CH. 5.1: Fino all'alba
Il termine serendipità indica l'atto di trovare qualcosa senza cercarlo. Colombo che calpesta il suolo di quelle che crede le Indie, ignaro di aver scoperto un nuovo continente. Herschel che scandaglia l'oscurità dello spazio alla ricerca di comete e viene ricompensato con un nuovo pianeta. Le sorelle Tatin che dimenticano la base della torta di mele e creano la tarte Tatin. Victoir Evans che sbarca dalla Black Court per salvare un rerum e si ritrova sul fondo del mare.
«Smettila di guardarti intorno con quella faccia da pesce lesso, attirerai l'attenzione.»
«È questa la mia faccia.»
Belladonna dischiuse le labbra truccate di un rosso acceso, ma, qualunque cosa avesse pensato di replicare, la ingoiò assieme all'avvolgente profumo di fiori. La luce morente del giorno, vicina come Victoir non l'aveva mai vista, si insinuava sotto la superficie del mare e giocava coi colori in un modo a lui incomprensibile: ed ecco che il rossetto di Belladonna, brillante nell'illuminazione artificiale dello studio, diventava tanto scuro da rasentare il nero. Il contrario accadeva con l'azzurro dei suoi occhi, che sembrava intensificarsi ogni volta che un vetro lo rifletteva.
In appena una settimana Victoir aveva divorato libri su libri, assimilato così tante informazioni da averne la nausea. Gli colavano dalle orecchie assieme al cervello fritto, appiccicate con lo sputo come quando, a scuola, recuperava settimane di studio mancato un'ora prima della verifica. Impreparato, ecco come si sentiva, ma al contempo stufo di starsene rintanato tra le quattro mura di un acquario dentro un acquario più grande.
Un nanerottolo dalla testa giallo canarino gli sfrecciò accanto. Le sue copiose risate, troppo scroscianti per la misantropia di Victoir, si interruppero al contatto con la cintura che spezzava il kimono del cacciatore. I loro sguardi si incrociarono per un momento, ma tanto bastò per cancellare quel sorriso idiota dalla sua faccia.
Il bambino si irrigidì come pietra, le braccia incollate ai fianchi e le sopracciglia tanto alte da sparire sotto i ciuffi scarmigliati. «Scusa, signore!»
La vocina tintinnò come metallo contro altro metallo, facendo breccia nella memoria di Victoir: era uno dei bambini di Helianthinae. Non quello delle dita nel naso, però. L'occhiata sterile del mezzo vampiro gli diede una spintarella verso gli amici che lo aspettavano ridacchiando.
Anche Victoir riprese la marcia.
«Potevi evitare di terrorizzare un bambino.»
«Ripeto, è questa la mia faccia.»
Forse la Morrigan non conosceva la parola apatia. Ci aveva provato, Victoir, a mettere subito in chiaro che molte delle sue strane reazioni non fossero dovute solo al suo caratteraccio, ma soprattutto alla condizione anomala del suo spettro emotivo. Da quando aveva appreso del suo incontro fuoriprogramma con Helianthinae, rivelazione necessaria davanti alla domanda «come sai del torneo?», l'umore di Belladonna era decisamente peggiorato.
Camminavano a piedi nudi sulla pietra liscia, proprio come le poche decine di persone intorno a loro, con le teste coperte lui da un cappuccio e lei da un velo. Il silenzio era, ancora una volta, rotto da canti distanti e brusii eccitati. Victoir aveva atteso quel giorno con tutta la slavata trepidazione di cui era capace, osando persino fantasticare sulle creature leggendarie che avrebbe finalmente visto coi suoi occhi. E leggendarie lo erano, affascinanti anche, ma ciò che senza dubbio lo aveva più colpito era come la densità demografica del Sidh rasentasse il ridicolo. Erano pochi.
Belladonna era stata chiara sulla portata eccezionale del torneo dei Fianna, la maggior parte della popolazione del Sidh avrebbe raggiunto la Màthair per assistervi. Ma ora che il Castello svettava davanti a loro, con le sue guglie che si innalzavano nel blu fino a fondersi con esso, Victoir non sapeva se dedicare la sua attenzione allo scenario surreale o le pochissime persone che l'abitavano.
Se quella era ciò che i fear sidhe definivano "folla", allora persino una città di Confine era più popolata. Oppure era lui il problema, troppo abituato al caos della Black Court.
Al contrario di quanto temuto dalla memoriale, però, nessuno sembrava interessarsi alla faccia nuova che si guardava intorno come un turista. L'illusione che Belladonna gli aveva cucito addosso, con quei capelli ingombranti e le orecchie degne di un elfo, funzionava alla perfezione.
