CH. 3.2: Le Morrigan e l'Abhartach

«Devo dirlo: ti sei proprio preso il tuo tempo.»

Victoir non pensava che le prime parole che la sua nuova abilità avrebbe interpretato sarebbero state tanto aspre, ma proprio per questo suonarono come un bentornato nella sua ostile quotidianità.

«Cominciavo a chiedermi se dovessi costringerti... stai bene?»

Il cacciatore scosse la testa, sbattendo poi il bicchiere sul tavolo e allontanandolo come se avesse contenuto residui di una sostanza acida. «È la cosa più disgustosa che abbia mai bevuto...» si coprì la bocca, mentre la mandibola si serrava e il naso si copriva di pieghe.

La donna alzò gli occhi al soffitto, riempiendosi il petto con un lungo respiro. «Anche schizzinoso... voi abhartach non cambiate mai, sarà perché vi ostinate a vivere per sempre?»

«Devo dedurre che abhartach significa vampiro?» non appena la nausea scemò dal suo esofago, Victoir scoccò un'occhiata gelida alla donna. «Oppure è il tuo filtro a non funzionare come dovrebbe, strega?»

«Morrigan, non strega. E il mio filtro, come lo chiami tu, funziona con le parole con un corrispettivo esatto. Sei tu a non avere piena cognizione di cosa significhi essere un abhartach, caro.»

Con un moto di fastidio più simile a un prurito, Victoir coprì i due piccoli punti rossi sul proprio polso e fece sparire la mano nella tasca del pantalone.

Riducendo gli occhi a schegge di ghiaccio, studiò la donna in cerca di qualunque indizio sul suo stato d'animo; a restituirgli lo sguardo fu però lo specchio della sua stessa apatia, resa ancor più sinistra dalle condizioni anomale di quel volto mezzo fiorito. Non avere alcun segnale che lo aiutasse a decifrare la situazione era un problema nel problema.

«Smettila di chiamarmi in quel modo. Il mio nome è Victoir Evans e sono un cacciatore della Black Court. Non ho cattive intenzioni, sono finito qui dentro per sbaglio.»

«Victoir Evans...» ripeté lei, sforzandosi per replicare ogni sillaba di quel suono a lei alieno. «Io sono Belladonna, giudice dei segreti e memoriale delle tradizioni e dello scibile del Sidh. In altre parole, la Morrigan.»

Victoir incassò le spalle e incalzò, accompagnandosi con un cenno della testa: «Come facevi a sapere che sarei arrivato? Non c'è anima viva in giro, mi hai attirato cantando e avevi pure pronte da rifilarmi una lettera in inglese e la... pozione traduttore istantaneo

«Quello che hai bevuto è ciò che usiamo per comunicare con la Black Court: una semplice mistura a base icore, la sostanza alla base della nostra società. L'intero Sidh è irrorato di icore, e allo stesso modo lo siamo noi.»

Qualunque argomentazione stesse per prorompere dalle labbra del cacciatore, finì per suonare come un singulto strozzato. Ridotto al silenzio, Victoir ebbe bisogno di un momento per ricalibrare i propri pensieri.

«Mi stai dicendo che ho appena bevuto una specie di... linfa, o il sangue di qualcuno? Il tuo?»

Adocchiò i residui di liquido sul fondo del bicchiere, risalendo poi il profilo della Morrigan. Adesso era estremamente facile leggere nell'immobilità delle sue sopracciglia una tacita conferma.

«Il mondo intero si basa su un unico principio, Victoir Evans, che tu viva tra i cieli o sul fondo del mare: la magia ha sempre un prezzo.»

Belladonna aggirò il tavolo. Le sue non erano le movenze melliflue che si sarebbero attribuite a una femme fatale. Meticoloso nell'osservare gli altri, il mezzo vampiro notò subito una certa febbrilità nell'andatura, della tensione nelle spalle e, più di ogni altra cosa, il tipico atteggiamento di chi freme per giungere a un determinato punto della conversazione.

«Sapevo che, durante il ventesimo ribaltamento della clessidra di oggi, un abhartach e un pathos sarebbero entrati illegalmente nel Sidh. E lo sapevo perché, come Morrigan, l'avevo previsto.»

Belladonna stese un braccio verso una delle poltrone, invitandolo a prendere posto.

Mentre si accomodava, Victoir non poté fare a meno di guardarla con occhi diversi: non poteva essere la svitata del Sidh, ma più una sorta di veggente. Una figura probabilmente importante nel tessuto sociale dei fear sidhe, capace di prevedere un evento straordinario con impressionante precisione. Proprio come lo era stata sua nonna paterna.

«Quindi sai già tutto.» il mezzo vampiro piantò il gomito sul bracciolo, facendo sparire le labbra sotto la mano con cui si cinse il mento. «Anche che c'è stata una vittima?»

