Cadavere Squisito. Squadra Pablo Picasso

Le stranezze di quella giornata incominciarono sulla strada tra Tehuantepec e Ciudad Ixtepec, lungo il paesaggio brullo e semidesertico che s'increspa nelle montagne della Sierra Madre del Sur verso l'orizzonte. Aldo guidava da diverse ore, la mente annebbiata dai vapori dell'asfalto esalate dalla carreggiata sempre dritta, quando udì una sorta di strepito animalesco provenire da dietro il muro di arbusti morti. Voltandosi, vide un guizzo bianco tra gli sterpi, un baluginio di artigli neri che fece frusciare i ramoscelli come il sussurro selvaggio della coda di un coatl. Era una civetta delle nevi, gli occhi gialli e remoti fissi su di lui e gli artigli stretti intorno alla gola di un coyote. Una civetta delle nevi nel cuore del Messico, a pochi chilometri da montagne così arroventate dal sole da spogliarsi di vita nei lunghi periodi tra un acquazzone estivo e l'altro. Lo strigiforme ruotò lentamente il capo e continuò a ricambiare lo sguardo annoiato di Aldo, le penne bianche quasi accecanti in mezzo alla terra brulla e nerastra, e sembrò stringere la presa sulla sua preda mentre l'auto se ne sfrecciava via. Un brivido freddo scosse la schiena dell'uomo.

L'innaturalità dell'evento gli faceva pensare a una sorta di apparizione, alla manifestazione di un qualche angelo della morte dalle vesti candide e dallo sguardo così severo e indifferente che vi si poteva scorgere un frammento della nera staticità incombente dopo l'ultimo sospiro in solitudine. Uno scorcio del grande vuoto cosmico dell'esistenza, della celestiale indifferenza. Ma Aldo pensava così solo perché quella strada battuta dal sole lo aveva indotto in una sorta di trance; di certo una spiegazione razionale si celava dietro quell'anomalia zoologica. Non era abituato a guidare per così tante ore e il caldo insopportabile dell'Oaxaca scioglieva i minuti di riflessione in un indefinito torrente riarso dove pensieri e visioni si mischiavano tra loro. Forse era stata solo un'allucinazione dettata dal caldo, pensò, mentre si asciugava il sudore dalla fronte e alzava il volume della radio nella speranza che lo rinsavisse un poco.

Presto arrivò a destinazione, alla fine di una lunga strada sterrata dove le impronte degli pneumatici si erano solidificate nel fango delle piogge autunnali. Aldo scrutò i dintorni del paesino. Cruces de Rienque non traboccava certo di vita nonostante le strade fossero ben spazzate e gli scuri delle case spalancati a mostrare tavole ancora da sparecchiare e ventilatori arrugginiti che ruotavano per inerzia nei soggiorni. Gli unici segni di vita erano le lucertole che si nascondevano nelle crepe dei marciapiedi e gli xoloitzcuintle del macellaio che iniziarono a latrare quando videro il veicolo passare in mezzo al borgo. Con un po' di fatica, Aldo parcheggiò su un piazzale di fianco alla chiesetta e presto un uomo venne ad accoglierlo.

«Buenos días!» disse l'individuo. Era un uomo basso e scarno, con i capelli rasati, gli occhi sporgenti e il petto scosso da fremiti nevrotici.

«Buongiorno» Aldo si sistemò gli occhiali sul naso e si lisciò i capelli «sono Aldo Ventura, l'uomo che l'ha contattata per e-mail»

«Ah, il collezionista. Lo immaginavo» rispose l'uomo con una strana soddisfazione nella voce «io sono Gustavo, l'uomo che sta cercando. L'ho sentita arrivare. Non passano molte auto da queste parti»

Aldo sfoggiò un sorriso di simpatia «È un piacere conoscerla. Il suo negozio è qui?» dovette alzare la voce per farsi sentire, dato che i cani continuavano ad abbaiare oltre la recinzione.

«La mia hacienda è dietro l'angolo, sì,» rispose Gustavo, stringendo la mano dell'interlocutore, poi si voltò «mi segua»

I due uomini s'incamminarono attraverso le strade del villaggio. Aldo si riparò dal sole con una mano e con l'altra strinse il borsello pieno di banconote che aveva preso dal bagagliaio dell'auto. Non c'era un filo di vento e il paesaggio rurale messicano era piuttosto suggestivo, immerso in quel silenzio pomeridiano.

