Capitolo 10
Io e Lauren ci accodammo al resto della classe, diretta in palestra. Il chiacchiericcio tranquillo e le risate spensierate degli altri, per qualche motivo, mi irritavano. O forse ero solo invidiosa.
Entrammo nello spogliatoio delle ragazze, e io mi sedetti su una delle panche, restando in silenzio, in attesa che Lauren si cambiasse. Le altre mi passarono accanto, senza degnarmi di uno sguardo. Meglio così, essere un'ombra, che avere gli occhi curiosi di tutti puntati addosso.
Tenni ostinata lo sguardo sulle punte delle scarpe bianche che indossavo, incurante di ciò che mi circondava.
«Non fai ginnastica?» sollevai la testa di scatto, alla domanda di Lauren. Vidi la preoccupazione sincera sul suo viso, i suoi occhi verdi che mi scrutavano come ad accertarsi che stessi bene.
«No, oggi passo» risposi, attorcigliandomi una ciocca di capelli neri come le piume di un corvo attorno al dito.
Oggi, e tutte le lezioni che seguiranno, avrei dovuto aggiungere.
Lei sembrò capire, e si morse il labbro, pensierosa, mentre finiva di allacciarsi le scarpe rosa evidenziatore.
«Andiamo?» fece un cenno con il mento, indicandomi la porta.
Annuii, prima di seguire la sua coda alta rosso fuoco fuori dallo spogliatoio.
Ci accomodammo sulle gradinate grigie della palestra, aspettando che il resto della classe ci raggiungesse.
Quando il prof cominciò a fare l'appello, io ero distratta. Osservavo il pavimento verde scuro, attraversato da linee gialle blu, che si intrecciavano tra loro per delineare i vari campi. Tutti quei colori, insieme, li avevo sempre odiati.
«Miller, se anche non partecipi alla lezione, non significa che non devi rispondere quando chiamo il tuo nome! È già la terza volta che lo ripeto, smettila di perderti nel tuo mondo» sbraitò il prof.
Io gli lanciai un'occhiata perforante, senza emettere alcun suono. Lui sembrò stufarsi presto del mio mutismo, e riprese a fare l'appello, borbottando.
Sospirai, la prospettiva delle due ore di noia che sarebbero seguite sempre più avvilente.
«Moore?» quel nome, pronunciato appena dopo il mio, mi provocò un brivido lungo la schiena.
Mi imposi di non girarmi verso di lui. L'ultima cosa che volevo fare era dargli la soddisfazione di avere tutta la mia attenzione. Ma era come dire al sole di smetterla di tramontare.
La mia testa si girò, i miei occhi attratti dalla sua figura come magneti.
Hart era lì, il sorriso strafottente da principe azzurro dipinto sul viso come la peggiore delle promesse. Era circondato da altri ragazzi, eppure la sua figura perfetta spiccava, in mezzo al gruppo. Ma non come una stella. No, lui era il buco nero che attirava a sé l'intera galassia.
E i suoi occhi erano, ovviamente, puntati su di me, quasi volesse trascinarmi a fondo con lui. Fece un cenno al professore, per rispondere alla sua chiamata, prima di ritornare a rivolgersi a me.
Distolsi lo sguardo, come se mi fossi appena scottata.
«Cosa fate ancora seduti lì? Forza, in piedi e cominciate a correre!» abbaiò l'uomo.
Io non mi mossi, mentre la classe si alzava e ubbidiva agli ordini. Assistetti agli spintoni e agli schiamazzi come se appartenessi a un mondo a centinaia di chilometri di distanza.
Mi piaceva fare ginnastica, prima. Era sempre stato un ottimo momento di sfogo, per liberarsi dalle preoccupazioni ed esaurire le energie.
Ora, per stancarmi non avevo bisogno di fare attività fisica, ma l'affollamento di pensieri nella mia testa era peggiorato.
Stetti qualche minuto in silenzio, a osservare gli altri ragazzi giocare, con la voglia sempre crescente di svanire.
Non hai bisogno di farlo, tanto nessuno sa della tua esistenza.
Solo Lauren, ogni tanto, mi lanciava sguardi dispiaciuti, ma io rispondevo con il più finto e rassicurante dei sorrisi. Non mi sembrava giusto che si preoccupasse per me. Non ce n'era bisogno.
«Mi chiedo cosa si nasconda, dietro a quel faccino innocente» una voce roca e suadente si infilò nei miei pensieri, facendomi trasalire.
«Che intendi dire?» replicai in un soffiò. Odiai quanto quella domanda suonasse flebile e tremante, persino alle mie stesse orecchie.
Strinsi i denti, e mi voltai. Hart mi squadrava dall'alto, seduto qualche gradino sopra di me, il sorriso intrigante che sembrava essersi incastrato sul viso, mentre i miei occhi annegavano negli specchi d'acqua che erano i suoi.
Scosse la testa, divertito, e ciocche di capelli dorate gli caddero davanti alla fronte.
«Ti ricordo che qualcuno ha cercato di ucciderti, principessa» modulò, e ogni sua parola si conficcò nel mio cuore, facendomi vacillare.
