Capitolo 2 - Dèi e Mortali (Parte Prima)

"Pianta... estirpa... lega al fusto..." cantilenava Tryn, in una nenia – più di nostalgica abitudine che di effettiva utilità – accompagnata dal cigolio delle pinze e dal fruscio del filo da sutura.

In mano sua, l'ago danzava. E baluginava, come i seqe dalle scaglie argentate che balzavano dentro e fuori dai canali d'irrigazione dei campi della nonna nelle lunghe giornate della Calura.

Se il suo sofferente fosse stato cosciente, e avesse conosciuto le tecniche di sutura avanzate della Maestra Kipa, e avesse potuto parlare – e se fosse stato e avesse saputo tante altre cose necessarie per giudicare il suo operato – ne sarebbe rimasto senza dubbio colpito.

Quella sì che era una chiusura a spirale degna di tale nome.

Non come quelle dei precedenti sette tentativi che Tryn aveva compiuto quella stessa notte.

"Sì, questa è la volta buona" si disse, premendosi la lingua sul labbro per concentrarsi persino di più per l'ultimo passaggio. "Questa sarà perfetta."

Tutto ciò che le restava da fare era annodare il capo del filo su sé stesso e tirare con la giusta forza affinché i lembi della ferita combaciassero. Non troppa poca, perché una cucitura lenta avrebbe lasciato spazio tra la carne; né troppa, perché una cucitura stretta avrebbe soffocato e accavallato i tessuti in via di guarigione.

"Ecco... così... solo un altro—"

«Tryn Nurak, stai di nuovo suturando la mia frutta?!» tuonò nonna Caba.

«Ah!»

Il polso di Tryn ebbe un fremito e il filo finì per accartocciare la buccia dell'ameran, rovinando pure quel tentativo, l'attimo prima di catapultarla via.

«Nonna!» esclamò Tryn, gettando un tovagliolo sopra le pinze. «No, no, non sto assolutamente suturando la tua frutta!»

Caba camminò fin sotto l'arco che dall'atrio portava in cucina, con una mano sul fianco e l'altra riparata nel petto dell'adorata vestaglia da notte blu. Assottigliò gli occhi e la bocca – se per vedere meglio nella penombra o squadrare Tryn era un mistero – e un reticolo di rughe si sviluppò sulla sua pelle bruna, consumata dalle intemperie di una vita passata sotto i raggi impietosi di Vampa.

«Sei sicura che è questo che vuoi rispondermi?»

L'ombra che la nonna stava proiettando doppiava in altezza e in stazza il suo corpo minuto ma rassodato da decenni di lavoro manuale, quasi cercasse consapevolmente di farla sembrare più minacciosa.

Il cipiglio contrariato che le increspava il volto tondo, in onestà, sarebbe bastato e avanzato di per sé a pietrificare persino un Nume in carne e ossa. Per cui, Tryn non si biasimò per aver perso qualunque capacità cognitiva e di giudizio.

«Uhm, sì!»

«D'accordo.»

Caba azionò l'interruttore. Il lampadario a petali ricurvi si spalancò con uno stridio stanco, smettendo di far filtrare soltanto un piccolo cono di luce al centro della stanza per inondarla piuttosto nella sua interezza. E illuminare così, oltre ai tomi aperti sulle procedure per le suture e gli attrezzi per eseguirle, anche gli innumerevoli feriti e moribondi vegetali che affollavano la tavola da pranzo, improvvisata ad Ala di Guarigione da campo.

«Va bene, sì, ho di nuovo preso in ostaggio la tua frutta per fare pratica» ammise Tryn infine. «Ma stavolta sono stata attenta! Si può ancora mangiare.»

Caba raccolse l'ameran volante, che era rotolata ai suoi piedi, e schioccò la lingua. «Oh, sì, domattina ci farò una bella spremuta al sapor di filo da sutura e ferro per tuo nonno.»

Tryn si corrucciò. «Beh, se tagli via la parte in cui ho cucito, sono certa che il resto non sarà poi—»

«Trynni» la interruppe la nonna, riponendo l'ameran nel cesto di vimini a centrotavola. «Non è la mia frutta il punto. Il punto è che sei sveglia a suturarla. Nel cuore della notte.»

"Nel cuore...?"

Tryn adocchiò l'orologio della cucina, che svettava sopra l'arco in un netto contrasto tra mattoni e legno grezzo, e sbiancò.

Mancavano soltanto tre ore all'alba. E nove al momento che aspettava da tutta la vita.

Per quanto Tryn avesse soppresso in fretta il lampo di sorpresa e terrore che l'era balenato nello sguardo, alla vista acuta della nonna non sfuggì.

