Burned- pt.3
-Nami~Swaan! Robin~chwaan! Carrot~chwaan! Tempo di snack- esclamò il cuoco, scivolando fuori dalla cucina sorreggendo le coppette ripiene di Tiramisù, fatte appositamente da lui per occupare la sua mente.
Cucinare era l'unica cosa che lo liberava dai brutti pensieri... E se poteva farlo ed in contemporanea rendere felici le sue dee, Sanji lo avrebbe fatto senza indugiarvi.
Certo, poi quando finiva di preparare le pietanze su cui aveva gettato la sua attenzione, la sua mente tornava subito a farsi intrappolare dalla tela sgradevole da cui proprio non riusciva a disincastrarsi... Ma finché continuava ad esserci quel periodo di pace ai fornelli, almeno, non avrebbe rischiato la pazzia.
-Oh, grazie mille, Sanji~kun!- fu la rapida risposta della navigatrice, la quale afferrò istantaneamente la propria coppetta, sorridendo, venendo seguita nel gesto dall'archeologa con il suo guardarlo pensierosa ed il -Snack?... Sanji~san, Garchu!- della ragazza coniglio che gli sbatté letteralmente la guancia contro alla sua... Non che lui fosse contrario, anzi, peró... Vi era sempre il dilemma dell'essere toccato che saliva a galla e che, nonostante non volesse, lo fece congelare per un piccolo, piccolissimo istante sul posto, riscuotendosi in fretta.
Sperò con tutto sé stesso che lo sguardo o l'aspetto del suo corpo stesso non lo avesse tradito, soprattutto così vicino a Robin.
La ragazza era straordinariamente intuitiva ed intelligente, le sue occhiate sapevano di detto e non detto fin dal primo giorno in cui lei era salita sulla Going Merry, diventando parte della ciurma.
Si costrinse a sorridere, facendo un piccolo inchino, così da non preoccuparla, da non preoccupare nessuno, proprio come lui voleva, per poi aspettare brevemente che le tre ragazze dessero il loro parere, ringraziando subito dopo e dileguandosi con il solito falso sorridere sulle labbra, raggiungendo la cucina.
Appena entrò, non poté fare a meno di paralizzarsi sul posto alla visuale dello spadaccino, seduto a tavola, con l'espressione di chi aveva aspettato per una buona mezz'ora, ma che era pronto ad aspettare ancora pur di raggiungere il proprio obiettivo, qualunque esso fosse.
Determinazione e pazienza lampeggiavano nel suo sguardo tagliente, il quale si posò su di lui e parve non volersi staccare più dalla sua figura.
Il respiro di Sanji gli si bloccò in gola, lasciandolo lì, immobile, non riuscendo a capire minimamente... Bhe...
Non riuscendo a capire minimamente il motivo per cui la testa d'alga fosse lì.
Avrebbe potuto prendere il suo stramaledetto sake e sparire se quello era il suo obiettivo, a testimone di ciò vi erano tutte le volte in cui aveva rubato alcool senza dirgli niente, facendolo poi incazzare e portandolo subito a calciarlo appena raggiungeva il ponte, svegliandolo dalle sue dormite pomeridiane.
Decise di ignorarlo, di lasciar perdere lui ed il suo atteggiarsi in maniera straordinariamente strana.
Anche durante il pranzo era sembrato molto... Diverso... Quasi non lui, tanto che invece di cercare di attivare la solita possibile caciara, semplicemente, nel momento in cui gli aveva allungato il piatto, proprio come la sera prima, l'uomo gli aveva afferrato il polso e lo aveva stretto, facendolo sussultare ancora e ad insultarlo, ma non ricevendo risposta.
Era un bel problema.
Proprio un bel problema.
Zoro non si stava atteggiando come avrebbe dovuto.
Zoro cercava il suo sguardo e in generale, se ne rendeva conto solo in quel momento, seppur non a vicinanze troppo ravvicinate, sembrava stargli sempre e comunque col fiato sul collo.
Era esasperante, cazzo... Lo era soprattutto perché in Sanji aumentava il sospetto che sapesse, per quanto lo spadaccino potesse essere stupido.
Se cercava contatti, se lo osservava così, di certo doveva esserci un motivo.
Per un attimo provò ad ipotizzare che avesse battuto la testa e che quindi magari faceva così perché mentalmente era diventato anche più ritardato, ma... No, forse non era per colpa di questo... E ciò lo spaventava da morire.
Non voleva scoprisse nulla. Non doveva scoprire nulla. Non avrebbe dovuto avere nemmeno il più piccolo dei sospetti.
Zoro non poteva sapere quanto vergognoso e fallimentare era colui che avrebbe dovuto essere il suo rivale: non voleva che se ne rendesse conto.
La sua pietà era l'unica cosa che non voleva e non avrebbe mai voluto, come non avrebbe mai cercato quella di nessuno.
Lo feriva, invece di aiutarlo, lo feriva come non mai, perfino più del trattamento ricevuto dai fratelli in sé.
Per questo avrebbe fatto di tutto per diminuire la probabilità che ne fosse a conoscenza: si sarebbe allontanato da lui più che poteva, lo avrebbe lasciato perdere, avrebbe iniziato ad impiegare il suo tempo in tutti i modi possibili pur di non rimanere solo con lui, finendo col sentire l'altro che ammetteva di conoscere la verità.
