lera, sbirciando il bancone e facendo tintinnare i frammenti di vetro nel cestino con un calcio. «Ma siamo rimaste al punto di partenza. Sai che Xarve si è avvelenata da sola, e hai colto il come, ma non sai ancora cosa sia quel composto.»

«No, ma non sarà difficile scoprirlo quando lo analizzerò. E per nostra fortuna, so dov'è» ribatté. «Xarve tiene sempre dei campioni di scorta sotto al ripiano su cui—»

La Divina Lera aprì le ante del bancone che ospitava il kit di distillazione... rivelando tre mensole vuote. «Non vedo nessun campione.»

Tryn claudicò fin là, si sedette incerta sui polpacci e le tastò; quasi sperasse che qualcosa alla fine ci fosse e lei, semplicemente, non riuscisse a vederlo.

«Non capisco... Dovrebbero essere qui sotto!»

«Beh, Nurak, non ci sono. Fattene una ragione e pensa alla prossima mossa, perché ti restano poco più di dieci minuti.»

Tryn spalancò frettolosa le altre ante sulla sinistra e i cassetti sulla destra. Nel trovarli anch'essi vuoti, si stropicciò la gonna. «Qualcuno è entrato nell'Officina mentre Xarve era esanime? Magari con la chiave o... facendo irruzione?»

«Io le ho sfondato la porta quando sono venuta a controllarla» confessò la Divina Lera. «Poi però gliel'ho aggiustata. E ho preso in prestito la chiave per non doverlo rifare i giorni seguenti. Quindi sì, io.»

Tryn pose la domanda, malgrado fosse assurda. «E non avete preso in prestito nient'altro?»

La Divina Lera parve offesa alla mera implicazione. «Se avessi bisogno di qualunque tipo di marchingegno tecnologico, non scarpinerei fino al Cammino della Dea a scomodare Xarve. Costringerei Kelon a costruirmelo e Fyn a portarmelo a casa.»

«Allora che fine hanno fatto i campioni di Xarve?»

«Dimmelo tu. Sei tu che frequenti questo posto, a quanto pare.»

Tryn espirò frustrata e, facendo leva sulle ginocchia, si rialzò per dare un'occhiata più approfondita in giro. Una futile, perché non c'era niente a vista che potesse fornirle l'indizio in cui sperava.

Anzi, non c'era niente in generale. L'Officina era paradossalmente più spoglia quel giorno rispetto a quello in cui Xarve vi si era trasferita.

«Aspettate» mormorò Tryn, ritornando – senza ondeggiare, stavolta – alla postazione da disegno per confermare un suo sospetto.

Alzò il piano inclinabile per curiosare nel vano ricavato al suo interno e non fu attaccata dalle matite o dai fogli che, di norma, ne saltavano fuori come malerbe. Per la prima volta nella sua vita, ne scorse il fondo.

«Che fine hanno fatto tutte le cose di Xarve?» chiese. «I progetti, i prototipi, i... i... cosi

«Secondo te?»

Tryn si riavvicinò al bancone macchiato e si sentì stupida per non aver realizzato un certo dettaglio fin da subito.

«Non l'ha sintetizzato Xarve quel composto, vero?» sospirò. «L'ha recuperato da qualche rovina chissà dove. E gli Urbici gliel'hanno confiscato, insieme a qualunque cosa gli fosse vagamente collegata, perché è di origine sylcra.»

«Indovinato.»

"... Merda." Tryn si accasciò sulla sedia girevole della postazione da disegno. "Perciò è finita."

La Divina Lera la squadrò. «Perché ti sei fermata?»

Tryn la inquadrò da dietro un velo di lacrime. «Perché senza un campione del composto da studiare, non ho modo di capire cosa sia.»

«Procuratene uno.»

Tryn si pescò l'orologio di suo papà dalla tasca. «Dubito di riuscire ad andare e tornare dal Tempio in... sette minuti, mio Nume.»

La Divina Lera sbuffò. «Non ti serve mica elemosinare l'ingresso nel deposito delle prove per averne uno. Nurak, quante perquisizioni hanno condotto gli Urbici in questa Officina?»

«Troppe per contarle.»

«Già» ridacchiò la dea. «Eppure, ogni volta, Xarve era di nuovo operativa il maledettissimo giorno dopo. Perché quella meravigliosa pazzoide è più furba di tutto il Corpo messo assieme. Anzi, di tutta Mersa. Dea, credo che sia l'unica mortale attualmente in vita a essere tanto intelligente quanto mio fratello.»

