CH. 1.3: Il liminale

Victoir aveva sempre preferito lavorare da solo: poteva concentrarsi al cento percento sul bersaglio senza preoccuparsi di dover proteggere qualcuno, seguire alla lettera il protocollo o usare unicamente mezzi leciti anche quando complicavano le cose. Lorraine, poi, era così integerrima da non chiudere quasi mai un occhio sui suoi metodi alquanto ortodossi.

Victoir sapeva di essere una persona terribilmente rude, ma se tra lui e l'obiettivo c'era un cancello con un lucchetto, allora lui avrebbe schiacciato quel lucchetto con un pugno.

Il fracasso di ferri piegati fu come l'incontro tra due piatti in un'orchestra sinfonica, un breve scoppio in un concerto di tuoni rombanti, pioggia scrosciante e penetranti fischi del vento. Mentre il mezzo vampiro si massaggiava la spalla indolenzita per recuperare sensibilità, il fear sidhe sobbalzò sul posto e lo fissò con occhi sgranati, probabilmente chiedendosi che razza di mostro fosse il suo salvatore.

Nei paraggi non si accese alcuna luce, e anche in caso contrario il cacciatore avrebbe voluto vedere con che faccia un ipotetico testimone sarebbe andato a strepitare in faccia alle autorità di aver visto un ragazzo scassare il cancello di Regent's park con un unico pugno.

Dopo aver sfilato dalle sbarre la catena e aperto la ormai sbilenca struttura, Victoir si fece da parte e stese il braccio, già quasi del tutto sano, per invitare il liminale a entrare. «Al diavolo i grimaldelli, la violenza apre tutte le porte più velocemente. Prego, dopo di te.»

Benché incerto, il fear sidhe disse qualcosa nella sua strana lingua e, accartocciato con le spalle curve sotto la coperta, seguì gli ordini.

Percorsero a passo sostenuto la Chester Road fino all'Inner Circle, costeggiando interminabili prati di alberi esotici che nella notte burrascosa sembravano giganti in preda a spasmi continui. Ogni raffica di vento rischiava di spazzare via il liminale, davanti al quale Victoir dovette posizionarsi per schermarlo come una montagna con un paese costruito a valle. Imperturbato nonostante la densa oscurità, l'altro dardeggiava con lo sguardo sulle attrazioni del parco con una disarmante innocenza dipinta sul volto denutrito. Doveva fare un certo effetto realizzare che le creature che l'avevano trattato come un subumano erano capaci di opere di straordinaria meraviglia.

Ora che il ritmo incalzante della pioggia cominciava a rallentare, l'obiettivo appariva distinguibile a una distanza incoraggiante. I lampioni dell'Outer Circle riflettevano la loro luce come globi dai contorni indefiniti sullo specchio d'acqua, verso il quale il fear sidhe si mise a correre con la coperta che si sollevava dai suoi arti rinsecchiti e tremolanti. Il suo viso, sul quale Victoir ebbe uno scorcio mentre gli passava zoppicante accanto, era contratto nell'espressione di sofferente estasi del pellegrino che torna a casa dopo un lungo viaggio.

Qualunque fosse il motivo che l'aveva condotto fuori dal Sidh, doveva essersene pentito in ogni giorno della sua permanenza nel mondo di sotto.

Senza perdere di vista il suo protetto d'improvviso iperattivo, il mezzo vampiro tornò a picchiettare con impazienza l'auricolare. «Lorraine, siamo arrivati.»

Quando, dopo alcuni secondi, Lorraine rispose, la sua voce suonò finalmente limpida, senza residui di gracchi sinistri. «Ottimo, aiutalo a tornare a casa e potremo fare lo stesso. Sto già pensando a come riorganizzarci per salvare anche il rerum...»

Victoir alzò gli occhi al cielo, rimpiangendolo quando una goccia gli piovve dritta tra le ciglia. «Ho preso così tanta acqua che se domani non mi sveglio con un febbrone da cavallo è un miracolo...»

«Sei un mezzo vampiro, Victoir.»

