Sessantuno.
I am afraid to see my heroes age
I am afraid of disintegration
If you're not here, I cannot be here for you
If you're not here,
I cannot be alone
Torres
Alessia osservò, in disparte, la riunione tra Goran e la sua famiglia: erano tutti contenti, nonostante sotto sotto si percepisse la tristezza dovuta alla malattia del capofamiglia. La madre di Goran, una donnina esile vestita di blu, aveva aperto la porta e abbracciato immediatamente il figlio. Dopo pochi secondi un'altra donna lo aveva accolto sorridente. Da quello che la ragazza ricordava, aveva immaginato fosse la sorella, anche perchè avevano gli stessi occhi scuri e si assomigliavano molto. Infine, una bambina di circa cinque anni si era lanciata al collo del giovane, il quale l'aveva sollevata in aria e le aveva fatto il solletico fino a farla ridere.
Terminati i saluti ci fu un attimo di silenzio e Alessia fu consapevole che tutti stavano guardando lei. Per fortuna, Goran la presentò con poche parole - che lei non comprese - risparmiandole così l'imbarazzo di doverlo fare da sola. Sorrise e seguì il gruppetto all'interno dell'abitazione.
Si trovavano al centro del salotto: era una stanza molto calda e accogliente, piena di fotografie di famiglia e qualche gioco della bimba sparso qua e là. In fondo alla sala c'era la parete attrezzata della cucina, e Alessia notò il forno acceso; in effetti si rese conto che era quasi ora di pranzo.
Dopo alcune frasi tra Goran e la madre, il ragazzo si rivolse a lei:
<<Mio padre sta riposando, scenderà per pranzo. Intanto noi possiamo riposarci e rinfrescarci>> esitò, leggermente imbarazzato, prima di proseguire. <<Mia madre vuole che ti chieda se ti va bene dormire insieme a me nella mia vecchia stanza... Altrimenti puoi sistemarti in quella in cui dormono mia sorella e mia nipote>>
<<E loro dove dormirebbero?>>
<<Potrebbero usare il divano letto della sala>>
<<La tua stanza va benissimo>> rispose Alessia scuotendo piano la testa.
L'amico riferì la risposta e le fece strada al piano superiore, fino all'ultima porta al termine del corridoio. Quando entrò, la giornalista osservò in silenzio la camera: le pareti erano piene di fotografie di un Goran più giovane che indossava le maglie delle squadre in cui aveva giocato, articoli di giornale che parlavano di lui e premi collezionati in varie competizioni nazionali e internazionali, compresa la medaglia olimpica. Ale centro dell'ambiente si trovava un letto matrimoniale e una grande finestra si affacciava sul cortile sul retro.
Alessia appoggiò il suo bagaglio per terra e si sedette sul letto, incrociando lo sguardo dell'amico.
<<Una collezione interessante>> scherzò, riferendosi ai cimeli che tappezzavano le pareti.
Lo schiacciatore sorrise e lei ne fu felice, dato che era il primo sorriso dalla sera precedente.
<<Ogni volta che vinco qualcosa lo porto qui, ai miei fa piacere>> la fissò dalla porta, che nel frattempo aveva chiuso. <<Davvero ti va bene dormire qui? Anja e Maja non avrebbero problemi a dormire in sala. Oppure potrei usare io il divano... Non voglio che tu sia a disagio>>
<<Perché dovrei? Abbiamo già dormito insieme, svariate volte>>
<<Ma qui, con la mia famiglia... Ho detto loro che siamo amici, ma non so se mi hanno creduto. E' la prima volta che porto una ragazza a casa, e anche se non stiamo insieme loro potrebbero pensare diversamente. Dormire in due stanze diverse potrebbe essere la soluzione migliore>>
Alessia si sentì lusingata dal fatto di essere la prima ragazza ospite della sa famiglia, anche se solo come amica.
<<E' la tua famiglia. Dimmi tu cosa preferisci. Ma se dobbiamo dormire separati, sarò io a usare il divano. Saremo tutti più comodi così>> si alzò e lo raggiunse, aspettando una risposta.
