43 - Finché non resta più niente -

(POV Victor)


Blake si muove veloce, troppo veloce, afferro il suo braccio prima che riesca a infilarsi nella fessura aperta nella recinzione. La stringo, il cuore mi finisce in gola.

«Ti vuoi fermare?» il suono della mia voce è più duro di quanto vorrei, ma non riesco a trattenermi. Lei si volta, il viso nell'ombra, gli occhi che brillano di una luce che ha poco a che vedere col riflesso giallo dei lampioni, che emanano tenui bagliori distanti.

È fuori di testa.

«Dobbiamo passare da qui e dobbiamo sbrigarci.»

No.

«Sbrigarci?» Mi scappa una risata, il freddo della notte mi accarezza la gola e riempie i polmoni. «Non capisci che se ci trovano qui siamo fottuti?»

La sua mano si libera dalla mia con un gesto secco, e prima che possa fermarla di nuovo, si infila lì dentro e sparisce dietro le siepi oltre la recinzione.

Il rumore del suo corpo che sguscia tra i rami e li flette. I giunchi frustano l'aria.

Io maledico il cielo.

Resto immobile e per un istante pure il respiro si blocca. Non dovremmo essere qui. Io non dovrei essere qui. L'apertura nella rete, il buco del bianconiglio, il mio istinto urla di andarmene, di lasciarla qui e tornare indietro. Perché non mi ascolta mai?

«Torna indietro, Blake!» La mia voce si perde nel vento, nessuna risposta. L'adrenalina mi colpisce in pieno petto, colpi forti come quelli di un defibrillatore.

La seguo. La seguo sempre. Mi piego e mi infilo nel buco, la rete si aggrappa al cappotto e lo graffia. Artigli gelati.

«Maledetto il giorno in cui ti ho incontrata.»

Ci muoviamo attraverso il giardino, i ramoscelli secchi sotto i nostri piedi si spezzano e un rumore sinistro si diffonde in tutto questo gelo. Blake è davanti a me, stringo i denti e la seguo, il vento mi spinge via, tutto mi spinge via, come a ricordarmi quanto stupida sia questa idea. Quanto idiota sia io. Se ci trovano qui, facciamo la fine del sorcio.

Non le importa, fa di testa sua. Fa come se non ce l'avesse una testa.

La villa degli White si erge davanti a noi, oscura e silenziosa, una balena nera arenata sulla spiaggia. Enorme. Questa bestia nera un tempo era casa. Percorriamo il muro di mattoni grigi. Lei si ferma davanti alla finestra di Jonas, le mani le tremano ferme sul davanzale di marmo. Non è freddo, è paura. Le sue dita afferrano il bordo della finestra e, con un movimento lento e cauto, la tirano in alto. Il rumore del legno che scivola sui suoi vecchi binari mi assorda, il mio cuore accelera. Entriamo, e l'oscurità ci inghiotte.

Blake si volta verso di me, è una sagoma nera nel nero. «Facile, no?» la voce un po' tesa, ma ferma. Non aspetta risposta, cammina spedita attraverso la stanza.

No, non è facile. Non è nemmeno intelligente.

E soprattutto, non è legale.

C'è l'odore di Jonas qui dentro. Quello dei suoi vestiti e quello dei suoi quadri.

La seguo in silenzio. Blake è pazza. Questo lo so, lo sapevo dall'inizio, ma adesso lo vedo con chiarezza. Ciò che stiamo per fare... è una follia.

Lo fa per me?

Lo avrebbe fatto per lui? Perché me lo chiedo?

La mia mente torna a ciò che è successo nella sua stanza, a come mi ha obbedito senza dire una parola, senza opporre resistenza. Come si è piegata, come ha ceduto. Cosa farebbe, se la prendessi qui, sul letto di Jonas? Mi fermerebbe?

Varca la soglia diretta in corridoio, Il profumo di legno antico misto a cera inonda l'aria, un odore che mi riporta indietro, alla casa che non ho più. Aveva proprio questo odore questo posto quando era mio.

Ogni passo sembra amplificarsi nell'altezza del soffitto, la luce dei lampioni filtra dalle vetrate, le ombre delle statue si allungano sui muri, spettrali, giudicanti. Mi fissano, come a ricordarmi che questo posto non mi appartiene più. Blake vuole restituirmi quello che è mio.

Io volevo che lei fosse mia.