«E che vuol dire? Mi posso ammalare anche io... talvolta, di rado. Okay, quasi mai. Comunque, questa stregoneria tecnologica funziona davvero bene, comunicare con la gente standone mille chilometri alla larga aggrada la mia misantropia.»

«Non abituartici.» lo ammonì Lorraine. «Sai che lo stiamo solo testando? Siamo tra i primi, gioisci.»

Victoir fischiò per esprimere il suo ben poco stupore. «Quindi, oltre a essere l'ultima ruota del carro, ora siamo anche delle cavie? Amo questo lavoro.»

Avere un'invenzione non ancora brevettata a pochi centimetri dal cervello, d'un tratto, non sembrava più tanto divertente. La conversazione si esaurì lì, col sopraggiungere al lago del cacciatore dal volto contratto dallo scetticismo e del fear sidhe euforico, che si piegò sulle ginocchia per osservare da vicino il lago come per testare la qualità dell'acqua.

Victoir ne seguì i movimenti con poco interesse, già proiettato col pensiero al torpore del camino davanti cui si sarebbe addormentato. Ma mentre affondava le mani congelate nelle tasche, pronto ad assistere a qualche magia incomprensibile, nello spartito del temporale che ormai conosceva a menadito si aggiunse una chiave nuova: il breve, quasi inudibile, tonfo di qualcosa che infrangeva la superficie di una pozzanghera.

Il cacciatore ruotò di scatto con tutto il corpo, la mano sinistra già sull'impugnatura della baionetta, ma ciò che vide nel buio impietoso furono solo le sagome agonizzanti degli alberi in balìa del vento. Niente di inconsueto, tantomeno allarmante. Eppure, era sicuro al cento percento di aver sentito un rumore, e nessuna razza non-umana rivaleggiava i sensi dei vampiri.

«Sbrigati.» intimò al liminale alle sue spalle, muovendo alcuni passi verso di lui per fargli da scudo umano; era certo che, pur non capendo la sua lingua, sarebbe bastato il tono urgente a far arrivare forte e chiaro il messaggio.

Come ulteriore misura di precauzione imbracciò la baionetta, continuando a pattugliare i paraggi col massimo dell'attenzione. La persistente immobilità del parco era snervante, un puzzle apparentemente perfetto in cui le uniche tessere fuori posto erano loro due e la nebbia che, rischiarata dai lampioni, imbiancava le sagome dei tronchi e sfumava le fronde in una tavolozza di chiaroscuri.

Dopo un minuto passato a fagocitare lo scenario con occhi concentrati, Victoir dovette arrendersi alla dura verità che ogni tanto anche il suo istinto faceva cilecca.

Il liminale cominciò a intonare un canto di cui non capiva mezza parola, ma lui lo ignorò per tornare a dare le spalle alla vegetazione e tamburellare la superficie dell'auricolare. «Nota per il Victoir del futuro: proporre al reparto sviluppo uno strumento che individui le cose nei paraggi.»

Lorraine colse la palla al balzo con una risatina. «Oh, molto interessante, sir Evans. Che tecnologia pensa di adottare?»

«Boh, prova a usare i suoni. I suoni rimbalzano.» Victoir scrollò le spalle. «Seriamente, che vuoi che ne sappia? Sono un cacciatore di teste sotto la pioggia, non uno scienziato in pantofole davanti al camino.»

Conosceva un paio di scienziati che avrebbero avuto da ridire su quella definizione, e almeno un altro paio che in quel momento si trovavano sicuramente in pantofole davanti al camino.

«In effetti l'idea di usare i suoni per analizzare un territorio potrebbe─...»

Qualunque cosa Lorraine aggiunse, Victoir smise di ascoltarla quando una folata di aria gelida gli si riversò addosso con lo stesso movimento di un'onda che si infranga sui frangiflutti. Un'abbagliante luce azzurra rifulse nel suo campo visivo, costringendolo a strizzare le palpebre doloranti per non rimanere abbagliato dallo spettacolo di bagliori vivaci che iniziarono a turbinare sul pelo dell'acqua. Sotto le mani tremanti del fear sidhe, il lago divenne un girotondo di correnti che confluivano in un gorgo iridescente che si inabissava in quello che avrebbe dovuto essere un avvallamento di appena pochi metri, ma che ora cominciava ad assumere per davvero le sembianze di un portale per un altro mondo.

