9 - Non ti chiedo scusa - 📓
(POV BLAKE)
21 novembre 1999
Il mio indice affonda sul pulsante del citofono, proprio come quella mattina di tanti anni fa.
Il nome dei Black è inciso sulla targhetta dorata. Nonostante siano in rovina continuano a tenerci. La porta si spalanca e Rachel appare, radiosa.
«Uccellino, che bello vederti, fai colazione con noi?»
La madre di Victor fa un passo indietro e io mi infilo dentro. Annuso l'aria, profuma di pasta frolla e cannella.
«Sono i nostri biscotti?» Mi guardo attorno cercando lui.
«Proprio loro.»
Mi volto verso di lei e sussurro: «È di sopra?»
Rachel annuisce, ma aggiunge: «Non vuole vederti.»
Butto indietro la testa, sospiro e stringo i pugni: «Che razza di imbecille!»
Salgo le scale di corsa, su fino in cima.
«Blake!»
Mi volto, davanti alla porta spalancata Rachel è una sagoma scura inondata dalla luce che si abbatte sulle sue spalle. «Non farlo arrabbiare.»
«No, stavolta lo ammazzo direttamente.» Cammino, supero la stanza matrimoniale, la porta del bagno e mi fermo giù in fondo. Il percorso è lo stesso che faccio per andare nella mia stanza, soltanto che è speculare.
«Apri.»
«Vattene.»
Abbasso la maniglia e la porta si apre. La chiave è stata bandita dalla sua porta diverso tempo fà e ringrazio la sua fuga da casa per questo. La sua stanza sarà identica alla mia nella forma, ma il contenuto è del tutto diverso. Ordine maniacale. Lenzuola tese quasi sul punto di strapparsi. Il suo letto pare uno di quelli dei negozi di mobili: impeccabile. Così perfetto da sembrare quasi inospitale. «Cosa ti ho detto?»
«Di andarmene. Però avresti dovuto dire: ciao Blake, come stai? È tanto che non ci vediamo, vieni a bere una tazza di tè, mia madre ha fatto i tuoi biscotti preferiti.»
«Vattene.»
L'imbecille mi da le spalle. Guarda fuori dalla finestra, come se ci fosse qualcosa di interessante in questa strada di merda.
«Girati.»
Niente.
«Non farmi incazzare, Vic.»
«Altrimenti mi stritoli le palle come hai fatto con quel coglione di Mike?»
«Sai che so essere più creativa di così!»
Sospira. «Mi hai fatto incazzare.»
«La gente si incazza di continuo, poi gli passa.» infilo le dita tra i capelli, li arrotolo intorno all'indice come fa mia madre quando mi sistema i bigodini in testa. «Non puoi avercela con me per sempre.»
«E chi lo dice?»
«Non siamo più amici, quindi?» Lo dico e una spina mi punge la gola, si incastra e non scende più. Resta lì, fissa.
«Non lo dovevi dire.»
«Io penso di sì.»
«Perché?»
Deglutisco. Quella sensazione dolorosa permane. «Perché sei bravo.» Respiro a fondo. «Qualcuno dovrebbe leggere quello che scrivi.»
Victor si volta. I suoi occhi chiarissimi risplendono di una luce tetra. Ha sul volto la stessa espressione di quando a sette anni mi ha raccontato dei suoi cavalli. Un nodo mi stritola il petto. L'ho deluso, come ha fatto suo padre.
«Tu leggi quello che scrivo.» Farfuglia.
«Io non sono nessuno!»
Scuote la testa, abbassa lo sguardo. «Ci credi davvero, Blake?» Si morde il labbro. «Alle cazzate che dici, ci credi davvero?»
«Dammi il tuo quaderno.»
«L'ho bruciato.»
«No, che non l'hai fatto.» Mi manca l'aria. «Non puoi essere tanto stupido.»
Attraverso la stanza, gli arrivo davanti. Sposto la sua sedia e lui sopra, le rotelle scivolano sul pavimento. Allarga le braccia e mi inchioda con lo sguardo. Apro il cassetto della scrivania con tanta violenza che mi resta in mano, lo appoggio sul letto prima che mi cada. Tutto il suo ordine si ribalta, i pennarelli rotolano giù dal letto, si fermano sulle frange del tappeto.
«Dov'è?»
«Nel camino?»