«Cruces de Rienque non sembra un paese importante» disse Gustavo mentre camminavano in salita «ma un tempo ha dato le origini all'uomo più alto del mondo»

«Davvero?» domandò Aldo.

«È vero. Si chiamava Manolo Henestrosa Zopiyactle ed è nato qui, a Cruces de Rienque. All'età di un anno era già alto un metro e dieci. All'età di sette anni, misurava un metro e settanta. Finché a diciassette anni, nel millenovecentoventisette, arrivò a toccare due metri e cinquanta. Tutti lo chiamavano el Ceiba. Ho delle foto in bianco e nero di lui, offrirono molto denaro, molto denaro per portarlo in fiera e mostrarlo per due centavos. Purtroppo morì proprio quell'anno»

«Morì? E di che cosa?»

«Il poveretto non riusciva a dormire. Si era fatto tutto grinzoso per l'insonnia, di notte gli occhi li chiudeva ma le mosche nel cervello continuavano a ronzare. E in più sua madre non poteva permettersi un letto più grande dal carpentiere»

«Amen»

I due uomini entrarono nell'emporio di Gustavo: un negozio di statue da giardino e marmi sacri dal nome "Hacienda Tres Piedras". Era un negozietto appena fuori dal centro della città, circondato di un'inferriata nerastra e arbusti rinsecchiti, con due putti di gesso a dare il benvenuto ai visitatori.

Quando Aldo mise piede nel negozio, fu accolto da una miriade di statue delle più varie forme e dimensioni. C'erano madonne piangenti di marmo stringenti rosari finemente scolpiti, rozze colonne di resina stampate a iniezione, diverse raffigurazioni della Santa Muerte in arenaria, credenze piene di piccole scatole per sigari intarsiati in pietra e perfino delle statuine del presepe in avorio puro.

Gli xoloitzcuintle fuori stavano ancora abbaiando quando una donna entrò da una porta vicina al bancone e volse un'occhiata preoccupata a Gustavo. Era un donnone nerboruto e sovrappeso, con il viso dai lineamenti schiacciati e la pelle olivastra tipici degli abitanti del luogo che ancora conservavano il patrimonio genetico degli indios.

«Caduxhu ca bi'cu ti cayuushiicame guendaguti» disse, strofinando via la polvere dalle orbite scavate.

«Callate!» la zittì Gustavo, innervosito, e le fece segno di tornare da dov'era venuta. La donna ubbidì con stizza e Aldo corrugò la fronte.

«Quella è Conchita. Mi aiuta a mandare avanti l'emporio, ma è molto superstiziosa» Gustavo sorrise imbarazzato e sistemò le tende di raso alla finestra per far entrare più luce.

«Che cos'ha detto?» domandò Aldo.

«Una sciocchezza. I cani latrano perché sentono l'odore della morte» rispose Gustavo «ma il limbo è un'anticamera, presto arriverà un temporale»

Aldo restò interdetto per un momento mentre lo scultore si dirigeva con passi nervosi verso una delle molte credenze in legno di granadillo che adornavano l'interno del negozio. Lo vide spostare alcuni angioletti di ceramica e rovistare finché non estrasse un grosso cofanetto di palissandro. Anche nella penombra, Aldo poteva osservare le pregiate decorazioni di bronzo incastonate a mano nel legno e le cerniere di ferro ancora in perfette condizioni, e il cuore gli sobbalzò nel petto per l'emozione. Gustavo gli porse il cofanetto ed egli lo prese con estrema delicatezza. Prima di schiuderlo lo carezzò con la mano, gustando i rilievi del metallo, e trasse un respiro profondo per assaporare l'odore del legno. Dopodiché, lo aprì.

«Allora? Ne è soddisfatto?» domandò Gustavo.

«Sono senza parole» rispose Aldo, ammirando la scacchiera accuratemente posta nel proprio scrigno. Le sue dita sfiorarono i pezzi intagliati a mano nell'avorio più pregiato ed ebbero un fremito di eccitazione a contatto con il gelido materiale osseo.

«Non ho mai visto una Quintemont così ben preservata» sussurrò, la voce tremolante per l'emozione «sa che tutti i pezzi sono stati scolpiti a mano? Monsieur Quintemont impiegava quasi una settimana per ogni singolo pezzo»

«Lo so bene, è un cimelio inestimabile» rispose Gustavo «vuole anche fare una partita?»