Eccola, la magia incomprensibile che Victoir aspettava e che, come se fosse stata un quinto elemento naturale perfettamente addomesticabile, sollevò le acque mescolandole alla pioggia. Quel che in pochi secondi il cacciatore si ritrovò a fissare fu una ramificazione di luci che si levava dal lago, raccogliendo e riversando tutta l'acqua dei dintorni all'interno di un vero e proprio maelstrom accecante.

«Victoir?» tintinnò la voce graffiante al suo orecchio. «Tutto bene?»

«... sì.» il monosillabo del mezzo vampiro si perse nella tempesta di correnti. «Non sono proprio tagliato per questa roba...»

Victoir aveva visto città costruite su aeronavi solcare i cieli, macchine umanoidi comportarsi come se dotate di volontà, stanze capaci di dissolvere le persone e farle riapparire dall'altra parte dell'oceano. Aveva testimoniato la fenomenale capacità di Alaric di vivere sulla propria pelle il passato di ciò che toccava, subìto in prima persona la divorazione delle emozioni dei morrwen e combattuto esseri umani trasformati in bestie selvagge. Lui stesso aveva ereditato i geni liminali di sua madre nascendo per metà vampiro, un'anomalia persino in un mondo già anomalo.

Tutto questo era possibile grazie alla magia che, in quantità variabili, scorreva nel sangue di ogni individuo. Ma per i fear sidhe, che di magia erano composti dalla testa ai piedi, ciascuno di quei prodigi non era che un gioco da bambini: essi piegavano ai propri desideri lo spazio e la formula del mondo, riscrivendoli con una semplicità che esplicava perché la Black Court volesse mantenere saldi i rapporti con loro.

Victoir abbassò lo sguardo dallo spettacolo idrotecnico al fear sidhe ancora chino sulla riva del lago. Fece schioccare la lingua contro il palato. «Questo sì che attirerà l'attenzione...» sussurrò; i dinosauri per cui lavorava avrebbero di certo avuto da ridire, ma quello era un problema del sé stesso del futuro.

Si voltò, lasciando il liminale a concludere i preparativi per il viaggio, appena in tempo per notare un riflesso baluginare verso la sua testa.

Il cacciatore si scansò d'istinto, schivando per un pelo un pugnale che gli passò rasente la guancia e proseguì il suo volo oltre il lago, senza però colpire il fear sidhe, il cui canto fu interrotto da un grido di sorpresa e paura.

Victoir puntò la baionetta contro l'oscurità ancor prima di realizzare che ci aveva visto giusto: qualcuno li stava braccando. «Porta il tuo culo dove posso prenderlo a calci, codardo!» ringhiò ad alta voce, allertando Lorraine che chiese immediatamente notizie.

Non ebbe però modo di risponderle, perché l'aggressore uscì finalmente allo scoperto balzando fuori da un nugolo di fronde. Nonostante fosse bardato da un lungo soprabito, la corporatura era senza dubbio quella di un uomo adulto. Compì un arco a mezz'aria e atterrò con magistrale equilibrio sull'erba zuppa, fendendo la pioggia con l'arma stretta nella mano destra: una lunga falce dall'aria massiccia, sulla cui spessa lama si rifletteva l'azzurro saturato della magia emessa dal lago.

Rispondendo alla provocazione coi fatti, si lanciò in una corsa che culminò in una spazzata diretta al petto del cacciatore, ma che si infranse contro il piatto della baionetta con un impatto tanto violento da far tremare le braccia di Victoir.

