CH. 3.3: Le Morrigan e l'Abhartach
Ciò che restava di Victoir Evans erano gli occhi, tutto il resto era la sua prima bugia. Victoir nutriva da sempre una profonda avversione per le menzogne, forse per questo più si guardava allo specchio, meno gli piaceva quel che vedeva.
A cominciare dall'incarnato dal colorito giallastro, proprio come se dentro le vene gli scorresse non sangue normale, ma la sostanza dorata chiamata icore.
Una strana raffinatezza, che non rientrava nelle definizioni di efebico o androgino, contaminava la mascolinità della mandibola squadrata, delle spalle ampie e della corporatura atletica. Non l'avrebbe accomunata al fascino da predatore dei vampiri, né avrebbe saputo darle una definizione calzante, ma lo disturbava molto più delle orecchie dalla forma vagamente a punta.
Niente però era peggio di ciò che gli incorniciava il volto: una cascata di capelli oscenamente lunghi, che lo stava facendo ricredere sulla praticità della sua creatura. Mai avrebbe creduto che anche una capigliatura liscia, se folta, potesse rivelarsi così ingombrante; perciò aveva annotato nella sua lista delle cose da fare di scusarsi con sua sorella per averle dato della privilegiata.
Ciliegina sulla torta, il neo sotto l'occhio sinistro si era volatilizzato: evidentemente, le sirene-vampiro erano troppo impeccabili per macchiarsi del reato di imperfezione cutanea.
Dal suo ingresso nel Sidh erano trascorse più di ottanta clessidre, tre giorni in cui Belladonna gli aveva rivelato più di quanto chiunque nell'Overworld sapesse sui fear sidhe. Adesso Victoir era cosciente che il Sidh fosse articolato su più quartieri, detti arche, di trovarsi sull'arca-madre, la Màthair, e che la Seòmar-glainne da cui Helianthinae era emersa era il luogo in cui i fear sidhe venivano alla luce.
Aveva scoperto di essere stato fortunato a entrare nel Sidh assieme a Jasminium, perché qualunque altra porta gli sarebbe valsa un linciaggio che non si sarebbe concluso in positivo per i fear sidhe, esattamente ciò che doveva essere accaduto al pathos latitante. L'alba del giorno successivo, che nel Sidh equivaleva alla più tenue delle carezze del sole, aveva illuminato il primo corpo mutilato di un figlio dell'icore. L'orrore era già stato reiterato altre due volte, innalzando a quattro la conta delle vittime.
Le mani di Victoir prudevano dal desiderio di fare a pezzi quel bastardo, ma per il momento non poteva far altro che attenersi al piano e assimilare gli insegnamenti di Belladonna. Una caccia attraverso il Sidh era fuori questione, neanche un mastino come lui sarebbe stato abbastanza efficiente da destreggiarsi in un ambiente tanto sconosciuto, dove ogni forma di vita era un potenziale nemico.
Il cacciatore inarcò un sopracciglio, innervosito da come il suo riflesso smorzasse l'intensità delle espressioni già slavate. Mandò il nuovo sé stesso al diavolo con la pacatezza che lo caratterizzava, quindi attraversò la stanza degli ospiti prendendo di nuovo posto sulla sedia, che di quel passo si sarebbe modellata attorno al suo corpo.
Non era mai stato un tipo studioso, preferiva l'approccio pratico a quello accademico, peccato che gli incunaboli impilati da Belladonna sul bordo della scrivania tendessero verso il secondo. Alcuni tra i segreti più ambiti dell'Overworld erano lì, a dieci centimetri dalle sue mani che picchiettavano sul piano in madreperla, e lui li guardava col naso arricciato. Se fosse stata al suo posto, Lorraine si sarebbe rinchiusa in quella stanza, nutrendosi e dormendo lo stretto indispensabile, finché non avesse divorato fino all'ultima pagina.
Forse però era anche il destino, non solo la pigrizia, a frapporsi tra lui e l'ennesimo pomeriggio di studio sonnolento, nella forma di un nugolo di chiacchiere che, come un refolo fresco, si riversò nella casa di Belladonna.
Delle voci che spezzassero il silenzio erano tutto ciò che Victoir, per la prima volta dopo tanto tempo, desiderava udire.
