64 - Vendetta -
(POV Victor)
La campanella risuona metallica sulle pareti dei corridoi e si spegne nelle orecchie in un'eco fastidiosa. Tutti si muovono, chiacchiere e passi si intrecciano nel solito caos. Ma io non sento niente. Non vedo niente, se non Maggie Sullivan che cammina qualche metro davanti a me, con lo zaino che le dondola sulla schiena e i capelli raccolti in una coda alta.
Mi chiedo cosa abbia provato Jonas quella notte, quando ha guidato fino a casa sua per estirpare quel cancro di suo padre. Rabbia, forse. Fame di vendetta, sicuramente. Ma anche una calma surreale, quel senso di inevitabilità che rende ogni passo sicuro, giusto. Forse è proprio quello che provo io adesso.
Jonas porterà Blake a casa. Poi andranno in qualche garage in periferia, uno di quelli dove il suono delle chitarre distorte rimbomba contro le pareti scrostate, e Blake si proporrà a quel gruppo. E Jonas sarà lì, come sempre. Io no. Resto indietro, nell'ombra, ancora una volta.
Cammino dietro a Maggie, mantenendo la distanza, affinchè non mi noti.
Le strade si allargano intorno a noi, il caos del centro e tutti i suoi rumori familiari: i clacson, le voci, i passi frettolosi sui marciapiedi affollati. I taxi scorrono, e le luci delle vetrine brillano anche in pieno giorno, riflettendosi sulle pozzanghere.
Maggie non si ferma, procede spedita come se stesse seguendo una linea invisibile. Ogni tanto rallenta per controllare il telefono, i suoi passi diventano più lenti quando arriva davanti a un semaforo. Rallento anch'io, mi nascondo dietro un'edicola e fingo di controllare le riviste in vendita.
Scatta il verde, lei riparte, e io riprendo a seguirla. Mi mescolo tra i passanti. È incredibile quanto si possa essere invisibili in una città come questa, dove tutti hanno lo sguardo rivolto altrove. Anche la persona che sogni di sgozzare.
Il traffico si dirada e Maggie gira in una strada laterale. Qui i palazzi sono più vecchi, le facciate coperte di scritte e le finestre coperte da tende spesse. Mi tengo sempre a distanza. Lei si infila in un vicolo, e io la seguo a testa bassa.
Si ferma davanti a una casa. Un'abitazione modesta, con la porta blu sbiadita e un piccolo cortile delimitato da un cancello di ferro. Maggie temporeggia davanti alla porta, fruga nella borsa e tira fuori le chiavi.
Mi appoggio al muro dall'altra parte della strada, l'intonaco ruvido contro la mia giacca. Non mi muovo. Quasi non respiro.
Lei apre la porta, entra senza guardarsi intorno. Rimango fermo per qualche secondo, aspetto che il silenzio si stabilizzi, che il mondo torni a essere solo una sequenza di suoni ovattati e lontani.
Quindi vivi qui, adesso? Davanti a questa porta, percepisco qualcosa che non riesco a definire. Non è rabbia, non è vendetta. È necessità.
Non posso andarmene finché non avrò finito.
Il cancelletto cigola sotto la mia spinta. Faccio il giro della casa, mi tengo vicino al muro, le ombre degli alberi mi fanno sparire. Mi muovo piano, attento, con le mani che sfiorano l'intonaco rugoso e fanno staccare piccoli pezzi polverosi.
Mi allontano e sbircio dentro.
Attraverso una finestra la vedo, al piano rialzato. Maggie Sullivan. Sta lì, come se il mondo fuori non fosse pronto a divorarla. Non c'è nessun altro, almeno per quanto posso vedere. La casa è silenziosa, senza tracce di movimento.
Controllo bene e poi meglio. Minuti interminabili in cui non si manifesta nessuno. Una piccola tettoia di lamiera copre il locale caldaia, il metallo arrugginito e deformato dal tempo. Non è alto. Prendo un respiro profondo e mi appoggio al bordo, mi sollevo, e le mie scarpe toccano la superficie con un leggero scricchiolio. Rimango fermo per un momento, ascolto, non c'è niente a parte il rumore dell'acqua che scorre nei tubi.