Il mezzo vampiro resistette come una roccia alla pressione e allungò lo sguardo oltre l'incrocio di lame, dove due occhi color ambra lo fissavano incassati tra le sopracciglia aggrottate e un foulard che nascondeva metà volto. Non serviva saper leggere le persone per notare l'ira omicida che ardeva nelle sue iridi: ce l'aveva proprio con lui.

Victoir incurvò le labbra in un sorriso sovraeccitato, che lasciava scoperti i canini appuntiti. «Sei molto forte e agile... che fortuna.» disse, alzando la voce di parola in parola fino a erompere: «Mi stavo proprio annoiando!»

Piantò i piedi nel terriccio e, buttando fuori il fiato per lo sforzo, riuscì a spingere il nemico all'indietro fino a sbilanciarlo e costringerlo a ritirarsi. Lo stridio delle lame che si separavano trapassò le orecchie di Victoir, trasformandosi in un brivido che gli fece digrignare i denti per il fastidio.

L'avversario non se la passava meglio di lui: quell'unica collisione era stata così impetuosa da lasciarlo a boccheggiare in cerca di ossigeno. I due contendenti si fissarono attraverso la nebbia e gli elementi che confluivano dietro il cacciatore, dove il fear sidhe aveva ripreso a cantare. La tonalità peculiare delle iridi e una manciata di ciuffi scuri che ricaddero sulla fronte erano gli unici tratti somatici che Victoir riusciva a vedere, ma bastarono per stuzzicare la sua memoria.

«Ci conosciamo?» domandò, più per tenere aggiornata Lorraine che per interesse personale.

In risposta ottenne uno sbuffo di risata recalcitrante e rabbioso, nient'altro. Victoir non si impermalì per essere stato liquidato: in effetti l'unica cosa che gli importava era che il terzo incomodo, chiunque egli fosse, lo voleva morto.

«Tienilo lontano dal fear sidhe e resisti! Alaric è con me, stiamo arrivando!» esclamò intanto Lorraine al suo orecchio.

Il nemico tornò all'attacco scattando in avanti, più veloce di prima. La falce tracciò una mezzaluna calante che Victoir schivò scartando lateralmente, abbastanza rapido da evitare il colpo ma non il sibilo che tagliò l'aria. L'azione si ripeté altre tre volte, da un lato il sorriso beffardo del mezzo vampiro e dall'altro la rabbia crescente del misterioso liminale.

Alla quarta schivata, l'assalitore sbottò urlando: «Smettila di giocare e combatti seriamente, bastardo! Non volevi prendermi a calci?»

«Oh, allora sai parlare!» lo schernì Victoir. «Stavo proprio cercando di ricordare se avessi mai tagliato la lingua a qualcuno.»

In realtà tagliare la lingua e giocare al gatto col topo coi criminali cui dava la caccia non rientravano nelle sue abitudini, ma doveva guadagnare tempo fino all'arrivo dei colleghi e, più di ogni altra cosa, spostare lo scontro quanto più lontano possibile dal fragile fear sidhe.

«Quando avrò finito con te mi ricorderò di tagliarti la lingua e tenerla come ricordo.» soffiò l'altro.

Il cacciatore camminava all'indietro, prendendo le distanze dal lago e drizzando la baionetta quando il nemico sembrava in procinto di attaccare. «Devo averti fatto proprio arrabbiare in passato... magari, se mi mostrassi la tua faccia, capirei perché sei così incazzato.»

Nessuna risposta, solo passi nella pioggia che incalzavano come quelli di un androide focalizzato sul proprio obiettivo. Così non andava bene, pensò Victoir inarcando un angolo della bocca, doveva scucirgli qualche informazione che li aiutasse a identificarlo nel caso in cui non fossero riusciti ad arrestarlo.

«Oppure...» provò ancora «sei uno di quegli imbecilli ribelli di cui si parla tanto ultimamente, quelli che pensano di poter deporre la Black Court e creare un mondo nuovo?»

«Non me ne frega niente della Black Court. Solo di te, Victoir Evans.» l'uomo levò la falce e la scagliò verso il basso, uncinando il terreno e facendo schizzare via acqua e pietre dove un attimo prima si era trovato il cacciatore.

