CH. 5.2: Fino all'alba
Superare la soglia dell'arena e ritrovarsi nel buio fu come immergersi nei ricordi degli ultimi mesi vissuti a New York.
Il portone si chiuse alle sue spalle cancellando il guardiano, i profili statuari dei Fianna e le invadenti iridi argentate di Aristea, le quali non si erano staccate da lui neanche per un momento. Là, da qualche parte in tutta quella fitta oscurità, doveva esserci il ragazzino dal sorriso luminoso e la parlantina instancabile. Il suo primo sfidante.
Victoir socchiuse le palpebre e si affidò all'udito: fruscii di mani che compivano movimenti impercettibili sulla stoffa, respiri che allargavano le narici e riempivano la bocca, denso icore che scorreva nelle vene. Qualcuno troneggiava su di lui e lo osservava. Lo divorava di aspettative. Proprio come Jasminium al Corbin Freak Show.
Ma che senso aveva imbastire uno spettacolo in un'arena in cui non si vedeva a un palmo dal naso?
La risposta emerse da sola, lenta, mentre i suoi occhi si disabituavano alla luce piena dello spogliatoio e adattavano al nuovo ambiente con una rapidità che solo i vampiri potevano vantare. L'arena era cinta da muri di pietra alti circa quattro metri, dall'alto dei quali si riversavano cascate strane, fosforescenti. Victoir non avrebbe saputo come altro definirle e non gli importava nemmeno, di rilevante c'era solo lo strato d'acqua che scorreva sul pavimento e gli annegava i piedi fino alle caviglie. Combattere scalzi su una superficie scivolosa era pericoloso persino per uno coriaceo come lui.
Solo quando avanzò nelle tenebre, immobilizzandosi all'istante, capì: fosforescente era la parola giusta. Doveva trattarsi di microalghe, plancton o qualunque altra diavoleria bioluminescente fosse di casa nel Sidh. Era il contatto a stimolarne l'attività, a farlo brillare nel buio come frammenti di stelle.
Passo dopo passo, Victoir raggiunse il centro dell'arena tracciando una scia di bagliori dalla vita brevissima, finché il buio sbiadì in penombra e il suo campo visivo si riempì delle scanalature del pavimento, dei bassorilievi dei muri e, oltre le ringhiere in ferro battuto, della prima fila di spettatori, la sola a non essere del tutto inghiottita dall'oscurità. Ne passò in rassegna i volti ─ impressionante, per uno statunitense come lui, quanto scarna fosse la varietà di tratti somatici ─, come facendo un appello distratto, alla ricerca della freddezza ormai familiare di Belladonna.
Chi individuò fu però Helianthinae, i cui lineamenti regali erano impossibili da confondere persino tra mille uguali. Sedeva al centro della fila di destra, tra Belladonna e un'altra fear sidhe, fasciata da un kimono dalle innumerevoli sfumature di blu che, accarezzato dai giochi di luce in continuo movimento, sembrava fatto di onde e spuma. Forse, da vicino, avrebbe anche avuto il profumo del sale. I loro occhi si incatenarono per un solo momento, sufficiente però ad addolcire la linea dritta delle labbra della memoriale in un sorriso caldo come il sole.
Victoir distolse subito lo sguardo, attento a non scottarsi.
Adesso ben distinguibile, Paeonia si faceva strada verso di lui dall'altro bordo dell'arena. La tensione irrigidiva ancora il suo passo pesante e le braccia incollate ai fianchi. Gli occhi erano stretti in due fessure, probabilmente incapaci di fendere appieno il velo indaco calato sul Castello. Il suo corpo e il suo atteggiamento comunicavano meglio di quanto avrebbero mai fatto le parole: per Paeonia, quella non era una semplice competizione. Ci teneva davvero. Era lì per vincere, ammantato della nobile aspirazione di proteggere il suo popolo. La sua gente. La sua familia.
Anche Victoir però era lì con lo stesso obiettivo, perciò lo avrebbe trattato con rispetto e gli avrebbe dato uno scontro onesto, senza sconti.
Quando furono faccia a faccia, Paeonia gli scoccò un sorriso incrinato d'ansia. Victoir ricambiò con un cenno.
Helianthinae si mise in piedi, i suoi occhi dorati abbracciarono gli spalti bui e li illuminarono. «Fiori del Sidh, non ho parole per ringraziarvi per essere accorsi tanto numerosi nonostante il pericolo che infesta le nostre arche. Questo torneo non solo arricchirà le schiere dei valorosi Fianna, ma selezionerà colui che avrò il privilegio di avere come scorta durante il mio primo Glanadh an spioraid.»
E quel colui, nella mente di molti, sembrava portare già il nome di Aristea. Victoir inarcò un angolo della bocca: spiacente per il favorito incazzato, ma quel giorno se ne sarebbe tornato a casa con l'orgoglio ferito.