«Santi Numi, Trynni, ma da quand'è che sei di sotto a studiare?»

«Non da molto!» si affrettò a replicare. «Solamente da un'ora... o due. O tre.»

«Tryn!»

«Non riuscivo a dormire!» si giustificò, contenendo il volume nel continuare per non rischiare di svegliare anche il nonno. «Per cui, tanto valeva approfittarne per fare un ultimo ripasso. Uno veloce, giusto per calmarmi i nervi prima di riprovare a prendere sonno. Solo che... che...» Si accasciò sulla sedia più vicina e intrecciò le dita sul ponte del naso in un goffo tentativo di nascondersi. «Appena chiudevo i libri, mi scordavo tutto quello che avevo ripetuto e mi toccava ricominciare da capo. Perciò ho provato a staccare un po' mettendomi a rianimare la piantina secca che il nonno ha riportato dal negozio, ma non sono riuscita nemmeno a innescare la Benedizione. Allora mi sono buttata sulle suture, perché almeno con loro dovevo cavarmela. Sono dodici anni che mi esercito! E questo... e questo è il risultato» soffiò, gesticolando al massacro che si era lasciata dietro. «È chiaro che non sono pronta, nonna. Gli Anziani avevano ragione. Era meglio aspettare e sostenere gli esami con gli altri Apprendisti. Invece mi sono intestardita e ora sarò la prima Carità nella storia a restituire la cappa dopo neanche ventiquattr'ore dalla cerimonia di consegna.»

Caba inspirò a fondo e scostò la sua sedia a capotavola, accomodandovisi con un po' di difficoltà. Tryn fu tentata di aiutarla, ma si trattene. Più grande dell'orgoglio della nonna, c'era solo il Picco della Dea.

«Ammi» le mormorò, abbassandole le braccia con delicatezza per stringerle le mani.

Tryn l'assecondò, ma non si voltò verso di lei. Preferì fissare le ameran e le pesbac che imploravano pietà e sguazzare nella vergogna.

«Ammi, guardami» insistette la nonna. Le sistemò dietro l'orecchio un riccio corvino sfuggito alla bandana e proseguì soltanto quando Tryn finalmente obbedì. «Se non fossi stata pronta, la Maestra Kipa non si sarebbe esposta con gli Anziani perché tu potessi già sostenere gli esami finali. La Divina Lera non avrebbe approvato la sua richiesta. E gli esaminatori non ti avrebbero promossa a pieni voti. Ma è successo. Perché pronta lo eri eccome. E se lo eri allora, per la parte più difficile e snervante, non vedo come potresti non esserlo adesso, con nient'altro che un misero esame di rito da superare.»

Tryn sbuffò afflitta. «Ma quello era prima che dimenticassi ogni cosa, che la Benedizione si rifiutasse di rispondermi e che le mie suture somigliassero a quelle di un ubriaco che—»

«Trynni, non essere ridicola» la troncò Caba. «Non puoi dimenticare in un ciclo quello che hai padroneggiato nel corso del tempo fin da quando avevi otto anni. E tra tutte le colture che mi hai ravvivato e le tute da lavoro che mi hai rammendato, la tua bravura come Carità non è di certo in discussione.»

«Beh, da stanotte sì!» strepitò. «Perché a quanto pare mi sono scordata come si fa a essere una Carità decente!»

«E non credi che ci sia una spiegazione perfettamente logica al perché?»

«No» ribatté, candida. «Perché, tu sì? Quale?» la pressò, sporgendosi in avanti.

«Hm» mugugnò la nonna, succhiandosi un labbro com'era sua abitudine quando stava per dispensare qualcosa – un'opinione, una verità, una sgridata – che avrebbe ribaltato le carte in tavola e la tavola stessa. «Oh, non lo so. Una potrebbe essere che, magari, non ti ricordi le cose che ripeti perché siamo a tre ore dall'alba e non hai ancora chiuso occhio» la incalzò, indurendo tono ed espressione strada facendo. «O che, forse, eh, non riesci a richiamare la Benedizione perché sono cinque notti di fila che continui a questa maniera, mangiando a malapena e compensando bevendo botti di caffè. Atteggiamento malsano che tra l'altro, secondo il mio modesto parere, spiegherebbero pure perché le tue suture facciano pietà, visto che mi sbatteresti le uova meglio della frusta.»

Tryn strabuzzò le ciglia, stranita, e la nonna indicò con un cenno le loro mani intrecciate. Le sue stavano tremando senza alcun controllo.

«Prima non facevano così» disse in un fiato, in quello che avrebbe dovuto essere un semplice pensiero.

