56 - La stirpe del'avvoltoio -

Il cuore batte sordo nel petto, il modo in cui scandisce il tempo mi accompagna nella mia marcia verso la fine.

La fine e l'inizio.

Distruggere per costruire. Non ho più un padre. Quello stronzo è bruciato vivo.

L'odore di bruciato si attacca ai vestiti, si infila tra le fibre, nei capelli, in fondo ai polmoni. Nei pensieri. Forse è anche in circolo nel sangue.

Cammino verso casa di Victor. Continuo a fissarmi le mani, le guardo senza vederle davvero, sporche del passato che ho appena dato alle fiamme. Era giusto, la cosa migliore, eppure non riesco a sentirmi pulito.

Non avevo mai notato quanto le nostre case fossero distanti. In macchina non lo sono per niente, ma la macchina l'ho lasciata lì, nel giardino di casa.

Sarà bruciata? E il labirinto?

Il legno scuro della sua porta mi si para davanti, dopo un'infinità di passi. L'aria fredda della notte mi entra nei polmoni, ma non basta a spegnere l'incendio che ancora si agita dentro. A portarsi via la puzza di omicidio.

Il portone si apre prima ancora che possa bussare. Victor appare come appaiono i miraggi, in piedi, la mano appoggiata al telaio e gli occhi pieni di domande. Ci guardiamo per un istante, e tutto ciò che ho dentro, tutto ciò che mi ha consumato fino a ora, sembra collassare. Non c'è più niente che possa reggere. Senza dire una parola, mi butto contro di lui.

Affondo il viso nella sua spalla, il suo odore mi invade, fresco e familiare, mentre la mia pelle, che sa di fuoco, si scontra con la sua freddezza. Puzzo di fumo. Puzzo di ciò che ho fatto, di ciò che ho cancellato. Il respiro arranca.

Gideon non c'è più.

Victor resta immobile, forse neanche respira, è come se non sapesse cosa fare. Ma poi le sue braccia si chiudono attorno a me, lente, con una sorta di curiosa esitazione.

Respiro contro il suo collo, il suo profumo mi riporta alla realtà, lontano dall'odore acre di cenere e benzina. Le parole mi escono dalla bocca senza pensarci. Un fiume che rompe gli argini di notte.

«È morto.» sussurro. Le parole si sciolgono contro la sua pelle. «L'ho ammazzato.» Per te.

Victor si irrigidisce. Il suo corpo diventa una statua sotto le mie mani, ma non si allontana. Il suo respiro si fa più pesante.

Resto attaccato a lui, come se potesse assorbire lo schifo che mi porto dentro, come se potesse ripulirmi, trasformarsi in un fiume e scorrermi contro. I miei occhi si chiudono, mi permetto di non pensare. Non c'è più la casa che brucia, non ci sono più le fiamme che divampano. C'è solo lui, il suo corpo contro il mio, quella presenza che mi tiene insieme mentre tutto il resto si sgretola.

«L'hai fatto davvero?» La sua voce arriva da un'altra dimensione, ma so che non me lo sta davvero chiedendo. Lo sa.

Annuisco contro di lui, le mie mani si aggrappano alla sua maglia. Non riesco a parlare. Ho le sillabe incastrate nell'esofago.

Lui mi stringe più forte, e quel gesto, quel semplice gesto, mi ripaga di tutto.

Andrebbe bene anche se andassi in galera.

Il silenzio si allunga, ma non è un vuoto. C'è qualcosa di rassicurante dentro.

«Puzzi come una ciminiera.» sospira. «Ma almeno non hai più lo stesso odore di tuo padre.»

Svanito. Gideon è svanito. E per un attimo mi illudo che il suo sangue non sia più nel mio corpo. Svanito come neve sotto il sole di primavera. Il passato che ho portato addosso per così tanto tempo si dissolve, diventa cenere.

È morto. L'ho ammazzato per te.

I suoi occhi su di me, azzurri, ghiaccio caldo, si muovono rapidi sul mio viso, come se stessero cercando di trovare qualcosa, una falla, l'inganno, una traccia di bugia, di pentimento.

Ma non troverà niente. C'è solo la verità, nuda e cruda. Violenta. Definitiva. E so che lui la vede, la accetta, è felice.

«Devo aiutarti, Joh?» gli esce un filo di voce preoccupata.

