Capitolo 2
GRAYSON
Vorrei dire che ho scelto di studiare giurisprudenza per i motivi giusti. Che ho sentito questa profonda vocazione a usare il mio potere per cambiare il mondo, per proteggere gli indifesi e intrappolare la feccia della terra dietro sbarre di ferro. Ma non è così.
Ho scelto la legge perché è ciò che scorre nel mio sangue.
Sono determinata e logica, e questo campo mi entusiasma e mi mette alla prova. Perché vedo la maggior parte del mondo in bianco e nero, e la legge non può essere vista in questo modo. Sono le sfumature e le scale di grigio che mi fanno riflettere ogni giorno e mi costringono a cambiare le cose.
Mio padre non vuole che studi questa materia.
Per lui è inutile vedermi intraprendere una carriera che non mi sosterrà. Infatti ha già chiarito che non rileverò l'attività di famiglia.
Allora, perché continuo a seguire questa strada?
Perché devo dimostrargli che ha torto. Che posso dominare in un settore in cui crede che nessuna donna possa avere successo senza il sostegno di un uomo.
«Se hai bisogno di aiuto, fammelo sapere» mormora l'assistente del professore mentre fa scivolare un quiz a faccia in giù sulla mia scrivania. I suoi occhi marroni, incorniciati da occhiali quadrati neri, mi guardano con affetto prima di voltarsi per continuare a distribuire i compiti.
Capovolgo il foglio e vedo una C scritta in alto per indicare la mia votazione. Il foglio è segnato dappertutto con inchiostro rosso, errori e punti a cui avrei dovuto prestare maggiore attenzione.
Il mio stomaco si stringe, una profonda delusione mi scorre nelle vene.
Non prenderò un altro brutto voto.
Sono una studentessa da A+.
Potrei non capire tutto facilmente come mio fratello, ma studierò duramente per essere la migliore. Mi esercito fino a tarda notte, leggo libri e faccio ricerche riempiendomi la testa di nozioni.
Sono una studentessa minore di pre-legge, con doppia laurea in lingue e scienze politiche, e questo programma mi darà accesso diretto alle migliori scuole di diritto del Paese. In particolare Yale.
La facoltà di giurisprudenza in cui si è laureato mio padre.
Sapevo che questo corso sarebbe stato difficile per me. È facoltativo per un motivo preciso, ma fa un figurone sul libretto scolastico.
È offerto solo agli studenti delle classi superiori e come studente del terzo anno, è il primo semestre che lo seguo. Il metodo di insegnamento è completamente diverso e gli argomenti trattati richiedono una lettura e una comprensione approfondita per poterne discutere in classe tre giorni alla settimana.
Quest'anno tratteremo una vasta gamma di argomenti, dal diritto costituzionale al diritto immobiliare, all'illecito civile e al diritto processuale civile. Sebbene questo corso sia stato istituito solo negli ultimi cinque anni, ha preparato gli studenti come mai prima d'ora. Include anche la preparazione per il test LSAT. La maggior parte delle persone che seguono questo corso con il nostro professore vengono ammesse nelle migliori scuole di giurisprudenza entro un anno dalla laurea.
Potrebbe definire i prossimi due anni della mia vita.
Mentre guardo il voto sul mio compito con il collo arrossato, inizio a chiedermi se questo mi distruggerà.
***
«Come vanno le lezioni?» chiede mia madre mentre prepara l'insalata per la cena settimanale in famiglia.
Appoggio la schiena al bancone di marmo e mi tolgo una cuticola dal pollice. Sono in preda a una crisi di nervi da quando ho ricevuto quel pessimo voto, e stasera ho quasi rinunciato alla cena, ma sapevo che avrebbe solo sollevato domande da parte della mia famiglia.
Alzo le spalle fingendomi disinvolta. «Bene».
I suoi occhi nocciola si alzano dall'insalatiera e si posano su di me. «Vuoi parlarne?» domanda.
Un sospiro mi sfugge dalle labbra.