Il mezzo vampiro si diede una spinta all'indietro, attento a non tradirsi facendo stridere i piedi della sedia contro il pavimento. Ogni minuto che passava aumentava l'intensità dei rumori, finché non divennero una vera e propria matassa di passi e voci.
Victoir si appropinquò con discrezione alla porta socchiusa e, attraverso la sottile apertura, vagò con gli occhi sulla piccola folla di testoline dai colori vivaci e le orecchie a punta che sciamava alla fine del corridoio: mocciosi. Di tutte le creature esistenti, medaglia d'argento sul podio di quelle che detestava di più.
Sebbene riuscisse a contare appena sei cuccioli di sirena-vampiro, cincischiavano tanto fittamente da rendere impossibile captare anche una sola frase. La prima che udì distintamente, infatti, si levò sulla folla con l'intonazione autoritaria ma accondiscendente tipica degli adulti.
«Su, monelli, tutti a cerchio per terra!» quella non era la voce carezzevole di Belladonna. «Dianthus, leva le dita dal naso!»
«Sì, Dianthus, leva le dita dal naso, che schifo.» aggiunse sottovoce il cacciatore.
Era rassicurante sapere che la sua collaboratrice non avesse deciso di farsi invadere lo studio da un branco di scimmie urlatrici d'acqua salata. Questo però faceva sorgere un'altra domanda: a chi apparteneva quella voce argentina?
Memore della raccomandazione di non farsi scoprire, Victoir legò la cintura del lungo cardigan-kimono affinché i bordi non penzolassero, si appoggiò al muro e incrociò le braccia al petto, sorvegliando in silenzio la situazione.
«Io voglio sedermi vicino a te!»
«No, voglio sedermi io vicino a lei!»
«Allora è proprio una fortuna che io abbia due fianchi! Tu qui, Thea, e tu qui, Liatris...» con una risata malcelata, la capobranco disinnescò la bomba pronta a esplodere. «E adesso fate tutti attenzione, perché... ta-dan! Stelline e gentilstellini, vi presento il mio libro preferito: favole e fiabe del mondo di sopra!»
Un coro di esclamazioni emozionate riempì l'atrio della lettera 'o', mentre Victoir tratteneva lo sbuffo di una risata sul confine delle labbra.
«Quando ero alta un metro e un cavalluccio marino, proprio come voi...» la voce misteriosa si arricciò in una risatina, contornata dalle fragorose proteste delle piccole pesti «passavo ore e ore a immaginare i luoghi raccontati in queste storie... almeno finché Belladonna non mi dava una schicchera sul naso per farmi tornare a studiare.»
«Ma studiare è noioso!»
Victoir non avrebbe potuto essere più d'accordo.
«Non potrei essere più d'accordo.» sospirò la ragazza. «Ma è uno dei pochi modi che abbiamo per scoprire quanto il mondo sia bello... ma un altro modo, secondo me molto più divertente, sono i libri come questo, perciò adesso vi leggerò alcune delle mie storie preferite. Avete finito di sistemarvi? Allora ascoltatemi bene...»
La raccolta non avrebbe potuto rivelarsi più eterogenea: storie provenienti dal Vecchio Mondo, dalle Americhe e persino qualche suggestiva leggenda dell'Estremo Oriente colorarono il candore sterile della biblioteca e l'immaginazione dei bambini, pronti a interrompere con domande, risate e gridolini finché la fascinazione non ebbe la meglio. Alcuni racconti erano sconosciuti persino a Victoir, che a sua volta finì per lasciarsi guidare attraverso scenari pittoreschi dalla voce della narratrice, lontana dall'essere una professionista dell'interpretazione, ma comunque ricca di passione.
«Si racconta che una volta, nella bella Austria, un cavaliere passeggiasse in groppa al suo cavallo sulle sponde del Danubio. Con lui c'era la sua dama, una fanciulla dagli occhi grandi e il cuore buono, aggrappata al suo mantello. I due s'amavano di un amore intenso, inscalfibile. Neanche la guerra, ormai alle porte, sembrava minacciare il loro idillio.»
La ricetta perfetta per una tragedia, come confermato dall'abbassarsi dell'intonazione finora arzilla.