In quel viale costeggiato da piccoli canali brillanti d'acqua e icore, non esisteva nessun Victoir Evans. C'era solo Myosotis, apprendista del defunto Jasminium e superstite di Nead, l'arca perduta a causa del Rocabarraigh.
Il Castello non avrebbe potuto avere un nome più calzante: con le sue torri affusolate e le gallerie sorrette da colonne, i muri candidi e possenti, i bovindo dalle curve armoniose e le innumerevoli vetrate, sembrava provenire dal libro di fiabe di Helianthinae. Irradiava magnificenza, ma metteva anche in soggezione. Il suo punto più alto, una torre tanto lontana e sottile da sfiorare la superficie, aveva l'aspetto di un faro... o forse un campanile, difficile a dirsi.
Alle loro spalle, la città bianca costruita sulla Màthair precipitava negli abissi schiariti dalla fauna marina e dall'icore. Victoir vi gettò uno sguardo frettoloso, poi tornò a guardare innanzi a sé portando una mano sul cuore. Quelle palpitazioni accelerate gridavano stupore, ammaliamento, frenesia... non gli piaceva il modo in cui il Sidh gli confondeva il cervello e il corpo. Doveva restare lucido.
Con un passo in diagonale, accorciò la distanza con Belladonna. «Chi diavolo ha costruito questo posto? Come... come hanno fatto?»
Un'informazione tanto cruciale quanto tralasciata nella valanga di testi sotto cui la Morrigan l'aveva sepolto.
Belladonna fece spallucce. «Era già qui quando siamo arrivati.» le sue labbra tornarono a sigillarsi, ermetiche.
Victoir sospirò, saturo dei suoi modi sibillini: i fear sidhe dovevano aver fatto dell'elusione la loro scappatoia dalle domande scomode. «E da dov'è che arrivate?» provò ancora, rimpallando l'occhiata rovente della donna con una gelida. «Quanta segretezza...»
«Ogni famiglia ha i suoi segreti.» lo liquidò lei, sciogliendo il nodo tra i loro sguardi.
Non poteva immaginare che una sola parola, pronunciata con fare sbrigativo e superficiale, l'avesse però tradita. Famiglia. Un termine dal suono potente e sinistro nell'Overworld, perché utilizzato solo e soltanto dai vampiri per riferirsi ai membri del proprio clan. Lo sapeva molto bene, Victoir, poiché da anni attendeva con rassegnazione di scoprire quale famiglia gli avrebbe messo le sue ennesime catene.
«Familia ante omnia, eh?» scoccò, colpendo con la precisione di un cecchino.
La Morrigan interruppe la marcia e alzò lo sguardo mutilo su di lui, dura ma al contempo inquieta, come un bambino sorpreso con le dita nella marmellata. Aveva riconosciuto una delle leggi fondamentali della società vampirica, la famiglia prima di tutto, e tanto bastò al cacciatore per validare la leggenda sui fear sidhe: i misteriosi architetti dell'ars magica non erano altro che un clan di vampiri dipendenti non più dal sangue, ma dalla magia.
Victoir inarcò un angolo della bocca in un sorriso sardonico: «Non siamo poi così diversi, abhartach.»
Belladonna scosse la testa, dapprima piano, con titubanza, poi risoluta come chi abbia ripudiato le proprie origini. «Non potremmo esserlo di più.»
Le mani immacolate strinsero i lembi del velo e lo abbassarono, scoprendo la testa cinta dalla corona di icore. In un attimo, decine di occhi li puntarono come mirini e i fear sidhe li circondarono, diventando un muro tra la memoriale e il mezzo vampiro. Senza altra scelta, Victoir prese le distanze dalla piccola folla, la familia a cui non apparteneva.
Fragili come conchiglie, isolati dal mondo e sul baratro dell'estinzione.
Tutto per essere liberi dalla sete di sangue e dalle leggi dell'Overworld.
***
Il furore degli spettatori percuoteva l'aria come una grancassa. La cerimonia d'apertura era iniziata da poco, una manciata di minuti sufficienti a sollevare il vociare che pioveva sull'arena, oltre il portone in fondo agli spogliatoi.