«Prima? Intendi tre ore fa? Santi Numi, Tryn, tu i limiti non sai neppure cosa siano. Un conto è l'ambizione, un altro è l'ossessione. Sacrificare addirittura la salute, pur di ottenere quello che vuoi, è...» Si massaggiò un sopracciglio brizzolato. «È esattamente l'esempio che io e tua madre ti abbiamo dato. E suppongo di non essere nella posizione di fartene una colpa, se lo stai seguendo. Soprattutto non adesso

«... Non posso deluderla, nonna» sussurrò, dopo un respiro traballante. «E nemmeno papà. Non quando sono arrivata così vicina.»

«Oh, Trynni. Tua madre e tuo...» La voce le si incrinò, ma si costrinse a riportarla al classico carattere squillante e deciso. «Se tua madre e tuo padre fossero qui scoppierebbero d'orgoglio. La loro bambina è diventata una giovane donna in gamba, scaltra e determinata... Senza dubbio, alle volte è fin troppo testarda. E puntigliosa. E ribelle. E insolente. E una vera...»

«Nonna» la richiamò Tryn, con una mezza risata.

«... rompiscatole. Tra le altre cose» concluse. Le carezzò una guancia, asciugandole una lacrima fuggiasca. «Ma è sana, felice e amata. Per cui, fidati quando ti dico che non gliene importerebbe nulla di cosa succederà domani.»

Tryn tirò su col naso. «Beh, questo è un bene. Perché conciata come sono, non c'è verso che passi l'esame.»

«Oh, sciocchezze» ribatté, schiaffeggiando l'aria. «Otto ore di sonno, con un bel bicchiere di latte caldo e qualche goccia di valirra per conciliarlo, e domani sarai come nuova.»

Tryn la scrutò con sospetto. «Perché ho l'impressione che tu stia parlando per esperienza personale?»

«Perché sei una ragazza sveglia» rispose, franca. «In tutti i sensi. Non è mica la prima volta che, in questa stessa cucina, un Nurak della nostra linea di sangue ha un fiume di caffè in eccesso da sopraffare la vigilia di un grande giorno. Ormai è una sorta di pietra miliare per la nostra famiglia... Ora basta chiacchiere, però, che il letto ti aspetta.»

Caba fece per alzarsi, ma Tryn la fermò.

«Nonna, posso farmelo da sola, tu—»

«Neanche per idea. Saresti capace di bruciare pure quello» la rimbeccò. «Io te lo preparo e tu, intanto, pulisci il macello che hai combinato. Che più ti compete.»

La scala di tronchi sezionati oltre l'arco scricchiolò e il faccione barbuto di nonno Yura si affacciò dal corrimano.

«Ammi? Trynni? Ci siete voi in cucina?»

«Sì, Yura!» gridò Caba. «Quietati e tornatene di corsa a dormire o i tuoni del Divino Fyn in persona non basteranno a svegliarti in tempo per il mercato!»

«Certo, ammi, subito» bofonchiò il nonno, ritraendo il collo nerboruto nelle spalle larghe. «Ma... Trynni sta bene?»

«Ero solo molto nervosa per domani» lo rassicurò. «La nonna mi ha tranquillizzata.»

«Oh, Trynni.»

Il nonno si raddrizzò con sicurezza, gonfiando il petto per complimentare al meglio la sua parlantina, e passeggiò calmo verso di loro. La nonna si risedette con un sospiro, conscia che sarebbero stati lì per un po'.

«Sentirsi in dubbio o in ansia è normalissimo alla vigilia di una svolta tanto significativa, oserei dire cruciale, nella propria vita» dichiarò. «L'importante è avere fede nelle proprie capacità, non lasciarsi scoraggiare dal primo, insignificante, ostacolo che si rischia di incrociare durante l'impervio percorso e, cosa più importante, mai, mai, mai—»

«Yura!» strepitò la nonna. «Di questo passo farà l'alba e tu non—»

Tryn le toccò un braccio e Caba si afflosciò.

«Ammi» riformulò. «Tryn ha urgente bisogno di farsi un bel sonno ristoratore. Vai dritto al punto, per cortesia.»

Yura indugiò e rifletté a lungo. Quindi, risoluto, poggiò una delle grandi e corpulente mani sullo schienale della sedia a capotavola. «Sii forte come tua nonna e niente potrà fermarti.»

«Oh, ammi...» mormorò Caba. Si girò a baciargliela e lo ammirò nel replicare. «E sii paziente come tuo nonno e alla fine tutto andrà per il meglio.»

◄●►

Il Cammino della Dea – com'era prevedibile – era nel pieno dei festeggiamenti quando, risalito il sottopassaggio della Stazione Centrale, Tryn vi sbucò.