Come se l'arma che stringeva non avesse avuto alcun peso, la trascinò verso l'alto compiendo un avvitamento che Victoir parò prontamente, venendo però stavolta quasi sbilanciato. Seguì una tempesta di colpi troppo serrata per concedersi una chiacchierata, durante la quale l'istinto di sopravvivenza guidò ogni attacco, parata e schivata del cacciatore. Il nemico era una mortale combinazione di brutalità e flessuosità, nonché un perfetto tutt'uno con la sua falce, e a furia di incalzare riuscì a rompere la guardia del mezzo vampiro costringendolo alla ritirata per non finire affettato.

Per la prima volta il suo viso cambiò espressione, distendendosi in quello che, sotto il foulard, doveva essere un ghigno compiaciuto. Competere con una creatura anche solo parzialmente vampira era un traguardo per pochi, nessuna sorpresa che quella piccola vittoria gli ricaricò le pile generando un'altra danza di lame ancor più intensa della precedente. La falce rinforzata, un'arma terribilmente scomoda e meno efficace di quanto creduto da molti, in mano a quell'uomo sembrava guadagnare la potenza di una katana.

Benché fosse senza dubbio un avversario stimolante, dopo interminabili minuti di parate in extremis e schivate sul terreno scivoloso, Victoir cominciò a chiedersi quanto avrebbe ancora dovuto aspettare prima di riconoscere le familiari figure di Lorraine e Alaric nella nebbia.

Il nemico intercettò il suo sguardo e piombò al centro del suo campo visivo con un nuovo attacco. «Nessuno verrà in tuo soccorso, Victoir Evans. Sei stato venduto.» disse, tronfio.

Insensibile alle minacce, Victoir adocchiò il fear sidhe riflesso sulla falce: si era messo in piedi e ora lo fissava trepidante, stretto nelle spalle. Che diavolo aspettava a saltare nel suo vortice magico?

Approfittando di quella pausa necessaria a entrambi, si massaggiò una spalla dolorante e vagò con sguardo poco interessato sull'altro, col preciso intento di tenere il mirino della sua rabbia puntato su di sé. «Venduto, eh? Sentiamo, da chi sarei stato venduto?»

L'amara verità era che avrebbe potuto indicare un nutrito numero di persone che lo volevano morto al punto di tradirlo, sia dentro che fuori la Black Court. Il nome che udì però non rientrava tra questi e, anzi, sulle prime fu quasi un riverbero del passato a cui faticava ad abbinare un'immagine precisa.

«Ricordi Yates?» l'uomo rise di nuovo, stavolta con amarezza. «Ma certo che lo ricordi, ha perso metà faccia grazie alla tua incompetenza, ad Alcor East.»

Victoir si accigliò, sorpreso nei limiti del suo scarno spettro emotivo. «Yates?» ripeté, scettico. «Yates mi ha venduto?»

Dall'auricolare provenne solo uno sterile rumore bianco, segno che le interferenze avevano scelto il momento peggiore per mettere un muro tra lui e Lorraine.

Dell'uomo chiamato semplicemente Yates, Victoir non ricordava moltissimo. Era il capo dei mercenari assoldati per proteggere il Confine di Alcor East durante la missione in cui lui e Lorraine avevano conosciuto Alaric, un prevaricatore e un violento con a cuore più il proprio ego che le missioni per cui era pagato. Il suo gruppo era stato decimato durante la battaglia col ricercato Elijah Griffiths, ma dal momento in cui avevano varcato i cancelli della città, Victoir non aveva saputo più niente di loro.

Scosse la testa, storcendo la bocca in una smorfia cinica. «Che cosa diavolo potrebbe mai sapere quell'imbecille di me che valga la pena di vendere?»

Nonostante gli abiti coprenti, l'oscurità, la foschia e il temporale, la soddisfazione che illuminò il volto dell'avversario fu un segnale più che mai chiaro: era finito dritto in una trappola di cui non conosceva ancora il meccanismo e che forse non avrebbe potuto rompere con un unico pugno. Victoir strinse la presa sul calcio e la canna della baionetta, pronto a difendersi o attaccare se ce ne fosse stato bisogno; Lorraine lo avrebbe perdonato se avessero dovuto trascinare alla Black Court un prigioniero zoppo.

