IX. Il teorema delle mancanze

Inui era così felice quella sera. Finalmente, avrebbe presentato Koko, il suo Koko, alla sua famiglia.

In verità, era così nervoso che gli tremavano le gambe, ma era un'isteria buona, un po' come prima di un test per il quale aveva studiato a memoria per mesi.

Si era vestito e reso impeccabile. Si era passato il phon sui capelli e assieme alla spazzola aveva cercato di renderli ancora più lisci. Aveva coperto la sua cicatrice sul lato dell'occhio con del fondotinta che aveva acquistato apposta per l'occasione, si era lavato i denti cinque volte, e aveva indossato un completo fatto a mano da Koko stesso.

Un bel completo bianco, liscio e morbido come fosse stato fatto di carta velina.

Se lo era messo all'ultimo per paura di sporcarlo, ma era stato tutto il giorno in trepidazione per quando quella stoffa avrebbe coperto il suo corpo. E guardandosi allo specchio aveva dovuto ammettere che tutto quel vestiario faceva il suo effetto.

Era impeccabile, profumato, felice.
Aveva indossato il suo sorriso per tutto il tempo in cui era sceso dalle scale e assieme alla sua sciarpa color amaranto si era accostato al ciglio della strada, aspettando pazientemente.

Koko sarebbe passato a prenderlo da lì a cinque a minuti. Teneva stretta nella mano la busta con i dolcetti che aveva preparato e la letterina che aveva scritto per ringraziare il suo ragazzo del completo.

L'ho fatto apposta per te, amore mio. Ti starà una meraviglia! Ci ho lavorato per quattro settimane!” gli aveva detto Koko, con il sorriso sulle labbra.

Inui era stato così felice che non aveva smesso di ringraziarlo per due settimane di fila.

Si era messo lì ad aspettarlo, tutto contento, profumato, positivo. Non si sentiva così bene da tempo, non era così felice da tanto. Koko gli aveva riacceso dentro qualcosa, una miccia che si consumava in fretta e faceva sempre più luce.

Non era più buio come prima.

Koko lo aveva portato via, Koko lo stava facendo sentire voluto, desiderato, giusto. Per una volta in vita sua non si sentiva succube, non si sentiva inadatto, stupido, inutile.

Voleva che fosse cosi anche per i suoi genitori, voleva che loro gli dicessero “wow Seishu! Sei così cresciuto, sei fantastico!”. Voleva essere qualcuno ed essere importante per qualcuno, esattamente come Hajime lo era per lui.
Era pronto ad accettare che lui facesse parte della sua vita, che fossero una coppia.

Aspettò pazientemente.
Una coppietta di anziani gli passò davanti, si tenevano per il braccio e lei aveva la testa che ogni tanto si poggiava sulla spalla di lui. Inui nell'incontrare il loro sguardo, gli sorrise.

Aspettò.
Vide un cagnolino sfuggire al controllo del padrone e questo inseguirlo fino a perdere il fiato, per poi riacciuffarlo a un millimetro dalla strada.

Aspettò.
Un gruppo di bambini passarono davanti a lui ridacchiando. Una signora teneva le manine di alcuni e sorrideva assieme a loro. Guardavano i palazzi, le auto, la neve. Ridevano e Inui rise con loro.
Avrebbe dovuto raccontare a Koko quanto lui amasse i bambini. Forse era un po' presto per pensarci, ma… Scosse la testa.
Erano giovani, c'era tempo e poi, se si disse stabilizzato con la scuola e il nuovo lavoro - sempre ad un pub, ma a fare lo stagista per la scuola anche qui, sospettava ci fosse stato lo zampino di Koko - avrebbero potuto fare richiesta per un'adozione.
Se il suo ragazzo fosse stato d'accordo, ovviamente.

Aspettò venti minuti.
Il cielo stava iniziando ad imbrunire, le stelle già abbellivano quel manto scuro come piccoli fori in un enorme scatola.
Gli passarono davanti macchine di ogni colore, un bus, un trenino per bambini.

Gli facevano un po' male le gambe, ma sorrideva lo stesso profondamente speranzoso, lo sguardo innamorato e il respiro leggero. La sciarpa lo proteggeva bene dal freddo, anche se avevano iniziato a congelarsi le mani. Per l'occasione infatti, aveva deciso di non mettere guanti, ma alla fine stava solo morendo di freddo.