«No.»

«Sei sicuro che non cercheranno te?»

«Sì.»

«Okay.» sospira. Rilascia un mare di ansia.

E poi, anziché allontanarsi, Victor si avvicina.

Il mio cuore salta un battito, e poi accelera. Si schianta come un'auto in corsa.

Sembra stordito, Vic. Poi qualcosa in lui scatta. Senza che io riesca a dire nulla, le sue mani mi afferrano ai lati del viso, si aggrappano a me come per restare in equilibrio.

E poi le sue labbra.

Non c'è nulla di dolce o innocente nel modo in cui mi bacia. C'è l'urgenza di scavalcare la voragine che ho appena aperto con la mia confessione. Il calore della sua bocca, il suo respiro frammentato che si mescola al mio, le sue dita che mi sfiorano le tempie.

Nulla di tenero. Non c'è delicatezza, non c'è dolcezza. Disperazione e sollievo. Le nostre bocche cercano di dire ciò che sfugge al linguaggio canonico.

Le sue mani si stringono dietro la mia schiena, mi tira più vicino, come se avesse bisogno di sentire che sono reale, che sono qui, che quello che ho detto è vero. Il mondo evapora attorno a noi.

La sua bocca sulla mia, un calore si propaga in tutto il mio corpo, qualcosa che non credevo avrei mai provato, qualcosa che mi riporta alla vita.

Non so se lui stia baciando me, o soltanto l'assassino del suo mostro. Il suo giustiziere personale.

Victor mi bacia per quello che ho fatto, perché ho ucciso per lui.

Mi bacia nonostante sia un assassino. Mi bacia perché sono un assassino.

Mi bacia e forse non lo farà una seconda volta. Perciò va bene. Mi va bene qualunque sia il motivo.

Mi perdo nel suo bacio, sono al mio posto, appartengo a qualcosa, a qualcuno.

A lui, quanto a Blake.

Ci stacchiamo, il mondo attorno a noi torna a esistere, ma non è più lo stesso. Io non sono più lo stesso. Da quanto non lo sono più?

Mi si appanna la vista.

«Che fai, piangi?»

Scuoto la testa, una lacrima cola sulla guancia, la asciugo con il palmo della mano.

I suoi occhi ancora incollati ai miei, anche lui è cambiato. Anche lui sa che niente sarà più come prima. Per quello che è successo a Blake, per Gideon... Per quello che ho fatto.

Tutto quello che ci è capitato ha fatto brandelli delle nostre vite. Dei ragazzini che eravamo solo qualche mese fa. Lui, lei e io, affacciati alla balaustra il giorno del suo compleanno, quell'immagine mi si stampa in testa per un momento troppo lungo. Pare un'altra era.

Nel suo sguardo c'è una strana indulgenza, come se tutta la rabbia che ha accumulato nei miei confronti, tutto il risentimento per Blake, fosse scomparso, dissolto in un istante, e io non riesco a capire come sia possibile. Non riesco a credere che sia reale.

Non dice nulla. Mi prende per mano, e mi guida. Di nuovo, mano nella mano. Movimenti sicuri, decisi, lo seguo senza fare resistenza, ma dentro di me infuria la tempesta.

Che stai facendo?

Saliamo le scale. Di sopra c'è la sua stanza. La mia mente è annebbiata, non riesco a pensare con chiarezza. Potrei crollare, o potrei esplodere. E io non so quale delle due cose preferirei.

La sua camera è avvolta in una luce soffusa, la porta si chiude dietro di noi con un click che mi rimbomba nelle orecchie, come se fosse il segnale di qualcosa. Victor si muove piano, quasi come se stesse eseguendo un rito. Chiude la porta a chiave, lo fa con una lentezza che mi mette i brividi, e in quel gesto c'è qualcosa di solenne. Non mi parla, ma lo sento lo stesso. Sento quello che non sta dicendo, eppure lo capisco.

«Che stai facendo?» Le parole mi escono prima che riesca a fermarle, e suonano strane. La mia voce è bassa, incerta, ho un tremito nel petto che non riesco a controllare. Alzo lo guardo, cerco di capire se è davvero quello che vuole. Non posso credere che lui voglia stare con me. Che lui mi voglia in quel modo. Dopo Blake. Dopo noi. Eppure eccoci qui, soli nella sua stanza, la sua rabbia svanita nel nulla.