Aldo rise «In realtà sono una frana a giocare. Sono solo un collezionista»

«Allora affare fatto?» incalzò Gustavo, ricambiando il sorriso.

«Assolutamente»

I due uomini si strinsero la mano e Aldo porse la busta di soldi a Gustavo, che la accettò con un benevolente inchino.

«Molte grazie» disse «mentre conto i soldi, può dare un'occhiata al giardino nel retro. Lì tengo le statue più belle. La porta è quella»

Aldo annuì e notò che la donna zapoteca lo stava ancora fissando in cagnesco da dietro il bancone. Cercando di ignorarla, si addentrò nel giardino dell'emporio dopo aver lasciato il cappotto su un appendiabiti e iniziò a passeggiare guardandosi intorno. Le statue esposte all'esterno erano ancora più impressionanti; angeli di gesso con le ali spiegate che troneggiavano sui putti da giardino, una madonna di Guadalupe di marmo alla quale si erano abbarbicate le radici dei cipressi e una serie così lunga di sculture di cemento bianco da far sembrare quel luogo un labirinto. Era un peccato che Cruces da Rienque fosse un paese così sperduto nel cuore dell'Oaxaca, poiché quella era un'hacienda di tutto rispetto. Aldo osservò con grande interesse quei lavori finemente scolpiti da Gustavo finché non adocchiò qualcosa che spuntava da un gruppo di statue di arenaria poco distante. Aguzzò la vista per scorgere meglio di che si trattasse e subito il sangue gli si gelò nelle vene. Era un uomo riverso a terra e dalla pelle pallidissima, candida come il marmo delle statue che lo circondavano.

***

Ore 19.

82 Fahrenheit fissi, fin da quando ho tagliato il traguardo interstatale dieci giorni fa. Dopo sondaggio aerologico e misurazione dello stato termico del punto di rugiada: fintanto che l'estate è ancora nell'aria, l'Eden sarà sempre nei nostri occhi.

Fumo all'ombra di una palma e guardo quei piedi terrosi che sbucano tra le sculture.

Giuro: sulla prossima che sventro, uso l'attizzatoio di un motel, così, perlomeno, diamo un senso a tutti i caminetti incongrui incontrati dalla Florida fino a quaggiù.

Incandescente come le scintille di un falò, il cielo accartoccia e mangia il bianco pomposamente virginale delle nuvole. Intanto, l'allungarsi delle code di disordine dei fari annuncia la sera, già pregusto la magia di un'illusione ipnagogica blu che rasserenerebbe addirittura i passeggeri fobici di quell'aereo all'orizzonte, qualora se lo ripetessero come me adesso, tra i vuoti d'aria delle promesse di un'ennesima notte bugiarda alle porte: è possibile già domani, smettere di essere chi sei?

Chi sarà la prossima vittima di un capriccio similpelle che dura il tempo di sezionare un capezzolo con la croce dell'abitudine seriale?

Stavolta, lascerò scegliere la candidata più promettente all'oroscopo del giorno. Lo zodiaco tutto, riunito, raccatterà le stelle come lampadine e scriverà WOW al neon nel bel mezzo del firmamento a illuminare la mia installazione: io nudo sopra il suo corpo di gloria pallidissimo. Intorno alle mie, le sue braccia, ultimi guizzi di pitone morente. L'idrante della sua carotide strappata battezzerà di scarlatto la luna fluo sul soffitto della stanza, benedirà a caso e in abbondanza la volta celeste dei miei sogni cagliati di innocentino e scriverà la pagina zero della prima storia d'amore nell'era dei nuovi mostri. Di cui io sarò poeta veggente, amputato del talento parassitario della negra gente. Senso alto e schietto e definitivo del creato, tramonto in un'ultima occasione di paradiso mancato. Sei l'unica patria che valga il sangue versato, mi conforta la mia bella trapassata dall'oblio di un vascello astrale: Baby, sei il mio inno nazionale.

God, I'm so handsome. Give me a standing ovation.

Rischiando come sempre la scucitura dello scroto, alla stregua di un cowboy tutt'altro che preparato in occasione del primo rodeo, mi catapultò alla meno peggio nell'unico motel di questo posto in culo al mondo.