Tryn si rimise in piedi e le si avvicinò. «Dite... state dicendo che qualcosa potrebbe essere sopravvissuto anche stavolta?»

«Sarei sorpresa se così non fosse» affermò, dedicandole un ghigno intrigato. «E adesso sto ponderando cosa mi sorprenderebbe di più nel tuo caso: se tu riuscissi a trovarlo nel poco tempo rimasto oppure no.»

"Sì che ci riuscirò!" Tryn corse ad appiattirsi contro la porta d'ingresso e scandagliò l'intera Officina. "Quali sono i nascondigli a prova di Urbico?"

Scartò cassetti e cime di pensili e mensole: persino una profana come lei avrebbe pensato subito di sondarli. I doppi fondi erano uno stratagemma un po' più ricercato, ma comunque troppo banali e facili da scovare.

"Forse ha infilato qualcosa tra i mobili e le pareti? O sopra i paralumi dei faretti? O magari sotto i davanzali delle finestre dell'appartamento?" snocciolò, divorandosi un labbro. "Dea, Tryn, pensa!"

Sarebbe stato molto più facile farlo senza il fracasso, più forte nella stanza principale dell'Officina, causato dai festeggiamenti nel Cammino della Dea. E senza lo snervante ticchettio di Blu a punteggiare ogni suo pensiero.

"Stupido uccellaccio, piantala di..."

Tryn si voltò d'istinto verso la postazione da disegno, dove Blu era sempre appollaiato a vigilare su Xarve... ma l'aggeggino non era lì. Il suo cinguettio proveniva dalla stanzetta sul retro.

"Xarve l'ha... acchiappato prima di svenire?"

«Ehi, no!» la richiamò la Divina Lera. «Niente più salti nella mente di Xarve.»

«No, non... Non sto ritornando da lei per quello.»

«Oh» sussurrò, raggiungendola. «Notato qualcosa di interessante?»

«Sì... quello.»

Tryn additò Blu, che picchiettava la mensola dell'alcova. "Sta indicando qualcosa sotto di sé? Il letto? Il pavimento?"

«Quello?» calcò la Divina Lera. «Ammetto che una camera da letto è l'ultimo posto in cui piazzerei un... affare tanto rumoroso, ma è di Xarve che parliamo. Ha soprammobili di gran lunga più bizzarri, di sopra.»

«Blu non è un soprammobile qualunque» spiegò, tastando il materasso e poi le assi per terra. «È il... primo manufatto sylcra che Xarve ha replicato. E quello a cui è più... affezionata. Non se ne separa mai.»

Tryn si raddrizzò e schiaffeggiò con rabbia il lenzuolo che pendeva dal letto. "Nulla!"

La Divina Lera gli prestò infine attenzione e montò una smorfia perplessa.

Tryn non la biasimò. Blu era un uccello deforme senza ali e con due grasse e grosse gambe al posto delle zampe. Il suo "corpo" era composto da una testa e un addome di vetro perfettamente tondi collegati da un collo a tubo sproporzionato, attraverso il quale il suo sangue blu – a cui doveva il nome – saliva e scendeva in perpetuo. Come se non fosse già stato abbastanza strano di suo, portava pure un cappello cilindrico, un paio di stivali e una sorta di fiocco alla gola. E l'unica cosa che pareva essere in grado di fare era beccare verso il basso e tornare in piedi.

«... Per cui è ancora più normale che se lo tenga in camera, no?» osservò la Divina Lera.

«No» la contraddisse Tryn, affiancandola. «Per Xarve è sacro. È un rompicapo impossibile da risolvere che la ispira a imparare e migliorarsi ogni giorno di più. Ce l'ha sempre accanto, specie mentre lavora. Perciò, se è collassata al bancone nella stanza principale...»

«... perché diamine quest'affare è qua?»

Tryn annuì e lo fissò con impegno.

"Cosa stai cercando di dirmi, Blu?" Si sporse per studiarlo più accuratamente e non ottenne che dello sconforto. "Niente. Non stai cercando di dirmi niente perché sei un coso inutile, buono solo a rimescolarti il... Oh, Santi Numi!"

Tryn afferrò Blu per il collo e gli strappò la testa.