Un corteo infinito di figli della Dea di tutte le età, che sfoggiavano corone di fiori, gioielli e veli ugualmente sgargianti, vi sfilava al ritmo di musica per accogliere l'arrivo non solo della Stagione Nascente, ma anche del primo giorno del nuovo anno. Alcuni tra loro, perlopiù giovani e adolescenti, sembravano aver adottato la tradizione della comitiva di Tryn di passare tutta notte e la mattinata fuori a festeggiare, piuttosto che dormire prima del banchetto all'alba e rincasare dopo. Risaltavano tra la folla per il trucco sul viso ormai sciolto e i sarka tradizionali di un bianco brillante ancora indosso. E per l'entusiasmo – in larga parte alimentato dalla sbronza – con cui ridevano, ballavano e lanciavano i semi che, germogliando, avrebbero decorato la strada fino al gelo seguente.

Balconi e terrazzi, oltre le liane d'illuminazione e i festoni, e taverne e carretti al di sotto erano gremiti di persone prese a gustarsi questo o quel manicaretto tradizionale e a chiacchierare spensierate.

Persino gli animaletti urbani erano in festa, e svolazzavano o zampettavano allegri sui tetti e tra la gente per accaparrarsi briciole e avanzi.

Se Tryn fosse stata fisicamente in grado di provare qualunque emozione diversa dall'ansia, di sicuro sarebbe stata l'invidia a spuntarla. Se quel giorno non fosse stato tanto speciale, a quell'ora sarebbe stata mano nella mano con Derval, a svagarsi con Ari e il resto dei loro amici.

Invece, mentre loro, con tutta probabilità, si abbuffavano nel solito ritrovo per mitigare la sbornia, Tryn sgomitava per raggiungere l'Officina di Xarve – il punto di riferimento indicato sulla sua lettera di promozione.

"Spero che Dera sia abbastanza sobrio da ricordarsi di conservarmi uno spicchio di Som per dopo. O qualche frittella. O almeno un panino. Per allora mi sarà passata la nausea, no?"

Tryn non poté fare a meno di fantasticare su quel fantomatico "dopo". I casi erano due: o avrebbe superato l'esame di conferma; oppure l'avrebbe fallito.

Qualunque si fosse realizzato alla fine, quella sera l'avrebbe trascorsa a divorarsi un'intera luna al cioccolato – altro che uno spicchio – e a bere tutto l'alcol che avrebbe retto. In cuor suo, però, si augurava davvero che non l'avrebbe fatto per strozzare e affogare i suoi dispiaceri.

«Pista!»

«Signorina, largo!»

Tryn si appiattì contro un muro giusto in tempo per non essere travolta dall'orda di ragazzini che si stava riversando fuori dal vicolo che aveva appena imboccato. Sia i nastri tra i loro capelli sia quelli che al termine delle bacchette che impugnavano – rigorosamente del colore sacro del loro Clan di appartenenza – svolazzavano rapidi come i loro risolini.

«Bambini, piano!» li richiamò un ragazzo, forse il più grande tra i piccoli della sua famiglia. «Scusatemi, mia Carità.»

"Eh? Oh, Dea, ce l'ha con me."

Tryn allargò la cappa nuova di zecca in un inchino con un istante di ritardo; un sorriso timido le piegava le labbra piene. «E di che.»

«Buon anno.»

«Ah, buon anno» gli fece eco.

Non si mosse ancora, nonostante il ragazzo l'avesse oltrepassata. Quattro adulti stavano percorrendo a loro volta lo stretto vicolo uno di fianco all'altro, ostruendolo. Discutevano a mezza voce, con dei pigli fin troppo seri per l'atmosfera di leggerezza e meraviglia che si respirava in ogni angolo di Mersa.

Mentre le passavano accanto, Tryn accennò un saluto rispettoso e abbassò gli occhi, ma le sue orecchie erano tese in ascolto.

«... ha riportato qualcuno in città» disse uno di loro.

«Un Esule?» chiese un'altra. «Non aspettiamo nessun gruppo.»

"Uno dei dispersi dell'ultimo è riuscito a sopravvivere? O è il primo di uno nuovo?"

«È questa la cosa strana, non ha detto "Esule". Ha detto "qualcuno".»

Un terzo sbuffò. «Ti attacchi sempre ai cavilli. Certo che è un Esule. Chi mai potrebbe cercare asilo se non un Esule?»

«Sì, beh... su questo hai ragione» gli concesse di malavoglia. «Fatto sta che metà del plotone che l'ha scortato è rimasto ferito.»