Il messicano rugoso alla reception mi regala uno sguardo bovino.

«Vecchio, dammi subito il giornale di stamani!»

«Quanta fretta, moccioso! E poi perché hai quella gruccia in mano?»

Temi forse che me lo stia per portare alla toilette con l'obiettivo di nettarmici il deretano? Fai bene: è un inconscio dannatamente marcio, quello che mi spinge a consultare anche solo l'oroscopo di questa merda di quotidiano. E per quanto riguarda la gruccia, vecchio, quella è una brutta storia.

«Ascoltami bene, Sigmund. Tu adesso prendi le tue dita lerce di sprezzo nei confronti della psicologia alchemica di Carl Gustav Jung, trovi la pagina di quel fottutissimo oroscopo e me lo metti sul bancone.»

«Ragazzo, mi chiamo Paco. Sigmund non lo conosco. Oh, ma perché parli con gli occhi chiusi?»

«Il disagio di questa civiltà mi fa girare la testa. E poi lo dici tu, non io, che per rendere conscio l'inconscio bisogna concentrarsi.»

Se non prendo la giusta distanza da me, già lo so come finisce: questa gruccia si conficcherà nell'occhio del vecchio Sigmund in meno di un secondo.

«A proposito. Se sei dell'ariete, qui c'è scritto che anche oggi la tua proverbiale impazienza non ti consentirà di infilare il pistolino in nessun fodero diverso dalla tua mano. Se invece sei del leone come me, occhio a quella gazzella sola soletta presso il bancone del bar: non aspetta altro che il tuo ruggito di presentazione, per trasformarsi spontaneamente nella tua cena. Allora, di che segno sei, ragazzo?»

«Stesso giorno e stessa ora di Adolf.» Sembro leggermente meno solenne solo perché lui è nato a Pasqua e io a Pasquetta. Ma resto pur sempre la sua reincarnazione. In vena di fare baldoria, per di più. Quindi mi devo rifare al più presto della prima che trovo del primo segno zodiacale su cui si ferma il dito, altrimenti la noia prende il sopravvento ed è peggio.

Come una moneta sulla tavola ouija, il polpastrello attende di sentirsi impossessato dallo spirito sanguinario di un qualsiasi viet cong colpito da disturbo da stress post traumatico. Inizia a errare verso est per poi procedere sempre più spedito, pervaso dalla stessa carica adrenergica che deve aver galvanizzato il protagonista dell'Uomo dei dadi, nel momento di tirarli per la prima volta.

«Paco, Paco...» Un ragazzino urla dalla strada. «Hanno trovato un cadavere, vieni a vedere.»

«Figliolo, in questo momento sei sulla casella eros e amore del segno di mia figlia, Maria. Ti accontenti o proseguiamo la ricerca dopo aver visto il cadavere?»

«Nietzsche direbbe di sicuro che chi si accontenta di un'ebrea finta come Lou Andreas Salomè gode. Perché così parlò Kamasutra.» Get down l'identikit sentimentale corrente di quel mignottone della donna di picche, della regina di Saigon, della pupa del secchione e... «Andiamo a vedere il cadavere.»

Ore 20.

Benny Martinez osservava il corpo e scuoteva la testa. Un omicidio a Cruces da Rienque, Oaxaca, era un evento più unico che raro. Fece un cenno al suo vice, Alvarez, affinché allontanasse tutti i curiosi che si erano assiepati lì intorno. C'era davvero troppa gente! Era possibile che l'assassino si trovasse ancora sul luogo del delitto. Doveva interrogare i turisti della fazenda, soprattutto il tipo che chiamavano Aldo, gli sembrava sveglio. In quel momento arrivò il vecchio Paco, accompagnato dall'americano smilzo che alloggiava al motel. Sarebbe stata una bella gatta da pelare.