Io e mia madre potremmo non essere d'accordo su alcune cose, ma lei è pur sempre mia madre e mi capisce anche quando non voglio.
«Quest'anno frequento un corso facoltativo per avere un'idea approssimativa di come sarà il primo anno di giurisprudenza» le spiego.
Non vedevo davvero l'ora di iniziare il corso, ma ora comincio a sentirmi in ansia. Non mi permetto mai di dubitare delle mie capacità. Non ci sono dubbi nella mia vita. Perché sono solo veleni che mi impediscono di ottenere ciò che voglio. Ma per la prima volta dopo anni, dubito di me stessa.
Un sorriso timido le sfiora le labbra. Riesco a vedere il lato di lei che vuole attenersi agli ideali di suo marito, tra i quali quello che io non intraprenda la carriera di avvocato, ma c'è una parte di lei che vuole che vada per la mia strada.
«Sembra interessante» mormora, mentre taglia qualche fetta di cetriolo in più da aggiungere all'insalata.
I miei denti sfregano contro il labbro inferiore. «Sì».
Non voglio entrare nei dettagli, ma so che non smetterà di farmi domande finché non saprà come stanno le cose.
È brava a ottenere le risposte che vuole, ma anche a ignorare la verità che ha di fronte.
«Grace...».
È un soprannome che odio.
Faccio un respiro profondo. «Anche se le lezioni sono appena iniziate, mi sento già indietro anni luce» confesso, guardando il parquet in rovere su misura che mia madre ha sostituito quando abbiamo ristrutturato l'intera casa qualche anno fa.
All'improvviso, il suono di passi riecheggia alle mie spalle e tutto il mio corpo si irrigidisce.
«Indietro con cosa?» C'è un tono autorevole e critico nella voce profonda di mio padre.
Le mie guance si surriscaldano e, dopo tutti questi anni, odio l'influenza che ancora ha su di me. È in grado di farmi infuriare con poche semplici parole.
«Niente» sentenzio prima di schiarirmi la voce e raddrizzare la schiena.
Non mi inchino davanti a nessuno, e anche se la presenza di mio padre mi fa tremare, mi rifiuto di mostrargli le mie debolezze. Le userebbe solo per farmi a pezzi.
Si ferma accanto a mia madre, poggia una mano sul suo fianco e il bicchiere di cristallo sul bancone con un tintinnio. C'è un leggero fruscio nel liquido limpido e il vago profumo di gin mi fa storcere il naso.
Mi bagno le labbra con la lingua. «È solo un corso preparatorio per la facoltà di legge» ammetto, cercando di mantenere la calma.
So che se ne faccio una questione importante, mio padre mi attaccherà come un cane rabbioso.
Le sue sopracciglia folte e scure si aggrottano, sottolineando la sua contrarietà. «Perché lo stai frequentando?» chiede.
Mia madre gli posa una mano sulla spalla, come per trattenerlo. «Sai che vuole studiare legge, tesoro» dice, con cautela, guardando prima me e poi suo marito.
Quando mio padre volge nuovamente lo sguardo verso di me, il silenzio cade su di noi come una coperta. Non sembra impressionato. Prende il suo drink dal bancone e lascia la cucina senza dire una parola.
Un sospiro soffocato mi sfugge dalle labbra e rilasso le spalle, senza abbassare la guardia perché so che questa conversazione non è ancora finita.
I miei occhi incontrano quelli di mia madre, una vaga tristezza li attraversa e torna ad essere la moglie perfetta che è stata progettata per essere.
L'unica volta in cui mostra emozioni è quando suo marito non è nei paraggi, ma anche in quel caso è piuttosto raro. Senza degnarmi di una seconda occhiata, torna a concentrarsi sul cibo.
Mi dirigo verso la sala da pranzo. C'è un piccolo tavolo da dodici persone di uso quotidiano. Attraverso l'arco e il mio sguardo si posa su mio fratello, seduto di fronte a mio padre, all'estremità di un tavolo inutilmente lungo.