Tryn alzò la testa di scatto. "Chi era di turno di pattuglia, oggi? Julan e i suoi? Mia Dea, fa' che non sia capitato loro niente di grave. Zev non lo sopporterebbe."

«Come?»

«Cosa?»

«Come sono rimasti feriti i Messi?»

«Non ha detto neanche questo.»

«E cos'è che ti ha detto Gyervi, di preciso?» lo stuzzicò.

«Quello che vi ho detto io adesso!»

«Va bene» intervenne infine la quarta. «Calmiamoci e...»

Tryn perse il prosieguo della conversazione tra la musica e la confusione generale. "Eretici. O peggio ancora, Abomini" fu la sua ipotesi. "Ma perché devono spingersi attorno alla città proprio quando Derval ha avuto l'autorizzazione a pattugliare?" Si torturò i gomiti. "Prima della loro prossima uscita devo ricordare a Kae di assicurarsi di avere abbastanza sacche di sangue nello zaino. E bende di compressione. E radici medicamentose d'emergenza... Dea, e se ne incontrassero sul serio uno? E se rimanessero addirittura coinvolti in un'incursione?" Rabbrividì al solo figurarselo. "No, non succederà. Ryun li terrà alla larga dal vero pericolo fino al diploma. E comunque non è il momento di pensare a queste cose!"

Tryn stritolò la tracolla della sua borsetta di paglia e si addentrò nel vicolo a passo di marcia. Si focalizzò sui muri degli edifici attorno a sé, che dalle sfumature del legno passavano ai volti della pietra e alle tinte vivaci dei mattoni. Sui boccioli verdi e immaturi che sbocciavano tra le loro crepe. Sui disegni mosaicati dei sampietrini del sentiero. Sulle aiuole selvatiche in fioritura che lo costeggiavano.

Furono i piedi a guidarla mentre la sua mente si aggrappava a qualunque distrazione a portata. E ben presto, Tryn si ritrovò a tronchi di distanza, nella strada – anch'essa perpendicolare al Cammino della Dea – in cui sorgeva l'Officina.

La vista della sua insegna a forma di ingranaggio che dondolava piano nel vento fu un sollievo e, al contempo, un colpo al cuore.

Tryn rallentò fino a fermarsi, fregandosene dei passanti che la osservavano con curiosità o perplessità. Si controllò le dita, che tremavano, sì, ma soltanto un po' ed esclusivamente per colpa del nervosismo. Provò a invocare la Benedizione e non riprese a respirare finché i polpastrelli non le sfavillarono della familiare luce viola curativa. Infine, attinse alle sue conoscenze e con soddisfazione trovò tutto ciò che aveva temuto di aver dimenticato per sempre di nuovo al suo posto.

"Sei pronta" si disse, non in un incoraggiamento, in una certezza. "Dimostralo."

Con mano finalmente ferma e i dubbi addomesticati, si sistemò il cappuccio della cappa sulle spalle; ne lisciò i bordi ricamati; e si accertò che i bottoni dorati con il simbolo dell'Ordine fossero tutti lucidi e in bella vista; quindi, ricominciò a camminare con lo sguardo fisso in avanti.

Non fu finché a separarla dall'Officina non furono una manciata di rami che si rese conto che la macchia bianca accanto alla porta non era un ragazzo con un sarka.

Era un Devoto in divisa: il suo esaminatore.

Non era una Carità, un Misericorde o un Clemente qualunque, come era naturale – logico – immaginarsi. E non era la Maestra Kipa né un altro Anziano che, per quanto insolita, sarebbe stata una scelta quantomeno plausibile.

Appoggiata al muro grigio dell'Officina, ad attenderla a braccia conserte, c'era l'unica Pietà della Dea.

C'era il Nume della giustizia in persona.

C'era la Divina Lera.

Tryn sussultò quando le iridi viola della dea la individuarono tra la folla, con la stessa facilità con cui quelle di un Lista avrebbero individuato una preda al chiarore delle lune gemelle. Si posarono su di lei come una presenza fisica e bruciante; e Tryn non si sarebbe sorpresa se, dopo qualche secondo di contatto di troppo, la sua pelle avesse cominciato a sfrigolare.

"Hanno mandato... lei? Perché?"

La Divina Lera si staccò dal muro e la fronteggiò, ma Tryn rimase dov'era, paralizzata fin nelle ossa.

"La Divina Lera è la mia esaminatrice" articolò in un pensiero lento e ben scandito, volto ad autoconvincersi che una cosa del genere stesse accadendo sul serio. "C'entra... c'entra la Maestra Kipa? Gliel'ha chiesto lei? O l'hanno fatto gli Anziani? Sperano che mi bocci? Che—"

«Nurak!» le urlò la Divina Lera, sovrastando il baccano senza difficoltà. «Hai intenzione di startene lì impalata tutto il giorno?!»