«Durante la loro passeggiata, la giovane dama notò una distesa di piccoli fiori azzurri lambire le sponde del fiume. Cosa sono quelli? chiese al cavaliere. Sono Myosotis, fiori di poco conto, mio amore, rispose lui, lanciando appena un'occhiata a quella distesa azzurra. Di poco conto? Ma sono così belli! esclamò lei, quasi delusa, Li coglierò e ti dimostrerò che ti sbagli, amor mio! E con una risata, la dama curiosa smontò da cavallo e corse giù per il pendio. Vani furono i tentativi del cavaliere di fermarla, la ragazza si era già precipitata giù tra i fiori per coglierne il più bello. Nessuno seppe come, ma la fanciulla scivolò e cadde nel fiume. A nulla servirono gli sforzi del cavaliere, sceso anche lui sulla sponda del fiume per salvarla. Come ultimo suo gesto, la dama lanciò all'amato l'unico fiore raccolto, gridando Non ti scordar di me! Il corpo della ragazza si inabissò tra le acque e non venne mai più ritrovato.»
Il silenzio si tinse di tenue malinconia.
Né l'improvvisata cantastorie, né gli avidi ascoltatori avevano parole per commentare la straziante leggenda da cui traeva nome quel fiore incantevole, per Victoir parte del suo quotidiano sin dall'infanzia. Sua madre, amante del giardinaggio, nutriva un affetto particolare per il non ti scodar di me, il cui azzurro vibrante, sosteneva, richiamava gli occhi del marito e del figlio.
«Il cavaliere, disperato, odiò con tutto sé stesso quel fiore che gli aveva strappato l'amata dalle braccia, ma custodì l'ultimo regalo fattogli dalla dama. Ogni giorno, il cavaliere raccontava al fiore un ricordo vissuto con lei, al fine di rispettare la promessa fatta. La guerra giunse e il valoroso cavaliere andò in battaglia, portando sul cuore il fiore di Myosotis. Durante la feroce battaglia, il cavaliere venne ferito gravemente e lasciato in un luogo sperduto dai suoi nemici. Se nessuno fosse andato a salvarlo, sarebbe morto di certo. Allora, accadde un miracolo: il fiore di Myosotis cominciò a crescere. Decine e decine di fiorellini azzurri e luccicanti crebbero intorno al cavaliere, uno per ogni ricordo che il giovane aveva raccontato al piccolo Myosotis. Quella distesa azzurra spiccò sul campo di battaglia, attirando lo sguardo dei più e permettendo così che il cavaliere venisse trovato e tratto in salvo. Mantenere il ricordo della sua amata gli aveva salvato la vita. Da quel giorno il Myosotis divenne una pianta piena di fiori e venne rinominato non ti scordar di me.»
«Non mi piace questa storia.» fu il primo commento, un mormorio che sembrava riassumere lo stato d'animo collettivo.
Victoir era dello stesso avviso: non aveva mai amato le storie dai finali dolceamari.
La voce misteriosa tornò a parlare e, senza comprenderne il motivo, il cacciatore si ritrovò a pendere dalle sue labbra.
«È molto triste, sì. Non tutte le storie sono fatte per essere felici, ma ricordate che, come ci insegna la via di Seòmar-glainne, la fine di qualcosa è sempre l'inizio di qualcos'altro. E poi...» il tonfo delle pagine suggerì la fine della lettura. «Non è meglio amare e perdere che non aver mai amato?»
Nessuno nella giovanissima platea aveva la risposta a una domanda tanto gravosa, né l'aveva Victoir, che nella penombra della stanza degli ospiti si strinse nelle spalle, colto da un brivido improvviso. Forse, se le emozioni non gli fossero mai state strappate, avrebbe saputo cosa fa pesare di più il piatto della bilancia tra una serena solitudine e l'amore che riempie e distrugge.
«Per la cronaca, anche questo l'ho letto in un libro!» la ragazza spezzò la tensione suscitando tante risatine complici. «Perciò ricordatevi di leggere tanto, sia sul nostro mondo che su quello di sopra. Altrimenti...»
«Altrimenti cosa?»
«Diventerete dei tonni!»
"Adesso sì che ho meno domande su me stesso." Victoir alzò gli occhi al soffitto, appuntandosi quella grande verità della vita.
