CH. 2.1: Sole di mezzanotte
Lorraine picchiettava nervosamente l'unghia dell'indice contro il disco dell'auricolare, scandendo il tempo di quell'interminabile notte di attese e brividi.
I muscoli del suo collo tiravano a ogni movimento, rigidi quanto le lamine che componevano il corpo ferroso di Ikaros che, di tanto in tanto, sfiorava con carezze e sguardi inteneriti. Non le importava che fosse un'insignificante macchina creata con l'unico scopo di manifestare il bisogno di libertà del suo inventore: Lorraine si sentiva affine a quell'esserino fatto per volare, ma costretto a servire. E la cosa non riguardava solo lei, bensì anche i due colleghi in quel momento sperduti nel temporale che spazzava il quartiere di Camden.
Lorraine non possedeva abilità particolari: non aveva prodigiose visioni del passato come Alaric, né si sarebbe mai sognata di competere con Victoir in qualunque attività richiedesse prestanza fisica. Era una normale umana di diciannove anni con quel pizzico di carica virale necessaria a vedere l'Overworld, perciò non le restava che impegnarsi e dare sempre il massimo.
Là dove tutti tracciavano una netta distinzione tra il mondo degli uomini e l'Overworld, lei vedeva un confine labile: non importava quali strade percorresse, se quelle sudicie di Londra o quelle sospese tra le nuvole della Black Court, essere nata umana e donna restava sempre il suo più grande ostacolo.
Doveva essere forte, basta strafalcioni. Il ricordo della sfuriata ingiustamente subita da Victoir ad Alcor East le imporporava ancora le guance di vergogna e pentimento. Dopo quell'imbarazzante episodio, Lorraine si era fatta una promessa: avrebbe mantenuto gli occhi fissi sul presente, senza lasciarsi più influenzare dal passato. Anche se i brividi le intorpidivano le spalle e la paura di sbagliare la tormentava... anche se le mani tremavano sotto le maniche del soprabito e la mente indugiava in pensieri fatalisti, sarebbe stata una roccia per Victoir e Alaric.
Tornò a picchiettare l'auricolare, reprimendo l'istinto di mangiarsi le unghie. «Alaric, mi ricevi?»
«Forte e chiaro, caposquadra.»
Lorraine virò con sguardo meravigliato verso destra, incontrando le iridi smeraldine e il sorriso rincuorante del biondo che emergeva dal buio delle scale. L'ala di farfalla dell'auricolare spiccava a stento tra i capelli increspati dall'umidità, oro su altro oro.
Alaric Langdon era riconoscibile non solo dalla mimica facciale vivace e variegata ─ un'autentica cornucopia di espressioni, opposta al mare piatto di Victoir ─, ma anche dai movimenti disinvolti e dall'atteggiamento sicuro. Se non lo avesse conosciuto, Lorraine l'avrebbe descritto come un principe azzurro vestito di piume di pavone.
«Stai bene...» sospirò la caposquadra, correndo con una mano a frenare le palpitazioni del cuore.
Il sorriso di Alaric si allungò da un lato solo. «Non dirmi che eri preoccupata per me. Gli energumeni sono il mio pane quotidiano, lo sai.»
Probabilmente si riferiva non solo al suo precedente gruppo, ma anche al grande assente.
Lorraine si concesse un risolino e una stoccata amichevole. «Ti ricordo che pur essendo più giovane, basso ed esile di te, Victoir ti ha rivoltato come un calzino quando ci siamo conosciuti, sir vigilante.»
«Non... non ero al massimo della forma, quel giorno.» la rimbrottò Alaric, non più una traccia di baldanza in viso, scrollando le spalle come a discolparsi.
Quei botta e risposta erano sempre una panacea per i nervi della giovane londinese. Victoir e Alaric erano le sole persone con cui aveva raggiunto un tale grado di confidenza da potersi smascherare senza paura delle conseguenze: erano il suo porto sicuro, la sua zona di comfort, la sua casa calda.
Col petto più leggero e una strana voglia di sorridere che si faceva largo sulle sue labbra, Lorraine fece spazio all'amico lungo la balaustra condivisa col mezzo vampiro. Avere accanto Alaric era come riposarsi ai piedi di una montagna, al sicuro anche dalla più improvvisa delle raffiche di vento. Peccato che fosse tutta suggestione, come evidenziato dalle gocce di pioggia che di tanto in tanto le lambivano la schiena.
In lontananza, la tempesta infiammava i cieli.
Lorraine raccolse i capelli tra le mani e li adagiò sul seno, mettendo poi a bada dietro le orecchie le ultime ciocche sospinte dalla corrente. Amava i temporali: il modo in cui i fulmini ridisegnavano la geografia del cielo, la violenza dirompente dei tuoni, l'energia che impregnava l'aria, il profumo delle piante sollevato dalla pioggia.
Qualcuno però sembrava dissentire con la sua opinione.
Fermo al suo fianco, infatti, Alaric scattava ogni volta che un fulmine colpiva terra allo stesso modo di un gatto spaurito.
«Tutto bene?» chiese con discrezione lei, sfiorandogli un braccio.