Tryn trasalì ancora e si affrettò a raggiungerla. «Ah! No! Eccomi, mio Nume!»

L'ultima volta che Tryn era stata così vicina alla Divina Lera risaliva a più di otto anni addietro. A quando lei aveva occupato la sedia accanto alla sua durante il Rito di Ritorno alla terra di sua madre, che all'epoca le faceva da Vice.

I Numi, come la Dea, erano eterni e imperituri, e questo Tryn lo sapeva bene. Eppure, non poté fare a meno di cercare qualunque traccia del passaggio del tempo nella Divina Lera; e di stupirsi nel non riscontrarne.

Era ancora alta poco più di un ramo e sei foglie – una stazza che non era più così impressionante, come le era sembrata da bambina, avendola ormai persino superata di una decina di semi. Le curve modeste e i muscoli tonici – che si confacevano a una guerriera del suo calibro – risaltavano oggi come allora sul fisico esile.

Nonostante, tecnicamente, la Divina Lera fosse sulla cinquantina, sul volto ovale non c'erano rughe di vecchiaia, solo d'espressione; tra i lunghi capelli d'inchiostro – domati in una coda – non si scorgeva una singola striatura grigia; e la pelle candida, dal sottotono dorato, era perfetta ovunque la si guardasse.

Tryn si inchinò; sarebbe stato difficile non farlo quando l'aura di potere della Divina Lera gravava l'aria stessa. «Sono—»

«In ritardo» la sovrastò, arricciando infastidita il naso dritto.

«No. Cioè, sì» si corresse, in un balbettio instabile. «Perdonatemi. Ho incrociato il corteo. Comunque sia, sono—»

«La figlia di Ela» la interruppe, di nuovo. «Qui per sostenere l'esame di conferma da Carità. Lo so, siete identiche e mi hanno inviata ad esaminarti. E a questo proposito, diamoci una mossa, voglio finire entro ora di pranzo.»

«Uhm, certo! Fate strada» farfugliò, cercando e fallendo di mantenere il tono allegro. «Il sofferente che mi è stato assegnato è in uno degli appartamenti sul Cammino della Dea?»

«No, siamo già davanti a casa sua.»

Tryn adocchiò l'Officina. «Xarve è malata? Cos'ha?»

«Te lo spiego mentre entriamo. Vieni, Nurak.»

«Tryn» ribatté. «Mi chiamo Tryn.»

La Divina Lera la guardò da sopra la propria spalla, dedicandole la stessa attenzione che avrebbe riservato a una cartaccia per strada. «Complimenti. Con l'esame scopriremo se varrà la pena che me lo ricordi oppure no.»

Aprì la porta e si inoltrò nell'Officina senza neanche chiedere il permesso a Xarve – o controllare che Tryn la seguisse, sebbene lei l'avesse fatto in automatico.

"... Perciò il Capo Kelon non fa il solito melodrammatico a lamentarsi di continuo di sua sorella. E io che l'ho pure difesa... Me la ricordavo molto diversa."

Che Xarve fosse malata, fu subito lampante.

La penombra regnava dove avrebbe dovuto fare la luce calda della forgia. E al posto del battere cadenzato del martello o del fruscio della matita sulla carta ad accompagnare il ticchettio di Blu – il marchingegno preferito di Xarve – c'era solo il silenzio. Le finestrelle alte, che correvano lungo tre dei quattro lati della stanza quadrata, erano chiuse, invece che spalancate per disperdere il calore, e nemmeno un po' sporche per la fuliggine. Non si distinguevano attrezzi o prototipi o progetti accartocciati né sui lunghi banconi rettangolari accostati a ogni parete né sulle mensole che li sovrastavano; se non fosse stato per qualche danno o macchia sui loro ripiani, nessuno avrebbe mai sospettato quanti ne avessero ospitati nel tempo.

Ma la differenza più desolante era la postazione da disegno che troneggiava al centro... vuota. Priva della famigliare figura di Xarve china su di essa, a portare avanti fin troppi schizzi in simultanea.

«Xarve è nella stanzetta sul retro» la avvisò la Divina Lera.

Tryn stette per domandare come mai non fosse nell'appartamento al piano di sopra – che si era accaparrata dopo aver fatto scappare i vecchi inquilini – ma ci ripensò. Per un'inventrice come Xarve, persino una rampa di scale doveva essere una distanza inaccettabile tra di sé e l'amata Officina.

«Uhm... Mio Nume» la chiamò Tryn, faticando a tenere il suo passo senza la forgia a illuminare l'Officina. «Adesso potrei avere il resoconto sul sofferente?»