C'è una finestra appena socchiusa sopra la mia testa. L'aria che esce è tiepida, profuma di sapone, con una nota dolce che sembra zucchero sciolto. Spingo con calma il vetro e mi infilo dentro. Il pavimento di legno cigola appena quando atterro.
L'appartamento è vecchio. Piccolo. Le pareti sono di un bianco sporco, ingiallite dal tempo. Il soggiorno è un caos: scarpe allineate vicino alla porta, una tazza di tè abbandonata sul tavolino, libri impilati male. Tutto parla di qualcuno che vive troppo di fretta, e non si prende il tempo di sistemare.
Mi sposto, passo in cucina. Minuscola, soffocante, i piatti ammassati nel lavandino e qualche pentola lasciata sul fornello. Maggie non è nemmeno qui.
Poi lo sento. L'acqua. Scorre col suo ritmo monotono e cade nella vasca. Mi giro verso il corridoio. Una porta chiusa. Lì.
I miei passi si fanno ancora più cauti, anche il pavimento sotto di me sembra trattenere il respiro. Appoggio la mano sulla maniglia, fredda al tatto, e la abbasso piano. La porta si apre con un lieve cigolio e il vapore caldo mi arriva addosso.
«Zia?» La voce di Maggie risuona nella minuscola stanza. Distratta, rilassata, ignara.
Chiudo la porta dietro di me e appoggio la schiena contro il legno laccato di bianco. È di spalle, la guardo, lei non si accorge subito della mia presenza.
«Sbagliato,» la mia voce è bassa, ferma. «Riprova.»
Si volta di scatto, l'acqua schizza fuori dalla vasca, le gocce si infrangono sul pavimento come piccole bombe. Mi guarda, il viso si irrigidisce, il panico si fa strada nei suoi occhi. Prova ad alzarsi, ma scivola, e finisce per ricadere con un tonfo goffo.
Rimango immobile, mentre smania per trovare un equilibrio che non trova. «Ti conviene rimanere calma.»
Metto una mano in tasca e tiro fuori il blister di pillole. Lo tengo tra le dita, lo osservo per un attimo, poi stacco una compressa. La porto alle labbra e la ingoio senza fretta.
Mi inginocchio accanto alla vasca, la mia mano affonda nell'acqua tiepida. Ne raccolgo un po' e me la porto alla bocca, lasciandola scivolare in gola, insieme al Viagra. «Un po' di sapone non può farmi male, no?» le rivolgo un mezzo sorriso.
Maggie mi guarda, gli occhi spalancati, il respiro che si spezza mentre prova a riacquistare la lucidità che continua a lasciarla. «Perché l'hai preso?» tenta di mascherare la paura.
Le sue parole mi strappano un sorriso. Hai capito benissimo perché l'ho fatto. Non rispondo. La mia mano si muove veloce, afferro i suoi capelli bagnati, e la spingo verso il basso. L'acqua esplode intorno a noi, schizzi che colpiscono le piastrelle e mi bagnano il polsino della maglia.
La stronza si dimena, i piedi scalciano e le mani cercano di afferrare qualcosa. Mi chino su di lei, mantenendo la presa salda, il rumore dei suoi movimenti si mescola con il gorgoglio dell'acqua.
La tiro su. Il suo corpo emerge di scatto, le gocce che schizzano ovunque. Tossisce forte, un suono che le raschia la gola e riempie l'aria.
«Le domande le faccio io.»
Cerca disperatamente di riprendersi. Mi guarda da sotto le ciglia bagnate, il viso rosso, i capelli appiccicati alla faccia.
«Blake mi ha detto tutto,» aggiungo. «Sai che significa?»
Maggie stringe i denti, il suo respiro si fa più regolare. Mi fissa con uno sguardo che vorrebbe essere duro, ma ha solo l'aspetto di un cane spaventato. «Che significa?» ringhia.
Mi sporgo verso di lei. «Che sei fottuta.»
Maggie si scuote, prova a sfuggire alla mia presa, ma non può, i suoi occhi cercano di leggere il mio volto. «Per quello ti sei preso il Viagra?» sputa fuori con un ghigno isterico. «Per fottermi?»