«E con ciò?» lo aggredii, riprendendo il possesso della mia voce.
Che cosa gli importava, della mia vita? Perché, improvvisamente, avevo acquisito tutto quell'interesse nei suoi confronti?
«Voglio solo dire che ci dovrebbe essere un motivo, se hai rischiato di morire» il suo tono basso e roco era destabilizzante, una pugnalata al centro del petto.
Era incredibile, come Hart Morre distruggesse ogni tua certezza senza muovere neppure un dito.
Il respiro mi si fece improvvisamente corto.
«É stato solo un incidente» ansimai.
Non avrei dovuto, parlare con lui. Le grida e i fischi dei compagni giungevano alle mie orecchie ovattate, come se io ed Hart fossimo circondati da una bolla.
L'aria era elettrica, carica del suo profumo. Lui si sporse verso di me, una scintilla maliziosa nello sguardo ceruleo, e la sua fragranza mi si appiccicò alla pelle. Sapeva di vento, quello che portava dentro l'odore di pini e di mare. Scatenava dentro di me una tempesta di emozioni.
«Ne sei proprio sicura, principessa?» sussurró.
Mi ritrassi. L'odio che provavo per lui ribolliva nelle vene, un fiume di veleno nel sangue, nel cuore. Era un'emozione così forte che neppure il suo fascino abbagliante era in grado di contrastarla.
«Devi smetterla di chiamarmi così. Io non sono la tua principessa» scandii ogni parola, come se bastasse affilare ogni lettera per fare a pezzi la sua maschera di perfezione.
Una risata bassa e sommessa mosse il suo petto, e mi ritrovai a fissare il suo fisico marmoreo. Come era possibile che a una persona tanto odiosa un paio di jeans e una maglia bianca potessero stare così d'incanto?
«No, non la sei, infatti» percepii una punta di amarezza nella sua voce.
Quando ritornò a fissarmi, qualcosa dentro di me s'infiammò.
«Devi lasciarmi in pace» ringhiai.
La mia avventatezza lo divertì. Ma io, io ero tutto fuorché tranquilla. Hart lo doveva capire, che nella mia vita non c'era spazio per lui. Non avevo bisogno di problemi, non mi servivano altri ragazzi pronti a spezzarmi il cuore, a ridurre in briciole ogni mia aspettativa.
Così lo affrontai, mossa soltanto da quella furia muta e velenosa che pretendeva che riprendessi il controllo della mia anima in pezzi. Volevo ferirlo, fargli provare le stesse emozioni che sentivo io quando gli stavi accanto.
«Ti credi tanto superiore, eh?» sibilai.
Non abbassai lo sguardo, quando le sue palpebre si assottigliarono.
«Pensi di essere tanto migliore di chi ti circonda, ma non è così. Non fai ginnastica, perché? Hai forse paura di mischiarti a noi comuni mortali?» lo fronteggiai.
Vidi la sua mascella irrigidirsi, i muscoli tendersi in maniera quasi impercettibile. Ogni traccia di divertimento era sparita dal suo viso.
Il sipario sembrava essere calato sulle sue emozioni, avvolgendo la sua figura nell'oscurità.
Un brivido mi attraversò la schiena, quando Hart si alzò in piedi, sovrastandomi. E facendomi pentire di ciò che avevo detto.
Mi resi conto solo in quel momento di quanto fosse grosso e imponente. E di quanto minuta e fragile fossi io, invece.
«Non dovresti parlare di ciò che non conosci» disse, prima di voltarmi le spalle.
Era un avvertimento, quello. Una minaccia che neppure i suoi modi misteriosi sarebbero riusciti a celare.
Non ebbi la forza di replicare. Avevo i polmoni svuotati, gli occhi sbarrati, come una preda appena braccata dal cacciatore. La durezza nelle sue parole mi aveva lasciato senza fiato.
Osservai la sua schiena allontanarsi, e fu come se l'incantesimo che fino a quel momento ci aveva stregati si fosse spezzato.
I rumori della palestra tornarono a rimbombare nei timpani, insieme alle urla assordanti del professore e ai gridolini delle ragazze. Ma nulla sarebbe stato in grado di ammutolire il battito del mio cuore impazzito.
«Miller, renditi utile e vieni a fare l'arbitro!»
Mi sollevai, muovendomi meccanicamente, come in trance.
Le dita mi tremavano, quando presi in mano il fischietto che il prof mi porgeva.
Arbitrai partite di pallavolo per il resto della lezione, subendo le occhiate seccate dei miei compagni ogni volta che dimenticavo di segnare un punto.
Ero distratta. La mia mente vagava senza meta, tra foreste d'inchiostro e trappole di lieti fini.
E non mi sarebbe dovuto importare, se quando la lezione terminò i miei occhi si posarono su Hart e sulla ragazza che gli stava avvinghiata, l'espressione adorante di lei mentre affondava le mani nei suoi capelli al caramello.
Non avrei dovuto sentire il mio cuore sanguinare, mentre la foresta di rovi che avevo nell'anima s'infittiva fino a non lasciarmi scampo.
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