1- Il maiale volante (parte 1)
Dopo la partenza di Eileen il mio lavoro non fu proficuo come credevo e ben presto, con poche prede con me tornai a Straingard.
Vidi con il passare dei giorni le guardie infuriarsi, Erin l'erborista non tornava. Io dentro di me sorridevo, sapevo che era lontana ormai chilometri da quel mondo marcio e corrotto, ora stava bene.
Era per me però, un ulteriore motivo di dolore la sua lontananza, era triste vedere la sua piccola casa messa a soqquadro e ritrovare il negozio e le sue erbe fatte a pezzi, in un mare di vetri rotti, l'orticello quasi sterile ormai del tutto morto. Solo in quel momento, quando vidi tutto ciò che era stata la sua vita fatto a pezzi, capii che anche la mia aveva fatto la medesima fine.
Quando se n'era andata io ero sveglio. Il sonno leggero che caratterizzava ogni militare della terra, mi aveva fatto destare al suo primo movimento, così come tutte le altre notti passate insieme, quando iniziava a parlare nel sonno, raccontando sue preoccupazioni, chiamando i nomi di persone ormai morte da troppo tempo.
Avevo ascoltato la piuma vergare il foglio velocemente ed ero quasi tentato di alzarmi, per salutarla un'ultima volta, per accompagnarla a quell' oscuro ingresso nella roccia.
L'avevo guardata galoppare fino a perdersi nell'oscurità delle fronde, ed avevo letto quelle righe che per la prima volta, avevano fatto pungere un po' gli occhi anche a me, che in vita mia non avevo mai pianto.
<<Gli uomini non piangono mai>> diceva mio padre.
La medesima frase era detta da mio nonno; mia madre, che invece piangeva spesso, non aveva il diritto di parlarmi di come un uomo dovesse comportarsi. Ora, anni dopo, mi rendevo conto che forse avrei dovuto chiederle qualcosa, perché avevo conosciuto più la mia Signora di lei, che mi aveva creato e protetto all'interno del suo corpo per mesi.
Ma come dicevano mio padre e mio nonno, le donne non hanno le capacità di crescere un figlio maschio, lo renderebbero debole ed effeminato, ed il loro modo di crescere i maschi non era certamente atto a far crescere una femminuccia.
Così era stata la mia infanzia, tra ordini e combattimenti, cinghiate sulla schiena e infine accademia militare dai dieci anni ai venti. Ero il più giovane all'interno dell'accademia, normalmente vi si veniva mandati a quindici anni, talvolta dodici, io ero ancora un bambino e venivo fatto oggetto di scherzi e prese in giro, ma non sapevano loro com'era stata la mia infanzia fino a quel momento, che l'isolamento e gli allenamenti che per loro erano novità, io li affrontavo da ormai cinque anni, che se si sbagliava nella mia vita, la pena erano le cinghiate e non un rancio in meno. Così io a dieci anni ero migliore di loro che ne avevano quindici e così, a venti ero migliore di quelli che erano i miei maestri. L'ombra onnisciente di mio padre era sempre alle mie spalle, pronta a punirmi quando sbagliavo, ed anche quella di mio nonno, ormai morto, continuava ad aleggiare nei miei sogni, criticandomi e spronandomi a fare di più, sempre di più, perché il mio meglio non era mai abbastanza e non lo sarebbe mai stato.
Così, uscito dall'accademia, con un retaggio di nobili cavalieri alle spalle e tante conoscenze nei sette regni, mi fu facile entrare a far parte delle guardie interne al castello di Darengard e fu altrettanto facile farsi notare nella massa, diventare quasi amico del Re e diventare l'umile servo della Regina Zafta, una donna talmente bella che era impossibile non esserne attratti e al tempo stesso spaventati. I suoi occhi apparentemente ciechi leggevano l'anima in un secondo solo e col tempo capii che il regno era guidato da Re Agar solo formalmente, la vera guida del regno era lei, con la sua forza e severità.
Forse mi innamorai di lei o forse era una semplice infatuazione di un giovane verso quella che era la sua padrona, che sembrava comandarlo anche nel respirare.
L'amore, non l'avrei conosciuto fino alla guerra e a Straingard, quando vidi Eileen e la riconobbi. Ma non era amore puro, come quello descritto dai libri per fanciulle, era qualcosa di più viscerale e profondo, quasi una dipendenza morbosa perché nel momento in cui l'avevo vista, la vita che non desideravo più, mi aveva nuovamente ghermito. Lei era ed è, seppur lontana, la mia ragione di vita, lei è tutto per me. L'amore che provo per lei non è quello che ti fa desiderare baci o carezze proibite, è quell'amore che ti fa quasi gridare che moriresti mille volte per salvare lei, che indipendentemente da tutto, lei è l'unica persona che può farti sorridere davvero, lei è la mia famiglia, la mia casa, lei è tutto.