Si ferma, mi fissa per un lungo istante, i suoi occhi scorrono sul mio viso. Non c'è più il disprezzo che aveva nei miei confronti. Lo vedo finalmente per quello che è: qualcuno che ho guardato per anni, e che non ho mai saputo capire. Qualcuno che ha sempre desiderato qualcosa da me, ma non ha mai avuto il coraggio di prenderla. Fino a ora.

«Lo faccio perché voglio farlo.»

Ogni parola che pronuncia mi punge lo stomaco.

«Ne sei sicuro?»

Victor si avvicina. Il suo respiro contro il mio, c'è qualcosa di feroce in lui, qualcosa che mi trascina. Le sue mani si poggiano sulle mie spalle, ferme, sicure, e io non posso fare altro che lasciarlo fare. Perché lo voglio anch'io. Lo voglio da sempre, anche se non ho mai creduto fosse possibile.

«Sì»

Mi bacia. Uno stupido tocco delle labbra che racchiude anni di cose non dette, di sentimenti nascosti, di desideri repressi.

Si avvicina al letto, esita accanto al comodino. Si siede, i suoi occhi sono un mare agitato. È come se mi stesse implorando di immergermi, di vedere oltre ciò che mostra in superficie. Al di là delle onde. Giù nell'abisso dove tutto è nero e fermo.

Lo seguo, mi siedo accanto a lui.

Le mie dita sfiorano appena la sua pelle. È come se sapessi che un solo tocco sbagliato potrebbe far crollare il nostro castello di carte.

Scivolo lungo il bordo della sua maglietta, il tessuto leggero lascia passare il suo calore. Non si ritrae, non si allontana, ma il suo corpo si irrigidisce. Eppure i suoi occhi mi stanno chiedendo di andare avanti, di non fermarmi.

«Posso?»

Victor annuisce. Un cenno appena percettibile.

Il suo permesso.

Anche a mio padre hai dato il permesso, Vic? Come sono andate le cose?

Inizio a sollevare la sua maglietta.

Il suo respiro si fa più pesante. Sto vedendo qualcosa di lui che non ha mai mostrato a nessuno. Non c'entra col sesso, forse neanche con l'amore.

I nostri corpi si avvicinano.

Quando la maglietta di Victor si solleva del tutto, il respiro mi si blocca in gola. Il tempo si inceppa. Non c'è più il rumore del mondo, non ci sono più i pensieri. Restano le cicatrici che si rivelano sul bianco dell'epidermide.

La luce fioca della stanza illumina la sua pelle pallida, e lì, davanti ai miei occhi, appare quello che già sapevo. I segni. Linee irregolari che attraversano il suo petto e la sua pancia, tracce di una mappa che conduce al nome di mio padre. Lividi che si stanno riassorbendo, chiazze giallastre e violacee. Bruciature che non sono ancora del tutto guarite.

Gideon.

C'è anche lui in questa stanza.

Li ho già visti questi segni, freschi, appena fatti, in quelle foto, nell'album che ho usato per ricattarlo e spingerlo ad ammazzarsi.

Vic è fermo, immobile, come se stesse trattenendo il respiro insieme a me. Non dice nulla. Le cicatrici parlano per lui. Mi guardano, mi accusano. Me, il mio sangue. I miei lineamenti simili ai suoi.

Mi chino su di lui.

Bacio quei segni, uno per uno.

I suoi lividi sussurrano. Mi dicono che ero troppo distratto per accorgermene, troppo cieco per vedere cosa stava succedendo sotto il mio naso. Li bacio come se potessi cancellarli, come se potessi fare in modo che non fossero mai esistiti.

Non posso riscrivere il passato.

Le mie labbra scivolano lungo il suo petto, lambiscono la pelle bruciata. Non posso fare a meno di chiedermi quanto dolore debba aver provato. Quanto deve aver sofferto.

Appoggio la fronte sul suo petto, e resto lì, in silenzio. Il suo cuore batte contro la mia pelle, e io rimpicciolisco. Lui è cambiato a causa di mio padre. Perché non sono stato capace di fermarlo.

«Non doveva succedere,» mormoro addosso a lui. Non so se sto parlando di Gideon, di noi, o di Blake. Forse di tutto.