***

Riportò nuovamente l'attenzione sulla salma e la osservò da capo a piedi. La vittima era riversa a terra in una pozza di sangue incrostato, portava i segni del terrore sul volto contorto: gli occhi privi di luce erano spalancati, la bocca leggermente aperta lasciava cadere un rivolo di saliva. Sozzo del liquido vermiglio aveva braccia e gambe spalancate; l'uomo era completamente nudo e non riportava segni di collusione, perciò non aveva lottato contro il suo assassino: fu tutto rapido. Prima gli tagliò la gola in modo che non potesse emettere parola e si dissanguasse fulmineamente, poi la vittima cadde a terra in preda agli ultimi istanti di agonia e vita. Il carnefice attese che morisse prima di tagliargli le mani e svuotargli la stanza dei suoi effetti personali: nessun modo per identificare il cadavere e trovare impronte digitali del responsabile di tale atto efferato, abominevole. Eppure qualcuno dei turisti avrà udito un suono, era impossibile che un omicidio fosse passato totalmente inosservato. Benny si rivolse al suo compagno e gli ordinò severo:

«Fai venire altri agenti di polizia dobbiamo interrogare i clienti della fazenda, gli impiegati del lavoro sul turno e chiunque fosse nei dintorni»

«Certo, vado subito». Benny poi si rivolse all'uomo della scientifica che aveva già esaminato la vittima per sapere qualche dettaglio in più.

«A parte l'ovvio, Martinez, non c'è stato troppo da scoprire. In base al rigor mortis lo sconosciuto deve essere morto ieri e non si è difeso contro l'aggressore. I segni della lacerazione sul collo indicano che l'assassino era dietro di lui quando lo ha reciso; è stato un taglio netto, preciso con una lama efficace, magari un coltello da caccia.

«L'oggetto che è stato utilizzato per amputare le mani dal braccio può essere stato un'ascia o un machete, qualcosa che ha funzionato al primo colpo, perché non ci sono segni di maciullamento. Altro non vi è da dire». Benny fece un cenno del capo grattandosi il mento, si rigirò per la camera alla ricerca di qualsiasi cosa fosse fuori posto o sospetta, ma ad occhio nudo non si vedeva nulla di certo. Scosse il capo e domandò ai colleghi sul posto accanto alla porta se avessero trovato impronte digitali sulla maniglia, ve ne erano alcune e le avevano già mandate in laboratorio per esaminarle.

«Bene». Improvvisamente l'uomo si accorse che il letto vicino alla vittima era vuoto, non vi erano lenzuola. Sgusciò fuori dalla camera e quasi correndo si diresse verso il punto di raccolta dove stanziavano tutte le inservienti del posto. Fermo nella posa impettita chiese a gran voce inflessibile di chi si fosse occupato per ultima della stanza presa in considerazione. Una donna intimorita dal tono di voce e spaventata per l'accadimento avvenuto alzò tremolante una mano: Benny prese immediato ad interrogarla.

«Quando ha cambiato le lenzuola del letto l'ultima volta?»

«Ieri mattina señor, fino ad un'ora fa c'era il cartellino "Non disturbare" affisso sulla porta, quindi non potevo accedere. Poi quando ho visto che non c'era più io sono entrata e...» la donna cominciò a singhiozzare ed agitarsi. Benny tornò davanti al luogo del delitto, si accovacciò di fronte al borsone dove erano state depositate le prove rinvenute e frugò meticolosamente fra di esse: non vi era traccia di un cartellino "Non disturbare". L'assassino era sparito dalla scena del crimine con pure le coperte del letto, forse le aveva usate per avvolgerci le armi grondanti di sangue, inoltre era stato qui oggi. Aveva tolto il cartello affisso alla maniglia della porta: ma perché? Voleva che il cadavere fosse trovato? Oppure qualcun altro aveva compiuto il gesto? Stavano cercando due persone? Il responsabile e la persona che aveva davvero trovato per prima la vittima, ma non voleva essere scoperta? Come pensò al suo arrivo: sarebbe stata una bella gatta da pelare.

Ore 6.00

Le analisi delle prove rinvenute furono inutili, poiché non diedero indizi per procedere con l'indagine, la camera fu messa a soqquadro, ma niente fu scovato, gli interrogatori ai turisti indicarono che chiunque aveva un alibi per l'ora attribuita all'omicidio che fu identificata tra le 19:00 e le 20:00; pure le inservienti erano da escludere dai sospettati, poiché avevano tutte testimonianze a loro favore che le attribuiva essere localizzate in posti diversi al momento fatale. Rifletteva Benny, mentre visionava assieme al suo compagno le registrazioni delle telecamere di sicurezza della fazenda; si passò una mano sugli occhi stremato e sbuffò.