Sorrido, un sorriso lento, storto. «Diciamo che avrò bisogno di tutto l'aiuto possibile,» il mio respiro che si mescola al suo. «Perché dopo quello che hai fatto, Mag, non mi diventa più duro a guardarti.»
L'acqua immobile nella vasca riflette le ombre dei nostri volti.
I capelli bagnati le scivolano davanti al viso. Ha gli occhi sgranati, il respiro corto. È immobile, ma il suo corpo trema, un vibrare sottile che posso sentire anche senza toccarla.
«Ho due ore, Mag,» dico piano, la mia voce è calma e senza sentimenti. «Poi devo andare. Sai com'è, la vita chiama. Hai presente Cenerentola?»
Lei non risponde, non mi aspetto neanche che lo faccia. Continuo io. «Ti dico cosa faremo: adesso tu mi racconti una storia.» La guardo, lascio che le parole affondino.
Il suo sguardo si sposta appena, un movimento sottile che sembra cercare una via d'uscita.
«Ti conviene riempirla di dettagli, Maggie. E ti conviene che sia identica a quella che conosco già. Perché ogni volta che sbaglierai, ti farò fare un bel viaggetto sott'acqua.»
Mi alzo, il sorriso si allarga e il mio sguardo rimane fisso nel suo. «E ti conviene parlare tanto, perché tutto il tempo che non userai per parlare, io lo userò io per massacrarti.»
Le porto una mano al collo, le dita si stringono piano intorno alla sua gola. La sua pelle è calda sotto i polpastrelli, il suo cuore battere forte, è un tamburo impazzito.
Le mollo uno schiaffo. Secco, deciso. Il rumore riempie l'aria, rimbalza sulle pareti e mi resta dentro. Non ho mai picchiato una ragazza. Perché ci penso? La sua testa si gira di lato, i capelli le si incollano alla pelle..
Torna a guardarmi con occhi pieni di terrore. Non riesce a nasconderlo.
Inclino la testa, la mia presa resta ferma sul suo collo. «Che c'è, tremi?» la mia voce diventa quasi morbida, come se stessi parlando a un bambino. «Hai detto che ti abbiamo stuprata, no?»
Sbuffo. «Se è vero, non capisco il motivo di tanto stupore.»
Mi fissa, i suoi occhi si stringono in una linea di puro panico. «Mia zia tornerà a casa.»
Non riesco a trattenere una risata. È breve, priva di calore e risuona in un'eco sinistra. «Sarebbe un peccato se ti trovasse affogata nella vasca,» inclino appena la testa.
«Alza il culo, Mag, e fammi vedere la tua stanza. Ma non pensarci nemmeno per sogno a fregarmi, perché quanto è vero che la amo, io oggi ti sventro e ti do in pasto ai porci.»
Lei rimane immobile per un istante, l'acqua che le scivola giù dai capelli, le braccia strette attorno al petto come se potessero proteggerla da me. No, non possono. Nemmeno Dio ti può proteggere, razza di puttana. Poi si muove, il corpo rigido si solleva dalla vasca.
Le mani cercano l'accappatoio appeso accanto a lei, i passi incerti si muovono sul pavimento bagnato. Si copre in fretta, chiudendo il tessuto contro di sé.
Le metto una mano sulla schiena e la spingo verso la porta. Non lo faccio con forza, ma abbastanza perché perda l'equilibrio. I suoi piedi nudi scivolano sulle piastrelle, e per un attimo penso che cadrà del tutto. E infatti succede.
Maggie finisce a terra, di faccia, il colpo sordo riecheggia nella stanza. Non ha nemmeno il tempo di rialzarsi che la afferro per i capelli, tirandola su con uno strattone.
Urla. Un suono acuto, spezzato, che mi esplode in testa.
«Fai piano.»
Maggie si volta appena, i suoi occhi pieni di lacrime e di odio. Riesce a rialzarsi.
Per un istante ci guardiamo. Il suo respiro corto si mescola al mio, e il tempo sembra rallentare.
La colpisco di nuovo.
Un'esplosione secca riempie la stanza. La sua testa si gira di scatto, i capelli biondi si muovono nell'aria come fruste. L'acqua schizza ovunque, piccole gocce che inchiodano le nostre ombre sul pavimento.