La montagna d'un tratto non più indistruttibile fece del suo meglio per sorridere. «È solo che detesto i temporali... magari un giorno ti racconterò.» poggiò brevemente la mano su quella di Lorraine, in un tacito ringraziamento. «Parliamo d'altro, per favore.»
La caposquadra non si fece pregare, e aggrappandosi al primo spunto che le venne in mente sovrastò il palpitare della tempesta con la voce acuta. «Davvero hai spennato il mangiafuoco a poker?»
«Ti pare? Sono un gentiluomo!» gli occhi di Alaric tornarono a brillare, sereni come se le ombre che gli contornavano il volto non li avessero incupiti fino a un attimo prima. Dopo un breve silenzio, aggiunse con un sorriso sghembo: «Quindi gli ho lasciato le mutande.»
Neanche i tuoni riuscirono a coprire le loro risate che si intrecciavano.
Decisamente più rilassata di prima, Lorraine tornò a saggiare coi polpastrelli il piumaggio finto di Ikaros. «Victoir sta scortando il fear sidhe a Regent's park. Pare che sia in condizioni troppo critiche per essere portato alla Black Court, il Sidh è la soluzione migliore.»
«E a Regent's park c'è una conveniente entrata per il regno dei misantropi?»
«C'è un lago. Alcuni fear sidhe possono entrare e uscire dal Sidh usando gli specchi d'acqua, è così che commerciano con la Black Court... non chiedermi i dettagli, è roba top secret che neanch'io conosco.» la ragazza si staccò dal muro che le aveva fatto da alcova e si rivolse con tutto il corpo verso la città, affondando le unghie mangiucchiate nella pietra porosa. «È passato un po' dall'ultima volta che Victoir si è fatto sentire...»
Alaric la imitò, appollaiandosi accanto a lei.
Nonostante si sforzasse di tenere lo sguardo fisso davanti a sé, conscia di essere indagabile come un libro aperto per il medium anche senza bisogno dei suoi poteri, Lorraine non riuscì a sfuggire al piglio indagatore dei suoi occhi.
«Va tutto bene? Non è da te essere così ansiosa.»
Déjà vu. Lo sbuffo di una risata riverberò in fondo alla sua gola: non importava quanto ci provasse, non riusciva a nascondere proprio niente a quei due.
«Solo... solo un brutto presentimento, niente di importante.» ribatté frettolosamente, minimizzando l'inestinguibile agitazione che aveva messo radici nel suo stomaco. «Piuttosto, Alaric, posso farti una domanda?»
«Hm?»
«Ho notato che da un po' tendi a chiamarmi caposquadra o con altri soprannomi, quasi mai col mio nome. C'è un motivo o ti senti solo ispirato?»
Se la tensione avesse avuto un volto, sarebbe stato quello di Alaric nel momento in cui la sua voce si innalzò sancendo l'interrogativo. Tra loro non rimase che silenzio, una penuria di parole che Lorraine aveva stabilito a cuor leggero, con autentica curiosità e nessuna malizia, ma di cui si pentì quando il collega deviò lo sguardo verso il soffitto inverdito di muffa con la stessa evasività di un monello beccato a rubare dalla dispensa.
La ragazza alzò le sopracciglia fino a sentirle sparire sotto le punte della frangetta: sapeva di aver sbagliato qualcosa, ma non capiva cosa. Era dunque giunto il momento in cui si sarebbe trasformata in Victoir? Chi va con l'apatico impara ad apaticare?
«Beh, Lorraine è un bel nome. Va usato con riguardo per non sciuparlo.» l'indice destro di Alaric disegnò dei cerchi per aria senza alcuna ragione apparente, immobilizzandosi solo al prorompere di un sospiro che, attraverso le sue labbra, si trasformò in condensa. «... è l'accento, okay? È già abbastanza imbarazzante non saper dire correttamente il nome di Victoir.»
«Oh─» si lasciò sfuggire la caposquadra, strabuzzando gli occhi.
E dire che non aveva mai notato niente di strano nella sua pronuncia. Doveva sforzarsi davvero tanto per nascondere così bene la sua parlata scozzese, il caro Alaric.
Gli indirizzò il più radioso dei sorrisi di cui era capace. «Non preoccuparti, stai facendo un ottimo lavoro! E poi, solo Victoir sa pronunciare bene il suo nome. Anch'io ci ho rinunciato, il francese non fa proprio per─»
«Lorraine, siamo arrivati.»
La voce atona di Victoir illuminò il volto di entrambi come un faro nella notte. Ogni comunicazione, anche la più spicciola, allontanava il senso di oppressione che le comprimeva il petto. Incoraggiata da un cenno di Alaric, la ragazza recuperò il suo cipiglio professionale e chiuse una mano a mo' di scudo attorno all'auricolare.
«Ottimo, aiutalo a tornare a casa e potremo fare lo stesso. Sto già pensando a come riorganizzarci per salvare anche il rerum...»