La Divina Lera sospirò. «Xarve Eloz ha difficoltà respiratorie—»

«Oh!»

Tryn inciampò su qualcosa e cadde sul pavimento di assi di legno che, già scure di base, nell'ombra mutavano in un unico fondale indistinto. Atterrò con violenza sulle ginocchia e il cappuccio della cappa finì per cascarle sul naso.

«Ah, sì, c'è un coso a terra» la avvisò, ormai troppo tardi. «Ed è in compagnia. Fa' attenzione a dove metti i piedi»

«Lo farei volentieri,» premise Tryn, a denti stretti, «se solo ci vedessi

La Divina Lera esitò, gli occhi lucenti dal taglio allungato spalancati in un'espressione di sincera sorpresa. Tryn temette che fosse per la sua impertinenza e si preparò a implorare perdono, ma la dea la precedette.

«Giusto, scusa. Non ci avevo pensato. Ora ti accendo le luci.»

"Oh. Non... non se n'era accorta che eravamo al buio?"

Considerando che la sua vista si adattava alla perfezione persino alla più fitta oscurità, la cosa era molto probabile. Tryn si mortificò per aver presunto subito il peggio e concordò almeno di ringraziarla.

«Lo... lo apprezzerei tanto, mio Nume.»

Tryn attese che la Divina Lera mantenesse la parola per provare a rialzarsi. E una volta in piedi, si affrettò ad aggiustarsi la cappa e a spostare le cianfrusaglie sui banconi affinché non fossero più un pericolo. Malgrado si sentisse addosso il suo sguardo – che aveva pari possibilità di essere irritato quanto preoccupato – Tryn si impegnò a evitarlo. E a tenere il proprio basso. Sotto i faretti dell'Officina, l'imbarazzo era il solo sentimento a essere sopravvissuto.

La Divina Lera si schiarì la voce – forse per dissipare il proprio – e oltrepassò l'arco squadrato che, dalla stanza principale dell'Officina, conduceva a quella sul retro. Tryn la sbirciò e la tallonò soltanto quando le diede le spalle.

«Come stavo dicendo» riattaccò. «Xarve Eloz ha difficoltà respiratorie, tosse, ematemesi. Ha mostrato confusione, affaticamento ed è stata soggetta inoltre a molteplici episodi di convulsioni.»

Tryn attraversò la soglia della stanzetta sul retro – che fungeva da camera da letto fin da quando Xarve viveva ancora nell'Anello del Clan Eloz, piuttosto che al piano di sopra – e un guizzo di paura le attraversò il sangue.

Xarve giaceva praticamente immobile nel letto ad alcova, seppellita da una montagna di coperte. I boccoli castani le ricadevano scomposti e sudati sulla fronte che, come il resto del suo incarnato, da una naturale tonalità di bronzo era scemata in un insipido beige. Le guance piene erano scavate e arrossate; le labbra carnose screpolate e cianotiche.

Tryn scandagliò in fretta i dintorni e trascinò la sedia della scrivania vicina fino al capezzale.

«Adesso che hai un quadro generale dei sintomi,» iniziò la Divina Lera, «qual è la tua diagnosi preliminare?»

«Dipende. Da quanto non riprende conoscenza?»

Tryn avrebbe giurato che l'ombra di un sorriso fosse apparsa in viso alla Divina Lera, ma il piglio infastidito che vi dimorava in pianta stabile la spinse a pensare di essersela immaginata.

«Un ciclo.»

«Un ciclo intero?!»

«Giorno più, giorno meno» azzardò. «Non possiamo contare sulle testimonianze di amici e familiari per ovvi motivi, ma i negozianti dell'altro lato della strada affermano di aver smesso di sentire l'incessante fracasso molesto di Xarve circa sette o otto giorni fa. Dopo un primo momento di gioia, si sono preoccupati e ci hanno chiamati.»

"Santa Dea... Va bene, povera Xarve, ma questo almeno restringe il campo per me. Priorità, Tryn. Priorità."

Tryn spolverò la sua lista mentale e cominciò a scorrerla. Il respiro di Xarve era irregolare e rauco, il battito incostante e la temperatura svariati gradi sopra il normale; niente di tutto ciò, tuttavia, portava in una singola direzione.

"Segni e ferite, allora."

Tryn scostò le coperte e scorciò le maniche del pigiama di Xarve. La prima cosa interessante che osservò furono le bruciature serissime eppure estremamente limitate che le ricoprivano le mani. La seconda fu l'odore frizzante e fruttato che vi si levava. La terza fu una crosticina sospetta nell'incavo del gomito.

"Ma che...?"

