Cuori

Hart non sapeva, quando Jen avesse cominciato ad essere il fulcro della sua esistenza, il centro dei suoi pensieri.

Quella ragazza con i capelli neri e gli occhi di specchi infranti era entrata nel suo cuore senza chiedergli il permesso, lasciandolo a corto di vie di fuga.

L'aveva osservata, muoversi per i corridoi credendo di essere invisibile, con quella bellezza così fragile e indelicata.

Era semplice, quello che doveva fare. Trovare il suo cuore e farlo a pezzi.

Ma la vita, per lui, aveva avuto altri piani.

E se all'inizio Jen era davvero sembrata quella ragazza senza cuore che tutti credevano che fosse, Hart si era dovuto ricredere.

Lui sapeva riconoscere un'anima spezzata, quando ne vedeva una. Tutte le mattine il suo riflesso glielo ricordava, il significato di essere rotti, difettosi. Come vasi di ceramica pieni di schegge di vetro.

Bellissimi, finché non guardavi all'interno.

Anche Jen era così. E quando Hart assisteva alle sue risposte taglienti, quando studiava ogni spina del suo carattere, gli sembrava quasi di vedere sé stesso.

Tutte le altre appassivano, quando c'era Jen nelle vicinanze. Lei era il fiore che sbocciava anche di notte, senza temere il buio.

Era bella, Jen, da stare male. Ogni volta che i suoi occhi si puntavano su di lui, le iridi color cioccolato piene di quell'odio velenoso, il cuore di Hart perdeva battiti dolorosi.

Così, il cacciatore di cuori, colui che aveva passato una vita a spezzare speranze a mandare in rovina castelli di aspettative, si era innamorato.

Ma l'amore faceva male, e un cuore singhiozzante come il suo non poteva sopportare tutto quel dolore.

L'amore non perdonava, e poco importava in quante altre ragazze Hart avesse provato a trovare lo stesso sentimento che provava per Jen.

Nessuna aveva capelli così neri e setosi, guance così chiare e un viso di porcellana. Nessuna aveva il coraggio di rispondere a tono ad ogni provocazione, di sopportare il dolore come faceva Jen.

Nessuna aveva le stesse fattezze da principessa, di quelle usciti dai libri di fiabe.

Ma nel libro di Jen non c'erano diademi di diamanti e tappeti di rose. No, nella sua storia c'erano corone di spine e il veleno tra le pagine.

E Hart l'aveva capito subito, che non sarebbe mai riuscito a strapparle il cuore.

***

La campanella dell'intervallo squillava, quando si era incamminato per i corridoi della scuola.

Sentiva ancora i capelli della bionda che gli solleticavano il collo, la sua risatina subdola sulla pelle. Si passò la lingua sulle labbra, assorto.

Non l'aveva baciata. Non lo faceva mai con nessuna. Ma era riuscito a sentirlo comunque, il suo frivolo cuore mentre si spezzava, e per un attimo aveva sorriso.

Perché nessuno era perfetto, ognuno aveva un punto debole, e lui era sempre stato bravissimo a trovarlo. Vivere nella sofferenza degli altri era più facile che accettare la propria.

Il corridoio si svuotó, ma Hart non era ancora pronto a tornare in classe. I suoi occhi saettarono sul gruppo di ragazzi riuniti accanto agli armadietti, i sorrisi spavaldi e gli sguardi arroganti, di chi si sentiva fuoco quando invece non era altro che cenere.

C'era Ector, tra loro, ovviamente. I pugni di Hart si chiusero, al solo pensiero che quelle mani sporche di fumo e bugie avessero toccato Jen, l'avessero stretta, si fossero infilate tra i suoi capelli come se lei non fosse altro che una bambola. Insensibile, inerme.

Hart sarebbe dovuto passare oltre. Stare lontano da quei ragazzi che il dolore e le privazioni non li avevano mai conosciuti.

Ma i suoi passi si erano arrestati, quando le loro voci roche e le risate rudi erano giunte alle sue orecchie.

«Sei ciò che ogni ragazza desidererebbe, Ector. L'unica che non l'ha capito è quella Jen, fortuna che l'hai lasciata perdere» stava dicendo uno, un sorriso arrogante dipinto sul volto mentre si passava una mano tra i capelli corti ossigenati.