Spostò la busta nell'altra mano e a turno si mise un pugno in tasca. Non servì poi a molto, ma lo faceva distrarre.

Aspettò trenta minuti, quaranta.
La neve aveva iniziato a caracollare lungo la strada e Inui aveva iniziato a preoccuparsi. Sarà rimasto bloccato nel traffico, con questo tempo… si era detto.

Aveva aspettato ancora.
Un'ora.
Aveva frugato nella tasca del completo, aveva estratto il cellulare e composto il numero del suo fidanzato.
Non aveva ricevuto risposta.

Gli aveva inviato un messaggio, per poi attendere che leggesse o che gli facesse sapere.

Nulla.
Aveva aspettato altri venti minuti, i piedi che iniziavano a fargli male per il troppo stare in piedi, fermo. Aveva freddo, gli si erano intorpidite le mani e non riusciva più a sentirsi le labbra.

Sospirò stanco. Chiamò ancora una volta Koko, affacciandosi in direzione della strada, ma proprio mentre scattava la segreteria telefonica, una macchina passò a tutta velocità e splash.
Gli gettò tutto il fango contro i pantaloni del completo.

Lì per lì, gli venne da piangere.
Il suo bel completo tutto sporco di terriccio, pioggia e neve. Era una macchia così grossa che non sarebbe mai venuta via, neppure con la varechina. Si appoggiò al muro dell'appartamento,la vernice che gli graffiava i palmi era gelata. Si asciugò rapidamente una lacrima che gli era scesa lungo le labbra.

Non avrebbe pianto.
Ci aveva creduto certo, ma dopo due ore di attesa gli pareva così sciocco continuare a sperare. Si sentiva un ragazzino sciocco. Il ragazzo imbrogliato dal cattivo ragazzo, come in quelle storie che amava leggere. Lì però, la storia finiva sempre per prendere una piega positiva e romantica, invece quella serata non faceva che diventare sempre più disastrosa.

Tirò su col naso e stava per voltarsi e salire di nuovo a casa, quandoi fari di una macchina lo abbagliarono. Dovette portarsi una mano a schermarsi il viso mentre osservava Koko Hajime scendere dal suo Bmw bianco perla e a passo esitante, dirigersi in sua direzione.

«Inui…» lo chiamò mentre arrancava per stargli dietro.

Inui lo stava ignorando. Lo guardava appena e con un cipiglio deluso in viso. Quando Koko gli fu finalmente vicino, l'odore di whisky gli arrivò alle narici in un batter d'occhio.

Gli si riempiono gli occhi di lacrime. Quelle che fino a prima era riuscito a trattenere ora parevano inondargli gli occhi come una tempesta.

«Stronzo» sussurrò. Si voltò, non volendo dargli anche la soddisfazione di vederlo piangere a causa sua.

Koko gli poggiò una mano sul braccio, lo fermò verso di sé.

«Inupi, amore mi dispiace tanto… io ero…».

«Non chiamarmi così!».

Scattò via dalla sua presa ma nel farlo gli cadde la lettera che teneva in tasca per terra. Fece per chinarsi a raccoglierla, ma Koko fu più svelto di lui. Anche se barcollante, la prese decisamente prima.
Inui lottò per cercare di riprenderla e strappargliela di mano, ma l'altezza di Hajime giocava a suo sfavore, così dovette arrendersi al fatto che non ci sarebbe mai riuscito.

Incrociò le braccia al petto mentre l'altro leggeva il suo contenuto.

«È una…».

Lo colse inaspettato. Riuscì a cavargliela di mano e sotto lo sguardo sbigottito di Koko, la fece a pezzi.

La sua lettera d'amore.

«Vaffanculo, Koko» gli disse poco prima di dargli le spalle e tornare al portone di casa.

Koko non lo seguì.

🌫️

Koko lo aveva chiamato tutta la notte. Inui non aveva risposto; si era barricato in camera, un cuscino sul viso e la luce spenta. Le tapparelle serrate. Non aveva voglia di vedere nessuno, non aveva voglia di mangiare, di bere, di vivere. Non si era presentato all'accademia, era troppo stanco per alzarsi dal materasso e poi non aveva voglia di sognare.

