5 - Un fatto di motivazione - 🎭
(POV Blake)
16 novembre 1999
Stiamo tutti interpretando un ruolo. Stiamo tutti indossando una maschera e non ci serve salire sul palco per capirlo.
Più la maschera è brillante, più l'ombra che genera sul volto è assoluta. Siamo oscurità danzanti. Abbiamo divorato la notte e quella c'è rimasta dentro.
Il pulviscolo fluttua nel teatro. Acari che svolazzano e luccicano come microscopici diamanti. È qui che inizia la finzione, con l'allergene che si crede pietra preziosa. Le tende verdi e smorte si accasciano morbide sul vecchio pavimento di legno, le tiene ferme un cordino dorato.
Adoro la vecchia passamaneria. Mi ricoprirei di quegli inutili orpelli, ma ho scelto di essere onesta: io non mi agghindo come se fossi l'intera festa. Cristalli, paillettes e lustrini stonano sulle facce distrutte delle mie compagne di classe, quando le incrocio a piangere nei cessi. Il nero, invece, non illude nessuno e non stride mai. Evito che la gente si sbagli, che mi creda fatta di luce. I capelli, i vestiti, lo smalto, le mie cazzo di calze smagliate, sono di quell'unico non colore.
Perché mi avrebbero chiamata Blake, altrimenti?
Seduti sulle poltroncine di velluto aspettiamo che la Dunkan varchi il portone alle nostre spalle e che scenda la gradinata. Il nostro club di teatro è famoso in tutta la nazione e il merito non va alle doti attoriali dei miei compagni di scuola. La leggenda è lei, Rosalind Dunkan, attrice teatrale di talento, sì, ma soprattutto folle.
Il cigolio dei vecchi cardini mi riempie le orecchie, ci voltiamo tutti. Elizabeth sorride solo a vederla. Rosalind scende le scale nel suo cappotto patchwork, i capelli rossi e ricci in un disordine tale da sembrare costruito, gli occhiali a tenergli la frangia lontana dagli occhi dorati. Le dita coperte di anelli stringono un mucchio di fogli che continuano a sfuggirle minacciando di cadere a terra.
«La strega del Primrose.» Sghignazza una voce alla mie spalle. Mi volto e lo fulmino. Se ieri è stato attento sa che non deve provare a sfidarmi. Sorrido, l'espressione dello spilungone dietro di me scompare. La sua bocca diventa una linea retta.
«Anime belle, buongiorno.» Abbandona quel mucchio di carta sulla poltroncina in prima fila e sale sul palco. Dicono sia pazza, alcolizzata, posseduta dal demonio. A me sembra perfetta.
«Se siete qui deduco sia per la vostra smodata passione per il teatro...» Socchiude gli occhi e si guarda intorno: «Tranne nel caso di Trevor Bennet, lui è qui per i crediti extra e perché pensa di poter baciare una ragazza.»
Tutti ridono.
Suppongo si chiami Trevor quello che le ha dato della strega, perché ora la voce dietro di me farfuglia un «vaffanculo».
«Cerchiamo di capire quanti siamo, che dite?» La prof. sorride. «Poi tra un paio di mesi conteremo i superstiti.»
Ci punta il suo indice contro e comincia: «Uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette.» Il sette sono io e lei prende fiato. « Otto, e nove, dieci e mezzo con Trevor Bennet, vista l'altezza.»
Stringe gli occhi e cerca di mettere a fuoco. «Jonas White e Victor Black, qual buon vento vi porta?»
La mano di Elizabeth svetta in alto. «Li ho invitati io, Rosalind. Loro due e Blake Evans.» No, non è vero.
«Perfetto.»
La Dunkan fa scendere gli occhiali sul naso e una montagna di riccioli rossi si riversano sulla sua fronte. Legge qualcosa, china sul sedile della poltroncina e torna sù, il suo sorriso si espande, radioso come quello di Julia Roberts, ma con un velo di follia in più.
«Gli attori non se ne stanno in platea, gli attori stanno sul palco. Coraggio!» Muove le mani facendoci segno di alzare il culo dal velluto sbiadito. Lo facciamo. Victor sbuffa senza dare nell'occhio. Dissimula, ma gli si legge in faccia che preferirebbe mettersi un cappio al collo piuttosto che essere qui.
Tra due mesi conteremo i superstiti. Quanta gente abbandona questo corso?