Non capisco perché mangiamo qui quando siamo solo in quattro, ma non ho il coraggio di chiederlo di nuovo. L'ho fatto all'età di cinque anni e mia madre mi ha guardata come se avessi ucciso un cucciolo.
«Ciao, Trent» lo saluto, sedendomi sulla sedia imbottita accanto a lui.
«Ciao» risponde.
I suoi capelli scuri sono selvaggi e disordinati, e le sue guance sembrano arrossate. I miei occhi cadono sui suoi pantaloni blu navy e vedo un piccolo strappo vicino alla tasca.
Che diavolo stava facendo?
Alzo la testa e i suoi occhi sono già su di me. Stringe la mascella rendendosi conto che ho notato il suo aspetto trasandato. Ma quando nostra madre entra nella stanza con la nostra cuoca, Cynthia, decido di ignorarlo.
Insieme ci offrono un piatto d'argento con fettine di pollo, fagiolini conditi, purè di patate e pane fatto in casa. E, naturalmente, l'insalata.
Si siede accanto a mio padre e prende un tovagliolo di stoffa dal portatovagliolo dorato per metterselo in grembo.
«Mangia» lo incoraggia, sorridendo allegramente e tenendogli la mano, come se avesse preparato lei stessa questo delizioso pasto.
Mio padre afferra le posate e inforca il pollo. «Se hai problemi con le lezioni, Grayson, dovresti considerare di cambiare specializzazione».
Cerca di farlo passare per un suggerimento, anche se sappiamo entrambi che non lo è. È un ordine e sa che disobbedirò. Almeno non volontariamente.
Lascio cadere la fetta di pane nel piatto e sento gli occhi di mio fratello su di me, come se aspettasse la mia reazione. «Non ho problemi con le lezioni» dico a denti stretti.
«È solo un corso» tenta di difendermi mia madre, ma riesce a malapena a pronunciare quelle parole prima di essere tramortita dallo sguardo severo di mio padre. So che non ci riproverà dopo questo.
«È lo specchio di come sarà la facoltà di giurisprudenza, quindi potresti prendere in considerazione l'idea di voltare pagina e concentrarti su qualcos'altro» dichiara, prima di addentare un pezzo di pollo.
«Papà...».
La sua voce tonante mi impedisce di continuare. «Comunque è inutile» dice, agitando la mano, come se volesse liquidare me e i miei sogni. Come ha sempre fatto e continuerà a fare.
Una rabbia brutta, oscura e incontrollabile mi esplode nel petto. Quando afferro le posate l'argento inciso affonda nei miei palmi.
«Cosa dovrebbe significare?» chiedo, stringendo gli occhi.
«Trenton prenderà il controllo dello studio» attesta, in tono pratico. Come se mio fratello in qualche modo si sia laureato all'università e abbia superato l'esame di abilitazione all'età di diciannove anni. Come se la transazione sia già conclusa. «Non tu» aggiunge con fermezza.
La mia mascella si serra e il mio corpo si contorce per la rabbia. «Lo so» rispondo, con la massima calma possibile, anche se mi tremano le mani.
Le sue labbra sono premute insieme e posso vedere la tensione negli occhi di mia madre mentre ci guarda litigare.
«Allora perché vuoi diventare un avvocato? Non abbiamo bisogno di te nello studio di famiglia» si infuria.
Lascio cadere le posate sul tavolo. «Perché non sono un uomo...» dico con tono velenoso.
Mia madre abbassa la testa con la consapevolezza che la sua cena è ormai rovinata. Trenton scivola sulla sedia come per prendere le distanze dalla conversazione. Ma vedo un lampo di divertimento nei suoi occhi, forse perché ascolta nostro padre e obbedisce a tutte le sue richieste, ma in realtà ama vederlo arrabbiato. Anch'io lo troverei divertente se non fossi responsabile della sua rabbia.
Mio padre si sporge in avanti. «Perché è evidente che non sei in grado di gestirlo» mi sputa addosso, rosso in viso. «Non riesci nemmeno a gestire una classe» sottolinea.