La giovane Morrigan giunse le mani al petto e abbassò lo sguardo su di loro, aumentando ancor più, se possibile, l'irrequietezza di Paeonia. «Paeonia, Myosotis, che le correnti guidino i vostri passi.»
Che le correnti guidino i vostri passi, strano modo per augurare buona fortuna.
Paeonia fletté le ginocchia in un breve inchino e Victoir, memore dei libri di Belladonna, lo seguì a ruota.
La memoriale fece per sedersi, quando sembrò ricordare qualcosa: «Oh, e non preoccupatevi, nessuno si aspetta che siate già dei maighstir-dannsaidh, quindi rilassatevi e divertitevi!»
Ma certo, nessuno si aspettava che fosse già un mar... mai-stir dan Sidh... quello.
Belladonna alzò gli occhi e, con un sottofondo di risate trattenute, le intimò di tornare al suo posto accompagnandola per un polso.
Il silenzio si ristabilì presto, ma Paeonia non si mosse. I loro riflessi, appena visibili sul pelo dell'acqua, erano quelli di due statue in abiti bianchi, in attesa di qualcosa. Victoir aggrottò la fronte, percependo un rivolo di impazienza scorrere sotto la pelle. Che il Sidh non avesse aspettative nei suoi confronti era una palese bugia, forse ne aveva anche più del resto dell'Overworld: come poteva comportarsi in modo normale se neanche sapeva che cosa stessero aspettando? Ancora una volta, la risposta giunse da sola.
Nel buio, qualcuno cominciò ad applaudire; anzi no, sembrava più un vigoroso battere le mani.
Uno, due, tre. No, forse non era neanche quella la risposta giusta. Uno, due, tre, quattro.
Victoir strabuzzò gli occhi: quello non era un semplice battere le mani, stavano tenendo il tempo.
Il respiro vibrò nelle corde vocali del primo fear sidhe e si trasformò in una nenia che contagiò tutta l'arena. Perché diavolo si erano messi a cantare? Il cacciatore cercò la risposta sul volto di Belladonna, immobile come un ritratto grottesco.
E finalmente Paeonia si mosse. Il suo corpo si torse con un'energia esplosiva, in risposta alla quale Victoir assunse una posizione difensiva. Il fear sidhe piantò una mano per terra e tracciò una mezzaluna d'acqua brillante con un calcio, poi una seconda, speculare, e infine, come se si fosse caricato, con la terza acrobazia smise di dare spettacolo e passò all'attacco.
A Victoir fu sufficiente usare un braccio come scudo per vanificare l'offensiva. La gamba di Paeonia si infranse contro il suo avambraccio con una forza neanche lontanamente paragonabile a quella del pathos del sangue. Tremò, poi si ritrasse.
Un lamento sfuggì dalle labbra del ragazzo mentre si rimetteva dritto, mantenendo però sulle prime una postura claudicante. «Porco squalo, Myosotis, sei fatto di ferro!» rise a denti stretti.
Di ferro e dubbi, per la precisione. La lotta riprese e Victoir, senza la minima idea di cosa fare, decise di eludere e osservare. Studiarla, quella maledetta mair-qualcosa-dal-Sidh. Ormai era chiaro che si trattasse di uno stile di combattimento, quindi, se voleva uscire da quello scontro con la coscienza pulita, doveva capire che cosa aveva davanti.
Gli attacchi di Paeonia non giungevano a ritmo serrato, ma dopo elaborate capriole e capovolte che suscitavano il fervore del pubblico e illuminavano l'oscurità con schizzi fosforescenti. Rapidità e agilità erano i suoi punti di forza, picchi di maestria che miravano come rapaci alle aperture del cacciatore. Di contro, però, mancava di potenza nuda e cruda. Ogni calcio avrebbe potuto penetrare le sue difese e picchiare dove faceva più male, ma per un mezzo vampiro non sarebbe stato più di un semplice schiaffo.
Questa consapevolezza colpì Victoir più di ogni affondo parato all'ultimo secondo, perché era l'ennesima riprova di come quella gente non avesse chance contro il loro nemico comune. Forse Paeonia non l'avrebbe perdonato, ma non poteva permettergli di lanciarsi nelle fauci del lupo.
Piantò un piede in avanti e cominciò ad avanzare.
"Non fargli troppo male." si ordinò, non solo a causa del monito di Belladonna.
Incalzò sul pavimento bagnato con passi pesanti, inusuali per una persona discreta come lui. Paeonia cominciò subito a indietreggiare, forse interdetto dal vedersi arrivare addosso un'onda anomala che rompeva il ritmo. La sua titubanza durò però poco, e in men che non si dica fu di nuovo con una mano a fare da perno per terra e il corpo che si avvitava tra calci e agili schivate dei tentativi di Victoir di afferrarlo. Si agitava come un'anguilla, mostrando i primi segni di panico e affaticamento.
