CH. 4.2: Il sacrificabile
Il fazzoletto ritrovato da Alaric, unico indizio per risolvere l'enigma della sparizione di Victoir, inumidiva il legno della scrivania. Quattro paia di occhi indagavano le lettere AB ricamate su un angolo, rivelate quando Marianne l'aveva steso con movimenti troppo rigidi per non tradire il suo nervosismo. Il racconto di Lorraine fluì come la pioggia che aveva ripreso a picchiettare sui vetri, esaurendosi in un singulto che le annodò la voce.
Ripensare all'imboscata aveva sostituito il languore della stanchezza con residui di paura che l'avrebbero tormentata a lungo. Neanche la solidità delle pareti della Black Court riusciva a spazzar via la sensazione di essere ancora braccata. Se poi pensava a Victoir, da solo e intrappolato nel Sidh, il nodo alla gola si trasformava in pressione sul petto.
A silenzio ristabilito, Marianne era parsa assorta per alcuni secondi prima di esprimere il suo parere: «Non è una situazione semplice. Se Victoir è davvero nel Sidh, dovremo combattere con le unghie e con i denti per farlo uscire...»
Un moto di irritazione si sommò alla stanchezza che faceva pulsare le tempie della caposquadra: chi diavolo era il loro avversario, il Sidh o l'organizzazione per cui lavoravano?
«È vero che non abbiamo prove inconfutabili della presenza di Victoir nel Sidh, ma se così non fosse si sarebbe già rimesso in contatto con noi in qualche modo.»
Marianne inarcò un sopracciglio. «Come puoi esserne certa?»
«Perché abbiamo un nostro codice di condotta. Anche questo fa di noi una squadra.»
Il cenno d'intesa del giudice sciolse almeno in piccola parte il suo nodo di tensione nervosa.
Marianne si portò una ciocca scarmigliata dietro l'orecchio, un automatismo che Lorraine aveva col tempo identificato come un segnale della sua concentrazione. Appoggiò un gomito nello spazio tra l'orlo del fazzoletto e il bordo della scrivania e si sfiorò le labbra con le dita piegate.
«Ricapitoliamo quel che sappiamo per certo. Avete salvato un fear sidhe e Victoir lo ha condotto a Regent's park per aiutarlo a tornare a casa. Lì sono stati attaccati da qualcuno, ma il fear sidhe è comunque riuscito ad aprire un portale. Nel frattempo, voi due avete affrontato i complici del liminale ignoto, tra i quali un mercenario di Alcor East in cerca di vendetta, e quando siete arrivati sul posto non avete trovato nessuno.»
Lorraine annuì. «Esatto.»
«E questo fazzoletto è l'unico indizio che siete riusciti a ricavare, ammesso che abbia a che fare con l'aggressore...»
«Assieme alla baionetta di Victoir, tracce di colluttazione e schizzi di sangue.»
Indizi tuttavia poco risolutivi, se in relazione a un cacciatore di teste. Victoir Evans, poi. Tutti sapevano che dove c'era Victoir Evans c'era anche la violenza, persino il cancello di Regent's park.
Dopo aver fatto oscillare lo sguardo dal giudice alla caposquadra, Alaric si inserì nella conversazione: «Non possiamo mandare una delegazione, o qualcosa del genere?» il tono placido mascherava bene la frustrazione, ma Lorraine era certa che guardando in basso l'avrebbe visto picchiettare il tappeto con la punta del piede.
Marianne aggrottò le sopracciglia. «Non così presto. Un cacciatore può essere dichiarato scomparso solo in presenza di determinate condizioni. In questo caso, devono passare settantadue ore senza alcun contatto dal suo ultimo avvistamento.»
«Tre giorni? Potrebbe essere già morto!»
Prima che l'impeto del medium indispettisse il giudice, Lorraine gli accarezzò la spalla. Nessuno meglio di lei poteva capire come si sentisse, stanco come una clessidra senza più sabbia e preoccupato per un amico irraggiungibile. Tuttavia, per il momento dovevano chiudere in un cassetto i loro sentimenti e analizzare la situazione con freddezza. Per Victoir.
Tentò di imbastire un'espressione rassicurante, ma i fili del suo volto erano troppo molli. «Un cacciatore dovrebbe farcela, sono addestrati anche a questo...»
«E nel caso di Victoir? Non giriamoci intorno.» ribatté secco lui.
Il fervore non l'aveva fatto esprimere nel più chiaro dei modi, ma Lorraine intese senza difficoltà il sotteso. E non fu l'unica. Il giudice Fitzgerald scosse la testa, consapevole di addentrarsi in un territorio pericoloso. Tutti, forse persino Leonard, sapevano che l'esistenza di un mezzo vampiro nato fuori dalle maglie della legge era sgradita ad alcune persone con troppo potere tra le mani.
«La legge è uguale per tutti, Alaric.» li rassicurò Marianne, nessuno poteva però essere certo che lei stessa ci credesse. «Stabilire un contatto col Sidh non è semplice come convocare il sire di un clan. Sono loro a cercare noi, mai il contrario.»
