-Capitolo 30-
Entro in macchina e chiudo la portiera.
Mi metto la cintura e appoggio le mani sul volante.
Mi sistemo con la schiena, in modo da evitare di sbattere sulle curve.
Volto lo sguardo verso Nakajima che ancora si stava agganciando al cintura.
Le mani gli tremano e i suoi occhi sono nascosti dalla frangia, non permettendomi di capire bene le sue emozioni.
Torno a guardare la strada del garage dove non c'è nessuno.
<So che in questa auto hai brutti ricordi... ti chiedo scusa per quello che è successo, per quello che ti ho fatto qui e a scuola. Sono stato uno stupido.>
Metto in moto, tiro il freno a mano e parto.
Mi concentro sulla strada, ringraziando mentalmente le due sorelle per avermi lasciato la macchina.
Spero di riuscire a chiarire con Nakajima, anche se non merito il suo perdono.
Mi sono comportato da stronzo nei suoi confronti...
<Non si deve preoccupare...>
Gli lancio un'occhiata veloce, poi torno sulla strada.
<Come stanno le ferite?>
Giro sulla destra.
Si tortura le mani e rimane in silenzio per qualche minuto.
<Stanno meglio, anche se sulla schiena è difficile medicarle da solo.>
<Non hai qualcuno a casa che ti possa aiutare?>
Scuote la testa.
Apro il finestrino, appoggio il gomito sulla portiera e tengo una mano sul volante.
La strada è tutta dritta.
<Allora vieni da me. O da Akane.>
Alza di scatto la testa e mi osserva: non so cosa abbia visto, ma non smetteva di guardarmi.
Il vento mi scompiglia i capelli, mandandoli tutti indietro.
Sbuffo poi soffio su un ciuffo ribelle che mi stava andando sugli occhi.
Sposto il braccio che era sulla portiera e lo rimetto sul volante.
Svolto a sinistra e continuo fino alla rotonda, dove esco subito sulla prima a destra.
Entro in delle stradine che riconosco.
Siamo quasi arrivati a casa sua.
Lo vedo che continua a guardarmi e subito un ghigno si forma sulle mie labbra.
Se ne accorge e si rigira, osservando il panorama così riesce a nascondere l'imbarazzo.
Mi metto il ciuffo dietro l'orecchio.
<Lo so che sono magnifico, però non mi divorare con lo sguardo.>
Si blocca.
Vedo la sua schiena drizzarsi e rimanere immobile.
Lentamente si volta verso di me ed io ridacchio, nascondendo le labbra con la mano socchiusa.
La rimetto al volante e continuo a guidare.
Sento la suoneria del mio telefono nella tasca della giacca.
<Ti dispiace prenderlo e rispondere?>
Nakajima all'inizio sembra indeciso, poi allunga la mano e lo prende.
Risponde alla chiamata.
<Metti il vivavoce per favore.>
Appena lo fa, sento la voce stridula di mia madre che parla.
<...100 messaggi e non mi hai risposto. Dove sei?>
<In macchina mamma.>
Alzo lo sguardo al cielo.
No, no, la sua voce di prima mattina...
Mimo con le labbra la parola "rompipalle" e Nakajima si mette una mano a tappare la bocca per evitare di ridere.
Metto le doppie frecce ed accosto, visto che siamo arrivati.
Lo guardo e incurvo un po' il labbro.
Gli lascio il telefono in mano e mi concentro su mia madre.
<Scherzi vero? In macchina con la botta che hai preso?>
<Mamma, sto bene.>
La immagino al telefono a gesticolare e camminare per casa.
<Io e tua moglie siamo preoccupatissime.>
In sottofondo sento la voce di Nanami.
<Solo lei in realtà...>
Quasi non rido.
Nanami mi ha lasciato le chiavi insieme a sua sorella, come fa ad essere preoccupata?
Ma ovviamente non l'hanno detto a mia mamma.
<Senti, non posso parlare ora che sono in strada. Ti saluto.>
Prendo il telefono dalle mani di Nakajima e chiudo la chiamata.
Metto il telefono nella tasca della giacca e mi giro verso il mio alunno.
Apro bocca per dire qualcosa ma mi precede...
<Moglie?>
Alzo un sopracciglio non capendo cosa volesse dire.
Poi realizzo: la frase che ha detto prima mia madre.