Per la prima volta la maschera di Belladonna fu solcata da crepe, tra le quali Victoir riconobbe un dolore trattenuto con solenne dignità. Sì, lo sapeva.

La fear sidhe annuì: «Sì. Da ancor prima che diventasse il mio sposo.»

Victoir trattenne il fiato, preda di uno smarrimento dal retrogusto di mortificazione. Il silenzio del Sidh tornò a essere troppo pesante da sostenere con le sue miserabili spalle di diciannovenne. Ora che sapeva di trovarsi al cospetto di una vedova, nonostante tutto decorosa e padrona di sé, fu punto da una sottile vergogna per essersi illuso che la magia potesse porre rimedio a qualcosa di definitivo come la morte.

«... mi dispiace.» mormorò, umettandosi le labbra.

Belladonna si sedette all'altro capo della scrivania. «Dal tuo volto non si direbbe.»

«Mi dispiace davvero.» rimarcò lui con veemenza. «Si trova in una galleria precedente a una grotta. Non credo sia distante, posso portarti da lui.»

Preferì risparmiare alla vedova i dettagli sullo stato del corpo e ciò che aveva subìto al Corbin Freak Show, ma c'era una cosa su cui non voleva assolutamente soprassedere.

Si raddrizzò contro lo schienale. «Gli devo la vita. Permettimi di ripagare il mio debito, Morrigan.»

Non sarebbe scappato dai debiti, anche se significava prolungare la sua permanenza in quel luogo buio. Ci avrebbe pensato più avanti a farsi perdonare dai suoi cari.

Belladonna soppesò in silenzio la sua proposta. La luce che dall'esterno scivolava nello studio immergeva la sua intera figura in una penombra che persino i suoi sensi vampirici faticavano a fendere. Malgrado ciò, Victoir riconobbe senza difficoltà il sentimento che induriva i suoi lineamenti raffinati: era diffidenza, ci faceva i conti tutti i giorni.

«Abhartach, il mio Jasminium era l'ultimo dei guardiani delle porte del Sidh. Era uscito dalla nostra giurisdizione per chiedere aiuto alla Black Court, ma, qualunque cosa sia accaduta, deduco che non ce l'abbia fatta...» la fear sidhe inclinò il corpo in avanti, le lunghe maniche del kimono si riversarono sulla scrivania come spuma. «Io però so aprire le porte. Me l'ha insegnato lui, anticipando il peggiore degli scenari. Le aprirò per te, consentendoti di tornare a casa... ma in cambio dovrai aiutarmi a risolvere la crisi che ha spinto Jasminium a salire nel mondo di sopra.»

«Ti ascolto.»

«Oltre sei generazioni di Morrigan prima di me l'hanno predetto... il Rocabarraigh, l'araldo della fine del Sidh e di tutti i fear sidhe.»

Rocabarraigh. Victoir non avrebbe saputo scandirlo con precisione, ma ciascuna di quelle sillabe gli rimbombò dentro come percussioni. Aveva il suono dei tamburi di guerra, di quelle cose inevitabili che ci si sforza di ignorare per vivere più serenamente.

«In poche parole, il Rocabarraigh è la nostra apocalisse. È anticipata da tre presagi, di cui il primo si è già verificato, strappandoci una delle arche e trascinandola negli abissi con tutti i suoi abitanti...»

La voce della veggente si incrinò, vicina a spezzarsi com'era stata dopo aver appurato la fine del suo amato.

Entrambi ruppero il contatto visivo, dirottando lo sguardo lei sulla scrivania e lui sull'acquerello di sfumature di azzurro e oro oltre le pareti in vetro. Pensare che tanta magnificenza avesse le ore contate era impressionante; persino lui, che con quel popolo di eremiti non aveva niente da spartire, ebbe la pelle d'oca.

Scrollò le spalle e con esse quella sgradevole sensazione di dosso.

«Belladonna... non pensare che mi stia tirando indietro, ma è risaputo che la divinazione è una disciplina assoluta.»

«E questo dovrebbe impedirmi di spendere ogni respiro che mi resta combattendo per la mia gente?» il tono calmo di Belladonna si sporcò d'irritazione. «So che è assurdo o, peggio, paradossale, ma io non mi arrenderò a una storia già scritta. Il futuro mi ha già portato via metà del mio cuore, se l'altra metà batte ancora è solo per queste arche e quelli che le abitano. Niente mi impedirà di proteggerli, anche a costo di lottare coi miei stessi poteri.»

«Quindi anche tu l'hai visto... il Rocabarraigh.»

«È stato il secondo presagio: il tradimento dell'icore.» con le lunghe dita appena tremanti, Belladonna sfiorò il fiore che sbocciava dal suo cranio. «Quando ho capito che il tempo era giunto, ho tentato di spingere la mia chiaroveggenza dove nessuna Morrigan è mai arrivata. Ne ho ricavato informazioni preziose, ma il prezzo da pagare è stato tempo in meno per il Sidh. E la mia vita, in un certo senso. Questo icore è tutto ciò che impedisce al mio corpo di collassare.»