"Merda. Dovrei concentrarmi sul menù per la cena" si disse tra sé e sé, sentendo poi la voce del capitano che urlava per avere del cibo, seppur fossero a malapena le cinque del pomeriggio, cosa per cui venne anche rimproverato dalla voce squillante di Nami.
Pensato ciò, sbirciò rapidamente tra le provviste e si portò una sigaretta alle labbra, accendendola, richiedendo una nuova dose di nicotina per alleviare ancora una volta il peso che la sua testa sembrava contenere, scegliendo così di buttarsi più tardi su un menù non troppo ricercato, ma con la buona dose di nutritivi di cui la ciurma aveva bisogno.
Con i pensieri improvvisamente gettati sul futuro da-farsi, riuscí finalmente a lasciar perdere gli sguardi insistenti e decisamente non nascosti dell'uomo ancora seduto a tavola, ben attento a lui.
Ci fu uno strano lampeggiare nei suoi occhi, solo per un attimo.
Non notò neppure il suo alzarsi ed avvicinarsi, letteralmente scavalcando il ripiano su cui il cuoco appoggiava in generale i piatti quando questi erano pronti.
Di certo, però, si rese conto del fatto che lo spadaccino gli afferrò entrambi i polsi e lo sbatté con ben poca delicatezza contro il pilastro al centro di esso.
Nell'attimo in cui fu placcato contro il muro e costretto a ritrovarsi a distanza minima da ogni singola parte del corpo dell'altro, non poté più fare a meno di fissarlo, l'unico occhio azzurro che si incentrava in quello grigio del rivale.
Sembrava quasi... Arrabbiato... Zoro.
O forse, la parola che meglio definiva la sua espressione era furioso.
Il biondo tremò, sentendo alla perfezione ogni singolo cenno di pelle dell'altro che premeva contro la propria di peso, tanto che oltre ad un sussulto strozzato per lo sbattere della sua schiena, le sue guance si tinsero di rosso per la frustrazione.
Avrebbe voluto potersi liberare, mollando magari un calcio al Marimo laddove non batteva il sole, ma era così placcato, così impossibilitato a fare movimenti che si sentiva totalmente in trappola, come un uccellino racchiuso in una gabbia troppo stretta per lui.
In trappola proprio come nelle mura di quella sorta di gabbia dorata che era il castello Vinsmoke.
In trappola proprio come quando gli avevano detto che avevano Zeff come ostaggio e gli avevano messo i braccialetti esplosivi - che poi esplosivi non erano stati, ma chi se lo sarebbe mai immaginato?- attorno ai polsi.
In trappola proprio come era stato su quello stupido letto freddo, assaltato dai fratelli come una pietanza... Ed usato come un giocattolo, una piccola bambola da sfruttare a piacimento fino a che non fosse stata rotta abbastanza da risultare inutilizzabile.
Non riuscì a dire nulla, a fare nulla: era così paralizzato lì dov'era, con il cervello che andava ad intermittenza, neanche fosse stata una batteria scarica, che parte di sé avrebbe voluto soltanto morire, sapendo che l'altra era già morta.
-Cuoco- la voce dello spadaccino giunse come lontana alle sue orecchie, quasi un eco, cancellata dal caos in fiamme che si mangiava la sua mente pezzo dopo pezzo, come un cannibale, ben pronta a staccarne un altro, permettendo al deterioramento di raggiungere livelli estremi.
Quando il ragazzo si guardava davanti, in quel momento, non vedeva più Zoro: la sua faccia era come stata sostituita, ritagliata e quella del maggiore dei gemelli copia-incollata al suo posto.
Era assurdo.
Avrebbe voluto urlare, adesso.
Avrebbe voluto pregare che quella faccia sparisse per non riapparire più.
Avrebbe voluto scomparire, seppellendosi vivo, non provare più quel tormento.
Ma tutto quello che voleva sembrava non essergli dato mai.
Il suo ghigno crudele, simile a quello di una bestia a caccia.
Il suo sguardo che sembrava prenderlo in giro.
La sua risata che lo disprezzava e che usciva fragorosa con lo solo scopo di farlo sentire inferiore.
La sua voce che gli sputava a dietro insulti senza tregua.
Il suo tocco rivoltante, accompagnato dalle unghie che lo graffiavano.
Erano tutti lì; incisi nella sua mente come tramite ferro e fiamme.
Tutto l'insieme era aggrappato ad essa come se avesse gli artigli che affondavano in ogni sua più piccola parte, squarciando tutto quello che questi trovavano fino a renderne una poltiglia indefinita.
Per certi versi, insieme agli altri due fratelli e a colui che si rifiutava di definire come padre, erano l'unica cosa di cui, per certi versi, era sicuro di non riuscire a dimenticare... E forse per questo la bolla eruppe nella sua testa con la convinzione che no.
Non sarebbe mai, mai e poi mai riuscito a tornare il Sanji che era stato prima.
E tutto, semplicemente, si fece nero, mentre, sempre più in lontananza, sempre più in un lato della sua mente, una voce lo richiamava con un borbottio confuso ed incomprensibile.
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