Illudersi lo aveva portato solo alla delusione. Alla sconfitta, perdente e illuso come un pesce lesso.

Alla fine, si dovuto comunque sprigionare dalla confortevole cella che si era creato. Tornare a respirare. In realtà, era stato un suo amico a contattarlo, insistendo per farlo uscire di casa, insistendo per rivederlo.

In effetti, erano anni che non rivedeva Izana; con la sua partenza in Francia, non aveva più avuto modo di rivederlo, colpevole anche la sua timidezza, aveva faticato a mandargli anche dei semplici messaggi. Alla fine, era stato proprio Izana a chiamarlo e chiedergli come stesse e quando Inui gli aveva raccontato tutto, - sorvolando sull'identità di Koko, che era pur sempre un amico di Izana - il ragazzo aveva insistito per vederlo.

Anche Kakucho vuole rivederti. Ci sei mancato, Inui.” gli aveva detto, in videochiamata su Skype.

Inui non aveva potuto rifiutare.

Si era avvolto nel suo maglioncino color sabbia e stringendosi con forza al cappotto nero, - quello rovinato, perché si rifiutava di indossare una qualunque cosa gli avesse cucito o comprato Koko - era sceso in strada, il naso affondato in una sciarpa sgualcita.

Izana gli aveva mandato l'indirizzo del locale sul cellulare. Colpevole la sua eterna ansia, Inui era immediatamente andato a controllare il locale sui social e il suo cuore aveva preso a battere più forte quando si era reso conto che ci era già stato con Koko.
Quella volta, Hajime gli aveva comprato un panino così grande che ci aveva messo mezz'ora per riuscire a finirlo tutto, e poi, lo aveva portato a vedere il panorama dalla vetrata principale; una distesa di cunicoli e tetti così incastrati da sembrare un puzzle, il tutto condito dal firmamento blu.

Inui era stato felice di essere con il suo fidanzato, lo aveva baciato lì, vicino al cielo.

Il solo ripensarci lo aveva reso irrequieto per tutto il giorno. Stanco e triste come se avesse appena perso un pezzo di cuore. Aveva scelto di non pensarci mentre si avviava in direzione dell'edificio, ma i ricordi continuavano a frullare nella sua testa come un treno ad alta velocità.

Dopo aver salito i brillanti gradini del pub, si era ritrovato sballottato in una sala gigantesca, i lampadari di Swarovski luccicavano appesi al soffitto fatto di tessere colorate, i respiri delle persone gli parevano assorbire tutta l'aria nella stanza, il volume della musica avrebbe potuto tranquillamente spaccare le casse.

Si era guardato attorno, smarrito. La folla aitante si muoveva frenetica, fianchi che si cercavano e mani che toccavano. Senza pudore, sudati, ansiogena. Quella volta, Koko gli aveva preso una sala privè, forse, conoscendolo meglio di quanto si conoscesse lui stesso. Conosceva le situazioni che lo mettevano a disagio e le evitava, lo proteggeva coprendogli gli occhi con una mano mentre con l'altra gli accarezzava la guancia opposta.

Lo confondeva, e al contempo, lo faceva innamorare.

«Inui! Inui…».
Una mano era stata sventolata in alto. La vedeva svettare tra le centinaia di chiome colorate, un viso niveo e un sorriso furbo gli indicavano la direzione.

Izana e Kakucho erano seduti al bancone del bar, gli sgabelli li rendevano decisamente più alti del solito, i loro visi sorridenti lo osservava dal fondo della sala. Lo invitarono, con i gesti, ad unirsi a loro. Inui li raggiunse facendosi largo tra la calca di persone, spintonando occasionalmente qualcuno e venendo spintonato a sua volta.

Quando riuscì a scorgere il viso perfetto di Izana, per un momento fu così felice di vedere i suoi vecchi amici che non fece caso al contorno. Si precipitò ad abbracciare Izana Sano e il suo ragazzo, Kakucho, sorridendo alle loro battute riguardo quei balli provocanti.

Poi, tutto si frammentizzò.