In effetti lo scorso anno il club non è riuscito a mettere insieme lo spettacolo finale. È per questo che Elizabeth ci ha trascinati qui? In realtà lei l'ha detto soltanto a Jonas, noi siamo l'effetto collaterale della sua presenza su questo palco. Perché a me non l'ha detto? Mi volto verso di lei, gli sta incollata. Si dicono qualcosa all'orecchio ma non riesco a sentirli. Victor non parla, lo fanno i suoi occhi per lui. Jonas per un attimo guarda me, mi sorride e io ricambio.
Allison Cooper indietreggia come se avesse paura di essere troppo in vista. Se ne sta con le braccia incrociate sotto il seno e i capelli biondi che si aprono a tenda davanti alla faccia evidenziando il naso aquilino. Ci osserva tutti. Uno a uno.
La Dunkan si piazza al centro del cerchio che si è creato. «Visto che siamo qui, comincerei col parlare delle cose importanti. Basilari...» Ci rivolge un'occhiata, sgrana gli occhi. «Se io dico immedesimarsi, voi a cosa pensate?»
Elizabeth alza la mano. Rosalind scuote la testa. «Qualcuno che non sia Collins?»
Davanti alle nove bocche sigillate Rosalind si porta una mano alla testa e finge che le stia cadendo.
«Non vi permetterò di fare i vostri comodi come gli anni passati, mi dispiace, ma le cose qui devono cambiare.» Cammina tra di noi e si ferma davanti a Victor. Cazzo, la vedo malissimo. «Bene ora decidi, ci parli dell'immedesimazione, oppure i tuoi crediti extra puoi procurarteli iscrivendoti al club degli scacchi del professor Simpson.»
Simpson è famoso per la sua scarsa igiene personale, lo scarso senso dell'umorismo e la predilezione per le conversazioni a distanza ravvicinata.
«Non mi servono crediti extra.» Si ravviva i capelli. «Però, okay, ci sto...» I nostri sguardi si incrociano.
«Penso sia quando immaginiamo di essere qualcun altro, no?»
«Non proprio. Perché noi non immaginiamo semplicemente di essere qualcun altro, noi dobbiamo sentirci come quella persona, pensare come farebbe quella persona e provare le emozioni e i pensieri di quella persona.» Sorride. «Capisci cosa voglio dire?»
«Penso di sì.»
La Dunkan si allontana da lui. «L'immedesimazione non è "quando", l'immedesimazione è un processo che ha a che vedere con la capacità di uscire dal sè, è la rinuncia all'ego.» Si volta e incrocia gli occhi di Jonas, lui raddrizza le spalle.
«A cosa serve l'immedesimazione, Jonas?»
«A capire gli altri?»
«Credo che quella sia l'empatia.» Sorride di nuovo. «E l'empatia a noi serve, davvero. Capire gli altri ci permette di immedesimarci in loro e di diventare attori credibili. E sai perché»
«No.» Jonas inclina la testa.
«Perché altrimenti scimmiotteremo gesti che non avremo fatto nostri. Pensate a qualsiasi persona, al suo modo di parlare, alle sue scelte personali, se quelle scelte non riusciamo a comprenderle allora non le potremo interpretare in modo credibile.»
La Dunkan viene verso di me, si ferma a un passo dal mio corpo, la sua testa si sporge verso la mia e io vado indietro. La sua voce mi arriva addosso. Respiro il suo alito che sa di gomma da masticare alla fragola. «È tutto un fatto di motivazione. La ragazza che schiva il bacio della sua insegnante, lo fa perché è davanti a tutti? Perché è disgustata dalla differenza d'età? Oppure dal fatto che l'insegnante sia una donna come lei? È un fatto di apparenze? Le due si amano, ma vogliono nasconderlo?» Ride.
Fa un passo indietro. Le mie sopracciglia si aggrottano, avvampo. Guardo a terra. Le punte dei miei anfibi rivolte l'una verso l'altra.
«Dietro un singolo, stupido gesto c'è questo: un motivo. Se non trovate il motivo, allora non troverete il personaggio.»
SPAZIO AUTRICE: Eccoci qui con il nuovo capitolo! Vi piace il teatro? Avete mai provato a recitare? Io lo ADORO.
Abbiamo finalmente il POV di Blake, com'è stare nella sua testa?
In questo capitolo ho inserito qualche altro personaggio, spero non siano troppi e che stiate riuscendo a seguire, fatemi sapere se avete avuto difficoltà!
Baci
Will
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