Burned- pt. 1
Copertina di Itz_Ray_
Sanji lo sentiva.
Lo percepiva in ogni singola particella del suo essere, in ogni stramaledetto respiro che prendeva e gettava fuori, mentre le sue mani cercavano disperatamente di raggiungere la tasca dei pantaloni per afferrare il pacchetto di sigarette.
Sì.
Sanji lo sentiva proprio, perfino nel suo stesso sangue, il quale procedeva nel suo corso nel solito ritmo.
Lo sentiva perché era impossibile ignorarlo.
A tratti risultava così palese che un lato del suo cervello gli domandava ripetutamente se gli altri lo avessero già notato.
"No" si era detto, riuscendo finalmente a cacciare fuori quella piccola droga cancerogena che subito finiva tra le sue labbra come il cibo più buono di tutti, seguendo il gesto secco con la rapida ricerca dell'accendino, la cui fiamma venne presto in aiuto, seppur sballottata un po' dall'aria di mare che scompigliava perfino la bandiera della bellissima e tanto amata Thousand Sunny.
"Non credo" continuò il biondo nel suo monologo interiore, prendendo l'anidride carbonica e lasciando che questa gli inondasse i sensi dal primo all'ultimo, per certi versi portandogli sollievo, per altri versi no.
In generale avrebbe dovuto, in generale fumare gli strappava via dalle carni quel nervosismo, quella fame, quella lotta interiore che lo schiacciava dall'interno, pesando all'altezza del suo petto più di un qualsiasi tremendo masso.
"Forse sembra palese solo a me" concluse, socchiudendo gli occhi e riscuotendosi rapidamente, per poi portare lo sguardo all'orizzonte.
Il cielo era privo di nuvole ed era dipinto di varie sfumature di arancione che sprofondavano in un lieve rosso laddove vi sorgeva il sole, tanto bello da apparire come composto da vero e proprio colore schizzato su una tela infinita, accompagnato poi dalle tonalità azzurre del mare, le cui onde andavano a sfracellarsi contro le pareti della nave, ritornando dalle altre solo in seguito all'essersi autodistrutte.
Un verso di disappunto gli sfuggí, mentre si spingeva maggiormente contro la superficie legnosa, già in generale a stretto contatto con la sua pelle, o più che altro, con i suoi vestiti.
Aveva bisogno di calmarsi, proprio perché sapeva ... Per quanto difficile fosse, un modo doveva trovarlo.
Non si sarebbe più permesso di preoccupare qualcuno nella ciurma, no.
Dopo la situazione con Big Mom, dopo tutto quello che il capitano e gli altri avevano fatto per salvarlo, no, decisamente non si sarebbe più permesso di essere fonte di cattivo umore per qualcuno.
Eppure era proprio per quello che era successo col suo essere stato con i Vinsmoke che provocava la sua condizione.
Non poteva ignorarla, né scacciarla, tantomeno diminuirla in qualche modo.
Troppo facile sarebbe stato prendere una nuova pagina bianca, strappando gli eventi che avevano piegato la sua vita in quei giorni bui.
Troppo facile sarebbe stato tornare quello che, in quei tredici anni di libertà, era stato il Sanji nuovo, il Sanji che si era leccato le ferite una ad una per cicatrizzarle dopo aver fatto morire il cosiddetto fallimento in mare, nel momento stesso in cui era salito su quella barca indicatagli da sua sorella Reiju.
Troppo. Facile.
Se c'era qualcosa che aveva imparato nei suoi ventuno anni di età, era che nulla era mai facile, non per lui almeno, quindi perché avrebbe dovuto anche solo illudersi che questa volta bastassero dieci, quindici giorni per eliminare il tutto e per non essere quello che dunque ora stava tornando a diventare?
No, come al solito, avrebbe finito soltanto con il cercare una via d'uscita a modo suo, sarebbe tornato a cercare di curarsi da solo, falsificando sorrisi, fingendo di essere ancora tutto intatto.
Fingendo che quelle voci, quelle parole, quei tocchi, quelle dita, quelle catene, quel dolore, quel sangue, quel rimorso, quell'odio, quei morsi, quel muoversi così distruttivo, quella vergogna non ci fossero mai, che non lo accompagnassero neppure per un secondo e che non lo esiliassero dal resto del gruppo quando tutti sorridevano e scherzavano animatamente tra di loro.
Fingendo che quella maschera non fosse di nuovo lì, mentre la consapevolezza di essere bruciato infiammava la sua mente perfino più della sigaretta che dimorava nella sua bocca, sigaretta di cui ormai non vi era altro che un rimasuglio inutile, pronto ad essere gettato via, proprio come lui.
Si spostò dal fianco della nave, raggiungendo poi a passo lento la cucina e premendo con lieve stizza il pezzo rimasto contro il posacenere, guardando i piatti tutti puliti, schierati dentro al mobile, osservando il tavolo vuoto, scrutando la postazione di lavoro e lasciandosi cadere su una sedia, la testa gettata all'indietro, l'azzurro celeste buttato sul soffitto, questo prima che sentisse dei passi in direzione della porta, cosa che lo riportò in piedi in una questione di tre secondi scarsi.