Il suo respiro è affannato, quasi nervoso. Si passa le dita tra i capelli, ancora e ancora, un gesto automatico che tradisce la sua ansia. Trema eppure continua a muoversi. Io continuo a seguirla.

C'è una calma strana in questo posto, un contrasto che stride con la tensione che cresce dentro di me. Il mio cuore batte all'impazzata. Devo essere calmo. Devo avere tutto sotto controllo.

I vecchi ritratti nei quadri mi guardano, come se sapessero tutto. Chi ero e chi sono diventato.

Chi diventerò domani.

Lei si volta, morde il labbro, le sue spalle si sollevano e abbassano rapidamente. Sta cercando di nascondere la sua agitazione, ma non può sfuggire ai piccoli gesti che la tradiscono.

Attraversiamo la casa in silenzio. Il presentimento che ci sia qualcosa nascosta in ogni ombra non mi lascia stare.

Ho una tempesta tra le costole. «Prendiamo quell'uovo e ce ne andiamo da qui.» Lo dico come se fosse possibile. Prenderlo e andarcene. 

Blake si volta,  gli occhi spalancati, umidi. Annuisce. «Giuro, niente più cazzate.»

E qualcosa di me le crede. Qualcosa di me le crede sempre.

Il suo sguardo è vuoto, come se fosse rimasto solo il guscio di lei davanti a me. Deglutisco. Torno indietro di dieci, venti, trenta minuti. Un'ora fa, nella sua stanza. Che ho fatto?

L'ho ridotta io così? Le ho fatto male? Si è piegata senza dire una parola.

I suoi occhi lucidi puntati nei miei, lei che vaneggia davanti alla finestra della sua stanza. E poi lo dice: ruberò l'uovo.

Resto immobile, i miei occhi si aggrappano a lei come a una corda quando si cade nel vuoto. Ma quella corda stava cadendo ancor prima di me.

Dovrei chiederle scusa? Dirle che non volevo arrivare a tanto... Potrei allungare la mano e dirle che sì, la perdono. La perdono per tutto, ma adesso scappiamo. Torniamo indietro. Indietro nel tempo. Non posso. Non può. Serve un'attenta analisi matematica per capire cosa è rimasto di noi. Blake si sposta di lato, il suo respiro si spezza, non dice nulla. Non parla più. Non davvero. Dice delle cose, parole a caso. Cose senza importanza e piani senza consistenza.

Ecco la libreria. Le coste di pelle delle rilegature antiche emanano un lieve scintillio. Conosco la strada a memoria. Salgo alcuni gradini della scala a pioli e mi avvicino all'uovo Fabergé, le dita tremano appena sfioro la sua superficie. Ora che ce l'ho tra le mani ogni respiro diventa una lotta. Il silenzio nella stanza è rotto solo dal fruscio dei miei movimenti. Il mio cuore batte forte, troppo forte. Perché sta battendo così?

È come se mi trovassi al centro di un bosco, di notte e un branco di lupi ringhiasse tutto attorno.

E poi eccoli. I passi. Pesanti, lenti, quelli di qualcuno che cammina con calma, sapendo di avere tutto il tempo del mondo. Quello che io non ho. Quello che noi non abbiamo più. Gelo, il respiro che si ferma. Blake è immobile accanto a me, paralizzata dalla stessa paura.

Prima che possa fare, o dire, qualsiasi cosa, qualcuno appare nella penombra della stanza. Vorrei fosse Jonas. Lo vorrei con tutto il mio cuore. La sagoma indossa una vestaglia scura, ha il volto calmo, e quel sorriso, quel sorriso che si apre piano, è una lama che mi affonda nel corpo.

«Che ci fate qui?» una voce piena di disprezzo si infila nei miei timpani.

È come se ci avesse sempre saputo qui, come se stesse solo aspettando il momento giusto per sorprenderci. Perché lui, lui non è sorpreso.

È l'unico a non esserlo.

La serratura scatta con un suono secco, la porta si chiude alle nostre spalle come una trappola per topi. Gideon sorride, un ghigno che mi dà il voltastomaco. Si prende tutto il suo tempo, perché sa che non abbiamo via di fuga. Sa di averci in pugno.

Il mio cuore salta un battito, poi riprende a martellare nel petto, più forte di prima. Gideon si avvicina con la lentezza di un predatore che si gode la paura della sua preda prima ancora della sua carne.

Carne. Deglutisco e le sue parole mi risuonano dentro, viscide, urticanti. Il sudore mi scivola lungo la schiena, sul corpo teso, pronto a reagire, eppure spacciato. Blake indietreggia, il respiro affannato, ma non riesce a muoversi davvero. Non scappa e finché resta qui le cose andranno male, e poi peggio.