«Brutale!» commentò la Divina Lera. «Che sgarro ti ha fatto quell'uccelletto?»

«Sangue!» sbottò Tryn.

Quasi spintonò la Divina Lera per la fretta di chinarsi sulla scrivania e versarvi qualche goccia del sangue di Blu. Se lo strusciò sui polpastrelli, singhiozzando di gioia quando, nell'analizzarlo con la Benedizione, appurò che si trattava dello stesso composto grigiastro ritrovato nei polmoni di Xarve – più un pizzico di colorante.

«Non credevo che avresti beccato anche questo trucchetto» asserì la Divina Lera, facendo oscillare il corpo di Blu con un dito. «Ottimo lavoro, Nurak. Ora devi solo dirmi cos'è quel composto entro il prossimo... minuto circa e passerai l'esame.»

"Merda! Manca così poco?"

«È un... un...» abbozzò Tryn. 

"Smettila di evaporare così in fretta! Non riesco a studiarti!"

«Santa Dea! È un... un...»

«Carburante per solcatori» rispose la Divina Lera, sfilandole Blu dalle mani. «Che ora mi riprendo. Tempo scaduto, Nurak.»

"No..." Tryn si appoggiò alla scrivania, lo sguardo perso e lucido, il cuore all'altezza delle caviglie. "Ero così vicina..."

«Mio Nume... io... grazie per l'opportunità» si sforzò di mormorare. «Perdonatemi se ho deluso le aspettative vostre e della Maestra Kipa. Giuro che—»

«Deluso?» la interruppe la dea. «Le hai superate brillantemente. Sei promossa.»

Tryn si scordo di respirare per qualche istante. «Ma... la scommessa... gli Anziani!»

«L'hai vinta.»

«Ma non ho identificato quel carburante!»

«Il patto era che capissi che è stato la causa dell'avvelenamento, cosa che hai fatto. E come se non bastasse, l'hai persino ricondotto ai sylcra e trovato la partita di scorta dentro quell'affare. In venti minuti. Tre degli Anziani sono stati un'ora intera a visitare Xarve prima di diagnosticarle l'avvelenamento. Due ci sono arrivati senza dare importanza alle bruciature perché non le hanno riconosciute come chimiche. Uno ha avuto il coraggio di affermare che fosse una semplice febbre» ringhiò. «Avrebbero dovuto avere tutti i mezzi e le conoscenze per risolvere questo caso, in teoria, ma soltanto la Maestra Kipa c'è riuscita. E il secondo miglior risultato l'ha ottenuto una neo Carità... Dea, non vedo l'ora di sbattere loro in faccia la loro stessa incompetenza. Magari è la volta buona che ci liberiamo di loro e il titolo di Anziano ritorna a essere mio da conferire.»

Tryn la contemplò, ancora un po' stordita. «Quindi sono passata davvero? Sono ufficialmente una Carità?»

«Sei la degna figlia di tua madre, ti avrei promossa pure se non avessi accettato quella stupida scommessa» confessò. «Ma tutto sommato sono contenta che tu abbia voluto dimostrare di essere la degna figlia anche di tuo padre. Hai trasformato una mattinata di una noia mortale in un bello spettacolino. Quasi non mi pento di aver abbandonato Erua a—»

Tryn l'abbracciò di getto, emettendo versetti di eccitazione che sfidavano l'udito mortale. «Grazie, grazie, grazie!»

La Divina Lera sospirò e le picchiettò una spalla controvoglia. «Non c'è di che, Nurak. Adesso mollami. Ho un uccello dissanguato da ri-riempire. Una compagna a cui far smaltire la sbornia. E un pranzo di famiglia a cui partecipare.»

«Non andiamo subito al Tempio per compilare i moduli della specializzazione?»

La Divina Lera se la scollò di dosso con una spinta disgustata. «Santa me, Nurak, no che non... Mi stai prendendo in giro?»

«Voi l'avete fatto da quando ci siamo incontrate,» le rammentò, «è solo giusto che ricambi un po'.»

«Eh. Come darti torto» le concesse. «Ma sul serio, Nurak, non presentarti al Tempio almeno fino alla fine di questa fase. Ti ci caccio.»

Tryn rise. «Ah, non preoccupatevi, mio Nume. Il mio ragazzo e la mia migliore amica hanno già minacciato di—»

Il boato di un fulmine, abbastanza forte da far tremare le finestre, ingoiò la sua voce. Il secondo successivo, la porta dell'Officina si spalancò. Il Divino Fyn comparve sulla soglia, il codino biondo arruffato e il completo giallo da festa fumante per il volo.

