Capitolo 6

Pensavo che, dopo quanto successo nelle docce, sarei stato inevitabilmente messo in panchina, ma a quanto pare, il destino ha deciso di graziarmi.

Questa sera si disputa la prima partita del campionato. L'adrenalina scorre nelle mie vene mentre mi preparo per l'evento più atteso della stagione. La concentrazione è palpabile nell'aria, e l'intera squadra è determinata a dare il massimo.

Mentre sto con calma sistemando il nastro sulle dita, Lorenzo, il mio compagno di squadra dai modi spensierati, si rivolge a me e a Mattia, sorridendo compiaciuto «Certo che non è niente male».

Un istante di confusione mi assale mentre cerco di comprendere a cosa si riferisca. Senza pensarci troppo, rispondo con un sorriso sardonico «Ti ricordo che è fidanzata».

Entrambi mi guardano stupiti, e Lorenzo, tra le risate, cerca di chiarire «Non stavo parlando di Nora, ma della sua amica Adele. Con quegli occhi riesce a stregarti».

Le sue parole colpiscono come una freccia scagliata dritta al cuore. Mi alzo di scatto, la tensione che si accumula nelle mie spalle è palpabile. Senza dire una parola, afferro con forza la maglia e faccio un passo deciso verso l'uscita, lasciando i miei compagni di squadra immobili come statue.

Il mio sguardo, ancora scosso dall'episodio, viene catturato da due figure sedute dietro la nostra panchina. Accanto a Nora è seduta lei, avvolta in una felpa oversize che sembra quasi nasconderla. Il suo sguardo enigmatico e gli occhi profondi mi intrigano, facendomi domandare cosa si nasconda dietro quel velo di mistero.

Dal microfono inizia a scandire i nomi, uno per uno, creando un'attesa palpabile nell'aria. Il pubblico si agita, le voci si fanno sempre più eccitate. E poi, finalmente, è il mio turno. Il mio nome risuona nell'arena, ma come sempre, viene annunciato per ultimo. È un momento che aspetto con ansia e orgoglio, perché ricopro il ruolo di capitano della squadra. Mi preparo mentalmente, sentendo l'energia e l'adrenalina crescere dentro di me.

Un improvviso gioco di luci inonda il palazzetto sportivo, trasformandolo in uno spettacolo luminoso. Le luci danzano, si intrecciano, creando un'atmosfera magica che incanta il pubblico. L'energia elettrizzante che si diffonde nell'arena sembra palpabile, come se ogni singolo spettatore fosse in sintonia con la nostra squadra. È un momento di pura eccitazione, di attesa frenetica per ciò che sta per accadere.

E poi, con un'intensità che rompe il silenzio, una voce proveniente dal pubblico esclama "Speed!". È il soprannome che mi è stato affibbiato dopo la mia prima partita, un soprannome che ha catturato l'essenza della mia abilità nel colpire la palla con una velocità spaventosa. Da quel momento, ogni volta che vado in battuta, quel soprannome risuona nell'aria come un tributo alla mia abilità.

La partita si svolge in un turbine di azione e emozioni. I nostri avversari lottano con tutte le loro forze, ma io e la mia squadra siamo implacabili. La mia battuta, affilata come una freccia, rasenta il suono del vento, lasciando gli avversari sbigottiti e senza possibilità di reazione. Ogni colpo che sferra la mia mano è un'esplosione di potenza e precisione. Il pubblico è rapito, i loro occhi seguono ogni mio movimento, mentre la palla vola attraverso l'aria con una velocità vertiginosa.

La partita si conclude con una vittoria schiacciante per la nostra squadra. Abbiamo conquistato tre set su quattro, dimostrando una superiorità ineguagliabile. È un trionfo che riempie il palazzetto di applausi fragorosi e grida di gioia. Ci abbracciamo, saltando di gioia e condividendo un'onda di emozioni positive che ci avvolge.

Ma non è finita qui. Mentre ci dirigiamo lungo il tunnel che porta agli spogliatoi, le nostre affezionate fan sono lì ad attenderci. Sono la nostra fonte di ispirazione e sostegno, un muro di suoni e colori che ci avvolge con il loro amore per il nostro sport. Mentre ci godiamo un po' di attenzioni e sorrisi compiaciuti, tra le voci entusiaste del pubblico, distingo una voce familiare che pronuncia le parole, «Veramente? Ma stiamo scherzando».

Riconosco immediatamente quella voce, è una persona che ho imparato a conoscere fin troppo bene. Le sue parole, cariche di sarcasmo o forse di invidia, non passano inosservate. Ma io non mi faccio intimorire, e con un passo mi posiziono dietro di lei.

«Sei gelosa, ballerina?» le dico in modo sarcastico.

Lei di tutta risposta si volta e risponde «Ti sopravvaluti troppo».

Non ho intenzione di mollare così dico qualcosa che spero la colpisca, «Io credo, invece, che il mio scherzetto dell'altro giorno ti metta strane idee in testa». Le ragazze intorno a noi scoppiano a ridere, mentre lei molto tranquillamente, come se le mie parole soffiano solo un soffio di aria, risponde «Tranquillo. Non ho intenzione di far parte del tuo gioco».

