CH. 4.1: Il sacrificabile

Le porte dell'ascensore si chiusero con l'usuale cigolio, inascoltato da ormai un paio di mesi dagli addetti alla manutenzione. Uno scossone diede inizio alla salita. Oltre la rete di sicurezza e i grovigli di ferro battuto, decine di occhi li seguirono con l'insofferenza di chi è in fila da troppo tempo; purtroppo per loro, però, i dipendenti avevano la precedenza. Neanche l'ora tarda sfoltiva il numero di persone in attesa all'ingresso della corte di giustizia: l'Overworld non dormiva mai, e la Black Court con esso.

La tavolozza di abiti scuri in contrasto con le luci abbaglianti fu sostituita dalla solitudine dei corridoi vuoti man mano che salivano. Lorraine accolse il silenzio e il profumo di pulito con un lungo sospiro, appoggiandosi alla parete dell'ascensore in cerca di sollievo dal dolore che le artigliava le spalle.

Al suo fianco, dov'era stato dal momento in cui avevano lasciato Regent's park, Alaric si passò con attenzione una mano sul volto tumido e velato di sudore freddo.

Erano entrambi in condizioni vergognose, ma almeno gli abiti avevano smesso di tracciare il loro passaggio con un tappeto di gocce di pioggia.

Il mercenario reclinò la testa nella sua direzione. «Pensi che ci riceverà, ridotti così?»

«Lei sì, il problema è il segretario.»

Lorraine non aveva voglia di sprecare tempo per far ragionare Leonard. Non era mai stata tanto esausta al ritorno da una missione, forse perché menare le mani era compito esclusivo di Victoir. Il cacciatore era scomparso da neanche due ore, ma la sua assenza la torturava di già.

«Allora ecco il piano: io lo immobilizzo e tu fai irruzione.»

La stanchezza di Alaric si rifletteva anche sulla qualità delle sue battute. Nonostante il tentativo un po' fiacco, Lorraine sentì il cuore più leggero. Ringraziò il medium con una risata debole, ma sincera.

«Ti avviso, Langdon: ho fatto pratica di resistenza con Victoir. Non hai idea di quante volte abbiamo trasformato quel corridoio in un campo da rugby.»

«Un avversario ostico, il buon Leonard.»

«Se serve lo tramortiremo.»

L'ascensore cominciò a rallentare, stavolta il cigolio fu allietato dalla risata di Alaric.

«Tu passi troppo tempo in compagnia di Victoir.»

Lorraine evase i suoi occhi limpidi e scrollò le spalle. «Lo dici solo perché non mi conosci abbastanza, Alaric.»

Il medium si ammutolì, tutta la sua stentata allegria messa da parte da quelle parole che sembravano aver aperto un abisso tra loro.

Lorraine attese impaziente che le porte dai motivi geometrici si aprissero sul corridoio, dopodiché con una spinta rimise in moto il corpo intorpidito. Non era il momento di affrontare certi discorsi, non con Victoir in pericolo.

Gli interni della corte di giustizia somigliavano più a un hotel di lusso che a un tribunale, con ambienti spaziosi dai soffitti alti e i muri decorati con semicolonne, fregi dalle forme floreali e quadri. Nella rigida alternanza di rosso e oro, le uniche esplosioni di colore trovavano spazio nelle piante da arredamento e nelle finestre, attraverso le quali Lorraine sbirciò le luci della capitale ancora fradicia dall'acquazzone.

Cominciava ad accusare le prime conseguenze della serataccia: la consapevolezza di trovarsi al sicuro induceva il suo corpo a rilassarsi, farsi scivolare di dosso l'adrenalina e travolgere dalla stanchezza. Mentre i loro passi frettolosi rimbombarono per la galleria della sezione amministrativa, un violento capogiro la costrinse ad accettare il braccio subito offerto da Alaric.

«Scusa...» esalò, scuotendo la testa.

«Non scusarti. È normale, sei stremata.»

Normale o meno, l'ultima cosa che desiderava era pesare su qualcun altro. Non appena l'impressione di cadere nel vuoto fu sostituita dalla stabilità del tappeto sotto i piedi, Lorraine raddrizzò le spalle e riprese la marcia.

Se era vero che certe cose nella vita non cambiano mai, tra queste andavano senza dubbio annoverate le interminabili attese davanti agli uffici amministrativi. E la puzza di decomposizione, avrebbe aggiunto Victoir se fosse stato lì. Due file speculari di pezzi d'antiquariato fatti di respiro pesante, rughe e occhi infossati attendevano da chissà quante ore di conferire col giudice Fitzgerald, inconsapevoli che l'arrivo della squadra Winchester avrebbe ritardato ulteriormente i loro appuntamenti.

Lorraine e Alaric transitarono a testa bassa sotto una pioggia di sguardi giudicanti, che divennero dardi infuocati quando si fermarono davanti al leggio a lato della porta e, aperto il registro, annotarono i loro nomi sulla lista d'attesa. Le pagine del libro irradiarono un bagliore rosso che confermò la registrazione: il giudice Fitzgerald li avrebbe ricevuti con urgenza.