Lo vide lì, seduto in disparte, col sorriso sulle sue labbra intatte e un bicchiere di gin tra le mani, ancora pieno.
Gli sembrò di precipitare, annaspare tra onde infinite che lo trascinavano a largo e gli impedivano di toccare un po' d'ossigeno. Lo guardava e si rendeva conto che per quanto lo negasse, lui era innamorato di Koko Hajime.

Lo era da quando ne avesse memoria, forse dalla prima volta che lo aveva visto, seduto al banco della sua classe con quel suo cipiglio pratico, le mani lisce come seta. Gli aveva sorriso di quel sorriso tagliente, quello con le labbra che si increspavano tutte di lato e la fossetta che gli divideva la guancia.

E si era innamorato.

«Inui, è tutto ok..?» la voce di Izana ormai, gli pareva un ricordo lontano, un urlo soffocato mentre dentro aveva l'inferno. Chiuso in una bolla di sapone che lo rendeva distante e irraggiungibile al mondo esterno.

«I-io… devo andare in bagno… torno subito.» biascicò, le labbra che sembravano incollate tra di loro. Si sentiva arrugginito, le ossa che potevano piegarsi ad ogni respiro, ogni sguardo. Sì, il suo sguardo.

Lo sguardo che Koko gli aveva fatto scivolare addosso. Lo sguardo che aveva fatto, quando i suoi occhi si erano aperti così tanto da sembrare dei laghi d'acqua gelata, le labbra che si erano sgranate.
Come se volesse dire qualcosa di cui non era certo.

«Inupi…» aveva mormorato con quella bocca fatta di rose. Sibilando quel nomignolo che lui stesso gli aveva dato, a scuola. Quando la vita pareva ancora essere giusta.

Non aspettò oltre.
Non stette a sentire ciò che gli stava dicendo Izana, né la richiesta di Kakucho sulla sua salute, semplicemente si voltò e si fece largo tra quella folla. Spingendolo, sgomitando, inoltrandosi.

Gli pareva di soffocare.
In mezzo a quel trambusto infinito, a quelle persone felici. Qualcosa che lui non aveva mai potuto avere, che non era giusto neppure che bramasse.

Una bugia che gli si era radicata tra le ossa e i legamenti.

Aveva quasi raggiunto la porta della toilette quando si sentì afferrare dal polso. Una presa leggera, quasi tremasse al solo pensiero di fargli del male. Riconobbe il suo odore ancor prima della sua voce.

Koko.

«Lasciami… lasciami» bobficchiò con la voce che gli si incastrava in gola, tra la trachea e il respiro.

Koko non lo lasciò andare, al contrario, lo spinse in bagno e legò le braccia contro di lui, stringendolo al suo petto.
Facendogli inalare il suo profumo selvaggio, il suo odore di buono, di casa.

«Inui, amore mio. Mi dispiace così tanto… c-così tanto…» lo sentì soffocare un singhiozzo contro il suo cappotto nero, il viso schiacciato sulla la sua spalla e il respiro che pareva mischiarsi al suo sangue.

Koko singhiozzava. Quel pensiero lo attraversò come un fulmine, scuotendolo fino alle viscere più profonde.

Non ci rifletté. Non sopportava di saperlo stare male, figuriamoci sentirlo piangere. Si girò in sua direzione, gli strinse le braccia al collo portandogli il viso contro il suo petto.

Accarezzandolo con i gesti che sapevano di amore.

«Inui… m-mi dispiace, mi dispiace c-così tanto… scusami, a-amore mio…».

«Koko…».
Gli accarezzò i capelli, le sue belle ciocche argentate che gli cadevano contro le spalle come spaghetti.

«Inui, ti prego di perdonarmi io… ti scongiuro, io ero solo triste, non volevo ferirti. M-mi dispiace così tanto che-»

«Koko, io ti amo.»

Lo sentì scattare con lo sguardo in sua direzione, le mani che gli tremavano e gli occhi così rossi che parevano fatti di amaranto.

«Inui, anch'io ti-».

Non gli servirono le parole.
Inui gli saltò addosso prima che potesse finire di parlare. Gli prese il viso tra le mani e gli attanagliò le labbra.

Un bacio che racchiuse ogni sua emozione, ogni parola e ogni respiro. Gli strappò l'anima dal petto e la fece sua. Un bacio che bruciò loro la lucidità e qualsiasi forma di dubbio.