E ci pensò davvero, per ciascuno dei successivi venti minuti più lunghi di quella notte. Abituata a lavorare su due o più compiti alla volta, Lorraine tripartì la sua attenzione tra gli occasionali botta e risposta col cacciatore, diverse possibili strategie per salvare il rerum ancora tra le grinfie del Corbin Freak Show e i pacati tentativi di Alaric di ravvivare la conversazione.
«Non sarò un chiaroveggente, ma mi sembra che stia andando bene.» disse a un certo punto il biondo, abbastanza impigrito dall'interminabile attesa da stendere le braccia sopra la testa e sgranchirsi le ossa, almeno finché un borbottio ridondante dal cielo non lo appallottolò su sé stesso come carta.
Ci aveva ripensato, sul fare da parafulmine; la battuta solleticò il palato di Lorraine, ma la ragazza la lasciò morire per non fare la figura dell'indelicata.
«Come volevasi dimostrare, era solo uno sciocco presentimento.» convenne, pronta a imbarcarsi in un curioso dibattito con Victoir sull'impiego dei suoni nell'analisi del territorio.
La reputava davvero un'idea brillante, degna della persona acuta che Victoir non ammetteva di essere. Probabilmente i cervelloni del reparto sviluppo e ricerca avevano già qualcosa del genere sulla lista delle cose da fare, ma avrebbe comunque tentato di mettere loro la pulce nell'orecchio.
«Victoir, tutto bene?»
La ragazza picchiettò nervosamente l'indice sull'auricolare preda dell'ennesima interferenza: quella roba si stava rivelando tanto essenziale quanto soggetta a malfunzionamenti, davvero esasperante.
«... sì. Non sono proprio tagliato─»
A essere tagliate furono però le parole del mezzo vampiro, distorte fino all'incomprensibile da un picco di rumore bianco che perforò i timpani della caposquadra e del medium. Alaric si liberò di quella ferraglia lamentosa e prese a massaggiarsi l'orecchio dolorante, almeno tre bestemmie colorite scritte in faccia trattenute solo per una questione di decoro.
Col sorriso tirato di chi viaggia sulla stessa barca, Lorraine tornò a scrutare il panorama, impreparata a scorgere qualcosa di tanto straordinario da trasformarle il respiro in un singulto strozzato. La cosa per cui Victoir non si riteneva tagliato doveva certamente avere a che fare col cono azzurro che, un miglio a nord, sfolgorava nell'oscurità come un sole di mezzanotte fuori stagione, facendosi beffe dello statuto di segretezza che rendeva l'Overworld un mondo in teoria segreto.
«Almeno ora sappiamo che sono riusciti ad aprire la via per il Sidh...» sospirò la ragazza, prevedendo già la prima gloriosa nota disciplinare sul suo curriculum immacolato. «Questo non piacerà affatto al giudice Fitzgerald...»
Alaric, al contrario, sembrava piuttosto esaltato dall'imprevisto. «Non vedo l'ora di raccontarglielo.» rise, dimentico della paura e del temporale.
Ma quella parentesi di stupore fanciullesco ebbe vita assai breve, soppiantata dalla voce imperiosa di Victoir che affondò nel timpano di Lorraine con parole foriere di una verità agghiacciante.
«Porta il tuo culo dove posso prenderlo a calci, codardo!» tuonò il cacciatore, la comunicazione ironicamente cristallina come mai.
Forse non avrebbe dovuto mettere una pietra sopra il suo brutto presentimento così in fretta.
«Victoir?»
Una mano invisibile sfondò il costato di Lorraine e le strinse il cuore, strappandole il respiro. Le raffiche di vento che le aggrovigliavano i capelli e frustavano il viso, il borbottio stentoreo della burrasca e persino Ikaros, i cui bruschi scatti della testa puntavano sempre verso il turbine cobalto di magia e acqua, niente di tutto ciò sembrava avere più presa sui suoi sensi. L'ansia tornò ad artigliarle la schiena, mentre ogni suono proveniente dall'auricolare suggeriva la presenza di un unico nemico, ostico persino per una creatura nata per combattere.
«Victoir!» esclamò di nuovo, incapace di domare il panico. «Tienilo lontano dal fear sidhe e resisti! Alaric è con me, stiamo arrivando!»
Non sapeva neanche di chi stesse parlando, ma lo avrebbero scoperto. Regent's park distava circa un quarto d'ora, correndo potevano dimezzare il tempo. Si scambiò uno sguardo d'intesa con Alaric e passò una mano sotto il corpicino di Ikaros, sollevandolo a mezz'aria: «Portaci dal tuo padrone!»
Le ali della creatura meccanica si aprirono, vibrando tanto velocemente da sfuggire alla vista.
La caposquadra e il medium si precipitarono verso le scale alla stessa velocità con cui Ikaros si lanciò in picchiata sulla strada. Ad aspettarli solo la notte desolata, la furia del cielo e la paura di un passato che sembrava in procinto di ripetersi: un nemico temibile anche per un mezzo vampiro, un innocente in pericolo, Victoir da solo.
Lorraine digrignò i denti e artigliò le pieghe della gonna per sollevarla: non ci sarebbe stata una maledetta seconda Alcor East.
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