«Siamo in un vicolo cieco, qui non c'è traccia di persone sconosciute che siano entrate nell'edificio nell'arco di tutta la settimana: ci sono tutti soggetti che abbiamo identificato e interrogato» espresse Alvarez con tono rassegnato ed aria spossata. Non avevano dormito e stavano investigando senza sosta da ore, perché pareva non esserci soluzione al dilemma. Le telecamere erano poche e sistemate solo all'ingresso esterno del luogo, i perimetri erano scoperti e con la ricca vegetazione attorno alle mura di notte era improbabile vedere qualcuno nell'ombra. Benny posò le mani sulle ginocchia e portò la testa tra le gambe scuotendola. Il carnefice poteva essere entrato dalla finestra e aver aspettato la vittima rientrasse nella stanza, tuttavia sull'intera superfice vitrea non furono trovate impronte digitali: aveva studiato tutto nei minimi dettagli. Lui stesso aveva eseguito l'analisi forense sul registro del locale per scoprire il nome dell'ospite ucciso, ma sembrava essere scomparso dal database. Chiese al personale della fazenda cosa fosse avvenuto, però non ricevette risposte troppo importanti: colui che si occupava di assegnare le camere si ricordò che il deceduto fosse venuto lì il giorno stesso dell'omicidio e il suo nome era Quan, si era scordato il cognome. Alloggiava da solo e vestiva elegante con un completo; Benny fu accomodante e cercò di far ricordare all'interrogato quanto più possibile.

«Aveva un atteggiamento insolito, magari preoccupato, si guardava dietro le spalle?»

«Mi è parso sereno, non credo avesse problemi»

«Indossava giacca e cravatta, vi erano forse delle particolarità su tali indumenti? Scritte?»

«No»

«Aveva con sé una valigia o oggetti di valore?»

«No... ma una cosa mi è parsa ambigua...»

«Che cosa?»

«Non aveva con sé uno zaino o simili come gli altri turisti, bensì una ventiquattrore e basta». Appena sentì queste parole Benny avvertì dell'informazione Alvarez chiamandolo al telefono. La vittima era un ospite temporaneo che faceva un lavoro importante, poteva avere dei nemici che lo volevano morto, così era da escludere l'omicidio passionale. Alla televisione locale fecero girare il nome e il volto del morto per averne un'identificazione da qualcuno che l'avrebbe riconosciuto, nel frattempo le indagini continuarono. Il vice fermò le videoregistrazioni al computer con un colpo secco e richiamò il compagno dallo stato di torpore in cui era caduto da svariati minuti. Gli domandò cosa potessero fare a quel punto. Benny era perso, lo sguardo rassegnato, d'altronde non voleva arrendersi. Si alzò di scatto dalla sedia e inalò un gran sospiro ponendo le mani sui fianchi.

«Andiamo a vedere se nei dintorni della fazenda hanno trovato tracce ematiche provenienti dal colpevole mentre trasportava via le armi, gli arti oppure se si sia sbarazzato di esse. In seguito interroghiamo ancora Aldo e l'americano, secondo me hanno qualcosa che non va... istinto». Il vice fece un cenno di assenso ed entrambi si diressero verso il luogo del delitto decisi, determinati a risolvere il caso.

Ore 8.30

L'area circostante la zona era priva di indizi, pulita: era stato meticoloso. Aldo era seduto al cospetto di Benny che stava leggendo ad alta voce il suo fascicolo dei reati commessi.

«Molestie, risse nei bar e piccoli furti... Hai fatto cose più spregevoli, oltre a queste?» disse l'uomo con tono canzonatorio.

«No!»

«Mmm... Dov'eri l'altra sera tra le 19 e le 20?»

«Come ho già detto agli altri poliziotti ero a casa mia...»

«Che si trova a qualche isolato dal motel...»

«Io non ho ucciso nessuno!!! Non sapevo nemmeno chi fosse quel tipo!»

«Eri da solo a casa?»

«Sì...»

«Qualcuno lo può confermare?»

«No». Qualcuno bussò alla porta della stanza e Aldo sussultò, Benny dal canto suo lo osservò per degli instanti con la fronte corrucciata e l'aria giudiziosa. Alvarez fece capolino accanto al compagno privo d'emozioni in volto, era impossibile capire ciò che provasse; sussurrò all'orecchio dell'uomo poche parole e questo si illuminò in volto sia di sorpresa che speranza. Frettoloso uscì dalla stanza interrogatori, chiuse la porta alle sue spalle e si accostò al vice.