Rimango scioccato, senza riuscire a pronunciare niente. Mattia scoppia a ridere mentre lei con un cenno di saluto si avvia verso l'uscita.

Ferito nell'orgoglio, ogni passo verso casa sembra essere un peso insostenibile. La mia mente è tormentata da un'unica immagine che si ripete senza sosta: lei. I suoi occhi magnetici, profondi come l'abisso, continuano a fissarmi, sfidandomi a capire il suo mistero. È come se nascondesse un universo dentro di sé, segreti e desideri che bruciano sotto la sua calma apparente.

La sfida è stata lanciata e non posso far altro che accoglierla. Eppure, c'è qualcosa di più profondo che mi spinge a interrogarmi sulle sue reali intenzioni. Cosa nasconde dietro quell'espressione enigmatica? È solo una maschera o c'è qualcosa di autentico che si cela dietro di essa?

Con questi pensieri tormentati, apro la porta di casa e mi dirigo verso la mia camera, come un soldato stremato che fa ritorno dalle trincee. Il peso delle emozioni e delle circostanze si fa sempre più opprimente, fino a che finalmente crollo sul letto, lasciando che la stanchezza mi sommerga in un sonno senza sogni.

Il giorno seguente, durante l'allenamento, non le concedo un solo istante di tregua. Ogni pallone scagliato dalla mia mano ha un solo obiettivo: Adele. Ogni lancio è eseguito con precisione millimetrica, un messaggio silenzioso ma potentemente chiaro. L'energia che pervade il campo sembra carica di tensione, come se l'aria stessa fosse impregnata del mio desiderio di colpire il suo punto debole.

Tuttavia, non potevo immaginare cosa sarebbe successo dopo.

Oggi, noi siamo gli ultimi a lasciare il terreno di gioco. Mentre apro il mio armadietto, scopro che anche lei ha pianificato una risposta. L'interno del mio borsone è ricoperto da una sottile polvere biancastra che si disperde nell'aria come una nebbia enigmatica.

«Ora basta!» urlo, facendo cadere a terra il borsone con una mano mentre con l'altra chiudo con forza l'armadietto. I miei compagni si voltano nella mia direzione, mentre Mattia, accanto a me, lotta per trattenere le risate, ma la sua espressione tradisce una gioiosa complicità. «Tommy, stai calmo, cosa vuoi che sia?» dice cercando di minimizzare la situazione.

Lo fulmino con uno sguardo carico di rabbia, e mentre mi dirigo verso la porta, gli rispondo serrando i denti «Questa è la goccia che fa traboccare il vaso».

La vedo seduta con Nora, in attesa di Mattia. Questa è stata la sua mossa sbagliata, il passo falso che non posso lasciare impunito.

Senza esitazione, afferro Adele per un braccio e la sollevo sulle mie spalle, ignorando i suoi pugni impotenti e le sue grida. Deciso, rientriamo nello spogliatoio, consapevole degli occhi che sono puntati su di noi, scrutando ogni nostra mossa con curiosità e sussurri sommessi.

Ruoto il rubinetto con impeto, e l'acqua comincia a scorrere, formando una cascata che ci avvolge entrambi. Poso Adele a terra sotto il getto d'acqua, che cade con forza sul suo corpo, disegnando una scia di fuoco che sembra riaccendere le fiamme della rabbia. I suoi vestiti, ormai intrisi d'acqua, aderiscono come una seconda pelle, evidenziando le sue curve sinuose, ma il freddo dell'acqua sembra avere un effetto calmante, ammorbidendo le tensioni tra noi.

Tuttavia, qualcosa cambia in questo momento. La rabbia si dissolve gradualmente, lasciando spazio a una sensazione inspiegabile, una connessione che va al di là della superficie della nostra lite. I miei occhi vagano su ogni dettaglio del suo corpo, incontrando il suo sguardo, come se fossi attratto da un magnetismo irresistibile che mi trascina verso di lei.

«Cosa stai facendo?» riesce a sussurrare Adele, con un filo di voce incerto.

«Qualcosa di dannatamente stupido» ammetto, sentendo il cuore battere forte nel petto mentre mi lascio travolgere dalle emozioni del momento. C'è qualcosa che mi fa desiderare di avvicinarmi a lei, di conoscerla veramente, di comprendere cosa si nasconda dietro quelle espressioni e quel temperamento focoso.

Ma la bolla di intimità improvvisata scoppia nel momento in cui la voce del mio allenatore, Stefano, ci raggiunge a gran voce «Voi due, vi voglio immediatamente nel mio ufficio!».

In quell'istante, il nostro istante di connessione e vulnerabilità viene bruscamente interrotto, e io mi allontano rapidamente da lei, rispondendo al richiamo dell'allenatore, consapevole che mi aspetta una ramanzina imminente. Eppure, non riesco a liberarmi dalla sensazione che qualcosa sia cambiato in questo breve istante.

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