Chiudo gli occhi per un momento, per fermare ciò che vorrei dire e invece pronuncio: «Ho chiuso».
Queste due parole escono con disprezzo e sconfitta.
Gli occhi di Trenton brillano di pietà, il che mi fa solo arrabbiare ancora di più. «Gray...» sussurra, ma non lo ascolto.
Alzo la mano per fermarlo. «Non difenderlo» gli dico, prima di allontanarmi dal tavolo.
Senza voltarmi a guardare la mia famiglia disfunzionale, esco dalla porta principale e mi dirigo verso il vialetto, in cerca di un po' d'aria e di spazio.
Sono così debole che le lacrime mi pungono gli occhi. Ma non posso farmi vedere così da mio padre perché mi rifiuto di lasciarlo vincere.
I miei piedi oltrepassano il cancello principale. Mi giro a guardare la casa a tre piani in cui sono cresciuta. Una casa costruita su una piccola collina parzialmente coperta da grandi alberi.
Lo scricchiolio della ghiaia attira la mia attenzione, mi volto e vedo un ragazzo in piedi dall'altra parte della strada. Davanti al cancello della sua tenuta. Il castello che lo ha trasformato in ciò che è oggi.
Di tutti gli Eredi, Damian è sempre stato il più minaccioso, anche se non lo ammetterò mai ad alta voce.
È intelligente.
È un leader.
È un assassino.
Cammina verso di me. Passi lunghi e una postura aggraziata.
Ingoio il nodo che ho in gola, ricaccio indietro le lacrime e sollevo il mento.
Non ho paura di nessuno. Tanto meno di un Erede.
Si mantiene a distanza di sicurezza e si ferma a pochi metri.
«Piccola Harrington» mi sorride.
Evito di alzare gli occhi al cielo davanti a quello stupido soprannome. Non ha idea di quanto mi dia fastidio.
Indosso un paio di pantaloni chino e una camicia bianca. Un abbigliamento semplice, facile e approvato da mia madre. Ma soprattutto, un abbigliamento che non mi mette in mostra. Non voglio che il mio corpo mi definisca. Voglio che la mia intelligenza e la mia etica del lavoro siano la prima cosa a cui le persone pensano ogni volta che sentono il mio nome. E non a un bel paio di tette.
Il suo sguardo torna sul mio viso, ma non nasconde il suo evidente disprezzo per il mio vestiario, non trovando nulla di attraente in me dal collo in giù.
«Damian...» pronuncio il suo nome detestando quanto mi piaccia sentirlo.
I suoi occhi nocciola scivolano sul mio viso come se mi esaminassero. «Cosa c'è che non va?» chiede.
Le mie sopracciglia si aggrottano. «Niente» dico, incrociando le braccia al petto.
Non mi piace il modo in cui mi guarda, il modo in cui pensa di potermi capire. Non mi conosce e non lo farà mai.
Sorride e fa un passo avanti. «Non sembra affatto così» attesta, seguendo ogni mia mossa.
Inclino la testa per la frustrazione. «Che acuto osservatore» commento con disprezzo.
Un altro sorriso si insinua sulle sue labbra perfette. «Lo so» afferma con orgoglio.
Questa volta non posso fare a meno di alzare gli occhi al cielo.
Odio la sua arroganza e il suo bel viso. Lo hanno portato lontano nella vita, ma arriverà il momento in cui non otterrà ciò che vuole e questo lo distruggerà. Perché gli uomini come lui non riconoscerebbero le avversità nemmeno se gli si scagliassero contro a tutta velocità.
«Tanto non capiresti» rispondo abbassando lo sguardo. Il sole al tramonto mi scalda il collo. Il silenzio ci circonda per un attimo finché un paio di scarpe non entra nella mia visuale.
«Mettimi alla prova» insiste, e il mio sguardo vaga sul suo corpo, solo per atterrare sui suoi occhi curiosi.
Prima di espirare, la lingua scorre sui denti. «Come puoi capire quello che sto passando?» chiedo, e il risentimento ricopre ogni mia parola. «Sei un uomo».