«Ripeti ciò che mi hai detto»

«La notizia dell'omicidio per la sua barbarità non è passato inosservato e si è diffusa a macchia d'olio nel Paese. Una signora residente nei dintorni di Città del Messico ha riconosciuto l'uomo e ci ha telefonato. La vittima si chiamava Quan Engaño ed era un avvocato. La donna era sconvolta, perciò non ha saputo dire altro». Finalmente un bagliore si intravedeva.

Ore 15:30

C'erano cinque ore e mezza di distanza tra Ixtapaluca e Oaxaca, il tempo per reperire ulteriore informazioni dalla donna che si rivelò essere la moglie di Quan fu sessanta minuti circa; Benny ed Alvarez stavano facendo ritorno al distretto un po' amareggiati. Si confrontavano sull'avvenimento e le prove. La coniuge li delucidò solo parzialmente: il marito era un avvocato, non di successo, però aveva vinto decine di casi contro reati di stupro, aveva di certo dei nemici che potevano volerlo morto se erano in libertà. Una settimana prima di partire per Oaxaca ricevette sul portatile un'email proveniente da una persona che chiedeva il suo aiuto per un caso e gli chiese di incontrarsi alla fazenda. Quan accettò e partì, la moglie non conosceva l'identità del cliente. Avrebbero dovuto incominciare a indagare su tutti i processi del defunto, tuttavia innanzitutto dovevano affrontare nuovamente l'americano, poiché vi erano troppe coincidenze: era un avvocato e lavorava per la difesa, ergo contro Quan. Conosceva la vittima?

Ore 19:25

Benny era sdraiato sul divano della centrale di polizia vicino alle scrivanie dei detective; tentava invano di riposare, l'irrequietezza lo faceva rigirare su sé stesso e gli martellava la testa. Si mise seduto di soprassalto e nella sua mente ricreò tutta l'indagine da capo per l'ennesima volta: le immagini scorrevano veloci esangui, i fascicoli si susseguivano inutili, i volti si fondevano tra di loro divenendo ammassi di carne contorta. Cominciò a sbattere le mani sul tavolino ai suoi piedi ed urlare in preda alla frustrazione; d'improvviso si rimise alla scrivania e riesaminò tutto, ogni cosa ancora ed ancora. Non si accorse nemmeno dei gesti di conforto e supporto di Alvarez, l'alba che sorgeva, le chiamate al telefono. Doveva risolvere quel caso.

Ore 5:31

Driin driin

«Pronto?»

«Alvarez... ho trovato qualcosa!»

Ore 5:45

Aldo Hernandez era il vero nome del sospettato dopo che lo aveva cambiato uscito di prigione per un'accusa di stupro di cui si dichiarò innocente e l'avvocato suo difensore era l'americano: l'avvocato della vittima era Quan. Le indagini continuarono imperterrite.

Ore 8

I computer dei sospettati erano vuoti, i due non parlavano dicendosi innocenti, ma la macchina dell'avvocato diceva altro, poiché nel bagagliaio vi erano tracce di sangue corrispondenti alla vittima: lui non aveva un alibi solido esattamente come Aldo. Avevano entrambi un movente, infatti quello dello statunitense era di aver perso il suo primo caso in tribunale.

Ore 14

Ritrovate le armi del delitto, gli arti e gli effetti personali di Quan nella periferia di Oaxaca, il portatile confermava che l'email ricevuta era proveniente da Aldo, il machete e il bisturi erano coperti dalle impronte di lui; il navigatore dell'auto dell'avvocato segnalava la posizione dell'occultamento delle prove.

Ore 14:20

Aldo e l'americano vengono arrestati e mandati a processo. Benny e Alvarez erano fieri di loro stessi.

Ore 20

Benny entrò in camera sua e si soffermò a guardare la parete colma di fogli davanti al letto. Finalmente non era più annoiato dalla monotonia del posto che lo abbatteva e rendeva grigio: era euforico, pieno di vita. Sì, pieno di vita. Si stese sul materasso ridendo a crepapelle, il cuore pulsante di gioia, gli occhi brillanti e la mente eccitata. La città ora era più interessante. Aveva pianificato tutto alla perfezione. Era stato un grande omicidio.

FINE

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