Victoir studiò la composizione di petali e radici: quindi non era una sua supposizione, le era davvero scoppiata una parte del corpo.

Belladonna era fuori dal tempo, cristallizzata nell'atto di morire come ogni vampiro. E proprio come ogni vampiro, a tenerla in vita era la magia contenuta in una derivazione del sangue, l'icore. Un crudele scherzo del destino per una creatura liberatasi della dipendenza dal sangue.

«Gli altri sanno?»

«Mormorano. I segni del Rocabarraigh sono sotto gli occhi di tutti, ma hanno troppa paura per parlarne. Il Sidh è immerso in uno stato di euforia isterica, come se tutti avessero fretta di vivere.»

«Allora perché non scappate?»

«Perché avremmo le ore contate.» la Morrigan si interruppe, le sue labbra versarono un sospiro. «Ci abbiamo provato, ma l'icore che ci scorre nelle vene si spegne in appena un ciclo lunare. Siamo fragili come le conchiglie, inadatti alla vita in superficie.»

«Quindi non c'è altra soluzione... dovete restare qui, nella vostra gabbia dorata.»

«Nella nostra casa.» lo corresse lei, non nascondendo una punta di sdegno. «Manca solo un presagio, quello che darà ufficialmente inizio al Rocabarraigh: l'avvelenamento del sangue.»

Victoir strinse i pugni. «Lui... è un pathos del sangue.»

Si scambiarono uno sguardo intinto nello stesso veleno.

«Le precedenti Morrigan hanno predetto che il Rocabarraigh giungerà quando uno straniero romperà il cuore del Sidh. Il mio terzo occhio si è però spinto oltre questo... scoprendo qualcosa che non avrei mai creduto possibile.»

La ghigliottina del silenzio calò sul discorso, sigillando le labbra di Belladonna. Con un movimento rigido diede le spalle al mezzo vampiro e vagò con lo sguardo sulla città oltre i vetri.

«Ad avvelenare il sangue e causare il Rocabarraigh non sarà uno straniero, il vostro arrivo era solo una piccola parte degli eventi... sarà una di noi, una fear sidhe.»

Una fear sidhe causa dell'annientamento della sua stessa gente? Victoir arricciò le labbra, per nulla convinto: «Non ha senso. Perché una di voi dovrebbe desiderare la vostra estinzione?»

«Infatti non la desidera, anzi è schierata in prima fila con me per salvarci. Il suo nome è Helianthinae ed è la mia apprendista, colei che mi succederà al ruolo di memoriale.»

«Come causerà il Rocabarraigh? Hai parlato di... spezzare il cuore del Sidh?»

«Purtroppo, neanch'io so bene cosa significhi. Il Sidh è come un grande meccanismo e ciascuno di noi è un ingranaggio che lo compone. Immagino che un cacciatore della Black Court sappia cosa succede quando un ingranaggio si inceppa.»

Il sistema diventa difettoso e, alla lunga, collassa. Proprio come aveva sospettato udendo gli scricchiolii all'ingresso della città.

«Helianthinae è il nostro ingranaggio inceppato.» concluse Belladonna, la voce ridotta a un filo.

Incapace di restare seduto un secondo di più, Victoir si alzò e aggirò la scrivania, fermandosi accanto alla Morrigan.

«Quindi mi stai ordinando di ucciderla?»

Belladonna si coprì il volto con una mano, celando il dolore che le frantumava la voce. «Amo quella ragazza come una figlia, l'ho cresciuta da quando è emersa dalle acque di Seòmar-glainne nonostante fosse stata assegnata a un'altra famiglia. Prenderei volentieri il suo posto, se mi fosse concesso. E invece... invece sto commissionando a uno straniero, lo stesso che ha visto morire il mio amore, l'assassinio di mia figlia. I fear sidhe sono gli architetti dell'ars magica, il futuro di tutto l'Overworld dipende da noi. Ma il Rocabarraigh è qualcosa che neanche noi possiamo battere.»

Il rimorso tracciò una lunga ruga al centro della fronte della fear sidhe. Rispettoso del suo tormento, il cacciatore smise di cercare il suo sguardo e guardò giù, verso gli edifici abbracciati da una culla di ferro. Piccole silhouette dai colori vividi sciamavano tra i chiaroscuri blu e grigi: così pochi, così ignari...

«Se sei davvero così determinata a salvare il Sidh, perché non l'hai già uccisa tu?»

Di tutte le risposte che riusciva a immaginare, quella che accompagnò il contatto tra i loro sguardi riflessi sul vetro era l'unica che Victoir non avrebbe mai pensato.

