38 - Mezza mela - 🍎
(POV Blake)
Mi entra negli occhi prima ancora che me ne renda conto. I suoi capelli biondi, quel modo di muoversi lento, calcolato, perfetto. Victor è lì, in cortile, accanto a lei. Maggie.
Resto ferma a qualche metro di distanza, le mani infilate nelle tasche de giubbotto nero. Il freddo mi graffia la pelle, ma non quanto la scena che ho davanti mi graffia le retine. Non posso muovermi. Il nodo che mi stringe la gola si fa sempre più stretto, una morsa che mi impedisce di respirare. Le dita di Maggie sfiorano la manica del cappotto di Victor, e per un attimo il mio sangue si ferma, congela. Resto in questa tetra meraviglia, bloccata dentro me stessa.
E poi lui la bacia.
Le labbra di Vicror si posano sulle labbra di Maggie e le parole di Jonas cominciano a risuonare come le campane della domenica.
Pensalo felice con un'altra. Felice tanto da non volerti più.
Strabuzzo gli occhi. Eccolo, il momento in cui succede. L'istante in cui la premonizione di Jonas si compie.
Se pensi di perderlo come stai?
Come se fossi morta, ma sono ancora viva.
Con una naturalezza che mi disarma, senza fretta e senza esitazione, le loro bocche continuano a cercarsi e si trovano ogni volta. Un gesto che ho visto fare mille volte a persone che non significano nulla per me, adesso mi paralizza. Il mio stomaco si contorce. Lo sto perdendo. Non posso avvicinarmi, non posso urlargli addosso. Posso solo fissare il punto in cui si sono toccati, il punto in cui quel bacio ha aperto una voragine tra di noi.
E di quel noi resto solo io.
Abbasso lo sguardo sui miei anfibi neri, le suole schiacciano la ghiaia bianca sotto di me. Nero su bianco. La mia vita è sempre stata così: tutto o niente. Eccolo, il niente, mi divora con la ferocia di un mostro fatto di denti.
Mi passa davanti un gruppetto di ragazzi, ridono, chiacchierano. Si piazzano tra di noi, coprono lo scempio.
È stata colpa mia? L'ho respinto. Gli ho dato quello schiaffo. Cosa dovevo fare? Non potevo lasciarglielo fare. E adesso?
Jonas. Ho la sua voce nella testa. Sei ancora innamorata di lui, Blake?
Ma che ne sa lui? Che ne sa di me, di quello che provo? Ho scelto lui, no? Sono rimasta. Ho reagito, lui invece no. Per questo ora lui mi odia. Per questo mi punisce sbattendomi in faccia la sua primavera del cazzo.
Victor e Maggie entrano insieme nella scuola, è tutto sbagliato, una merda.
Mi costringo a fare un passo. Poi un altro. Mi muovo verso l'ingresso dell'edificio scolastico, il peso di ogni centimetro che mi avvicina a lui mi arriva addosso. Una specie di calamita che amplifica il dolore nel momento i cui i due corpi accorciano la distanza che li separa. Lo spazio che ci divide è insopportabile, ma lo è di più respirare la loro stessa aria. Continuo a camminare, come un automa.
Le labbra di Victor nella bocca di Maggie, hanno lo stesso sapore dolce che avevano nella stanza di Jonas?
Attraverso il cortile per perdermi nei corridoi. Le risate dei ragazzi attorno a me arrivano ovattate, come se provenissero da un altro mondo, uno in cui non sono mai esistita. Sbatto contro qualcuno, ma non mi fermo nemmeno a scusarmi. In testa rimbomba di tutto. I muri della scuola sembrano stringersi attorno a me, piegarsi.
«Blake!»
Mi giro, Beth che si avvicina. Sorride. Beth sorride sempre. Mi squadra per qualche secondo, forse cerca di capire cosa non va, il punto in cui sono rotta.
«Domani verrai al corso di teatro?» la sua voce è leggera, dolce, eppure nelle orecchie serpeggia solo un fastidio strisciante. Teatro. La mia testa esplode solo a pensarci.
Io e Victor a fare finta di niente. Una merda totale.
La fisso senza parlare per un secondo di troppo. Teatro. Domani. Rispondi Blake. Non riesco a concentrarmi. Le parole mi sfuggono. «Non lo so. Non ne ho idea.» farfuglio.
Lei fa un piccolo cenno con la testa, come se avesse capito, ma no, che non ha capito. Nessuno capisce. Non capisco nemmeno io. Le passo accanto e taglio dritto. Non mi interessa quello che vuole, la sua voce svanisce alle mie spalle.