Ci sapeva fare coi marmocchi, quella specie di maestra, o almeno loro sembravano adorarla. Doveva essere un quadretto carino, peccato non potervi assistere.
«Adesso filate a casa. Oh, e non dimenticate di portare i quaderni di matematica domani!»
O magari poteva.
Quando il coro di piagnucolii e proteste sfumò, il cacciatore raddrizzò le spalle e sbirciò fuori, dove non trotterellava più nessuna testolina. Sgusciò attraverso le ombre del corridoio, affacciandosi sulla biblioteca, ora allietata solo da un canto armonioso, nello stesso momento in cui il libro ritrovava il suo posto sullo scaffale.
La mano che l'aveva riposto con delicatezza aveva la stessa sfumatura dorata di quelle di Belladonna, ma faticava di più per raggiungere i piani alti della libreria. Liscia come la superficie di un lago, una lunga chioma biondo cenere ondeggiò attorno al corpo esile mentre la ragazza si voltava, incontrando gli occhi azzurri di Victoir coi propri color miele.
Sobbalzò come un gatto e urtò la libreria con la schiena.
«Oh, Madre!» si portò una mano all'altezza del cuore, tra le pieghe del kimono verde e blu. «Per un attimo mi sono vista a Cladh prima del tempo, che spavento...»
Cladh. Victoir aveva sentito parlare molto dell'arca cimitero negli ultimi giorni, Belladonna avrebbe dovuto trovarsi proprio lì in quelle ore. La reazione della ragazza fu la conferma che nel Sidh si respirava aria di paura.
«Perdonami. Dicono che sono molto discreto.»
«E di me che sono sempre distratta, quindi non poteva finire altrimenti. Non scusarti...»
L'intonazione ascendente suggerì a Victoir che l'altra volesse sapere il suo nome, il che era un bel problema. Belladonna gli aveva creato una storia da propinare a chi gli avesse chiesto da dove veniva, inculcato nella testa informazioni utili a sembrare credibile e donato un aspetto da fear sidhe. Zelante in tutto, a eccezione di un particolare: il nome. Quello avrebbe dovuto sceglierlo da solo, aveva spiegato, aggiungendo un'enciclopedia delle piante e dei fiori al castello di fogli che avrebbe dovuto studiare per destreggiarsi nel Sidh. Peccato che lui, dando per scontato di non averne bisogno nel breve periodo, non ci avesse minimamente pensato.
Avrebbe improvvisato.
«Myosotis.»
Le labbra della ragazza assunsero una buffa forma tondeggiante.
«Oh... per gli occhi?»
Allora quello di sua madre non era solo un delirio dettato dall'amore.
«Esatto.» insinuò la mano tra i capelli, sfiorandosi la nuca. «E tu sei l'apprendista memoriale, suppongo.»
«Solo Helianthinae.» sorrise lei.
Come spesso accadeva nel suo lavoro, Helianthinae sembrava la cosa più innocente che il Sidh avesse da offrire: il suo aspetto, l'atteggiamento e il modo di parlare erano quelli di una ragazza appartenente all'alta società, niente che insospettisse il cacciatore. Non pensava che si sarebbe trovato tanto presto davanti la sua vittima designata, per di più da sola, praticamente il momento perfetto per studiarla senza avere il fiato di Belladonna sul collo.
«Se sei qui per Belladonna, credo non farà ritorno tanto presto.»
"E il mio cervello non potrebbe essere più felice di prendersi una pausa da quella generalessa." Victoir tenne scrupolosamente per sé quel pensiero. «Lo so, è andata a far visita a Jasminium... il mio maestro.»
Helianthinae sgranò gli occhi. «Non... non sapevo avesse un apprendista.» si portò di nuovo una mano sul cuore, stavolta stendendo dapprima solo l'indice, poi anche il medio. «Le mie condoglianze, Myosotis. Riesco a immaginare il tuo dolore, Jasminium è stato come un padre per me.»
Proprio come sostenuto da Belladonna, quella strana famiglia stava davvero cadendo a pezzi.
«Allora ti porgo anch'io le mie condoglianze, Helianthinae. Il Sidh ha perso un uomo coraggioso.»
Lo pensava davvero, Victoir, mentre replicava il gesto di cordoglio toccandosi il petto.