«Io... non sono il primo Devoto a visitarla, vero?» domandò. «Qualcun altro l'ha già fatto. E ha pure iniziato un trattamento per... un avvelenamento di natura chimica?»

Stavolta, l'angolo della bocca della Divina Lera non fremette verso l'alto per un singolo attimo: si piegò sfacciatamente e con calcolata lentezza in un vero e proprio ghigno.

«No, Nurak, non sei la prima» confermò. «E sì, ho mentito. Ho in cura Xarve personalmente per un avvelenamento chimico dal ventiquattro di questo Mos Maturo. È una mente troppo preziosa per il nostro popolo per lasciare la sua salute in mano a un Devoto qualunque. O, peggio ancora, a un Anziano» sputò quel titolo come se non ne sopportasse il mero sapore. «E poi, hai una vaga idea di quante volte al ciclo Xarve molesti me e i miei fratelli per farsi spiegare questa o quella cosa sui sylcra? Quando lo scorso Filka nessuno l'aveva vista per due giorni di fila, ho fatto un salto all'Officina. A essere sinceri, mi aspettavo di dover fare i conti con un cadavere.»

Tryn riappoggiò con delicatezza il braccio di Xarve sul suo stomaco e rimuginò per un po'. «Non capisco.»

La Divina Lera si sedette sulla scrivania. «Beh, la conosci Xarve. Soltanto la morte sarebbe capace di farla stare buona.»

«No, non... Se la state curando voi, perché io sono qui?»

La Divina Lera accavallò le gambe e si pizzicò gli stivali alti per riportarseli oltre il ginocchio. «Suppongo che la Maestra Kipa ti abbia detto che la maggior parte degli Anziani si è opposta alla tua ammissione agli esami finali, visto il tuo caso particolare.»

«Sì. Per questo li ha scavalcati e si è rivolta a voi.»

«Quello che non sai è che quei vecchiacci non si sono fatti bastare la mia approvazione e si sono lamentati con mia madre. Che, per la cronaca, era dalla tua parte» rivelò. «Ma nemmeno lei è riuscita a convincerli a darti la loro benedizione e, alla fine, in tuo soccorso è intervenuta proprio la Maestra Kipa. Che come al solito, si crea e si risolve i problemi da sola.»

Tryn si costrinse a chiedere, anche se non era sicura di voler sapere. «Cioè?»

«Dopo un'estenuante riunione, si è deciso che se tu avessi infine dovuto sostenere l'esame di conferma, sarei stata io a soprassederlo. Giusto per chiarire una volta per tutte se tu fossi pronta o meno a essere una Carità» spiegò, aprendosi poi in un sogghigno. «E che la tua promozione sarebbe dipesa esclusivamente dalla formulazione di una diagnosi corretta.»

«... Come in un normale esame di conferma» sottolineò Tryn. «Cosa che, concorderete, ho già—»

«Oh, no, con "diagnosi" non intendo capire cosa abbia causato i sintomi. La Maestra Kipa aveva previsto che alla sua pupilla sarebbe bastata una semplice occhiata per riconoscerli e risalire all'avvelenamento, e così è stato» affermò, la voce melliflua tinta di quello che, per quanto assurdo, Tryn interpretò come piacere. «Con "diagnosi" intendo capire cosa abbia causato l'avvelenamento

Tryn cambiò incerta posizione sulla sedia. «Mio Nume, questo mi sembra più un lavoro da Urbico che da Devoto. Insomma, è... un'indagine fatta e finita.»

«Sì, questa è la scusa che hanno usato gli Anziani quando hanno fallito» replicò. «Ma la Maestra Kipa ha argomentato che un certo spirito investigativo è necessario per un Devoto. Punto su cui io stessa sono d'accordo. Pertanto, quando ci è arrivata lei, ha scommesso che ci saresti arrivata anche tu, in barba al loro parere. E gli Anziani hanno subito abboccato.»

Tryn si concesse qualche secondo per processare quelle parole. «Fatemi capire bene, mio Nume: quindi per passare l'esame di conferma, devo identificare la sostanza che ha avvelenato Xarve... quando nemmeno gli Anziani ne sono stati in grado?»

«Esatto.»

«Hm. Bene.»

"Perciò sono nella merda."

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Foto: Scorcio del Cammino della Dea, Mersa.

Con praticamente un giorno di ritardo rispetto al previsto, ma eccoci qui con un nuovo personaggio e delle nuove (dis)avventure, che spero abbiate apprezzato. Come si ricollegherà Tryn al povero Revi? Ci rivediamo tra sabato 16 marzo e domenica 17 (stavolta mi tengo larga) per scoprirlo. Alla prossima! ^-^

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