CH. 5.4: Fino all'alba

Forse era la stanchezza a parlare, ma il colore dell'icore che scorreva nei lampadari a forma di balena ricordava quello degli occhi di Helianthinae. Chissà se c'era davvero una connessione tra le due cose.

Victoir fece tremare il silenzio della camera con uno sbadiglio. Aveva passato tutta la giornata steso sul letto, rigirandosi in preda a dolori persistenti ogni volta che il sonno scivolava via. Il lavoro gli aveva insegnato a dormire in qualunque condizione, ma le voci che rimbombano nel corridoio e la luce che entrava dalle finestre a tutta altezza rimanevano fastidiose. Nonostante alla fine avesse riposato poco, le abilità rigenerative dei vampiri si erano prese cura delle sue ferite con la premura di una madre. Gran parte degli ematomi era stata già riassorbita, lasciando come ricordo solo una sensazione di indolenzimento. Le ginocchia non tremavano più.

Quel letto era così grande e comodo da rasentare l'illegale, niente a che vedere con la branda a cui l'aveva abituato la Black Court. C'erano troppe cose nel Sidh la cui spiegazione gli sfuggiva ─ i materiali erano d'importazione? Quanto il mondo esterno era inconsapevolmente contaminato dalla cultura fear-iah? Perché non si sudava? ─, ma non si sarebbe fatto domande. Se le città possono volare, possono anche stare sul fondo al mare. L'importante era aver ottenuto ciò che voleva, l'autorizzazione a stare col fiato sul collo di Helianthinae.

Un botto al di là del muro gli tirò su le palpebre, una risata spensierata gliele abbassò di nuovo.

La futura Morrigan era davvero impacciata. Da quando era rientrata nelle sue stanze aveva fatto cadere almeno tre oggetti di forma e peso diversi, per non parlare di quante volte era inciampata nell'orlo dell'abito che una povera sarta cercava di allacciarle da cinque minuti buoni.

«Spero di non aver svegliato il povero Myosotis, era così stanco!» più bassa, ma comunque ben udibile, la voce cristallina di Helianthinae gli fece alzare gli occhi alla parete bianca.

«Io spero che tu non stia demolendo la stanza.»

«Ah!» Victoir non aveva difficoltà a immaginare la principessa del Sidh paralizzata dalla vergogna. «Perdonami, Myosotis! Non era mia intenzione!»

Alquanto difficile quando si hanno le mani di burro, pensò il cacciatore, ma lo tenne per sé. «Com'è il vestito?»

A rispondere fu un eloquente silenzio. In attesa che Helianthinae ricordasse come usare la bocca, Victoir vagò con sguardo pigro sull'affresco appeso sopra la testata: avrebbe davvero voluto congratularsi con quell'artista tanto creativo da aver scelto il mare come soggetto. Visto dal basso, tra l'altro. Quella gente aveva la visione del mondo più limitata che avesse mai conosciuto.

«È... a dire la verità, è un po' stretto.»

«Strappa un bottone.»

Le risate della ragazza si mescolarono a una seconda voce femminile, ben più matura e indignata: «Mi scusi, signor Fianna, sarebbe così cavalleresco da non suggerire alla Morrigan di devastare i frutti del mio duro lavoro?»

«Beh, l'esame di cavalleria non l'ho mica passato.» Victoir fece spallucce. «Era solo un'idea.»

Era strano sentirsi definire Fianna. Dei criteri di valutazione necessari per entrare a tutti gli effetti nel battaglione ─ intelligenza, movimento, difesa, velocità, coraggio e cavalleria ─, gliene avevano abbonati quattro su sei. Stando al giudizio che gli aveva riportato Belladonna mentre lo accompagnava alla sua nuova camera, era una delle peggiori reclute mai viste in termini di movimento. Quanto alla cavalleria... persino l'algida Morrigan si era lasciata scappare una risata di scherno.

«Tra mezz'ora dobbiamo scendere, Myosotis. Sei già pronto?» di nuovo un silenzio che valeva più di mille parole. «Ti suggerisco di cominciare a prepararti, la divisa delle guardie reali è un po' lunga da indossare.»

Victoir sbuffò e si puntellò sui gomiti, già annoiato. «Agli ordini, capo.»

Cambiare residenza non aveva ridotto il disagio che gli intorpidiva il volto quando scorgeva una bugia nel proprio riflesso. Adesso era solo più pregiata, imbellettata, e in pochi minuti fu anche fasciata da larghi e scomodi pantaloni scuri, una camicia coperta da un gilet color argento in broccato, un bavero avvolto al collo e, dulcis in fundo, una giacca monopetto dalle maniche a kimono. Raccolse i capelli in una coda di cavallo, l'unica cosa davvero pratica che sentiva di avere addosso.