Ma nel momento in cui l'avevo allontanata, la mia dipendenza da lei si era fatta sentire vivida e mi mancava, con lei era partita anche una parte di me, che non sarebbe mai tornata indietro se non unita a lei. Mai avrei potuto amare un'altra donna, perché nulla avrebbe potuto essere paragonato ai sentimenti che provavo per Eileen.
Bere diventò un bisogno e non più un diletto, da quando ritrovai Straingard più fredda e triste senza lei, in un mese appena mi incattivii, diventando un semplice ammasso di carne, ossa, alcool ed istinti primordiali; ma l'idea che lei stesse bene, faceva stare meglio anche me di tanto in tanto.
Sapevo che era viva perché una notte, qualcosa picchiettò contro il vetro della mia stanza insistentemente e alzandomi vidi oltre la finestra un'aquila che mi fissava. Inizialmente non ci diedi peso e tornai a letto, ma sentendo nuovamente il picchiettio insistente mi alzai <<Cosa vuoi?>> sibilai verso l'animale, come se potesse rispondermi. L'aquila effettivamente col suo sguardo penetrante parve davvero parlarmi, anche se io non potevo certamente udirlo. Mosso da una strana forza che forse era data dal suo stesso sguardo, aprii la finestra e l'animale volò dentro, lasciando cadere un piccolo pacchetto sul tavolo e girandosi andò via così com'era arrivato.
Restai incredulo con la finestra ancora aperta ed il gelo notturno a frustarmi la pelle, intento a fissare quel piccolo pacchetto, poi riscossomi grazie ad un rumore esterno finalmente mi decisi ad avvicinarmi. Un'animale che portava oggetti? Che diavoleria era mai quella? Ed aprendo il pacchetto, un mare di perle verdi iniziarono a risplendere davanti ai miei occhi, ed un piccolo foglio bianco era pizzicato tra di loro "Custodiscile per me. Eileen" lì avevo compreso che stava bene. Non sapendo cosa fossero quelle perle, se non un prezioso ornamento femminile, decisi semplicemente di non toccarle e nascondendole sotto il pavimento, dietro a numerosi libri, me ne dimenticai. Ma non scordai cosa quelle perle provocarono nel mio animo. Speranza.
Arrivò nella città forte una nuova erborista, Saracha il suo nome. L' erborista era un lavoro femminile, nessun uomo avrebbe avuto la pazienza per svolgerlo al meglio e le donne di Straingard avevano dimostrato una grande incapacità con le erbe. Lei conosceva la botanica e proveniva dalla città forte di Darengard, per questo fu spostata. Il cielo estivo era intrappolato nei suoi grandi occhi ed il mogano colorava i suoi capelli, la vidi per la prima volta mentre raccoglieva i cocci delle ampolle di Eileen da terra. Sembrava avere circa trent'anni.
In quel nuovo mondo sposarsi non era più un obbligo sociale, anzi, credo che i Non Morti preferissero che le donne restassero sole. Oltre a lei, da altre città erano arrivati nuovi popolani. Se a Straingard nascevano pochi bambini per il clima avverso e la sempre crescente carenza di cibo con l'avvento del pieno inverno; negli altri regni non era così, iniziava a non esserci più posto per tutti. Ma anche lì, tra i freddi monti le case non erano molte. In un mese appena dalla partenza di Eileen le cose cambiarono e purtroppo, non in meglio. Ogni settimana venivamo raccolti nella piazza principale della città e veniva estratto un nome a caso.
La prima volta non capivamo cosa stesse succedendo, alcuni vociferavano che al fortunato estratto sarebbe stato dato un premio, ma non fu così.
In tutte le città forte, di tutti i regni una volta a settimana una persona veniva uccisa. A caso, non importava l'età, il suo lavoro per la comunità... Eravamo semplici pezzi di carne.
<<Sembra una beffa. Spostata in questo luogo per essere uccisa>> sussurrò Saracha mentre il Non Morto capo saliva sul piccolo patibolo.
<<Non sarai tu a morire>> risposi io.
<<Non puoi esserne certo>> si voltò a guardarmi e storse il naso <<se tagliassero la testa a te uscirebbe alcool e non sangue>>
Alzai gli occhi al cielo <<Se mi tagliano la testa non dovrei più sentire i tuoi commenti, verginella>>
Sbuffò, tornando a guardarsi le mani, mentre il Non Morto capo apriva una lunga pergamena.
Ci "rivediamo" lunedì prossimo miei cari lettori e mie care lettrici :D
Cosa ne pensate di questo inizio? :*
Il titolo è ovviamente ironico e sarà spiegato da un discorso di Kain :*
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