Maggie barcolla, una mano si alza per toccarsi il viso. Ha il segno delle mie dita stampato su entrambe le guance.
«Cammina,» le ordino a voce bassa, ma lei rimane ferma per un istante di troppo. Poi, finalmente, la vedo muoversi.
Si infila in una stanza, i suoi passi incerti e veloci, come se volesse mettersi il più possibile lontana da me.
Quante volte abbiamo scopato io e te, Mag?
Ci ritroviamo in una piccola camera soffocante, con mobili vecchi e una finestra dalle tende pesanti che lascia entrare solo un filo di luce grigia. Un letto singolo, ricoperto da una coperta a fiori, è appoggiato contro il muro. C'è una scrivania accanto, sopra di essa un caos di quaderni, penne e una candela consumata fino alla base.
Chiudo la porta dietro di me. Faccio scattare la chiave e Maggie sobbalza. Mi volto verso di lei e tiro fuori la pistola. È un giocattolo, un ferro vecchio rimediato in fretta, ma lei non lo sa. Non ha modo di saperlo.
«Fai una cazzata e ti sparo,» parlo così piano da sembrare quasi rassicurante. Muovo la pistola, la punta si alza appena. «Tua zia si mette in mezzo? Sparo anche a lei.»
Maggie crolla. Il suo corpo si piega, i suoi occhi si riempiono di lacrime, e poi arriva il suono. Un singhiozzo. Rumoroso, disordinato, che le scuote il petto come una marea.
Faccio un passo verso di lei con la pistola ancora in mano. «Fai troppo rumore,» aggiungo, con voce più dura, «e ti sparo.»
Maggie alza gli occhi verso di me, il suo viso è un disastro di lacrime e terrore. «Non mi sparerai,» riesce a dire, ha la voce spezzata, ma c'è un filo di sfida che non si spegne.
Non posso trattenermi. Rido. Un suono freddo, vuoto, che mi lascia un sapore amaro in bocca. «Mag, ho ammazzato l'essere vivente a cui tenevo di più. Una creatura innocente e bellissima. Pensi che mi farei problemi con una stronza come te?»
La sua mascella si serra.
Faccio un altro passo, accorciando la distanza tra di noi. «Avanti, Mag, raccontami questa cazzo di storia. Inizia un po' da dove ti pare.»
Le sue labbra tremano, la sua voce esce in un sussurro quasi impercettibile. «Non volevo farlo... giuro. Mi sono sfuggite le cose di mano.»
Prima che possa dire altro, la spingo contro il muro. La mia mano si chiude intorno al suo collo un'altra volta, il suo respiro si inceppa sotto la pressione. I suoi occhi si spalancano, le mani si alzano per cercare di liberarsi dalla mia presa, senza riuscirci.
«Mag, non mi devi dire cazzate,» sibilo, il mio viso così vicino al suo che posso sentire l'odore del sapone sulla sua pelle. «Blake poteva morire.»
Maggie cerca di allentare la mia presa, le sue dita si avvolgono attorno al mio polso, ma non ha la forza per spostarlo. Il suono dei suoi rantoli riempie la stanza.
Avvicino la bocca al suo orecchio e sussurro. «Muovi quelle labbra, Mag. Altrimenti te le faccio usare per risolvere il problema nelle mie mutande.»
SPAZIO AUTRICE: Raga, questo capitolo non è stato facile da scrivere, nemmeno da rileggere a dirla tutta.
Credo che ormai tutta le merda possibile sia stata sdoganata e che il peggio di ognuno sia salito a galla.
Il significato di lieto fine è un concetto relativo, per quanto mi riguarda Burning è una tragedia e per quanto i cattivi possano essere puniti la tragedia si compie proprio nel momento in cui i buoni smettono di esistere.
Il confine labile tra giustizia e vendetta di sicuro è stato superato e di tutta la purezza iniziale non resta più nulla.
Vi aspetto negli ultimi aggiornamenti per tutte le valutazioni del caso, intanto ditemi qui le vostre opinioni sulla scelta di Vic.
Un bacio
Will
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top