Trentacinque.

Take these misunderstandings, return them back where they came from

Take these misunderstandings, it's hard enough to live life as it is

Chiodos


I giorni successivi all'intervento sembravano non passare mai abbastanza in fretta. Aleksandar era relegato a letto, senza potersi muovere se non per andare in bagno. I dottori avevano raccomandato il massimo riposo per evitare complicanze e permettere alla gamba di sgonfiarsi il prima possibile. Il ragazzo aveva fatto appello a tutta la sua buona volontà, ma, per uno sportivo, quell'immobilità era una tortura.

I suoi genitori erano ancora a Perugia e vi sarebbero rimasti finché lui non si fosse ripreso abbastanza da potersi muovere con più facilità. Era loro grato del supporto e della compagnia e gli faceva piacere averli vicino; tuttavia, la loro presenza comportava il dover condividere il letto con Alessia. E, dopo ogni notte che trascorrevano insieme, diventava sempre più arduo allontanare dalla mente determinati pensieri.

L'amica si stava facendo in quattro per aiutarlo: cucinava, puliva, gli teneva compagnia. A volte, gli leggeva qualche libro; in altre occasioni, gli raccontava del suo lavoro, o della sua infanzia e adolescenza insieme a Betty. Aleksandar amava quei racconti, ma, sfortunatamente, essi non facevano altro che rafforzare in lui l'idea che la giovane fosse una persona speciale. Una persona difficile da dimenticare.

//Se non ci riesco io, come potrà mai farlo Nikola?//

All'ennesimo pensiero di quel genere, l'opposto sospirò pesantemente e si mise a sedere sul letto. Allungò un braccio e afferrò le stampelle che teneva accanto al comodino, poi si issò in piedi e salterellò fino al soggiorno.

Subito, Alessia si affacciò dalla cucina e lo rimproverò bonariamente:

<<Ehi, dove credi di andare?>>

Lui non si fermò, continuando la sua avanzata verso il divano, sotto gli occhi attenti di Igor e Vera.

<<Voglio solo distendermi sul divano. Non ce la faccio più a stare rinchiuso in quella stanza, ho bisogno di cambiare aria>> spiegò, con un tono più seccato di quanto avesse voluto.

Si pentì immediatamente della risposta che aveva riservato all'amica e si voltò verso di lei, ma la giornalista era di nuovo sparita in cucina.

Rimase immobile per un secondo, indeciso se seguirla o proseguire verso la sua mèta. La voce di suo padre lo riscosse.

<<Sarà meglio che ti siedi, ora. O la tua amica ti legherà al letto>>

Aleksandar seguì il suo consiglio; avrebbe avuto occasione di scusarsi con Alessia in seguito.


La ragazza trascorse il resto del pomeriggio a sbrigare le faccende domestiche, permettendo così a lui di godere della compagnia dei suoi genitori. L'amica non aveva più commentato la sua scelta di restare sul sofà invece che in camera da letto; anzi, gli aveva rivolto solo poche parole, quasi evitandolo.

Aleksandar avrebbe voluto scusarsi molte volte per come le aveva risposto, ma nessun momento gli era sembrato quello giusto.

Anche la cena era stata particolarmente tranquilla: la giornalista si era limitata a parlare solo quando strettamente necessario, senza risultare mai, però, scostante o maleducata.


L'opposto stava riflettendo su come chiedere perdono all'amica, quando suo padre attirò la sua attenzione. Lui sollevò lo sguardo e incrociò quello dell'uomo.

<<Io e tua madre usciamo a fare una passeggiata>> gli comunicò con un mezzo sorriso.

Aleksandar li osservò uscire e l'occhiata che Vera gli rivolse prima di chiudere la porta dell'appartamento bastò a fargli capire che la coppia aveva voluto lasciargli modo di chiarirsi con Alessia.


<<Sei arrabbiata?>>

La domanda la colse impreparata; non si aspettava che il ragazzo la raggiungesse in cucina, dove si era rifugiata con la scusa di dover lavare i piatti. Girò appena la testa verso la porta, continuando a insaponare la padella che aveva in mano.

<<No>>

Sentì l'amico avvicinarsi e si concentrò ancora di più su ciò che stava facendo. Non era arrabbiata con lui, ma la sua risposta l'aveva ferita: tutto quello che aveva fatto era stato preoccuparsi per lui e non si sarebbe mai aspettata che Aleksandar le si rivolgesse con quel tono.

<<Ale>> l'opposto le posò una mano sulla spalla, stringendo leggermente. <<Potresti smettere di torturare quella padella e girarti? Per favore>> la pregò.

Alessia rilassò la schiena e si voltò, trattenendo un sospiro e fissando il pavimento.

<<Mi dispiace>> iniziò il giovane. <<Sono stato uno stronzo. Stare fermo mi manda fuori di testa, non ne posso più. Ma non avrei dovuto parlarti in quel modo. Davvero non sei arrabbiata?>>

Lei sollevò gli occhi su di lui e scosse piano il capo.

<<Penso di capire come ti senti. Io ero solo preoccupata per la tua gamba>>

<<Lo so, e ti chiedo scusa. L'ultima cosa che voglio è mancarti di rispetto e farti soffrire>>

L'intensità con cui Aleksandar pronunciò quelle parole la costrinse a trattenere il respiro. Sostenne il suo sguardo e vi lesse il pentimento e l'affetto che l'amico provava per lei. Era bello sapere di poter contare su di lui: la stava aiutando così tanto, in quel periodo buio, che non poteva fargli pesare una cosa del genere. Così, sorrise e gli accarezzò un braccio.

<<Scuse accettate. Ora, però, torna a distenderti, altrimenti mi costringerai a legarti per farti stare fermo>> lo minacciò.

Aleksandar si mise sull'attenti e, prima di tornare verso il divano, rispose:

<<Agli ordini, capo!>>

Alessia aspettò di essere di nuovo sola, per poi tornare ai piatti sporchi che reclamavano la sua attenzione. Nonostante il compito non fosse proprio piacevole, non riuscì a smettere di sorridere.

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