Prima che potesse spremersi le meningi su come proseguire quella conversazione, fu Helianthinae a riprendere la parola: «Adesso cosa farai? Sei riuscito a completare la tua formazione?»
«Sfortunatamente no. Finora ho fatto compagnia a Belladonna, non possiamo lasciarla da sola in un momento tanto delicato.» con un cenno d'assenso, l'apprendista memoriale dimostrò di credere a ogni fandonia le fosse propinata. «Non dirle che ci siamo conosciuti, per favore.»
Finalmente una nota di diffidenza fece capolino nella curva delle sopracciglia della ragazza. «Perché no?»
«Perché essere qui con te implica che io non stia studiando. E il mio povero naso ne ha abbastanza di schicchere.»
La risata di Helianthinae fu accompagnata da un suo sorriso plastico. Mentire ogni volta che apriva bocca, imitare convenzioni sociali che non gli appartenevano, appropriarsi di esperienze altrui per conferire naturalezza alle menzogne non l'avrebbe fatto dormire sereno.
Helianthinae gli passò a fianco, investendo i suoi sensi con il profumo della salsedine.
«Allora lascia che ti dia una dritta: preparati una domanda che la spiazzi e quando noti che si avvicina... colpisci! Funziona, credimi!»
Il cacciatore si trattenne dal buttar fuori una risata: quella ragazza non doveva essere la più astuta della cucciolata di sirene-vampiro. «Lo terrò a mente, ti ringrazio.»
I loro sguardi si incrociarono per un attimo, prima che la mano sollevata a mezz'aria di lei catturasse la sua attenzione: dal pugno facevano capolino pollice, indice e mignolo, in attesa di una precisa reazione da parte sua. Peccato che il malloppo della sapienza di Belladonna non accennasse a niente di simile.
Quei tizi gesticolavano quanto gli italiani.
Victoir aggrottò la fronte. «Che vuol dire?»
«Hm? Che manterrò il segreto, no?»
Avrebbe dovuto immaginarlo, ma non aveva idea di come funzionasse quella specie di rituale. Emulò la posizione delle dita, ritrovandosi a un soffio dalla sua mano quando lei fece collidere le punte dei loro indici. Quel primo contatto, per quanto breve, bastò a Victoir perché notasse la temperatura gelida della pelle della fear sidhe.
Prima che la mano di Helianthinae tornasse a penzolare lungo il braccio, il cacciatore chiuse anche il pollice e l'indice e ruotò il polso, porgendole il mignolo. «Io e i miei amici facciamo così.»
Fu il turno della ragazza di sentirsi ignorante alla stregua dei nanerottoli di cui si occupava. Nei suoi occhi limpidi, Victoir colse una scintilla di curiosità mista a euforia che mal si sposava con l'ambiente marino.
«Che cosa strana, non l'avevo mai visto...» terminato di analizzare il suo dito, Helianthinae lo intrecciò al proprio e incontrò il suo sguardo, sorridendo ora intrigata. «da che arca vieni, Myosotis?»
«Nead.» tagliò corto lui, come Belladonna gli aveva raccomandato di fare ogni qualvolta fosse saltato fuori l'argomento: nessuno, neanche una persona curiosa come Helianthinae, avrebbe insistito sentendo il nome dell'arca perduta a causa del Rocabarraigh.
La conversazione decadde con un mortificato oh, a seguito del quale Helianthinae parve perdere la sua parlantina e nascose le braccia dietro la schiena.
Ci pensò lui a sdrammatizzare, con una scrollata di spalle e un sorriso mordace: «Sono solo un provinciale imbruttito dall'isolamento.»
Il suo tentativo di umorismo si tradusse nella piacevole risata cristallina di Helianthinae. Victoir fu pervaso dalla soddisfazione: allora non era poi così incapace, se qualcuno rideva alle sue battute.
«Parli in modo strano.»
«Ma questo modo strano ti fa ridere.»
Per quanto lo riguardava, la cosa davvero strana era essere riuscito ad avere un dialogo tanto sereno con un'estranea al primo incontro. Non sentiva neanche l'impellente bisogno di isolarsi e riprendersi dalla pesantezza delle interazioni sociali, ma non poteva permettersi di farsi scoprire da Belladonna in compagnia di Helianthinae. Se aveva capito qualcosa della Morrigan, era che non amava che le sue direttive fossero ignorate.