Immune all'ansia che divorava gli instancabili professionisti del camminare avanti e indietro che lo circondavano, Victoir aveva chiuso gli occhi e si era lasciato trasportare dal fiume di grida, scoprendovi un ritmo che col passare dei secondi si era fatto più distinto, fino a diventare ben udibile. I fear sidhe sembravano non poter fare a meno di cantare in ogni occasione. Quando sollevò le palpebre, il cacciatore notò con orrore la punta del suo piede destro tenere il tempo picchiettando la pietra liscia, in maniera del tutto inconsapevole. Rabbrividì e interruppe subito quel movimento, ma ormai era troppo tardi: un altro passo avanti nella sua trasformazione nel sosia di suo padre.
«Hai un'espressione davvero terribile.»
Anche i tuoi modi sono davvero terribili, avrebbe ribattuto con prontezza Victoir, se solo Belladonna non gli avesse raccomandato di passare inosservato prima di abbandonarlo lì. I suoi occhi tracciarono una parabola sullo sconsiderato che gli aveva rivolto la parola, risalendo dai piedi scalzi al volto fanciullesco, bianco come gli abiti che fasciavano il fisico acerbo ma atletico.
Un ragazzino dalla zazzera e gli occhi color cioccolato, con la faccia attraversata da un sorriso troppo lucente per una creatura della notte come Victoir Evans. L'effetto repellente fu pressoché istantaneo, tuttavia, come accadeva sempre, il ritrarsi con le spalle al muro del mezzo vampiro fu subito seguito dall'inclinarsi in avanti del suo aggressore emotivo.
«E continua a peggiorare... ti senti bene?»
«È solo la mia faccia.» ripeté il cacciatore, per la terza volta in un lasso di tempo troppo breve per i suoi gusti.
Per fortuna qualcosa dovette scattare nel cervello del ragazzino, che raddrizzò la schiena ristabilendo il tanto agognato spazio personale. «Porco squalo, scusa! Non volevo insultare la tua faccia!»
Nonostante la sua voce fosse così squillante da tintinnare come campanellini nelle orecchie del mezzo vampiro, nessuno dei presenti gli concesse più di un'occhiata obliqua della durata di un battito di ciglia.
Victoir oscillò con lentezza la testa, facendo cadere l'argomento. «Lascia perdere. Piuttosto, come fai a sapere cos'è un porco?»
«In che senso? È... un'imprecazione.» il viso fear sidhe si contrasse in preda alla perplessità. «Mi sa che di strano tu non hai solo la faccia...»
«Hai appena insultato di nuovo la mia faccia.»
Lo scambio di battute terminò con un secondo, eloquente porco squalo. Le sopracciglia di Victoir sparirono sotto i riccioli: perché finiva sempre in mezzo a conversazioni surreali? Il ragazzo aveva però ragione, chiedere a un fear sidhe come conoscesse i maiali non era stata una mossa furba. Ora avrebbe sentito il fiato di Belladonna sul collo per il resto della giornata.
Il tipo si accomodò al suo fianco sulla panchina, le gambe divaricate e le spalle troppo rigide per non tradire la tensione che provava. Nonostante sul suo volto troneggiasse un sorriso, doveva avere le budella attorcigliate dall'ansia.
«Mi chiamo Paeonia.» disse, dando una regolata a quel timbro tanto esuberante.
«Myosotis.»
«Myosotis.» in bocca agli altri, quel nome sembrava appartenergli ancora meno. «È la prima volta che partecipi?» la silenziosa conferma di Victoir, un secco cenno del capo, ravvivò il giallo delle sue guance. «Buona fortuna, allora! Io è il terzo anno che ci provo.»
Tre anni per superare una selezione: o Paeonia era un guerriero dalle abilità scadenti, o i Fianna avevano degli standard davvero elevati. Standard che Victoir non vedeva l'ora di frantumare con un pugno, naturalmente senza dimenticare che un fear sidhe è per natura impossibilitato a fare troppo male ai suoi simili.
«Hai già fatto gli esercizi di riscaldamento?»
Un altro cenno d'assenso.
«Sei un tipo taciturno, Myosotis.»
«Risparmio le energie.»
Paeonia chiuse la bocca. Ci pensò su e, alla fine, sorrise di nuovo: «Bella risposta, rivale!»
Il silenzio calò su di loro, dolce come il miele per l'asociale cacciatore. Bastarono però pochi minuti perché un timido, ma insistente senso di colpa gli picchiettasse la nuca. Paeonia era stato abbastanza gentile da mettere un freno alla propria socievolezza, non poteva abbandonarlo all'inquietudine che aveva trasformato le sue gambe in martelli pneumatici.
