Capitolo 9

Poco dopo eravamo entrambe stravaccate sul divano, le tapparelle abbassate per diminuire la luce nella sala, gli occhi pieni del film romantico che stavamo guardando.

Lauren gustava la sua seconda vaschetta di gelato alla vaniglia, mentre io ero appena a metà della cioccolata calda che mi ero preparata. Non che lei dovesse preoccuparsi di prendere peso: il suo stomaco era letteralmente senza fondo e il suo fisico perfetto.

Sullo schermo le scene scorrevano, ma nonostante stessimo guardando il mio film preferito, non riuscii ad interessarmi. Una forza che sembrava essersi presa il possesso dei miei pensieri me lo impediva, minacciando di trascinarmi nei ricordi.

Il ragazzo passò un braccio attorno alla vita della protagonista, e lei si sciolse a quel tocco.

Lauren si lasciò sfuggire un sospiro sognante, ma io avevo il respiro bloccato, una strana sensazione che stringeva alla bocca dello stomaco.

Guardavo i due innamorati lasciarsi trasportare in un bacio appassionato, mentre ancora una volta il mio cuore si frantumava, fragile come vetro.

Non c'erano loro, nello schermo, ma io e Ector, tutto quello che avrei voluto essere con lui e che invece non sarei mai stata.

Strinsi i pugni. Non era giusto. Non era giusto far credere alle persone nell'amore. Erano tutte bugie, finzione, tonnellate di promesse e dolore che alla fine lasciavano soltanto ricordi in fumo.

Fu in quel momento, che mi accorsi che Lauren mi fissava. I suoi occhi verdi erano incastonati sul mio viso, indagatori.

«Che c'è?» chiesi, fuggendo istintivamente al suo sguardo perforante.

«C'è qualcosa che non va, Jen» disse, sicura.

Mi strinsi nelle spalle, decisa a non far trasparire nulla delle mie emozioni.

«Ah, sì?»

Lei sbuffò di fronte alla mia testardaggine.

«Sì. Questo film è il tuo preferito, e quando arriviamo a questa scena tu dici ogni volta quanto vorresti un amore come il loro» insistette, addolcendo il tono.

«Sincero, leale, eterno. Da fiaba» esalò, ripetendo le mie parole.

Quelle che pronunciavo sempre prima che la mia vita andasse in pezzi. Ora non potevo più essere la stessa persona.

«Oggi non avevo voglia di spezzare il silenzio» chiusi il discorso, tornando ostinata a fissare lo schermo, senza però vederlo realmente.

Non potevo certo dirglielo, che non avevo più tempo per l'amore. Che non ero neppure sicura che esistesse, un sentimento tanto crudo e sincero da incatenarti il cuore.

Forse, era tutta finzione. Proprio come me ed Ector. Da fuori eravamo la coppia perfetta, ma in fondo eravamo proprio come nei film. Attori di un mondo di bugie e inganni.

Solo che io, all'inizio, non mi ero accorta di recitare. Io, nel per sempre, ci avevo creduto davvero. E nonostante non fosse neppure amore, ciò che provavo per Ector mi aveva corroso, era stato come pioggia acida sul mio cuore.

Poco importava, che fossi stata io a lasciarlo. L'unica a soffrire ero stata io, quando lui era uscito da quella stanza di ospedale, lasciandomi a raccogliere le macerie del mio cuore spezzato.

Perché non era vero che l'amore era come nella fiabe. Nella realtà non c'erano principi azzurri e principesse, bellissimi e perfetti, a vivere felici e contenti per il resto delle loro dorate esistenze.

Nella vita reale, l'amore non era altro che veleno. Non importava quanto inebriasse, quante promesse sussurrasse al tuo orecchio. Se ne bevevi troppo, ti uccideva. Ti lasciava solo con un'anima appassita e petali strappati di sogni infranti, e un cuore che dalle tue emozioni era stato annegato.

Una figura minuta irruppe in quel momento nel mio campo visivo, interrompendo i miei pensieri.

Lauren mise il film in pausa, che ormai era arrivato alle battute finali, prima di voltarsi con un sorriso verso la sorella.

«Rachel!» la salutò, stringendola in un abbraccio.

Non era mai stata molto apprensiva con sua sorella, e il suo gesto mi spiazzó. Poi però mi ricordai il dettaglio insignificante, un fatto avvenuto una settimana prima della festa che aveva sconvolto la mia esistenza.

La sorella di Lauren era scomparsa per qualche ora, e solo dopo centinaia di chiamate l'avevamo ritrovata. Alla fine, avevamo scoperto che si era trattato di un malinteso.

Rachel era semplicemente andata a casa di una sua amica, dimenticandosi di avvisarci. Lauren si era preoccupata a tal punto che avevo dovuto ripeterle cento volte di stare calma per non farle avere una crisi di panico.

«Allora, com'è andato il gruppo di teatro?» le stava chiedendo in quel momento.

A quanto pare, il fatto di averla persa, seppur per un tempo così limitato, doveva averle fatto capire l'importanza del loro legame.

Rachel si sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l'orecchio, prima di risponderle.

«Bene, direi» la sua voce era sottile, nulla a che vedere con quella squillante della sorella maggiore.

Rachel aveva dodici anni, ed era una copia identica di Lauren, con lo stesso fisico sottile e la chioma di fuoco fuso, ma era molto più timida e introversa.

Così esile e innocente, con la pelle chiara e il vestito giallo pastello che indossava, mi fece pensare alle margherite.

Mi rivolse un piccolo sorriso di saluto, prima di uscire dal salotto. La guardai allontanarsi, leggera come la brezza estiva, la stoffa del vestito che seguiva i suoi movimenti.

«Credo che sia arrivato anche per me il momento di andare» dissi a quel punto.