Le sue mani che si appoggiano sulle mie spalle, piano, come se stesse cercando di dirmi che va tutto bene. Che lo sa. Che forse, in qualche modo, ha già perdonato tutto.

Ma io no.

Non posso perdonarmi.

«Joh.»

Alzo la testa.

«Tu stai bene?» Victor inclina la testa.

«Annuisco.»

Mi passa una mano tra i capelli. «A me non sembra.»

Mi allontano un po', i miei occhi scivolano sul suo addome, sulle ferite che stanno guarendo, ma che rimarranno lì, sempre. Le cicatrici si attenueranno, ma non spariranno mai del tutto. Anche tra di noi rimarranno dei segni invisibili che ci legheranno per sempre. L'uno all'altro. Eppure saranno una schisi. Il segno che separa l'organo.

Bacio l'angolo della sua bocca. «Hai ragione, sto una merda.»

«Temevo che mi avresti odiato.» le sue palpebre si chiudono.

Scuoto la testa. «Perchè?» che sta dicendo?

Lui si lascia cadere sul letto. «Per quello che vi ho fatto.»

«Per i soldi?» non me ne frega un cazzo dei soldi.

«Lascia stare...» si copre le palpebre con le mani.

«Dimmelo.» le parole escono e una strana ansia si fa largo dentro.

«Perché pensi che lavorassi per tuo padre, Joh?»

«Per imparare.»

«Per imparare a fotterlo.»

Mi sdraio accanto a lui senza emettere un suono.

Victor si volta nella mia direzione. «Ho vissuto gli ultimi anni soltanto per fargliela pagare.» mi osserva, come se non trovasse il coraggio di continuare, ma alla fine quel coraggio lo trova. «Per questo ho voluto frequentare la tua stessa scuola, per questo siamo diventati amici.» deglutisce. «Almeno all'inizio.» si passa una mano sulla fronte. «Blake ovviamente mi ha seguito e ha quasi rovinato tutto.»

Aggrotto le sopracciglia. «Perché?» cosa ti aveva fatto mio padre?

«La casa in cui vivi era casa mia» sospira. «Gideon ha truffato mio padre, lo ha dirottato verso investimenti sbagliati e quando si è trovato in difficoltà gli ha tolto tutto.» ride. «E non l'ha fatto solo con noi...»

«Che vuoi dire?»

«Che tutto quello che avete, viene da poveri stronzi come i Black.» prende fiato. «Le macchine che guidi, le vacanze all'estero, tutto quello che hai mangiato.» si volta, la sua bocca si storce. «Non che sia colpa tua, ma se nasci da un avvoltoio finisci per nutrirti di carcasse.»

«Per questo ti ha pagato?» mando giù la poca saliva che ho in bocca. «Lo stavi ricattando?»

Annuisce.

«Perchè gli hai permesso di ridurti così?»

Gli occhi di Victor sembrano un pozzo vuoto, profondissimo e io ci cado dentro.

«Avevo bisogno di entrare nel suo studio da solo e prendere le ultime cose che mi servivano.»

Mi rimetto a sedere nel letto, una morsa mi stringe le costole e mi rivolta lo stomaco. Le mie pupille vagano sul suo petto, scendono sul ventre, giù fino alla linea della cintura. Mi rannicchio, schiena contro la parete. Ogni parte del corpo inizia a tremare. I denti iniziano a battere, quel rumore di ossa impaurite riempie la stanza.

Una mano si posa sulla mia caviglia, la accarezza.

«Ti sei fatto scorticare vivo...» la gola smania alla ricerca d'aria.

«Lo farei di nuovo.»

SPAZIO AUTRICE: 

Quanto vale una vendetta?  

Quanto si può sacrificare di se stessi, per portare a termine il proprio piano folle?

Che ne pensate di quello che ha fatto Victor? (Qualcuna di voi aveva detto qualcosa in merito e non so se era esattamente questo che si era immaginata. Ciao Liza.)

Mi scuso tanto per il ritardo nella pubblicazione ma la mia famiglia ha rivendicato la mia presenza e tutta la revisione ha subito dei rallentamenti. 

In più sono un po' indecisa sulla riscrittura di un capitolo che riguarda Maggie. 

Ce la farò?

Mandatemi le vostre buone vibrazioni

Baci

Will


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