«Avete un bel coraggio a venire a rubare qui.» Le sue parole escono lente, calibrate, eppure intrise di veleno, i suoi occhi si spostano da me a lei, come se stesse pesando ogni nostra debolezza, ogni nostro errore. Legge il terrore nei miei occhi e lo vedo. Ne gode, lo lascia riposare sulla lingua e assapora ogni goccia.

Si ferma su Blake, la osserva come se fosse un insetto da schiacciare. Ecco la paura che cresce, e stringe attorno alla mia gola. Se non è me che vuole ferire? Vuole lei?

Vuole lei. No.

Il sudore mi si gela addosso.  Gideon accende la luce nella stanza, Blake si ritrova con gli occhi spalancati, le iridi azzurre si riempiono di panico, il corpo le trema. Lui le si avvicina sempre di più, calmo, sicuro. Sa che non possiamo fargli niente.

Potremmo ucciderlo. Ne saremo capaci? Come si toglie la vita a qualcuno, e che succede dopo? 

Non posso permettere che le faccia del male. A qualunque costo. 

«Spero che siate pronti a pagare le conseguenze,» la sua bocca curva in quel sorriso osceno. «Potrei chiamare la polizia, e voi due finireste la vostra notte in una cella... o magari ci passereste qualche anno.»

Quanto potrebbero darci per una cosa del genere? Io non voglio andarci in galera.

Blake fa un passo verso di me, il suo respiro si spezza, mi arriva il suo panico come se fosse il mio.

«Oppure,» continua, il suo tono che si ammorbidisce in un modo che mi dà la pelle d'oca, «C'è un altro modo in cui potresti risolvere questa situazione.»

Guarda me. Va bene se guarda me, l'importante è che non guardi lei.

Il Red Garden, le sue mani che mi sfiorano, il suo sussurro nel mio orecchio. Gideon che mi chiede un prezzo. 

Il prezzo per essere suo.

Quel pensiero mi trafigge. Mi trafigge ogni volta che mi tocca. Ogni volta che lui mi parla, da quel giorno. Cosa vuole? Stringo l'uovo tra le mani e capisco cosa rappresenta. Il prezzo più alto che qualcuno pagherebbe.

Più del valore della casa. Dei cavalli. Il mio valore.

Vale così tanto quello che vuole farmi?

Si siede su una poltrona al centro della stanza, il suo corpo rilassato diventa liquido e si espande sulla pelle rosso bordeaux. Noi, presi al laccio come animali braccati.

«Potresti restare qui,» il suo sguardo che non lascia spazio ai dubbi, «o potrebbe restare la tua amica.»

Spalanco le palpebre.

Il gelo nella sua voce è talmente affilato da insinuarsi sotto la pelle. Blake mi stringe il braccio, le sue dita che affondano nella mia carne. Quando mi è venuta vicino?

Cerca il mio sguardo, ma non riesco ad accontentarla. Non posso.

«Blake, vai a casa.» La mia voce è ferma, anche se il mondo crolla.

Lei scuote la testa, i suoi occhi nel panico si muovono ovunque come se cercassero qualcosa, le sue mani mi stringono ancora più forte. «No, non lo puoi fare,» la voce spezzata dal terrore che le sta salendo in gola.

Mi ci hai portato tu qui, ora mi ci devi lasciare.

Non c'è altra scelta. Non c'è mai stata. Io so cosa potrebbe fare. So cosa è capace di fare.

L'ho visto al Red Garden, nella gabbia.

«Vai a casa, Blake,» non voglio che resti qui. Non voglio che veda cosa accadrà. Non voglio che lui la tocchi, né che continui a guardarla.

Ha gli occhi pieni di lacrime, le spalle curve, come se stesse per crollare sotto il peso della paura. La sua impotenza è scritta nei gesti, nelle mani che si muovono nervose, incapaci di compiere un gesto concreto. Nei respiri affannati. Non sa cosa fare. Non sa come salvarmi.

Ma io so come salvare lei.

La villa stessa sembra stringersi attorno a noi, implodere nel suo silenzio.

«Che decisione difficile, Victor,» quel tono falso, quasi divertito. Gioca con la nostra paura, la manipola come fosse argilla, se la rigira tra le dita coperte di anelli. Aspetta che crolli. Gli piace. fa parte del gioco.

