12. Bisogno di cambiamento

Katsuki's P.o.V.

S: "Alleluia, dopo un'intera ora in ballo finalmente ci fanno andare a casa!"
A: "Secondo voi Izuku quando si risveglierà?"
"Non lo so, spero solo sia più calmo di quando siamo entrati nella stanza..."

Tetsuya apre la porta di casa con le chiavi che gli ho dato adesso ed io entro, lasciando al piccolo il dovere di chiudere mentre io porto Izuku in camera.

A: "Era distrutto e tutt'ora probabilmente lo é."
S: "La scorsa volta siamo bastati noi... Non so se sarà così pure questa volta..."
"Riesco solo a vedere i suoi occhi distrutti..."

A: "Lo sappiamo, lo sappiamo"

Sospiro, mentre copro con delle lenzuola leggere Izuku, che si gira immediatamente su un fianco; come sempre. Almeno questo, per ora, é invariato.
In stanza entra anche Tetsuya senza bussare, ma non mi incazzo.

So che veramente si sente terribilmente in colpa per quello fatto, perché si é fatto raggirare solo perché aveva creduto nelle parole del padre naturale e di una sua ipotetica bontà che però non c'era.

Accarezzo leggermente la testa al bimbo, che alza lo sguardo sul mio e, con gli occhi lucidi, chiede in un sussurro: <Papà mi vorrà mai ancora bene? Mi odierà...?>

Quegli occhi... sono i suoi. Ma non del tutto. Quella punta di verde li rende leggermente diversi.
E, inoltre, non é detto che il figlio sia come il padre. Per esempio io! Tutta mia madre!

E sono totalmente certo che lui sia come la madre; dato che di carattere come il padre, di suo, non ha nulla.

Dei mugugni mi risvegliano dai miei pensieri ed Izuku apre gli occhi, mettendosi a sedere.
Per un attimo i suoi occhi brillano come sempre, prima di socchiudersi e il suo volto allora diventa inespressivo.
O, per lo meno, più con un alone di stanchezza e arrendevolezza attorno.

Gli tendo una mano e lui la schiva all'inizio, stringendosi le coperte al petto scoperto.
A pensarci bene... é ancora nudo sotto le lenzuola.

<Izuku, sono Katsuki...> dico con voce dolce e, alzando lo sguardo, incontro il suo, circondato sì da quell'alone deprimente, ma già piu curioso e dubbioso di pochi secondi fa.

Tentenna qualche altro attimo, prima di afferrarmi la mano e sussurrare: <Kacchan...>
Mi avvicino e lui non si tira indietro, appoggiando la sua testa sulla mia spalla, respirando tremolante.
Cazzo, é sull'orlo delle lacrime?!

Lo accarezzo un po' sulla schiena.
Il respiro é sempre una merda, ma almeno non piange più.

<Papà...> fa in un sussurro Tetsuya.
Izuku lo fissa, stringendosi più a me, nascondendo poi il volto nell'incavo tra la mia spalla ed il collo.

<Mi odi, papà...?> chiede il bimbo.
Izuku prende un profondo respiro, scostando la testa da me, lo fissa negli occhi e dichiara: <Io... non ti odio... Ma per adesso... quando ti vedo... noto solo lui... Non... ti voglio vicino... tutto qui...>

<Tetsuya, resterai in questa casa, col cazzo che te ne vai, ma ti chiedo di non stare mai, almeno per quel che puoi, nella stessa stanza di Izuku, ok?> gli ordino.
Il bimbo, a malincuore, annuisce e se ne va dalla stanza.

~time skip: quattro giorni~

<Allora? Il processo?> chiedo, seccato, ad Acidella per telefono.
<Dovrebbe svolgersi domani mattina, per tutti coloro con i reati maggiori, primo fra tutti Kenshi. Non vuole neanche un avvocato, neanche tenta l'ultima disperata spiaggia. Non gliene importa nulla. Ha continuato a canticchiare <<ho preso quel che voglio>> quando era sotto custodia in carcere.>

<Perché non condannarlo direttamente a non-so-quanti-anni-di-prigione-che-tanto-non-saranno-mai-abbastanza?> domando.
<Per farlo, bisogna che dica apertamente tutti i crimini da lui commessi. Ma non li ha ancora detti. Ma sembra che voglia dirli. Una delle guardie carcerarie sa che vuole parlare con qualche poliziotto questo pomeriggio perché "vuole togliersi subito un peso".>
<Capito. Alla prossima.>
<Ciao.> e chiudo la chiamata

Mi giro e vedo Izuku ancora addormentato, tutto raggomitolato tra le lenzuola.
Gli passo una mano fra i capelli.
Oggi é il giorno; il giorno di dare un taglio a questo Inferno.

Izuku non é più il lui che conosco, é bipolare.
Un attimo prima sembra l'ombra un po' più pallida del vero lui, sorridente e felice, e l'attimo dopo é rabbioso, furioso con il mondo e specialmente con Tetsuya se lo vede per più di tre secondi nella stessa stanza con lui, poi diventa triste e depresso e si raggomitola su sé stesso, singhiozzando e piangendo.

É quasi ingestibile, ma più che furioso, con lui, sono triste. Triste perché mi distrugge sapere Izuku in questo stato a causa di un pezzo di merda che merita la morte dopo atroci sofferenze, piuttosto che un semplice ergastolo (se gli va male).

Sento Izuku accanto a me muoversi e svegliarsi.
Mi sorride lievemente e sussurra: <'Giorno Kacchan>
<Oggi andiamo alla visita di cui ti avevo detto ieri sera, ok?> chiedo

Annuisce lentamente.