<<A me fa piacere se resti, lo sai>> mormorò lui.
Lei sorrise e gli posò una mano sul braccio.
<<Bene, allora. Solo una domanda: posso usare la doccia?>>
<<La prima porta a destra>>
Alessia afferrò il borsone e si diresse verso il bagno.
La doccia rinfrescante la fece rinascere. Dopo avere indossato dei vestiti puliti e avere atteso che anche Goran si preparasse, scesero di sotto per pranzare col resto della famiglia.
Gli altri erano già a tavola e c'era anche il padre dell'amico. Alessia si accorse subito di quanto fosse magro e affaticato. Doveva essere alto tanto quanto il figlio, ma a stento riusciva a rimanere dritto sulla sedia. L'abbraccio tra i due fu molto dolce e la ragazza quasi si commosse vedendo le braccia magre dell'uomo circondare l'amico con affetto.
Durante il pasto tutti parlavano tra di loro. Lei non capiva i discorsi fatti, ma non si sentiva esclusa per questo. Anzi, ognuno di loro le sorrideva con simpatia e gentilezza e lei ringraziava con un "hvala" ogni volta che le veniva passato un piatto.
<<Sono dispiaciuti di non poter parlare con te>> le disse Goran ad un certo punto. <<Sono sicuro che vorrebbero farti un milione di domande>>
<<E io risponderei volentieri, se tu traducessi per me>>
Fu così che si ritrovò a parlare di casa sua, della sua famiglia - a tal proposito rimase molto vaga e si rese conto che lo schiacciatore convinse sua madre e sua sorella a cambiare argomento - della sua squadra e del lavoro. Alla fine anche la piccola Maja fece una domanda e tutti si bloccarono.
<<Che cosa ha chiesto?>> volle sapere Alessia.
Goran impiegò alcuni istanti a trovare le parole per tradurre.
<<Ha chiesto se davvero non sei la fidanzata di suo zio...>>
Alessia sorrise e si rivolse direttamente alla bambina:
<<Davvero non sono la fidanzata di tuo zio>>
La piccola sembrò accontentarsi della risposta e il pranzo continuò tranquillo. Il padre di Goran - Milos era il suo nome - rimase sempre in silenzio, ma ascoltava interessato la conversazione che si svolgeva intorno a lui.
Quando ebbero terminato di mangiare, l'amico aiutò il padre a tornare nella sua stanza per riposare, mentre Alessia sparecchiò e sistemò la tavola con le altre donne. Stranamente non provava imbarazzo; anzi, si sentiva accolta come una di famiglia, una parente alla lontana venuta in visita per un'occasione speciale. Era dispiaciuta solo che l'occasione fosse così triste.
Quella sera, mentre erano sdraiati sotto le coperte, Alessia chiese all'amico come stesse suo padre.
<<Non vuole che ci preoccupiamo ma sa che la situazione sta peggiorando>> le rispose lui, guardando il soffitto illuminato solo dalla luce della luna che filtrava dalla finestra. <<E' un uomo intelligente, ha sempre voluto conoscere l'esatta realtà delle sue condizioni. E, anche se ha lottato contro la malattia, ha sempre saputo che c'era la possibilità che non ce la facesse>>
<<Mi dispiace>>
Non glielo aveva ancora detto, ma era la verità. Appoggiò la testa sulla sua spalla e continuò:
<<Non riesco a immaginare cosa voglia dire vedere morire qualcuno che si ama senza potere fare nulla>>
Il ragazzo sospirò prima di rispondere.
<<Sarà dura soprattutto per Maja. Lui è molto più di un nonno per lei>>
<<Dov'è suo padre?>>
<<Non lo sappiamo. Quando ha saputo che Anja era incinta se ne è andato senza voltarsi indietro>>
Alessia poteva capire benissimo come ci si sentisse ad essere abbandonata da un genitore. Ma almeno Maja non aveva mai conosciuto il padre e non aveva sofferto per il suo abbandono.
<<Lei avrà sempre voi, starà bene>>
Scivolarono lentamente nel sonno, così, uno accanto all'altra.
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