E proprio poco dopo, infatti, nel suo campo visivo si fece strada la zazzera bizzarra quanto disordinata del Marimo, il quale stava venendo verso di lui con un alquanto ovvia richiesta.
Sake. Alcool di ogni genere. Qualsiasi cosa che potesse bere ad un simile orario quella testa d'alga, in poche parole.
E per sembrare normale, Sanji avrebbe dovuto tirare su il loro solito teatrino; la solita serie di discussioni che finivano sempre con insulti e combattimenti mai del tutto seri che in precedenza erano sempre stati la loro Route quotidiana.
Ma il cuoco non ne aveva voglia, non oggi ... In realtà da più tempo che solo da oggi ... E sarebbe potuto cadere il cielo per questo, probabilmente, perché il Sanji dei tredici anni di libertà non avrebbe mai pensato anche solo di evitare uno dei soliti litigi con lo spadaccino, il suo rivale, il suo compagno d'armi, anzi, lo avrebbe cercato a tutti i costi.
Lo avrebbe cercato, siccome era l'unico modo in cui lui si sentiva capace di attirare l'attenzione dell'altro.
Lo avrebbe cercato, poiché dopotutto si divertivano ad insultarsi a vicenda, a sfidarsi, a spingere l'altro a dare il massimo: era il loro modo di relazionarsi.
Ma questo non era il Sanji dei tredici anni di libertà.
Questo era un lui che era perfino diverso dal fallimento.
Era ... Un lui che non avrebbe mai voluto sentire, perché da bruciato qual'era, il cambiamento sembrava essere inciso radicalmente su ogni pendio della sua mente e della sua pelle, non più imperfetta solo per ferite da lotta, ma lurida per la sporcizia datagli da un diverso tipo di guerra, una guerra che aveva perso in partenza nel momento in cui era stato legato a quello stramaledetto letto e penetrato ripetutamente con violenza animale da quelli che avrebbero dovuto essere la sua famiglia biologica, ma che ancora una volta si erano dimostrati solo e soltanto dei mostri.
Ed in quei dieci, quindici giorni, gli era capitato di sognarlo quasi tutte le notti, neppure in qualche modo qualcosa o qualcuno lo odiasse a tal punto da voler rimandarglielo ripetutamente fino a permettere alle crepe e alla bruciatura enorme, al marchio mentale datogli da quei bastardi, di prendere totalmente il sopravvento su di lui e di farlo crollare come un castello di carte.
Gli era capitato di svegliarsi in pieno affanno, con le lacrime incastrate tra le ciglia, il fiato che andava a morirgli in gola, il cuore che sbatteva, quasi sanguinando, contro la sua cassa toracica con una violenza tale che a momenti gli pareva potesse uscirne per davvero, la mente che cercava di aggrapparsi ad un cumulo di lucidità che gli permettesse di reggersi sulle sue gambe senza ruzzolare a terra una volta dopo essere sceso dal proprio giaciglio per uscire dalla stanza e per prendere almeno un poco d'aria, abbastanza da non farlo soffocare definitivamente.
-Ohi, cuoco- la voce dello spadaccino attirò l'attenzione del biondo, il cui unico occhio visibile corse lungo la strada più lunga e lenta prima di raggiungere il grigio metallico che già indugiava su di lui con quella sua solita aria seria ed eloquente che lo distingueva.
Sanji ebbe un lieve sospiro, con un sudore freddo che gli scorreva lungo la pelle, non annullandosi come lui avrebbe sperato, ma dandogli la solita sensazione di ansia, quell'ansia che lo divorava da giorni e che lo faceva sentire come un animale braccato.
-Cosa vuoi, Marimo?-
La risposta era ovvia, ma decise di domandarlo comunque, proprio come da rituale, così da sembrare normale .
Non poi tanto a Zoro, ma a sé stesso.
Inutile dire che vi fu un effetto totalmente opposto a quello che avrebbe voluto.
La sua voce, quando gli uscí di bocca, doveva sapere pienamente di presa per i fondelli nel mentre che scandiva l'ultimo termine ... Ma per il biondo sembrava quasi distorta, fastidiosa, graffiata.
Non c'era più gusto nello sbeffeggiare se tutto si piegava così. Non era divertente.
-Sake- fu infatti la risposta dello spadaccino.
Proprio come Sanji si sarebbe aspettato.
Senza dire nulla, il ragazzo lo afferrò rapidamente dalla dispensa, percependo lo sguardo dell'altro puntato sulla sua schiena fino a che non tornò a voltarsi in sua direzione e glielo allungò, preferendo starsene un po' in silenzio ad aspettare che l'altro se ne andasse ad alcolizzarsi da qualche altra parte, possibilmente il più lontano dalla cucina, pur di non doversi costringere a parlare di nuovo, finendo magari con il dire qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi.
E quando finalmente lo spadaccino uscí, il cuoco poté finalmente inghiottire la propria saliva, la quale gli si era incastrata in gola senza che neppure se ne accorgesse.
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