«Non ci credo.» Non voglio crederci. Infilo le mani tra le dispense di chimica. Non c'è poesia in quei numeri, nelle formule, in tutto quel mondo fatto di regole impossibili da ribaltare.
«Perché?» Ho il fiato corto. Le lacrime mi arrivano agli occhi così in fretta che non posso trattenerle. Un cerchio tremolante, blu notte, si stampa sul piumone azzurro. Un pugno parte e colpisce il letto. Il materasso ondeggia, lo fa anche il cassetto, i pennarelli al suo interno tremano contro il legno.
«Perché mi vuoi punire in questo modo?»
«Io voglio punire te?» Ride. «Quello che fanno le persone non riguarda te.»
Affondo i denti nel labbro. Stacco le mani dal tessuto imbottito e torno in piedi. Inclino la testa verso di lui, ma non riesco a guardarlo. «Questo sì, non fare finta che non sia vero.»
«Gira sempre tutto intorno a te.»
«Quanto sei stronzo.»
«Io, Blake? Io sono stronzo?» Si alza dalla sedia e quella finisce contro il muro bianco. Avanza, mi prende un polso e tira verso di sé. «Guardami.»
Alzo la testa, ma continuo a guardare giù.
«Io ti rispetto, Blake. Io non violo il tuo spazio. Io sto zitto quando mi dici di tacere.» Deglutisce. «Io non ti sputtano davanti all'intera scuola.»
«L'intera scuola?» Rido. Mi asciugo gli occhi con la mano libera e le lacrime mi bagnano il polso. «Eravamo una decina.»
«Lo sai come funziona.» Stringe le dita attorno al mio braccio.
«Cristo, Vic, non lo sa nessuno.» Alzo la testa e incrocio il suo sguardo. «E se anche lo sapessero? Che succederebbe?»
«Non voglio che mi vedano così.»
«Come?»
Ha gli occhi pieni di rabbia e i denti che affondano nelle labbra.
«Non vuoi che ti vedano debole?»
Il suo respiro è strano, sincopato. non capisco se stia per mettersi a piangere o se voglia farmi del male.
Lo faresti, Vic?
Respira con la bocca. «I tuoi cazzo di giochetti...» Deglutisce. «Devi smetterla Blake.»
Mando giù la saliva che ho in bocca e scuoto la testa. I capelli neri vanno da una parte e dall'altra, si incollano alle guance bagnate. Ho il sale sulla bocca. Un tremolio strano a fior di labbra.
«Fammi dono
dell'antologia dei tuoi giorni:
inutili singulti,
spasmi febbrili
di primavere
accolte dalle fiamme.»
Recito le sue parole, che ho assorbito così bene da ricordare a memoria, lui sgrana le palpebre, le iridi cerulee sembrano percorse da qualcosa. Un moto di sorpresa.Una strana e trattenuta meraviglia.
«Te la ricordi?» lo chiede come se fosse impossibile.
Faccio sì con la testa. «Eravamo nelle Cotswolds, seduti lungo il fiume te lo ricordi?»
«Il fiume Avon.» Gli esce di bocca un filo di voce.
«Volevi scrivere, ma non avevi niente con te.» Gli occhi mi finiscono in un punto della libreria, tra i testi di matematica e quelli di chimica. «Ti ho dato il mio kajal e hai scritto sulla mia pancia.»
E io non mi sono mai sentita così bella, mai così importante. Ricoperta da quelle parole valevo qualcosa.
Ero oro, brillavo.
«Quelle parole, Vic, sono la tua forza.»
Io non so per chi tu le abbia scritte, chi sia la persona che ispira i tuoi versi, ma vorrei che le tue parole fossero mie. Mie nel profondo. Perché quando tu scrivi, io mi sento viva.
«Quello che fai mi riguarda.» Perché mi hai mostrato un giardino, mi hai concesso di entrare e l'hai dato alle fiamme.
E adesso, io sto bruciando.
SPAZIO AUTRICE: Un altro tassello del rapporto tra Vic e Blake. Spero di essere riuscita a passarvi l'emotività della mia ragazza, perché ci tengo che non sembri una totale stronza, che dite, ci sono riuscita?
Cosa ne pensate della sua reazione alla confessione di Victor e del suo modo di tenerci così tanto, più di lui, a quello che è il suo talento?
Sarà amore?
A chi appartiene il cuore di Blake?
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