Da quanto tempo stavano combattendo? Parecchio, ma ancora troppo poco per sfidare la resistenza del cacciatore.
Paeonia gli diede le spalle, si puntellò su entrambe le mani e il piede destro, sollevò la gamba sinistra e spazzò l'aria con un calcio che punteggiò d'acqua la maglietta di Victoir. Il mezzo vampiro schivò l'attacco inclinando la schiena all'indietro, ma comprese di essere stato troppo precipitoso quando, tornando all'attacco, notò l'altra gamba sollevarsi per compiere lo stesso movimento. Un secondo arco di schizzi brillanti illuminò l'arena e, per la prima volta, si schiantò contro il volto di Victoir, costringendolo ad arretrare.
«Ahia.» si lamentò senza alcuna enfasi il cacciatore, coprendosi la guancia con le dita gelide: avrebbe avuto l'impronta di un tallone sulla faccia per il resto della giornata. Ciononostante, mentre Paeonia si raddrizzava, gli scoccò un sogghigno di sfida. «Allora a qualcosa serve, questo balletto.»
Il ragazzino si asciugò il viso fradicio con una manica, il fiato grosso si trasformava in grovigli di condensa evanescenti davanti alle labbra sorridenti. «Te l'avevo detto che ti avrei dato filo da torcere.»
Avrebbe dovuto impegnarsi più di così per dargli davvero filo da torcere, tuttavia la performance di Paeonia aveva acceso qualcosa in Victoir: quel febbrile amore per la battaglia che lo faceva sentire carico, vivo.
Ormai non si trattava più di memorizzare lo stile dell'avversario per neutralizzarlo, ma di studiarlo, comprenderne i meccanismi e, magari, replicarli. Voleva imparare a muoversi in quel modo elastico, rapido e imprevedibile, scoprire cosa si provava a sentirsi parte di una sinfonia, strumento a percussione come le centinaia di mani che scandivano il tempo intorno a loro.
Uno, due, tre, quattro.
Entrambi i contendenti tornarono in posizione.
Uno, due, tre quattro.
Paeonia riprese a danzare nel buio, definendo cerchi concentrici sotto ogni passo. Da quel momento Victoir si concentrò sull'imitarlo come uno specchio, impacciato e sempre in ritardo, ma avvantaggiato nella resistenza e capace di sopportare una tempesta di colpi senza mai spezzarsi.
La percezione del tempo evaporò e il pubblico, galvanizzato da uno spettacolo che doveva essere tutt'altro che consueto, si fece sentire innalzando il volume dei canti. L'arena divenne una fontana di bagliori e un gioco di collisione di corpi che, di minuto in minuto, si sincronizzavano fino ad annullare l'impressione di uno scontro.
Finché una falce azzurra non si infranse contro il petto di Paeonia, facendolo volare all'indietro fino all'inevitabile impatto con il pavimento. Lo schianto fu tanto forte da zittire la folla e rompere il fiato di Victoir, che, impietrito dalla paura di aver esagerato, si immobilizzò.
Con la coda dell'occhio incrociò il ghiaccio nello sguardo di Belladonna, poi si affrettò a raggiungere Paeonia, mentre i fear sidhe cominciavano a scandire i secondi con le mani. Al terzo battito, col cuore che picchiava la cassa toracica tra l'affaticamento e l'ansia, Victoir fu abbastanza vicino da notare che il ragazzo stava bene, nei limiti di qualcuno che è appena atterrato sulla pietra in seguito a un calcio allo sterno.
Le mani di Victoir fremevano per allungarsi verso di lui e aiutarlo a rialzarsi, ma restarono immobili, serrate lungo le cosce.
Paeonia aveva la fronte contratta in una ragnatela di rughe e la bocca arcuata in una smorfia storta, ma le iridi ribollivano ancora di spirito combattivo. Il ritmo scandito dal pubblico divenne il suo serrato conto alla rovescia per la ribalta. Provò a sollevarsi sui gomiti, ma un ringhio sofferente gli gorgogliò in gola e, buttando fuori tutta l'aria incamerata, il fear sidhe capitolò di nuovo.
Il battito di centinaia di mani si trasformò in uno scrosciante applauso. La folla esplose in un boato, acclamando il primo vincitore della notte mentre Victoir, senza aspettare il permesso di nessuno, si chinava su Paeonia. Passò un braccio sotto le sue spalle e lo aiutò a rimettersi in piedi.
«Hai spaccato.» si complimentò con sincero, per quanto scarno, entusiasmo.
Paeonia lo squadrò come se avesse ripetuto il suo iconico porco squalo. «Ho cosa?»
«Sei stato bravo.»
Oltre il velo di sudore, stanchezza e residui di dolore, il fear sidhe trovò la forza di sorridere. «Lo so. Accidenti a te, quest'anno avrei davvero vinto.»
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