Gli mancava troppo Koko e quello che avevano avuto per ragionare su quello che stava facendo, su quello che voleva davvero. Aveva bisogno di Koko, del suo corpo caldo e del suo respiro sulla bocca.
Lo spinse con i palmi poggiati sul suo petto, facendolo reclinare all'indietro, contro le mattonelle scure che componevano il muro.
Continuarono a far saettare le loro lingue, mischiando i loro sapori, i loro umori.

Erano senza freni.

Inui deglutì la saliva sua e quella di Hajime aggrumata assieme a tutta la sua bocca, con i muscoli che si flettevano ogni volta che provavano a svestirsi di uno strato in più.
Se lo sentiva contro tutto il corpo, con quella pelle che bruciava più della lava e i respiri intrecciati come fossero stati fatti della stessa carne. Stessa anima, stesso cuore. , proprio il cuore che palpitava contro la loro cassa toracica e pareva voler bucare loro la pelle.

«Koko…».

Rilpetuto come un mantra mentre il suo fidanzato si sbottonava frettolosamente i pantaloni e faceva lo stesso con i suoi, lasciandoli cadere sino alla caviglie, con quell'ardore che contraddistingueva il loro amore e il mod in cui si erano mancati. Koko gli era mancato.

Gli era mancato così tanto che non appena gli entrò dentro, si sentì morire e risorgere come un dio. Si sciolse tra le sue braccia come cera, gli venne tutto d'addosso, incurante di sporcargli tutta la camicia firmata, incurante di essere nel bagno di un pub e che tutti potessero sentire i suoi gemiti.

«Ti sono mancato così tanto?» il sussurro di Koko era stato un rivolo di vento bollente contro il suo orecchio sensibile.
Si era sentito scuotere da un brivido che lo aveva portato a piegarsi su sé stesso, stringendo disperatamente le cosce attorno ai fianchi del fidanzato, gemendo sulla sua bocca.

Il membro di Koko dentro di lui era ancora spaventosamente duro, caldo.

Lo sentiva dentro ogni parte di sé, stretto ad ogni suo organo, mischiato al sangue. Gli si avventò ancora sulla bocca, dando una risposta ben più che soddisfacente all'altro, mentre prendeva a dondolarsi col bacino, invitandolo ad osare di più.

Koko lo accontentò.
Prese a muoversi più rapidamente, le stoccate rapide e precise contro il suo punto più morbido lo stavano già per far capitolare, di nuovo. Strinse attorno a lui le braccia, gli catturò il respiro.

«Koko, mmh…».
Gemette contro il suo collo, gli morse la pelle e la succhiò con dovizia, volendo ostentare il suo possesso su quel corpo, su quell'anima.

Koko era suo, che lo volesse o no. Ce lo aveva radicato dentro, stretto alle sue budella, annodato al suo cuore, avvolto alla sua mente da fasce irremovibili. Koko, Koko, Koko.
Lo pensava persino quando stava male, quando il mondo pareva non voler fare altro se non sbeffeggiarlo.

Lo amava sempre e da sempre.

«Ti amo… ti amo, ti amo…».
Glielo continuò a mormorare mentre ogni stoccata lo portava a vedere le stelle, mentre il suo corpo si piegava e la bocca si spalancava, mentre tremava e continuava a pregarlo.

«Uhm… Inui…»
Hajime lo strinse a sé, affondando con le unghie nei suoi fianchi, al limite. Sussurrò ancora il suo nome in un crescendo di gemiti e imprecazioni, in un movimento ondulatorio dettato più dal cuore che dalla testa.

Perché lui Inui lo conosceva a memoria e viceversa.

«Ti amo… Hajime…».
Lo tenne contro di sé, nel suo corpo bollente con le mani che lo cercavano senza mai lasciarlo. Si scambiarono un altro bacio che aveva il sapore di vaniglia e saliva.

Inui lo sentiva ancora quel peso nel cuore ma se stava così avvinghiato a Koko evitava di pensarci. Stavano ancora riprendendo fiato quando sentirono la porta aprirsi.
Un cigolio leggero, che li costrinse a voltare lo sguardo in quella direzione. O almeno lo fece Inui.
Koko era troppo impegnato a vezzeggiargli il collo, viziandolo con stoccate leggere, nonostante lo avesse già riempito a dovere del suo seme.