Fuori, il cielo cominciava a tingersi delle tinte fredde della notte, e io volevo essere a casa prima che facesse buio.

Lauren annuì, sovrappensiero. Si alzò dal divano e mi accompagnò sull'uscio.

Fu quando stavamo per salutarci, che incrociai il suo sguardo perforante. Sembrava avere un bosco intrappolato nelle iridi.

«Sai che puoi dirmi, qualsiasi cosa, vero?» mi chiese, delicata, abbandonando la sua esuberanza per qualche lieve istante.

Annuii piano, mentre il cuore mi si stringeva in una morsa. Se solo fosse stato tutto così semplice.

«Non voglio obbligarti a parlare, ma a volte sfogarsi può fare bene, credo» continuò, e la sua mano si aprì, rivelando un piccolo quadrato di carta azzurra al suo interno.

Lo presi, riluttante. Sapevo a cosa serviva. Me lo aveva detto lei stessa, e la prova era nella sua stanza, in milioni di altri foglietti identici a quello appesi alle pareti.

Lo infilai nella tasca interna della giacca, mettendolo al sicuro. Sapevo cosa stava facendo Lauren. Mi stava dando un pezzo di lei. Avrei tanto voluto ricambiare.

«Io...mi è piaciuto, passare del tempo insieme» soffiai.

«Credo che dovremmo farlo più spesso» aggiunsi poi.

L'aria attorno a noi era pesante, carica di segreti e significati, molti dei quali neppure riuscivamo a comprenderli.

Le sorrisi, sincera, e lei sembrò illuminarsi.

«La prossima volta, però, voglio divertirmi davvero. Una festa con la musica così alta da spaccare l'asfalto» rise, e io mi accodai, già sapendo che non sarebbe mai accaduto niente del genere.

«Grazie, Lauren, di tutto» dissi, prima di voltarle le spalle.

Non sapevo neppure di cosa, esattamente, la stessi ringraziando. Ma non importava.

In un mondo di attori, Lauren era una delle poche persone che non sembrava in grado di fingere.

***

Fu solo qualche ora dopo, mentre riordinavo la mia stanza prima di andare a dormire, che mi ricordai del foglietto, ancora nella tasca della giacca.

Ci scrivo tutto ciò che mi tormenta, per liberarmene, mi aveva detto una volta Lauren, imprigiono le preoccupazioni in piccoli capolavori di carta.

Lo tirai fuori, e potei quasi sentire il suo potere chiamarmi, urlando di liberarmi di ciò che mi tormentava.

La sedia dalla scrivania stridette sul pavimento, quando la spostai per sedermici. Agguantai la penna con decisione, e osservai il piccolo quadrato azzurro, come fosse qualcosa da temere.

Poi, scrissi. La punta della penna graffiò il foglio, lasciando segni precisi di inchiostro rosso sangue.

Tracciai quelle due parole con foga, quasi che, se avessi esitato, non sarei riuscita a portare a termine ciò che avevo cominciato.

Meno di dieci lettere, che senza che me ne fossi accorta erano diventate il nuovo centro di gravitazione dei miei pensieri, impresse a fuoco nelle pareti del mio cuore.

Mollai la penna di scatto, come se scottasse. Su quel piccolo foglio c'erano tutte le mie colpe, tutti i sentimenti sbagliati e brucianti, che la mia anima di veleno non era mai riuscita e tradurre, prima di allora.

Guardai le parole ancora qualche istante. Sperai che accadesse quello che Lauren mi aveva spiegato. Ora che erano lì intrappolate sul foglio, non mi avrebbero più importunato.

E invece, accadde l'esatto contrario. Il battiti accelerano, il respiro si fece ansimante, le spine si conficcarono così a fondo nella mia anima che temetti di urlare. Era sbagliato, era tutto così dannatamente sbagliato...

Mi ero ripromessa di stare lontano dai problemi. Avevo già abbastanza a cui pensare. Ma i miei pensieri erano così irruenti da non lasciarmi scampo.

Ero in trappola, un animale selvatico nelle grinfie del cacciatore, eppure... eppure non provavo paura. Mi sentivo soltanto affranta. Non c'erano frecce a dilaniarmi i polmoni, o pugnali puntati alla gola, solo fitte dolorose che attraversavano il mio cuore, a dimostrarmi ciò che mai avrei potuto avere.

Allora, soffocai quelle due parole tra le pieghe delle carta, come se questo bastasse a non farle sfuggire. A tenerle lontane. Da me, dalla mia vita in rovina.

Osservai il piccolo cigno che ora tenevo tra le mani. Era ingiusto, come in una cosa così piccola e fragile avessi appena nascosto il peggiore pezzo della mia anima.

Avrei dovuto sentirmi più leggera, adesso. Libera, come una foglia trasportata dal vento. E invece ero una barca in balia della tempesta.

Perché ora sapevo, sapevo il segreto che per chissà quanto tempo avevo cercato di rinnegare. Ma certe cose erano un po' come l'edera. Ti avvolgevano nel loro manto fino a soffocarti. Ed era impossibile liberartene.

Appoggiai il cigno sulla scrivania, come se le parole al suo interno fossero capaci di svegliarsi e aggredirmi da un momento all'altro.

La mia mano si era mossa d'istinto, aveva tracciato le lettere con violenza, e quelle erano sgorgate fuori dalla penna con l'audacia di un fiume in piena, impossibili da trattenere.

Ma anche adesso che sapevo cio che la mia anima gridava, non riuscivo ad essere in pace con me stessa. Era come se mi fossi appena svegliata da un incubo, la fronte imperlata di sudore e il respiro spezzato.

Solo per scoprire che non si trattava affatto di un sogno, e che i mostri erano tutti lì, davanti al mio letto.

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