Entro in classe e tutto diventa irreale. Il rumore delle sedie, i passi, le voci. Ogni cosa si mescola e si confonde mentre mi siedo al mio banco. Tiro fuori un foglio a righe, lo poso davanti a me e resto a fissarlo. Le righe si piegano, come se il mondo oscillase.
Il terremoto.
Pensalo felice con un'altra. Felice tanto da non volerti più.
Intorno a me, tutti si sistemano, preparano gli appunti, parlano tra loro. La penna resta ferma nella mia mano, il foglio resta bianco.
Il professore entra, siede dietro la cattedra, parla, la sua voce è un sottofondo distorto. Le sue parole scorrono come acqua che si schianta contro una diga. Aspetto la goccia che faccia traboccare il mio vaso, che allarghi la crepa. Che renda inutile l'argine.
Parla di sofferenza. Amori impossibili. Continua a lanciare concetti come colpi di pistola. E ogni colpo si infila sotto la pelle. Corre fino al mio cuore. Cime tempestose. Anna Karenina. Il tormento. Il dolore che diventa carne e ossa. Ossa che si sbriciolano. Le mie.
C'è chi lo chiama ispirazione, chi lo trasforma in poesia, per me è disperazione.
Stringo la penna tra le dita, la plastica contro il palmo, lascia piccole zigrinature che cambiano colore sotto i miei occhi.
Vorrei spezzarla, spezzare qualcos'altro. La mia idiozia.
Victor è a pochi banchi di distanza, seduto accanto a Maggie, e il modo in cui le parla all'orecchio, il modo in cui si inclina verso di lei, mi fa venire il voltastomaco. Non dovrei nemmeno guardarli. Non dopo quello che è successo. Eppure...
Le mani di Maggie poggiate sul banco, come se fossero in attesa di qualcosa. Victor le parla, lei sorride.
«L'amore sofferto, tragico, è al centro di molte delle opere che abbiamo studiato finora» la voce del professore mi riporta alla realtà. «Pensiamo all'amore impossibile tra Heathcliff e Catherine in Cime tempestose. Il tormento di Anna Karenina, che distrugge tutto pur di vivere una passione autentica. O la passione autodistruttiva di Gatsby, che si consuma nell'attesa di un passato che non tornerà mai più.»
Una pausa. Ho gli occhi di Victor su di me, ma non mi volto a guardarlo. Non gli darò la soddisfazione di vedermi andare a pezzi.
«Cosa pensate dell'amore?» il professore si rivolge alla classe. Silenzio. Le dita battono contro la scrivania, una pressione costante nelle orecchie, un tamburellare che scandisce il tempo che scorre.
E poi, come se non ci fosse niente di meglio da dire, la voce di Trevor Bennet risuona dal fondo della stanza. «L'amore è quando una particolarmente carina incontra uno particolarmente ricco e decidono di scambiarsi i loro beni.»
Ride, la sua risata è una lama che taglia il silenzio. Alzo lo sguardo, Beth scuote la testa con una smorfia disgustata sul viso.
«Ah, quindi torniamo a Marx e al fatto che ogni relazione sia uno scambio economico?» le labbra tirate in un sorriso sarcastico.
Trevor scrolla le spalle, senza alcun imbarazzo per lo schifo che ha detto. «E non è così?»
Beth lo squadra come se stesse osservando una macchia di sporco su una parete bianca. «E poi ti chiedi perché nessuna te l'abbia ancora data.»
«Perché non ho abbastanza soldi» ride.
Ecco, un altro che non capisce un cazzo. Maggie si volta, sorride. «Magari è perché non hai abbastanza cervello.»
Il professore interrompe la loro conversazione patetica. «Il discorso che stavamo facendo era sulla sofferenza, o meglio, sull'utilità della sofferenza che deriva dall'amore nella letteratura.»
Utilità della sofferenza. Utilità. La parola mi rimbalza in testa come un'eco sgraziata. Cosa cazzo c'è di utile nel soffrire?
«La sofferenza ispira?» chiede il professore. La sua domanda si riversa nella stanza, in attesa.
Non posso trattenermi. Non più. Le parole escono come un riflesso. «Posso dire che fa solo schifo? Sì, penso che faccia solo schifo, ma io non scrivo libri, perciò quello che dico non conta niente.»
Victor si gira a guardarmi, di nuovo, e di nuovo io non ricambio. Non voglio vedere la sua espressione, non voglio sapere cosa sta pensando. Lui e Maggie sono una spina nel fianco che non posso estrarre.