L'urgenza si tradusse in dieci lunghi minuti di muto disprezzo, col distante riverbero dei motori dell'aeronave a fare da rilassante sottofondo. A dare voce al generale malcontento fu un unico borbottio, di cui Lorraine colse stralci riguardanti la mancanza di rispetto verso chi poteva uscire solo dopo il tramonto. Si astenne dal rispondere, dirottando lo sguardo su un dipinto che immortalava la brughiera, un tappeto tempestato di ametiste sullo sfondo di un cielo dello stesso colore delle iridi di Victoir.

Lo scatto della serratura, come un fulmine a ciel sereno, pose fine allo stillicidio della sua poca pazienza.

Lorraine si voltò in tempo per incontrare un paio di occhi della stessa tonalità del ghiaccio, sotto i quali faceva capolino il familiare volto serafico di una persona con cui aveva lavorato in passato.

Appena la riconobbe, l'uomo sorrise senza preoccuparsi di nascondere i canini appuntiti: «Fräulein* Winchester, che piacere rivedervi.»

Nonostante l'intonazione perfettamente calibrata per suonare sincera e i modi ineccepibili, lei non gli diede credito. Quel vampiro era un artista della menzogna, lei e Victoir avevano avuto modo di appurarlo in prima persona.

«Herr** Metherlance.» lo salutò di rimando, ignorando il fruscio che, al suo fianco, suggerì che Alaric si fosse sporto per sbirciare quella presenza imprevista.

«Al lavoro persino nell'ora dei vampiri, davvero ammirevole.»

Quel sorriso a falce di luna la faceva rabbrividire.

La voce autoritaria di Marianne Fitzgerald si riversò su di lui da dentro l'ufficio: «Non importunate i miei sottoposti, Nathan Metherlance!»

Lorraine indirizzò la sua tacita gratitudine al giudice, fingendo però di ricambiare la smorfia complice con cui il vampiro si scusò e defilò. Nessuno dei dinosauri appostati ai lati del corridoio osò guardarlo in tralice, a differenza di Leonard che finalmente si affacciò e, dopo essersi sincerato che l'uomo avesse tolto il disturbo, squadrò dalla testa ai piedi quel che rimaneva della squadra Winchester.

«Lorraine Winchester e Alaric Langdon.» il suo era il tono di qualcuno che si aspetta guai, a un soffio dal buttare fuori un sospiro. «Lui dov'è?»

Nessuno rispose.

Il segretario si fece da parte e li lasciò entrare. La ragazza perse le parole: quello sì che era un colpo di scena. Persino Leonard doveva aver capito quanto grave fosse la situazione. Meglio così.

Fu però sufficiente mettere un piede nell'ufficio per essere colta da una familiare sensazione di nausea. Si portò una mano alla bocca, approfittando di nuovo della vicinanza di Alaric per reggersi al suo braccio. Vivere su un'aeronave era una tortura per qualcuno che soffre di vertigini, ma se l'alternativa erano le baracche di Londra...

In piedi davanti alle ampie vetrate che, con un salto nel vuoto, facevano precipitare lo sguardo verso la città, Marianne Fitzgerald si sgranchiva le braccia intorpidite con la disinvoltura che si concedeva solo in presenza dei suoi fedelissimi. Nonostante dovesse aver preso polvere per ore alla scrivania, assuefatta alle lamentele della gente e agli interminabili cavilli burocratici, non una ciocca dei capelli chiari sfuggiva allo chignon, né una ruga induriva la bellezza di un volto sempre giovane.

Lorraine incassò la testa nelle spalle, colpita allo stomaco da una fitta di vergogna. Era la prima volta che si presentava in condizioni tanto pietose davanti a un magistrato, ma era certa che una donna zelante come Marianne avrebbe colto quel segnale d'allarme.

A riprova di ciò, la rilassatezza sul volto del giudice scivolò via appena li vide. «Non pensavo di avervi assegnato una missione particolarmente pericolosa.» li squadrò, soffermandosi su Alaric. «E Victoir? È rimasto indietro?»

«Ci sono stati... alcuni imprevisti.» biascicò il medium, ancora incapace di guardare negli occhi il suo nuovo capo.

«Lo vedo.» i lineamenti di Marianne si contrassero. «L'importante è che adesso mi confermiate che l'esplosione di magia di Regent's park, che ha messo in pericolo lo statuto di segretezza dell'Overworld e scatenato il panico sulla Black Court, non ha niente a che fare con la mia squadra.»

Il silenzio rispose per entrambi.

Il giudice si tastò una tempia e buttò fuori un sospiro. «Sedetevi e sentiamo cos'avete combinato stavolta...»


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[1] Signorina in tedesco.

[2] Signore in tedesco.

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