Izuku's P.o.V.

Perché sprechi soldi per me, Kacchan?
Perché li butti via per una psicologa per me?
Io... io non ho una psiche... sono solo una bambolina.

O: "Ok, smettila di sparare cazzate."
P: "Vuoi dire che quello che quel pezzo di merda ci abbia fatto sia nulla?"
O: "No, ma..."
P: "Allora anche le sue parole sono giuste, reali, vere."

O: "Siamo esseri umani: respiriamo, mangiamo, dormiamo, proviamo emozioni..."
P: "... E non siamo riusciti ad opporci a lui. Non siamo riusciti ad evitare che... che..."

"... che ci stuprasse. É colpa mia. Tutta colpa mia... non ho lottato abbastanza... come posso essere un hero, anzi, il Simbolo della Pace, quando non riesco neppure a salvare me stesso..."
O: "Non dobbiamo fare tutto da soli! C'é Kacchan con noi!"

"Sì..."
P: "Ma non lo meritiamo."
O: "Non continuate a dire idiozie."

<Izuku, cambiati che poi andiamo.> mi dice premuroso Katsuki. Annuisco mentre mi alzo lentamente dal letto.
"Sarà uno spreco... come me..." mi dico.

E il tempo scorre via veloce, come acqua fra le dita, e mi ritrovo davanti un edificio sconosciuto prima di rendermene conto.
Katsuki suona ad un parricolare numero e la porta viene aperta. Saliamo due rampe di scale, prima di arrivare davanti una porta di mogano scuro, con affianco una targa che non leggo.

Da qui si accede ad una piccola stanzetta con delle sedie e qualche rivista su un tavolino, dove poi c'é un'altra porta, di legno bianco con una parte in vetro opacizzato, dove c'é un'altra targa.

Dice "Miura Amaya, psicologa e psichiatra".
Kacchan mi ha detto che, nonostante sia giovane, é molto giovane e che non solo aiuta spesso le vittime di attacchi di villains a superare traumi e lutti.

Ma non solo loro, pure heroes. Specialmente li aiuta per quanto riguarda lo stress patologico o la sindrome da burnout*; ma anche per qualsiasi altra cosa.

Poco dopo che ci siamo seduti qualcuno apre la porta ed una donna, avrà pressappoco la nostra età, ci sorride dolce. Ha i capelli castano scuro raccolti in una crocchia e gli occhi scuri sono rimpiccioliti dietro le lenti di un paio di occhiali dalla montatura nera.

Avanza fuori e si presenta: <Salve, io sono Amaya Miura. Vi prego di accomodarvi nel mio ufficio> e lo indica con un fluido gesto del braccio.
Io e Katsuki entriamo e lei ci segue poco dopo, chiudendo la porta.

Sorride dolce mentre si siede alla sua scrivania.
Volgo lo sguardo velocemente alla parete alla mia destra e mi ritrovo un tabellone di sughero pieno di disegni di bimbi con diverse scritte, ma tutti recanti un sincero grazie.
E non solo di bimbi.

Anche biglietti scritti di proprio pugno da adulti, la calligrafia é quella, più fitti dei biglietti dei bimbi e che non riesco a leggere (e suppongo non debba).
<Salta all'occhio, mh?> mi chiede la signorina Miura (P: "Signorina?" O: "Non ha la fede al dito...").

<Ehm... io...> mi blocco nei miei stessi pensieri, non sapendo che dire. Lei mi continua a sorridere gentilmente e spiega: <Sono biglietti e ringraziamenti fatti da coloro che sono ritornati a casa, dopo tanto o poco tempo, col sorriso in volto. Quasi tutti i miei amici di lavoro, insomma, lo hanno fatto. E ciò mi lascia sempre un po' commo->

<Amici di lavoro?> chiedo.
<Sì. Ah, forse é abituato a sentir dire "pazienti"... ma non mi piace come parola, ad essere onesti. Quando fai questo tipo di lavoro non é come quando vai dal medico e gli chiedi di farti un esame sanguigno o senti i risultati della tua operazione all'appendice. Si apre l'anima, ci si confida. E questo é quello che fanno gli amici. Per questo li definisco miei amici, anche se di lavoro.> spiega.

O: "Questa qui mi sta simpatica..."
"É tutto troppo..."
P: "Strano"

<Ed ora, io ho parlato di me anche troppo. Parlami un po' di te, Izuku.> mi esorta, sedendosi.
La guardo confusa.
<Non sa chi sono?> quella domanda mi esce dalle labbra prima che possa fermarla.


N/A: altro momento focus reso possibile dal mio libro di scienze umane del biennio appena finito e dalla mia noia durante le lezioni, che mi ha permesso la scoperta di ciò.

*sindrome da burnout: complesso di sintomi di riconosciuta gravità che colpiscono medici, infermieri, assistenti sociali e operatori socio-sanitari, ma anche insegnanti, poliziotti, vigili del fuoco, addetti alla protezione civile.

Questi sono lavori particolarmente stressanti, che portano ad un quotidiano confronto con il dolore altrui, a cui può acconpagnarsi frustrazione per non essere riusciti a dare una risposta efficace.

I sintomi sono esaurimento emotivo, sentimenti negativi verso la professione, cinismo nei confronti degli utenti, sfiducia generalizzata e scarso senso di realizzazione personale.

E, boh, suppongo che a fare l'hero ti possa venire molto facilmente questa sindrome.
Al prossimo, ed ultimo, capitolo.

Sì, questa storia non é lunga come tutte le altre.

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