E allora lo sfido. Le parole mi escono dalla bocca, fredde, pungenti. «Vuoi rispondere tu, Vic? Com'è scrivere quando hai il cuore a pezzi, ti senti più ispirato?»
Se non possiamo fare altro, allora odiamoci.
In qualche modo dovrai sentirmi.
Il suo sguardo mi trapassa, si trasforma in una fiamma che brucia.
È lui quello che scrive, no? È lui che si nasconde dietro le parole. Dietro quei fottuti versi che ha sempre negato di scrivere, ma che io ho letto, che io conosco. Li conosco a memoria. Ogni parola di quel quaderno dato alle fiamme.
È sempre stato così. Lui costruisce, io distruggo. La colpa è mia, anche quando sono le sue mani a buttare nel fuoco qualcosa.
Le mani sudano, il nodo in gola è tornato.
Jonas se ne sta qualche fila più indietro. So che osserva ogni cosa, che comprende più di quanto vorrei. Jonas capisce, Victor no. Eppure, non riesco a smettere di pensare a lui. Non riesco a smettere di pensare a quel bacio, a tutti i baci che ci siamo dati.
Victor non reagisce alle mie parole, si limita a smettere di guardarmi, come se avessi smesso di esistere.
La campanella suona il rumore dei banchi che stridono contro il pavimento invade lo spazio dell'aula. Lascio cadere lo sguardo sulla mia busta della merenda, ancora intatta. Una brioche che non ho toccato e che non toccherò. La prendo e la accartoccio senza pensarci, spingendola sul fondo della borsa. Non ho fame. Non ne avrò mai più.
Mi alzo e mi mescolo al flusso di studenti che escono dall'aula, cammino senza meta tra i corridoi. La gente chiacchiera, ride. Non importa quanto cammini, quanto cerchi di perdermi nella folla quello schifo mi si è incollato addosso, è diventato la mia ombra.
Spingo la porta del bagno, spero di trovare un po' di silenzio, ma le voci mi raggiungono prima che possa attraversare la soglia. Maggie sta parlando con un'altra ragazza, una bionda con i capelli raccolti in uno chignon disordinato, la cravatta bordeaux della divisa allentata e il colletto della camicia aperto. La gonna a pieghe arrotolata in vita per accorciarla e le scarpe nere con una fila di borchie sui lati.
Cosa stanno dicendo?
Rimango immobile, sull'uscio,la porta semiaperta, il corpo congelato a metà tra la fuga e il bisogno di ascoltare.
«Sì, ora sto a casa di Victor,» la voce risuona troppo alta.
Il mio cuore si ferma. Le sue parole sono una raffica di vento gelido che mi toglie il fiato. I miei polmoni cristallizzati nel torace. Victor. Maggie. Nella stessa casa. Perché?
Che l'abbia messa incinta? I miei occhi si spalancano e un velo umido li ricopre.
Qualcosa risuona nella mia testa. Irreversibile. Come il come in cui mi pare di piombare.
Sulla soglia, incapace di entrare o andarmene. Le voci delle ragazze continuano, ma io ho solo quella frase. Quella frase in tutto il corpo. Sto a casa di Victor.
Tutto torna a galla in un'ondata di ricordi confusi, che si liberano da un vecchio relitto per rivedere la luce. Victor e io, nella serra, le sue mani che tremavano mentre mi raccontava del cavallo. Di quello che aveva fatto per proteggerlo. Ero lì, pronta a consolarlo, pronta a dargli tutto. A dargli me stessa. Gli ho detto che non l'amavo più. Cosa cazzo ho fatto?
La mia pelle scotta. Sono stata io a spingerlo via. Ma ora, ora lo sto perdendo davvero. Del tutto. Maggie vive con lui. Maggie è nella sua casa.
Victor è casa mia. Victor è mio. La mia pelle, il mio cuore. Frasi d'amore scritte sulla pelle.
Siamo pezzi di un quadro che non si incastrano.
Stringo i pugni, le unghie affondano nei palmi. Devo andarmene, smettere di ascoltare a loop quella frase, ma non riesco a muovermi. Le voci nel bagno si abbassano. Maggie si volta, mi vede. I suoi occhi si posano su di me con una sorta di soddisfazione malcelata, come se sapesse esattamente cosa sta succedendo nella mia testa. Come se fossi nuda.
«Oh, ciao Blake,» non è sorpresa di vedermi. È... compiaciuta.
Il suo sguardo si fa più duro. «Immagino tu abbia saputo che io e Victor... beh, stiamo insieme adesso.» Le sue labbra si piegano in un sorriso sottile. La stronza vuole provocarmi. Vuole farmi male.
Ci riesce.