«Lera, siamo stati convocati al Tempio per una riunione d'emergenza. Dei Messi hanno—»

Il Divino Fyn notò Tryn accanto a sua sorella e si ammutolì.

«Mio Nume, buongiorno» lo salutò lei, incerta. «Buon anno.»

Un sorriso tirato, del tutto privo della solita leggerezza che li caratterizzava, gli incurvò le labbra. «Grazie, Trynni, anche a te.»

«I Messi hanno cosa?» lo spronò la Divina Lera.

«Avete finito qui?» sviò.

«Beh, sì... Ma che stavi dicendo a proposito dei—»

Il Divino Fyn fece di nuovo saettare lo sguardo su Tryn. «Sarebbe meglio parlarne in privato.»

«Perché?»

Tryn compì un passo in avanti; una brutta sensazione le si andava addensando nello stomaco. «Riguarda il plotone di Julan? Lui e i suoi stanno bene? Ho sentito che hanno incontrato un Esule e sono rimasti feriti.»

«... Non riguarda loro.»

«E chi, allora?»

Il Divino Fyn si costrinse a guardarla negli occhi, invece di sbirciarla fugacemente, ma ancora non rispose.

Tryn sapeva da cosa la stesse proteggendo. L'aveva saputo dal primo momento in cui il Divino Fyn aveva fatto irruzione nell'Officina e si era rimangiato ciò che stava per dire nell'accorgersi di lei. Ma si rifiutava anche solo di pensarlo finché non sarebbe stato necessario.

«Fyn» lo richiamò la Divina Lera.

Fyn si pizzicò il ponte del naso ed espirò a fondo. «Suppongo che sia meglio che tu lo scopra da me piuttosto che dalle voci di strada» ponderò. «Trynni, non è il plotone di Julan a essere uscito a pattugliare, stamattina. Hanno fatto a cambio di turno con il plotone di Derval. E non hanno salvato un Esule. Sono stati attaccati da un sylcra.»

◄●►

Tryn non ricordava di aver lasciato l'Officina di Xarve. Né di essere salita sul primo vagone diretto alla Stazione Superiore. Né di aver messo piede nel Tempio.

Eppure, doveva essere successo.

Perché stava sfrecciando nel corridoio d'ingresso dell'Ala di Guarigione Ovest, con il fiato corto, le gambe che bruciavano e gli occhi pieni di lacrime.

Qualcuno gli aveva detto che il plotone del nipote del Comandante era stato ricoverato lì. Chi, non ne aveva proprio idea. Dove, era un altro mistero.

Tryn si era dimenticata di chiedere. A essere onesti, da quando il Divino Fyn aveva confermato la sua paura più grande, Tryn si era dimenticata pure come si pensava.

Adesso c'era un'unica frase che la sua mente era in grado di formulare. Una preghiera continua. Incessante. Ripetuta ormai così tante volte che le parole avevano smesso di sembrare parole.

"Fa' che sia vivo."

Tryn non poteva concepire un mondo in cui Derval non esisteva. In cui non aveva le sue braccia a cui tornare o la sua risata a contagiarla o il suo viso sul cuscino di fianco al proprio le notti in cui gli incubi la tenevano sveglia.

E non avrebbe permesso a nessuno di crearlo. Nemmeno a un intero esercito di sylcra riemersi dalla tomba.

Non glielo avrebbero strappato. Non lui. Non anche lui.

«Tryn!»

Delle mani l'afferrarono per i polsi. Non la lasciarono andare, per quanto Tryn si divincolasse. La costrinsero a toccare qualcosa di caldo e morbido e liscio, e poi si posarono sulle sue guance.

E non fu finché Tryn non si rivide specchiata in quegli occhi verdi, che non sentì quei capelli di fuoco e il profumo di farina e fiori di campo solleticarle il naso, che riconobbe Ari.

«Sta bene» scandì con calma, enfatizzando ogni sillaba.

Tryn non le riuscì a credere. Quel nugolo tumultuoso che le stava straziando il cuore non si sarebbe fatto bastare la sua parola per dileguarsi.

«Stanno bene» proseguì. «Sono nella Prima Serra. Vai. Io vado dagli altri.»