Victoir si passò una mano sul collo, tra la cascata di capelli che si avvoltolava morbida attorno alle sue dita. «Quindi... com'è che funziona?» gli occhi nocciola di Paeonia si levarono su di lui con stupore misto a sollievo. «Io so solo che si mena la gente. Sono stato invitato, diciamo.»
«Invitato? Da chi?»
«Helianthinae.»
«Quella Helianthinae? La Morrigan?!» la voce del ragazzo gli frantumò di nuovo i timpani. «Accidenti! Che amicizie altolocate hai, Myosotis!»
Il solo nome di Helianthinae attirò l'attenzione più di quanto avessero fatto la loro presenza e le urla di Paeonia. Victoir duellò con quegli sguardi invadenti uno per uno, ricambiandoli con tutto il fastidio che riusciva a iniettare negli occhi.
«Abbassa la voce, per favore.» disse a Paeonia, che per l'imbarazzo aveva intanto incassato la testa tra le spalle.
«Scusa, a volte mi lascio trasportare dall'entusiasmo...» sibilò in risposta l'altro.
Victoir si astenne dal sottolineare di averlo notato.
Terminato di percuotere il pavimento, il giovane strinse le mani sulle ginocchia e cercò sottecchi il suo sguardo. Forse la figuraccia gli aveva insegnato la lezione. «Tornando seri... il torneo segue uno schema a duelli, i primi a combattere sono ovviamente quelli che danno meno spettacolo: noi. Saremo l'evento principale della cerimonia d'apertura, contento?»
«Non sto nella pelle.»
«Lo vedo!» Paeonia rise. «Gli anni passati c'erano molti più aspiranti, ma oggi non vedo nessuno. Mi chiedo se si siano fatti indietro per paura, sai...»
«Sì, lo so.» Victoir strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Il pathos. Saggio chi aveva deciso di ritirarsi per non rischiare in futuro di doverlo affrontare. Paeonia invece era lì, imperturbato dalla possibilità di dovergli dare la caccia. Ciò lo rendeva degno di rispetto, ma al contempo anche di biasimo. Peccato che lui non potesse fargli la morale, essendo fatto della stessa pasta suicida.
«Il vero torneo viene dopo, cinque combattimenti per partecipante fino all'alba. Non prendertela se passi alla seconda fase e ti eliminano subito, c'è un motivo se loro sono già Fianna e noi no. Alla fine, chi vince farà parte della scorta della memoriale nel Glanadh an spioraid... ma almeno questo lo saprai, spero.»
Victoir accennò un sì col capo; sapeva già tutto, tranne quel nome astruso che non riusciva in alcun modo a memorizzare. «Grazie, Paeonia.»
Paeonia illuminò la stanza con un altro sorriso. «E di che! Non sono un maighstir-dannsaidh, ma farò del mio meglio per darti filo da torcere!»
«Neanch'io lo sono, tranquillo.»
E non aveva neanche la minima idea di che cosa significasse: quella torbida accozzaglia di lettere gli suonava familiare quanto abhartach. Il problema era che aveva la netta sensazione che saperlo gli avrebbe reso la vita più facile. Scrollò le spalle, alle cose complicate ci era abituato, e di certo quei giunchi dai colori fluorescenti non sarebbero stati avversari più ostici di un morrwen.
Con in tasca le informazioni di cui aveva bisogno, cominciò a raccogliere la cascata corvina in una coda di cavallo, quando, spazzando lo sfondo con sguardo disattento, notò qualcosa. O meglio, qualcuno. Un uomo distinto, che, a lato del portone, non gli staccava gli occhi pungenti di dosso.
Victoir lo fissò di rimando con tutta l'asprezza di cui era capace, ma il tacito invito a levarsi di torno fu accolto dalla più irremovibile indifferenza. Conclusa l'opera di imprigionamento della chioma, il mezzo vampiro spezzò l'intreccio di sguardi torvi per allungarsi verso Paeonia.
«Chi è il biondo con la faccia incazzata?»
Il ragazzo seguì la linea invisibile tracciata dai suoi occhi, sgranando i propri: «Aristea! È il favorito di quest'anno, tutti dicono sia il migliore dei Fianna...» la bocca si storse in una smorfia, accompagnata dalla voce ora più bassa e roca. «E sembra avercela con te, amico.»
«E immagino sia un brutto segno.»
Paeonia alzò gli occhi al soffitto, titubante, poi gli assestò una pacca sulla spalla che per Victoir fu energica quanto una carezza. «Nah, tanto figurati se ci arrivi a batterti con lui!»
E invece sarebbe dovuto arrivare proprio a lui: il favorito, il migliore dei Fianna.
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