Lorraine strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche. «Quanto tempo potrebbe volerci?»
«Impossibile stabilirlo. Non possiamo entrare nel Sidh senza permesso... è complicato.»
«Dio, la burocrazia non dovrebbe esistere per semplificare le cose?» stufo di imbattersi solo in muri, Alaric accavallò le gambe e deviò lo sguardo verso le finestre.
Anche Lorraine l'avrebbe fatto per nascondere il velo di lacrime che si addensava nei suoi occhi, ma la paura delle altezze e il peso delle responsabilità la convinsero a non fuggire dal confronto col giudice.
«Quindi non c'è proprio niente che possiamo fare? Dobbiamo starcene al sicuro con le mani in mano, sperando che Victoir riappaia o che i fear sidhe aprano un portale per riconsegnarcelo?»
La voce aveva il potere di trasformare i pensieri in fatti, e in quel momento Lorraine avrebbe voluto essere muta. Cercò la risposta sul volto di ciascuno dei presenti: su Marianne, rinchiusa in un silenzio contemplativo, poi su Leonard, che per la prima volta vedeva a disagio, infine su Alaric, che però continuava a guardare fuori.
La sua mano fremeva per cercare sostegno da quella del medium, ma forse gli aveva chiesto già troppo in quelle ultime ore. Ingoiò il bisogno di sfogare l'ansia mangiandosi le unghie e intrecciò le dita in grembo, come mettendovi un lucchetto.
In quel momento il giudice riemerse dal mare delle sue riflessioni, ancora rigida ma con una fiamma negli occhi. «Se facesse valere i suoi diritti di cacciatore della Black Court, Victoir non dovrebbe rischiare la vita.»
Con uno scatto improvviso fece stridere la sedia contro il pavimento e si mise in piedi. Schiacciò il fazzoletto sotto la mano sinistra, catalizzando l'attenzione di tutti sul mistero di AB.
«Quanto a voi, se proprio volete fare qualcosa... trovatemi il bastardo che ha causato tutto questo.»
***
La Black Court aveva solcato banchi di nuvole mai a corto di pioggia per tre interminabili giorni, ciascuno dei quali vissuto da Lorraine come una tortura di spilli sulla pelle, fino a che, allo scattare della settantatreesima ora dall'ultimo contatto, il cacciatore Victoir Evans era stato dichiarato ufficialmente scomparso.
A farsi portavoce della squadra Winchester era stata Marianne Fitzgerald, in quanto loro referente e, nel privato, quasi una seconda madre per Victoir. Ottenuta la sua autorizzazione, Lorraine e Alaric si erano precipitati assieme sulla piccola aeronave del reparto investigazioni, dove avevano fornito agli Ispettori ogni dettaglio della notte dell'operazione.
Per ogni minuto di quell'estenuante trasferta, Lorraine non aveva fatto altro che dardeggiare con gli occhi per gli uffici, paralizzata dal timore di scorgere i volti dei genitori di Victoir.
I coniugi Evans rientravano a pieno titolo nell'élite degli Ispettori della Black Court: una coppia formidabile che, proprio come il figlio, si occupava in prevalenza delle missioni più rischiose. Fatalità voleva che quel caso, in linea con le loro competenze, gli sarebbe stato negato per coinvolgimento personale. Doveva ricordarsi di chiedere al giudice se la famiglia fosse stata informata e, se necessario, armarsi di coraggio e telegrammi.
Dopo aver completato le procedure necessarie, erano tornati in pompa magna sull'aeronave madre per richiedere l'assegnazione temporanea di un nuovo cacciatore. Il codice richiedeva non solo che una squadra, per essere considerata tale, disponesse di tre elementi, ma anche che un assistente senza assistito e un medium non addestrato all'autodifesa non potessero mettere il naso fuori dalla Black Court. E loro avevano ancora una missione da portare a termine. Il vero obiettivo della missione al Corbin Freak Show attendeva infatti di essere salvato, nella migliore delle ipotesi assieme a informazioni utili alle indagini. Magari il volto del complice di Yates.
Da quella maledetta notte, la ragazza aveva sentito ogni minuto trascorso fregarle la pelle e grattare via pezzi come carta vetrata.
Non aveva quasi toccato cibo, confusa dal suo corpo che prima implorava nutrimento e poi si piegava in preda ai conati. Ogni volta che si guardava allo specchio, a restituirle lo sguardo era l'ombra miserabile della donna fiera che desiderava diventare. Ansia e infelicità erano diventate parti indelebili del suo viso, immortalate nelle borse sotto gli occhi e negli angoli delle labbra sempre rivolti verso il basso. Neanche la sagace ironia di Alaric riusciva a strapparle più di mezzo sorriso, e di notte passava più tempo a fissare il soffitto che riposare. Le idee non venivano, il cervello era sotto anestesia. Aveva un impellente bisogno di rallentare quel processo di autodistruzione, almeno finché Victoir non fosse stato al sicuro.
La notte velò l'ennesima giornata di buchi nell'acqua.
«Non intendo aspettare un giorno di più, Alaric. Se non ci assegnano un cacciatore, al Corbin ci vado come spettatrice!»