Ector rise, con aria di superiorità. Ogni cosa in lui, era nociva.

Hart sentì l'impellente bisogno di fare a pezzi il ghigno soddisfatto che si ritrovava.

«Lei non è altro che una...»

Ciò che disse dopo sbloccò qualcosa nel suo cuore. Una rabbia bruciante, distruttiva, annebbiò ogni suo pensiero.

Nessuno aveva il diritto di giudicare Jen. Nessuno si sarebbe dovuto azzardare a rovinare la sua immagine a quel modo, come se lei non avesse un'anima, come se gli insulti le scivolassero addosso.

Lei non era così. Hart l'aveva capito, che quella ragazza silenziosa non si sarebbe mai fatta vedere spezzata, ma che sarebbe bastata una parola di troppo a ridurla in frantumi.

In un attimo, le sue mani furono attorno al colletto di Ector, lo spinsero contro alla fila di armadietti blu dietro alla sua schiena. Il frastuono del suo corpo contro al metallo fu assordante, ma l'anima di Hart urlava così forte che lui nemmeno se ne accorse.

Per un secondo, lo sconcerto attraversò gli occhi di petrolio di Ector, subito sostituti dalla solita aria spavalda.

Hart aveva sempre pensato che c'era una  dannata fortuna intrinseca nell'ignoranza.

«Provaci, prova a ripetere quello che hai detto» ringhió.

Le sue dita strinsero ancora di più la stoffa della maglietta dell'altro.

«Ma che ti prende?» gli chiese Ector, divertito.

«Non osare ripetere il suo nome un'altra volta, non avvicinarti mai più a lei, mi hai capito?» il suo tono divenne basso, minaccioso, ogni sua parola doveva imprimersi a fuoco nella mente di Ector.

«Altrimenti, cosa fai? Ti senti in diritto di parlare, eh? Sei solo un figlio di...»

Ciò che seguì fu la goccia che fece traboccare il vaso. O forse il vaso era traboccato già da tempo, e quello non era altro che il momento in cui se ne potevano vedere le conseguenze.

I pugni si susseguirono senza che Hart avesse il tempo di riflettere. C'era solo la rabbia, quel fiume infuocato che tingeva di rosso ogni cosa.

Non sapeva neppure per cosa, esattamente, si stesse battendo. Forse per sua madre, l'unica persona che mai avrebbe dovuto meritare un figlio come lui. Forse per Jen. O magari per sé stesso.

Ogni fibra del suo corpo bruciava, smaniava per distruggere. E il dolore dei colpi che l'altro gli infliggeva non facevano altro che alimentare le fiamme.

Ecco che Hart si trasformava nel mostro che suo padre aveva sempre creduto che fosse. Ma quali altre possibilità aveva?

Ci aveva provato lui, ad essere perfetto. Ma tenere insieme i pezzi del suo cuore era impossibile. Li aveva cuciti tra loro, tessendo trame di lacrime con tutto il dolore degli altri.

Non c'era possibilità però, per quelli come lui. Hart sarebbe rimasto per sempre solo e spezzato.

Quando qualcuno separò lui ed Ector, Hart non era ancora tornato lucido. Si allontanò di qualche passo, il respiro corto, osservando senza emozioni il modo in cui aveva ridotto l'altro.

Nessuno lo fermò, quando si allontanò senza dire una parola. Fu solo dopo qualche istante, quando la rabbia scemò, che il dolore esplose.

Ed erano fitte laceranti al centro del petto, che si susseguivano rapide e incessanti quanto i battiti scoordinati del suo cuore.

Il respiro gli si fece corto, rantolante, mentre si obbligava a raggiungere l'ufficio in fondo al corridoio.

Arrivò fino alla porta aperta, la fronte imperlata di sudore.

La Hawkins alzò gli occhi dai fascicoli che teneva davanti, quando si accorse della sua presenza. La vide impallidire, quando si rendeva conto dello stato in cui si trovava.

Si resse allo stipite delle porta, le unghie affondate nel legno, mentre il dolore lo travolgeva a ondate.

«Hart, ma che...»

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