Il cuore batte così forte che penso di esplodere. Io che scoppio in un milione di piccoli pezzi e imbratto di rosso le piastrelle bianche di questo cesso.
«Ti dà fastidio?» inclina la testa. «Sai, forse se avessi evitato di scoparti il suo migliore amico...»
Ho voglia di urlare, di afferrarla, di dirle che non sa niente di Victor, di Jonas, che non può capire. Che lei non può capire Victor come lo capisco io. Ma resto lì, zitta, attonita, con il sangue che martella nelle vene e la consapevolezza che questa volta l'ho perso. L'ho perso davvero.
Il silenzio tra noi si allunga come un elastico, e alla fine si spezza, mi arriva in faccia. Mi volto, esco dal bagno.
Lei vive con lui. Lei sta con lui. Come cazzo è possibile?
Stringo i pugni, i passi rimbombano nei corridoi vuoti. Devo trovarlo. Devo parlargli. La rabbia mi spinge avanti,passo tra studenti, trattengo la foga che mi si è accumulata nel corpo, pronta a esplodere.
Esco in giardino. Non c'è altro che gelo.
Victor è seduto sotto una quercia, con la giacca sbottonata nonostante il vento, i capelli che gli cadono sugli occhi e una mela in mano. Morde la mela con una calma.
Fottiti. Fottiti, tu e il tuo distacco del cazzo. Tu e quello che mi hai fatto. Quello che continui a farmi.
Mi avvicino senza fare rumore, ma so che mi ha già visto. Solleva appena lo sguardo, senza smettere di mangiare. Sono abbastanza vicina da sentire il rumore del suo morso. «Vict?»
Non si muove. Continua a mangiare, la mascella che si muove lenta. Mi ignora?
«Che cazzo pensi di fare?» le parole mi escono troppo veloci per essere fermate. «Maggie? Sul serio? Tu con una come lei? Non c'entri niente con quella...»
Smette di masticare, si volta a guardarmi, lo sguardo indolente, annoiato. «E con chi dovrei stare, Blake? Su, dimmi.»
Scuote la testa, come se non volesse nemmeno sentire la risposta. Torna a mordere la mela. Lo odio così tanto che mi tremano le mani. Non capisco nemmeno perché sono così furiosa.
Alza lo sguardo ancora una volta, e quello che vedo nei suoi occhi non mi piace. Qualcosa che non ho mai visto prima. Rabbia. Sdegno. Delusione.
Mi guarda come si guarda un inganno. «Sai solo dirmi quello che non devo fare, Blake. Ma alla fine dei conti...» si ferma, il suo sguardo mi trapassa, il tono della voce si abbassa. «Non te ne frega un cazzo di me.»
Non si ferma, e posso vedere che qualcosa dentro di lui si è rotto, qualcosa che forse stava cercando di tenere insieme da troppo tempo. «Sai perché non ho mai voluto che qualcuno leggesse quello che scrivo?»
Scuoto la testa.
«Perché era una cosa tra me e te.» sorride e la bocca gli trema. «Ho sempre scritto per te e per nessun altra.» rigira la mela nella mano. La parte integra e rossa si alterna a quella morsa. «Mi sono sempre sentito un coglione Blake, sai perché?»
Ancora, scuoto la testa.
«Chi si ostina a scrivere poesie d'amore a una che dice di amare un altro?» alza le spalle. «Dovrei farle leggere ad altri quelle poesie?» una risata fa vibrare il suo petto. «Vuoi che mi renda così tanto ridicolo?» inclina la testa, «quanto devo umiliarmi ancora?»
Si alza, la mela ancora in mano, il freddo sferza il suo viso pallido e agita le ciocche dorate dei suoi capelli. Si avvicina, calmo, come chi ha deciso che non ha più niente da perdere. «Magari è proprio di una come lei che ho bisogno,» socchiude gli occhi. «E non di una stronza che vuole usarmi come un vibratore.»
Le lacrime mi riempiono gli occhi.
Victor mi fissa, mi passa la metà della mela che gli è rimasta in mano. «Tanto non ho più fame. Mi hai tolto anche quella.»
Rivoli caldi attraversano il mio viso gelato. Lui si allontana senza voltarsi, mi lascia lì, con la mela tra le mani e un vuoto che si allarga come olio sul pelo dell'acqua.
L'ho perso.
SPAZIO AUTRICE: Spoiler: questa autrice sta piangendo come una fontana. E voi come state?
Blake avrà finalmente compreso la natura dei suoi sentimenti per Victor? Che ne sarà di loro?
Vi siete fatti un'idea di come potrebbero andare le cose?
Un abbraccio
Will
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