I passi di Lorraine divoravano il corridoio con una pesantezza che sembrava poter scavare impronte nel parquet. La stanchezza aveva ceduto il posto al nervosismo, che pizzicava la lingua e serpeggiava sottopelle come una fiamma. Persino il ronzio dei motori, un sottofondo a cui era abituata, le martellava la nuca come un'emicrania latente.
Alaric camminava al suo fianco, una roccia che le occludeva la vista sulla vertiginosa altezza che, oltre i finestroni, avrebbe garantito al poco che aveva mandato giù durante la cena di tornare su.
Il medium scrollò le spalle. «Sai che non sarò io a impedirti di infrangere il regolamento, vero?»
«Lo so, lo so. È solo che...» Lorraine tracciò disegni insensati a mezz'aria, tentando di afferrare concetti nebulosi: «tutto è già così complicato, ho paura delle conseguenze di un passo falso.»
«Non c'è proprio modo di fare pressioni a qualcuno, in questa gabbia di leggi?»
«Non per noi, no. Quelli del personale operativo sono carne da macello, i sacrificabili...»
La sua esasperazione si mescolò a quella di Alaric, riversata nel più lungo dei sospiri.
«Un'ottima annata per il reparto psichiatrico...»
Era proprio lì che Lorraine pensava sarebbe finita se non fosse riuscita a darsi pace. Nessuno, neanche Marianne o Alaric, poteva davvero capire che importanza vitale avesse quella faccenda per lei, il motivo per cui la scomparsa di Victoir l'avesse ridotta a brandelli.
Ignorò un brivido che le risalì la schiena e si strofinò le mani sugli avambracci. «Il giudice Fitzgerald sta già facendo pressioni, ma anche lei ha le mani legate...»
«Senti, da quando questa squadra è nata abbiamo aiutato un sacco di gente, per di più voi due lavorate insieme da... quanto, due anni? Ci sarà almeno una persona disposta ad aiutarci! Pensaci!»
Il corridoio si spezzò in un angolo retto, al termine del quale la tranquillità che li aveva finora accompagnati sfociò in una balconata interna presa d'assalto dai brusii. Oltre il parapetto in ferro battuto, decine di ombre si intrecciavano, sgraziate, nelle luci calde della galleria sottostante. Era ancora una volta l'ora di chi poteva uscire solo dopo il tramonto, l'ora delle creature più potenti dell'Overworld.
«Katarina Ainsworth? È una cacciatrice e ha un debito con Victoir.»
Lorraine appoggiò un braccio alla ringhiera e allungò lo sguardo sotto di sé. «Katarina... potremmo chiederle di accompagnarci in via non ufficiale al Corbin, se non è in missione.»
Sotto di loro circolavano uomini e donne del personale, sciami di divise appartenenti a vari gradini della scala gerarchica accomunate dal colore nero. I primi tempi dal suo arrivo, quando la sua versione idealizzata della Black Court aveva cominciato a venarsi di crepe, Lorraine si era sentita quasi soffocare dall'atmosfera cupa, a tratti lugubre, della corte di giustizia. Solo ora si rendeva conto di quanto l'avesse aiutata buttarsi a capofitto nel lavoro, fianco a fianco con una persona difficile come Victoir. Non voleva tornare a vedere solo nero attorno a sé.
Fece quindi per distogliere lo sguardo dalla galleria, quando fu colpita da una figura ferma davanti a una delle uscite. Un giovane uomo nato per incarnare lo stereotipo del principe azzurro, dall'aspetto impeccabile ben oltre il confine tra naturale e calcolato. Quella persona Lorraine la conosceva solo di vista, ma ne aveva sentito parlare fino alla nausea.
«Alaric... forse la fortuna è dalla nostra parte.» indirizzò il collega con un cenno della testa. «Lo vedi quello?»
Alaric ghermì il corrimano con entrambe le mani e si sporse nel vuoto. «Chi, san Patrizio?»
In effetti, la perfetta rappresentazione del principe azzurro era in compagnia della perfetta rappresentazione di san Patrizio, ma non era quello il punto. La caposquadra si lasciò alleggerire il petto da una risata e abbassò la voce: «No, dico il biondo a destra. È l'avvocato Wyatt Finch.»
«E dovrebbe dirmi qualcosa?» la confusione sul volto del medium ebbe vita breve. «Oh, quel Wyatt Finch! L'amico d'infanzia di Victoir!»
«Il miglior amico di Victoir... e un avvocato eccezionale.»
Gli occhi di lui si incatenarono a quelli di lei, illuminati dallo stesso barlume di speranza. Wyatt Finch aveva preso forma come un'apparizione mistica, una vantaggiosa nuova pedina capace di muoversi su caselle della scacchiera a loro proibite. Nel peggiore dei casi, almeno avrebbe saputo come mettersi in contatto coi genitori di Victoir.
«Ci hai mai parlato?»
Lorraine scosse la testa. «No.»
«Bene!» Alaric batté le mani sulla ringhiera, ringalluzzito da un'energia contagiosa. «Andiamo a peggiorargli la giornata.»
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