Ma forse non serve che aspetti. Forse sono già crollato.

Le mani di Blake si staccano dal mio braccio, ma è come se ogni fibra di lei stesse resistendo alla mia richiesta. Indietreggia, i suoi occhi ancora fissi su di me, pieni di lacrime in bilico.

Deve andarsene.

«Blake, vattene,» la mia voce diventa pura rassegnazione.

Lei resta ferma, indecisa, e poi fa qualcosa che non avrei mai immaginato. Si avvicina a Gideon, si aggrappa al suo braccio. Annega e si tiene all'onda. Che stupida. «Per favore,» sussurra, e la sua voce mi lacera.

Un sorriso storto dipinge un viso simile a quello di Jonas, eppure crudele. «Per favore?» scuote la testa. «Hai idea di cosa siete venuti a rubare, ragazzina?»

Blake non si arrende. Lei non si arrende mai. Non si arrenderebbe nemmeno da morta. «È stata colpa mia, pagherò io quello che c'è da pagare.» Le sue dita si stringono attorno al tessuto blu della vestaglia.

Perché stai cercando di salvarmi?

Gideon ride, un suono che mi fa venire i brividi. «Tu?» sbuffa. «E come vorresti pagare, tu?»

Il mio corpo si muove prima che la mente possa fermarlo. Le afferro il braccio, la tiro via da lui con uno strattone che le fa perdere l'equilibrio. Appoggio la mia fronte contro la sua, il nostro respiro si mescola, ce l'ho davanti, il terrore nei suoi occhi. Non posso permetterle di restare.

«Te ne devi andare subito, B.» Se Gideon la tocca... «Se ti succede qualcosa, io ti giuro che mi ammazzo. Hai capito quello che ho detto?»

Blake annuisce. Lacrime enormi le solcano le guance. Non riesce a fermarle, i suoi singhiozzi spezzano il silenzio. «Ma è colpa mia... non è giusto...» si sta spezzando. «Per favore, Vic...»

«Me la cavo, te lo giuro.» mastico una bugia e gliela sputo addosso.

Blake si avvicina alle mie labbra e le sfiora con le sue, e in quel bacio c'è tutta la vita che abbiamo condiviso. Noi due sul ponte di legno, noi sulla spiaggia a dieci anni. Lei che cade nella neve e la mia mano che la riporta su. La sua mano sotto la mia schiena mentre mi insegna a galleggiare nel lago. Noi due affacciati a due finestre identiche e opposte a salutarci ogni mattino per incontrarci un attimo dopo nel vialetto in giardino. I biscotti alla cannella la domenica mattina. Le ginocchia sbucciate e i cerotti sopra. Le urla e gli insulti. Il volerla, volerla tantissimo, volerla tanto da distruggermi, da distruggere tutto.

Le sue labbra mimano tutto ciò che non può dire. Un "ti amo" sussurrato, quasi trasparente, fragile come il vetro.

Le mie labbra rispondono un "lo so," senza pronunciarlo.

Sopra le nostre teste una piccola luce rossa, una per ogni angolo della stanza.

Ci avrebbero visti, anche senza nessuno in casa.

Questa storia poteva finire soltanto in un modo.

Ed è così che finisce. Con lei che esce dalla porta e io rimango.

Rimango, finché non rimane più niente.


SPAZIO AUTRICE: Comincio col dire che sono distrutta. Questo capitolo mi logora nel profondo e per quanto io abbia desiderato saltarlo, mi è toccato scriverlo.

Alcuni rapporti sono complicati e sono tossici, ti logorano dall'interno e creano meccanismi di interdipendenza quasi impossibili da risolvere. Blake e Vic sono così. La loro storia sarebbe potuta essere diversa, ma le scelte che hanno fatto li hanno portati a questo punto e adesso tornare a uno stato di normalità è alquanto difficile.


Vi aspettavate questa situazione?

Come pensate che si metteranno le cose in futuro?

Si risalirà?

Vi dico solo che prima dovremo scavare ancora.

E poi bruceremo nell'incendio finale. Ve l'avevo promesso, no?

Spero che non ci siano troppi errori, perdonatemi ma ho dormito 4 ore, alle 4 del mattino ho aperto gli occhi e non mi sono più riaddormentata, sono una specie di zombie, ma ci tenevo troppo a pubblicare anche oggi per riuscire a portarvi un finale in tempo.

In tempo per cosa? Ehm, ve lo spiegherò tra qualche giorno... 




Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top