Mi sbatto una mano sulla fronte e massaggio le tempie: odio quella donna.
Nakajima mette una mano sulla portiera e la apre.
Mi allungo e gli prendo il polso, trattenendolo di nuovo.
<Aspetta, fammi spiegare.>
Vedo delle lacrime cadere sulle sue guance.
Alza lo sguardo e punta i suoi occhi verso di me.
<Non serve.>
Ed esce dall'auto.
Va verso casa sua ed entra.
Sbatto le mani sul volante.
<Merda. Ero finalmente riuscito ad avvicinarlo...>
Rimango lì qualche minuto, la testa appoggiata al volante e le mani che lo stringono.
Ad un certo punto, ritiro il freno e riparto.
Ma non faccio il tempo a fare manovra per rientrare in strada, che vedo qualcosa volare da una finestra del condominio.
Non so chi ci abitasse in quell'appartamento al primo piano ma subito fermo la macchina, mi sgancio la cintura ed esco.
Faccio il giro e mi ritrovo nel piccolo giardino della casa.
La porta è semi aperta.
Mi avvicino lentamente e la apro quel che basta per vedere cosa succede: ci sono quattro scalini, poi una porta aperta su un pianerottolo.
A terra una giacca.
Entro e corro a vedere, riconoscendo la giacca di Nakajima.
Subito mi fiondo dentro l'appartamento senza nemmeno togliermi le scarpe.
<Nakajima? Nakajima Atsushi?>
Non sento nulla.
Salgo quel piccolo scalino che divide l'entrata con il soggiorno e mi affaccio.
Ma subito qualcuno mi finisce addosso.
Lo riesco a tenere per bene senza perdere l'equilibrio.
Lo stringo dalle spalle e quando alza lo sguardo vedo un'espressione di terrore.
Si tiene le braccia e trema come una foglia.
Le lacrime cadono giù.
Sento un enorme collera salirmi dentro ma anche un senso di colpa.
Sono stato io a ridurlo così?
<Professore... esca presto. Presto, prima che lui...>
Ma non finisce la frase che si gira nella direzione da dove è arrivato e subito si paralizza.
Alzo lo sguardo e vedo un uomo sui 50 che tiene in mano una bottiglia di birra rotta.
<Dove sei figlio di puttana? Ah... eccoti.>
Dice, camminando in modo poco dritto verso di noi.
Prendo Nakajima e lo sposto dietro di me, facendo da scudo col mio corpo.
<Lei è il padre di questo ragazzo? Sono il professore di matematica della sua scuola, ero qui per dirle...>
Non posso finire di parlare che mi punta la bottiglia sotto il collo, facendomi stare zitto.
<Ma chi ti ha invitato? Sparisci. Io voglio quell'altro stronzetto.>
Mi scansa e va verso Nakajima che intanto è indietreggiato.
Io mi rifrappongo fra i due e blocco il polso dell'uomo.
<Le stavo parlando, non è buona educazione minacciarmi con questa.>
Dico riferendomi alla bottiglia.
Lui alza un sopracciglio e brontola un "ehh?".
Si libera dalla mia presa e si allontana.
<Si può sapere chi sei?>
<Come le ho già detto, sono il professore di matematica di suo figlio. Sono qui per parlarle di alcune ferite che ho notato sul corpo del ragazzo.>
La sua bocca si spalanca e gli occhi pure.
Fissa Nakajima e parte lanciando degli accidenti, poi gli punta contro il dito.
<A chi l'hai detto oltre a lui eh?>
<Lo so solo io.>
Mi fissa con lo stesso sguardo con cui i soldati fissano i nemici.
Mi guarda con gli occhi verdi, molto diversi da quelli del figlio.
La barba è rasata, anche se ne rimane qualche segno a indicare che si cura poco.
I capelli uguale: ne ha pochissimi. Sembra pelato, ma se osservi bene vedi qualche capello qua e là.
Apre la bocca, sputando fuori una sola parola.
<Tu...>
Angolo autrice
Ehylà.
Come va?
Io non lo so, so solo che sono già stanca di dover andare a scuola.
Uff.
Non voglio studiare troppo e pensare che già mi hanno interrogato, e per tre giorni di fila lel.
Hahaha credo di essere sfigata.
Vabeh, smetto di rompere. Ciauh
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