Affondata una mano nella tasca del cardigan, Victoir tornò sui suoi passi. Si fermò sotto l'arco che divideva l'atrio dal corridoio, rivolgendo un ultimo sguardo alla giovane memoriale.
«Comunque non prendertela, non puoi sapere tutto.»
Il sorriso gioviale di Helianthinae si incrinò. «In realtà dovrei.»
«La vita è più interessante quando hai qualcosa da scoprire, non credi?»
Non aveva detto niente di illuminante, eppure il viso della ragazza si distese in preda allo stupore, poi a una genuina gratitudine. Fino a un anno prima non sarebbe stato in grado di riconoscere con tanta sicurezza le emozioni altrui, ma probabilmente il merito era anche della limpida mimica facciale della fear sidhe.
Il cacciatore si immerse nell'oscurità del corridoio, ma arrivato davanti alla porta della stanza assegnatagli, con le dita già in procinto di sfiorare la maniglia, un richiamo lo costrinse a voltarsi.
«Myosotis!» con un picchiettio di passi rumorosi, Helianthinae si precipitò fino a metà del corridoio, come se temesse di avvicinarsi troppo a lui. «Sei mai stato fuori dal Sidh?»
Victoir lasciò andare la maniglia, rivolgendosi verso di lei con tutto il corpo. Nonostante le tenui luci che rischiaravano la sagoma della memoriale, dal fondo del passaggio buio la sua vista da mezzo vampiro riusciva a distinguere con facilità la mandibola contratta dalla tensione, gli occhi ridotti a schegge, le sopracciglia corrugate appena visibili sotto la frangetta color cenere.
«Certo, ti ho detto che ero l'apprendista di Jasminium.»
Non era brava a dissimulare le sue emozioni, Helianthinae. Il sorriso storto che decorava il visetto morbido sembrava evidenziare quella punta di nervosismo che le impregnava la voce: «Allora sei addestrato a combattere, no?»
Il mezzo vampiro incrociò le braccia. «Vai al punto.»
«Tra tre giorni si terrà un torneo per i Fianna e agli aspiranti Fianna, ma sono certa che Belladonna potrebbe mettere una buona parola per te.»
Victoir aveva letto qualcosa sui Fianna: non erano solo guerrieri, ma anche i soli capaci di imbracciare un'arma sul fondo del mare. La salvaguardia del Sidh ricadeva interamente sulle spalle di uno sparuto gruppo di fear sidhe muniti di armi rudimentali, se paragonate a quelle che lui era solito impugnare.
«Il punto è che il vincitore diverrà la mia guardia del corpo per il Glanadh an spioraid, e... beh, ho pensato che potesse interessarti, dato che sei rimasto senza lavoro. Perdonami se sono inopportuna.»
Il silenzio s'impadronì della scena. Victoir non poté non accigliarsi, scettico: simili colpi di fortuna non rientravano nel suo quotidiano. Difficilmente delle creature fragili come conchiglie sarebbero riuscite a tenergli testa, la strada per Helianthinae poteva davvero essere tanto spianata?
Il suo improvviso mutismo cancellò la speranza dall'espressione della fear sidhe, le cui labbra si schiusero per dire qualcosa che fu troncato sul nascere dalla voce decisa del cacciatore.
«In realtà è un'ottima idea.» Victoir mise le mani sui fianchi e annuì. «Devo solo trovare chi metta una buona parola con Belladonna per me. Pensi di farcela senza tradire il nostro segreto?»
Helianthinae si illuminò come se avesse ricevuto una bella notizia. «Non preoccuparti, nessuno sa prenderla come me.» con in tasca quella vittoria, non perse tempo a dargli le spalle e correre verso l'ingresso, agitando per aria una mano. «Allora tiferò per te, Myosotis! Buona fortuna... e buono studio!»
Senza accorgersi di aver schivato per miracolo almeno un paio di impatti con diversi mobili mentre era concentrata a salutarlo, l'apprendista memoriale sparì oltre il portone.
Rimasto solo, Victoir si concesse un sorriso sfumato di malizia: «Semmai, buona fortuna a quei poveracci che dovrò prendere a pugni.»
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