Fissò la guardia reale allo specchio e sfoderò la più brutta delle sue espressioni. «Che schifo.»

Nonostante lo sdegno, meno di mezz'ora più tardi si appostò fuori dalla stanza di Helianthinae, il braccio già pronto ad accompagnarla al piano di sotto. All'orario prestabilito fu salutato dagli occhi stupiti della memoriale e della sarta, motivo per cui il suo sopracciglio destro assunse la forma arcuata del nervosismo.

«Mi volete cavalleresco o no?»

***

Coloro che non erano tornati alle proprie arche si erano riuniti in uno dei tanti saloni che componevano il labirinto di stanze e corridoi del Castello. Più suggestivo di qualunque altro ambiente avesse finora visitato, i muri sembravano fatti di un materiale che mostrava l'esterno celando l'interno. O forse era magia. Victoir non era ferrato né sull'uno né sull'altro argomento, pertanto si limitò ad ammirare il Sidh da quella nuova posizione privilegiata, tanto sopraelevata da svelare alcune delle arche che, come globi luminosi, rischiaravano l'oscurità dei fondali.

Coi suoi ponti simili a dita ossute e le fragili strutture, il Sidh sembrava un leviatano moribondo che resiste con disperazione alla voracità del mare. Più lo guardava, più si chiedeva che cosa fosse scattato nel cervello dei costruttori per pensare che esiliarsi sul fondo dell'oceano fosse una buona idea. Con così tante zone del pianeta ancora libere dal dispotismo della Black Court e degli Undici, come l'Asia o l'Oceania, perché rinunciare alla terraferma per stabilirsi in un luogo tanto ostile? Non riusciva a immaginarlo, e forse non avrebbe mai avuto la risposta che cercava.

I fear sidhe ballavano e festeggiavano l'inizio del Glanadh an spioraid, o forse di essere sopravvissuti un altro giorno al Rocabarraigh, impossibile dirlo. Di una cosa, però, Victoir era certo: adesso capiva le parole di Belladonna sul frenetico bisogno di vivere di quella gente, instradata sulla via dell'ignoranza pur di non farsi divorare dalla paura del futuro incombente. Ricordava un angosciante racconto di Edgar Allan Poe, La maschera della morte rossa. Sperava solo che l'innocente Helianthinae non fosse stata selezionata per il ruolo del principe Prospero.

Quasi si fosse sentita protagonista dei suoi pensieri, la principessina lasciò andare le mani dell'amica con cui aveva finora danzato e oscillò la testa alla ricerca di qualcuno tra la folla variopinta. Lui. Quando lo vide, sulle sue labbra fiorì il sorriso più radioso del Sidh. Victoir non capiva che cosa avesse fatto per conquistare la simpatia della memoriale, ma finché gli avesse semplificato il lavoro andava bene così. Non si mosse di un centimetro, fermo a un lato della sala con le spalle appoggiate alla parete, finché la ragazza, gli orli della lunga gonna rosa stretti tra le mani, lo raggiunse a passo di marcia.

«Myosotis! Non balli?»

«Io sto ballando.»

Abbassò lo sguardo verso il pavimento, sul quale la punta del piede destro picchiettava a ritmo dei canti. Helianthinae scoppiò in una risata leggera, che scomparve dietro le lunghissime maniche.

«Non hai intenzione di ballare con nessuno, vero?»

«No.» Victoir scosse la testa, irremovibile. «O lavoro o ballo.»

Il lavoro, almeno quello ufficiale di guardia del corpo, era cominciato nel momento in cui si era appostato davanti alla stanza di Helianthinae. Da quando la memoriale aveva accettato l'accompagnamento del suo braccio, non le aveva staccato gli occhi di dosso se non per brevi secondi.

La brunetta sorrise, non più con quell'entusiasmo quasi eccessivo, ma con placida accettazione. Annuì e senza altri commenti si posizionò accanto a lui, strinse le mani sul grembo e cominciò a dondolare la testa seguendo le prime note di una nuova canzone.

Non passò molto tempo prima che Victoir si accigliasse: «Che stai facendo?»

«Ti semplifico il lavoro, così anche tu puoi goderti un po' la serata.» Helianthinae sollevò lo sguardo e gli scoccò un sorriso birbante. «Mi vuoi collaborativa o no?»

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