Ari la liberò e Tryn ricominciò a correre finché, dall'Ala, non uscì nei giardini per i sofferenti. Rintracciò la Prima Serra tra gli edifici identici al termine del sentiero, e si catapultò sulla porta. Ma fu spinta indietro.

«Sono ammessi solo i familiari» gracchiò uno dei due Custodi di guardia.

«Thay, è la sua ragazza» lo richiamò il compagno.

Tryn si sforzò di metterli a fuoco, nell'udire quel nome familiare, e scorse un volto altrettanto familiare su cui – dopo la fine della scuola – si era augurata di non posare più lo sguardo.

«Mio padre ci ha incaricati di—»

«Thay» ringhiò Tryn, interrompendolo. «Ho recitato il Giuramento dei Devoti meno di un ciclo fa, ma giuro sulla Dea che lo infrangerò qui e ora se non ti levi immediatamente—»

«Ammi

Tryn si zittì. Il secondo che la porta della Prima Serra impiegò per aprirsi fu il più lungo della sua vita.

«Cedre! Ti avevo detto di non—»

Tryn la spalancò del tutto – sbattendola per sbaglio in faccia a Thay – e si gettò su Derval.

«No! Tryn, sono—»

Tryn non capì cosa stesse cercando di dirle finché non fu troppo tardi. Se di norma Derval l'avrebbe sollevata come non pesasse nulla, con le braccia occupate dalle stampelle – e una gamba ingessata fino a metà coscia – non poté fare altro che cadere e trascinarsela dietro.

Tryn e Derval finirono a terra, l'una a cavalcioni dell'altro, con lividi e graffi gemelli.

«Mi sei mancata anche tu» scherzò Derval, per metà ridacchiando e per metà gemendo per la botta. «Com'è andato l'esame?»

Tryn dapprima lo ammirò rapita, piazzandogli i palmi tra collo e viso per percepire il suo battito e assicurarsi – ogni oltre irragionevole dubbio – che Derval fosse vivo. Poi gli diede un pugno sul petto.

«Ahia!»

«Chi se ne frega del mio esame!» strillò. «Voi siete quasi morti, stamattina!»

Zev schioccò la lingua da uno dei lettini bianchi, disposti come costole lungo la navata. «Ti prego, avevo tutto sotto controllo.»

«Come no» mugugnò Kae, da quello accanto.

Tryn gliene tirò un altro. «Hai idea di quanto mi hai spaventata?!»

Derval si cancellò il sorriso spavaldo dalla bocca e si tirò seduto, raccogliendo le sue mani nelle proprie. «Lo so. Mi dispiace. Avrei dovuto mandarti un messaggio appena siamo rientrati in città. Ma tra una cosa e l'altra, mi è scappato di mente. Scusami.»

Tryn guardò prima lui, poi Kae e Zev allettati e bendati, e si sgonfiò. «Lo capisco. Avevi i ragazzi a cui badare. Scusami tu se ho urlato. Mi importa solo che stia bene. Che stiate tutti bene.»

«Siamo ammaccati, ma non possiamo lamentarci» sostenne Kae. Squadrò Zev con del non troppo velato astio nel continuare. «A qualcuno è andata di gran lunga peggio.»

«Bene. Sono...»

Tryn distinse in sottofondo il fruscio regolare dell'apparecchio per la respirazione artificiale e scattò in piedi. Uno dei letti era nascosto dietro un separatore e di chi vi riposava si intravedeva soltanto la cima dei piedi che increspava le coperte.

«Oh Santa Dea, Yaro è...?»

«Eh? No! No!» si sbrigò a negare Derval, tirandosi su a sua volta. «Yaro sta bene. Lui, Lyr, Valia e Frina non avevano un graffio, quindi li hanno dimessi subito. Qui dietro c'è... uhm...»

«Il sylcra» sibilò Zev con disprezzo.

«Sì» confermò Derval. «Ma, a proposito di Yaro, c'è una cosa che...»

Tryn lo sorpassò e si affacciò con cautela, usando il separatore come scudo. Al di là di esso, però, non c'era affatto il soldato nerboruto e rude che si era immaginata.

C'era un ragazzino.