«Perché i fear sidhe non possono uccidersi tra loro, né affermare ciò che pensano sia falso. È insito nella nostra natura.»

Il mezzo vampiro arcuò un sopracciglio, scettico. «Come faccio a crederti?»

Gli occhi di Belladonna si fecero affilati come lame, chiaramente risentiti. Non doveva essere abituata a incontrare la resistenza altrui quando apriva bocca.

«La verità è che ti sto ingannand─»

L'improbabile confessione fu interrotta da un chiarore che, intermittente, si riversò dal fiore piantato nel suo cranio. La tensione sul volto della Morrigan esplose in una sofferenza lancinante, che le strappò un lamento gutturale e scemò solo dopo lunghi secondi di profondi respiri, lasciandola a corto di fiato.

Victoir stese un braccio verso di lei, pronto a sorreggerla qualora le gambe avessero ceduto, ma con un cenno di diniego Belladonna raddrizzò la schiena e raccolse una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«Dicevo... i fear sidhe non possono uccidersi tra loro né mentire.» la Morrigan tornò a fissarlo. «Ma tu puoi fare entrambe le cose.»

Mentire e uccidere, azioni tanto radicate nell'uomo da far sembrare una bugia l'impossibilità di compierle. Quale fosse il meccanismo che rendeva il Sidh una macchina tanto perfetta, però, non era importante, ciò che contava era che il sacrificio di uno ne avrebbe salvati innumerevoli, una necessità con cui Victoir aveva già dovuto fare i conti in passato. Dopotutto, il suo lavoro era anche questo: uccidere.

Il coltellino svizzero di Lorraine, come un reliquiario, premeva contro la sua coscia.

«Belladonna, dimmi cosa devo fare.»

Nessuna espressione tronfia o vagamente compiaciuta fece capolino sul volto della Morrigan, dando così un'ulteriore prova della sua buona fede di cui Victoir sentiva il bisogno. Per portare a termine quella missione avrebbe dovuto spogliarsi del suo ruolo di spada della legge e diventare uno sporco assassino, non poteva dare per buona qualunque cosa gli venisse detta.

Allungando una mano verso la poltrona che aveva occupato poco prima, Belladonna tornò al suo posto. Victoir si sedette mentre la fear sidhe intrecciava le dita in grembo.

«Il Rocabarraigh potrebbe accadere in qualunque momento, perciò è essenziale muoverci in fretta. Arrivare a Helianthinae non sarà semplice, soprattutto in questo periodo. Ha già completato la sua formazione e ora vive nel Castello, tra gli Immacolati.»

«Immacolati?»

«La nostra società è stratificata in base alla purezza del nostro icore: gli Sporchi abitano sulle arche minori, i Puri sulla madre e gli Immacolati nel Castello, la zona più alta della madre. Le Morrigan sono tutte Immacolate.»

Quindi certe cose non cambiavano neanche nei regni utopici sott'acqua, pensò Victoir sollevando le sopracciglia. «Allora perché non vivi anche tu nel Castello?»

«Amo la mia gente, ma anche la mia solitudine.»

Il cacciatore soffocò una risata: condivisibile.

«Anche quando mi fa visita, Helianthinae non è mai da sola. In questo momento si sta preparando per il Glanadh an spioraid, il pellegrinaggio annuale attraverso le arche, sarà la sua ultima prova prima di diventare la nuova Morrigan.»

«Pensi che le sue stanze siano fuori portata anche per me?»

«Non lo penso, lo so. La soluzione più conveniente è infiltrarti tra noi.»

Qualcosa non tornava.

«Ma così non perderei tempo?»

«Stai dimenticando qualcosa.»

Belladonna non ebbe bisogno di aggiungere altro, Victoir lesse la risposta nelle ombre nette che le contornavano il volto.

«Il pathos...»

Se n'era quasi dimenticato, preso dai discorsi sull'apocalisse incombente. L'assassino di Jasminium era ancora a piede libero, probabilmente pronto a qualunque cosa pur di riprendere il loro duello da dove si erano interrotti. Non potevano permettere che a pagarne le spese fossero gli innocenti fear sidhe.

Belladonna annuì, come se gli avesse letto nel pensiero. «Se Helianthinae morisse per prima, il Sidh sprofonderebbe ancor più nel caos. Neanche i più potenti dei Fianna, i nostri guerrieri, possono fermare quel mostro... ma tu sì, e un fear sidhe tanto valoroso avrebbe sicuramente più chance di avvicinarsi a una persona importante come lei. Non ci resta che pregare la Madre perché il Sidh resista, fino ad allora... sii sempre pronto al peggio.»

«Prima il pathos, poi la fear sidhe, d'accordo. Cosa resta?»

Le labbra carnose della Morrigan si allungarono in un sorriso sornione: «Tu.»

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