«Ragazzi tut- Oh ma che cazzo!».
La figura di Izana fece il suo ingresso, mostrando appena il suo viso che già si era scansato, coprendosi gli occhi.

«Andiamo! Nel bagno di un pub? Ti facevo più di classe, Kokonoi!» lo sfotté il giovane con un ghigno beffardo. Era tornato a guardare ora, come se fosse una cosa da tutti i giorni.

«Ma cazzo! Che cazzo vuoi? Non guardare il mio ragazzo!» si lamentò Koko, cercando di braccare la visuale del suo fidanzato nudo con le sue sole braccia.

«In realtà stavi guardando il tuo culo esposto ma-».

«Esci!».
Koko si allungò e lanciò una saponetta contro Izana  - alla cieca. - Riuscì a colpirlo alla fronte e Inui scoppiò a ridere.

Izana fece un verso di sofferenza, per poi massaggiarsi la zona lesa. Storse il viso una smorfia e guardò imbronciato Hajime.

«Stronzo! Spero che ti si accorci il cazzo, Koko!».

«Non credo succederà, ma ok Izana.»

A quel punto Inui lo colpì con uno schiaffetto leggero, rimproverandolo.

«Izana, esci!» gli gridò, sporgendosi oltre la spalla di Koko.

Il suo amico sollevò le mani, in segno di resa. Poi fece dietrofront. Stava quasi per uscire quando si girò di nuovo e…

«Ah bel culo, Kokonoi!» strillò per poi allontanarsi con una risata degna di una volpe.

Le urla di Hajime si diffusero per tutto il corridoio.

«Stronzo!»

«Izana!»

🌫️

Quel pomeriggio si erano messi a giocare. Si rotolavano sul pavimento e si facevano il solletico a vicenda. Inui con le sue mani sottili e le guance purpuree, Koko con le maniche della camicia ripiegate sui gomiti e il sorriso sulle labbra.

Inui amava giocare così.
Gli piaceva passare il pomeriggio assieme al suo ragazzo, a farsi le coccole al pavimento, - sul tappeto indiano che aveva comperato al mercatino - a mangiare i muffin che lui aveva preparato con l'aiuto di Hajime. Anche se più che aiuto si era trattato soprattutto di baci qua e là, e mani nella farina per sporcargli il naso e le guance.

«Sei bellissimo» gli aveva detto, quando aveva messo il broncio per avergli rovesciato l'impasto.

Inui non aveva resistito. Lo aveva baciato e poi avevano fatto l'amore sul pavimento, ancora e ancora. Fino ad avere gli occhi stanchi e i muscoli doloranti, ma il sorriso sulle labbra.

Si erano messi a fare dei giochini sciocchi, incuranti, felici solo di stare insieme.

Inui aveva finito per osservare tutto il tempo il viso del suo fidanzato, sorridendo ogni volta che incontrava il suo sorriso. Gli aveva accarezzato le guance e si era messo a giocherellare con i suoi capelli argentati. A vederli con la luce del camino gli erano parsi spicchi di luna.

«Koko.»

«Dimmi tesoro.»

Inui il palmo posato sulla guancia lo osservò con interesse, le palpebre socchiuse e le labbra schiuse. Si mordicchiò il labbro prima di provare.

«Tu vuoi dei figli?».

Gli occhi chiari di lui lo inchiodarono al pavimento, poi si volse a guardare il soffitto, i suoi capelli creavano una cascata di neve, come un'aureola attorno alla sua testa.

«Non so, tu ne vuoi, Akane?».

Fu un secondo.
Koko si sollevò di botto mentre Inui iniziava a realizzare.

«No, tesoro scusami, volevo dire Inui… scusa ho sbagliato, scusami, davvero, scusami Inui…».

Inui gli si fece più vicino, lo sguardo sofferente aveva qualcosa negli occhi che lo fece tremare.

«Non fa niente.»

«Tesoro, davvero, mi dispiace così tanto…».

Gli si accostò, espirando piano. Gli strinse le braccia attorno al busto, e affondò il viso nella sua spalla. Un singhiozzo squarciò il silenzio.

«È tutto ok, Koko. Tutto ok.»

Inui ricambiò la stretta, lo coccolò e si disse che era davvero un errore e basta.

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