Un ragazzino senza un pelo di barba, magro come una spiga e più basso di lei. Un velo di sudore gli ricopriva la pelle olivastra, che pareva brillare per la luce che filtrava dalla parte superiore – quella trasparente – delle pareti in vetro della Prima Serra; i ricci castani gli stavano opponendo una strenua resistenza per non afflosciarsi. Il volto ovale era corrugato da una smorfia contrita che gli aggrottava le sopracciglia ad angolo e increspava il naso dritto, rendendo più che evidente l'imperfezione al ponte; di sicuro, il risultato di una frattura. Tirava e schiudeva le labbra ad arco come se cercasse di dire qualcosa, ma l'unica cosa ad abbandonarle era il bizzarro sangue rosso che affiorava nelle loro crepe.

«Lui sarebbe un sylcra?» chiese Tryn, avvicinandosi al suo capezzale.

Qualunque cosa Derval stesse per dire, se la rimangiò.

«Scoprilo» la incoraggiò Zev.

Tryn gli scostò le coperte di dosso fino alla vita. Il tatuaggio sul polso destro fugò qualunque dubbio rimasto. Ma, paradossalmente, non fu quella scoperta a sconvolgerla.

Quel ragazzino era segnato da decine di cicatrici – bruciature, tagli, pugnalate, fori di proiettile e altri e più tipi di quanti Tryn ne sapesse riconoscere. Ed erano soltanto quelle in vista.

«Quanti... quanti anni ha?»

«... Diciotto?» azzardò Derval. «Non lo sappiamo. Non parla la nostra lingua. Sappiamo solo che si chiama Revi.»

"Non è nemmeno maggiorenne...?!"

D'istinto, Tryn gli inumidì la pezza ormai bollente e gliela risistemò sulla fronte. «Cosa dite che gli faranno?»

«Se siamo fortunati, lo giustiziano.»

«Zev!» soffiò Derval.

«È un sylcra» ribatté. «Ed è pericoloso. Perché sono l'unica a volerlo morto?»

«Perché è poco più che un bambino, per la Dea!» strepitò Kae.

«Oh, sì, un adorabile bimbo che stava per ammazzarci, e che ti ha aggredito mentre tentavi di non farlo morire dissanguato.»

«Finché Derval non gli ha piantato una spada in corpo, era tranquillissimo.»

«Ha minacciato Yaro con un pugnale alla gola.»

«Perché aveva paura, Zev!» urlò. «Perché la prima cosa che abbiamo fatto quando l'abbiamo visto è stata provare a sfoderare le armi! Prima che arrivassimo, lui e Yaro stavano ridendo

«È un soldato sylcra, Kae! Era una recita! Ha capito che Yaro è uno sprovveduto e stava—»

«Ehi» la richiamò Derval. «Yaro sarà un ingenuo, ma non è stupido. Se si è fidato di Revi, ha avuto le sue buone ragioni.»

«E guarda dove l'hanno portato» borbottò Zev.

«Che significa?» intervenne Tryn.

Derval respirò a fondo. «Ammi—»

La testolina di Lyr fece capolino dall'uscio. Non aveva la coroncina di fiori intrecciati nei capelli; giaceva invece spelacchiata e strapazzata tra le sue mani.

«Stanno per iniziare.»

Tryn lo squadrò. «Cosa?»

«Il processo» rispose Lyr, perplesso. 

«Per Revi? Ma non è cosciente! Come potrà—»

«No, ammi,» la interruppe Derval, «per... Yaro.» 

◄●►

Foto: Revi. Ne approfitto per ricordare che le foto sono qui per dare colore e non per essere prese alla lettera! I personaggi sono come li trovate descritti ;)

Con tre eventi serali a cui non potevo mancare uno di seguito all'altro, una brutta influenza di mezzo e blocchi vari su certe scene a rallentare i lavori, mi considero miracolata ad aver fatto solo un giorno di ritardo. E spero che questa seconda metà del capitolo sia valsa l'attesa. Pensate che il capitolo doveva uscire di circa 8000 parole totali e invece abbiamo superato le 11000! Aiutatemi. Come al solito, mi congedo con il meme di fine capitolo e vi comunico (e stavolta, mi auguro anch'io che sia così e la vita non cerchi di affossarmi) che la prima parte del prossimo capitolo sarà pubblicata tra sabato 30 e domenica 31, come regalo per Pasqua. Alla prossima! ^-^

Edit: come da annuncio in bacheca, le due parti del Capitolo 3 - Perduto saranno pubblicate a un giorno di distanza tra sabato 6 e domenica 14 aprile!

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