«Oh» la sua confusione si trasforma lentamente in consapevolezza. «Ho capito. È il tuo periodo del mese» afferma facendo l'occhiolino.
Un ringhio basso mi esce dalla gola. «Sei un idiota».
Un sorriso malvagio gli attraversa il volto. «Dimmi qualcosa che non so» fa il sarcastico.
«Voglio solo prendere le distanze dalla mia famiglia» rivelo con un'alzata di spalle.
Damian ride. «Chi non vorrebbe farlo?».
Le parole successive mi sfuggono dalle labbra senza pensarci. «Ho dei problemi con una classe». A dire il vero, non so perché gli sto dicendo la verità, so solo che voglio sfogarmi. «Che a quanto pare giustifica un cambiamento nella mia specializzazione e nella mia carriera» concludo con uno strano senso di irritazione.
«Allora chiedi aiuto» mi consiglia, come se la scelta fosse facile.
«Non è così semplice» ribatto.
Stringe le labbra e mi lancia uno sguardo cupo. «Sono abbastanza sicuro che lo sia».
«Forse dovrei trovarmi un tutor privato» mormoro fra me e me.
«Grace, torna dentro che la cena si sta raffreddando». La voce acuta di mia madre fende l'aria e i nostri occhi si concentrano su casa mia.
Damian fa un altro passo avanti e il suo sguardo incontra il mio. «Non lasciare che ti trattengano» sussurra.
Annuisco appena. Non so nemmeno perché sta parlando con me. Da quella notte si è tenuto a debita distanza e non mi ha più rivolto la parola.
«Grazie. Immagino...» dico goffamente, senza pensare che un giorno avrei ringraziato Damian Hawthorne. O che mi avrebbe dato dei consigli. Consigli quasi buoni.
«Già» mormora, prima di voltarsi e tornare verso casa. Lo osservo finché non scompare dalla mia visuale e il suo corpo viene sostituito da quello di mia madre.
«Grace, cosa ci fai qui?» È avvolta nel suo scialle di cashmere.
Il mio sguardo vaga oltre la sua spalla, come se potessi ancora sentire la sua presenza. Come se potessi ancora sentire il suo sguardo su di me.
«Avevo bisogno di un po' di spazio da papà» dico, deglutendo per schiarirmi la gola.
Si avvicina, mi afferra per il braccio e mi trascina verso casa. «Stai lontana da Damian» ordina.
«Perché? Trenton lo frequenta» le faccio notare, come se non sapesse di chi si circonda il mio fratellino.
Scuote la testa e continua a spingermi lungo il vialetto. «È diverso. Non è necessario che tu gli stia vicino» si ferma, «sappiamo tutti che ha ucciso quel ragazzo» aggiunge prima di guardarsi attorno con sospetto, come se qualcuno potesse sentirci sui nostri acri di terra.
Mi afferra di nuovo per il braccio e mi trascina con sé. I suoi passi risuonano mentre ci dirigiamo verso la porta di ferro nero opaco. Ma quando mi guardo di nuovo alle spalle, vedo Damian in piedi sulla soglia di casa sua. È come se mi stesse guardando, e il solo pensiero mi provoca un brivido indesiderato lungo la schiena.
«Sì, penso di sì» rispondo a bassa voce.
Entro in casa e seguo mia madre nella sala da pranzo. Mio padre e mio fratello se ne sono andati.
Comincio seriamente a chiedermi cosa sia accaduto quella notte. Mi sono sempre rifiutata di sapere cosa fosse successo sette anni fa, perché non volevo associarmi alle loro voci e alle loro depravazioni. Ma ora non posso fare a meno di essere incuriosita.
🌹🌹🌹
Buonasera dreamers,
il secondo capitolo di Burned Rose è online e, questa volta, Damian è un po' più presente.
Non vedo l'ora di farvi conoscere molto di più di lui.
Ma sono davvero curiosa, che idea vi siete fatte?
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto con una stellina e qualche commento.
Al prossimo aggiornamento
Debora🥀
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