«Per esempio, che prendi molto seriamente le missioni... e che è più facile distruggerti colpendo gli altri.»

L'uomo abbassò la falce, accarezzandone il filo con un indice senza alcuna paura di ferirsi. Tanta imprudenza gli costò una lunga ferita, abbastanza profonda da far colare una cospicua quantità di sangue denso, quasi colloso, sulla lama.

Victoir strinse gli occhi e osservò la sinistra scena col sentore che quell'atto autolesionistico fosse preludio di qualcosa di preoccupante. Ancora una volta il suo istinto si provò affidabile: il liquido viscoso cominciò a espandersi su tutta la superficie della lama, ricoprendone il metallo come un esoscheletro e trasformandola in una mezzaluna di sangue.

C'era solo una razza in tutto l'Overworld capace di trucchi del genere, ma il pathos del sangue non gli concesse il tempo di condividere l'informazione con Lorraine. Sollevata l'asta dall'erba bagnata, puntò gli occhi ambrati oltre la spalla del cacciatore.

Victoir capì cosa avesse intenzione di fare ancor prima di sentirlo concludere il discorso con un picco di esaltazione.

«Dicono che i fear sidhe si sciolgano al contatto col sangue. Vogliamo provare?»

I due scattarono contemporaneamente, Victoir per sparare e il pathos per falciare il liminale indifeso. Lo scoppio dello sparo infranse il muro del silenzio, ma non la marcia del nemico che, colpito in pieno al petto, non sembrò neanche accusare il colpo. Doveva avere un'armatura sotto le vesti, magari composta sempre di sangue.

A quel punto il mezzo vampiro non ebbe più scelta che frapporsi tra i due, intercettando l'ennesima spazzata della falce che ora, con addosso quel rivestimento, cozzò con la sua baionetta tanto ferocemente da strappargliela dalle mani e scagliarla via.

Victoir si ritrovò, disarmato, a seguire con lo sguardo l'arco tracciato dalla sua arma finché non sparì oltre il vortice delle acque sollevate.

Un momento dopo, la lama ricurva fu rasente la sua gola e l'ambra degli occhi del pathos ancorata all'azzurro dei suoi come se avesse voluto tuffarcisi dentro.

Victoir protese le braccia verso l'esterno, pronto a diventare uno scudo umano. Non era la strategia giusta, il suo cervello continuava a ripetere che non era la strategia giusta. Ma non sapeva cos'altro fare per non mettere a rischio il fear sidhe. Non era la prima volta che guardava in faccia la morte, ma mai come allora aveva udito il battito del proprio cuore pulsare nelle orecchie.

Poteva farcela, poteva sopportare un paio di colpi mentre il liminale si metteva in salvo.

Doveva farcela.

Anche se non ne era affatto sicuro.

Tutto era immobile, come cristallizzato nel tempo.

«A quanto pare Yates aveva ragione.» i lineamenti del pathos si ammorbidirono per il compiacimento della vittoria ormai scontata, sebbene lo sforzo disumano a cui si stava sottoponendo fosse visibile nel sudore che gli imperlava la fronte e nel fiato affannato. «Peccato, alla fine chi si è annoiato sono io.»

Il pathos ritirò le braccia per darsi lo slancio necessario a recidere di netto una testa, ma il fear sidhe si mosse più veloce di lui e persino del cacciatore: due arti esili cinsero lo sterno di Victoir e lo strattonarono all'indietro, verso il vortice.

Già in procinto di abbassarsi per schivare il fendente, il mezzo vampiro si sbilanciò e cadde all'indietro, ritrovandosi a guardare il mondo dalla prospettiva di chi si stende per sognare: la falce passò rasente il suo viso, tagliando l'aria e alcuni ciuffi di capelli più lunghi, mentre gli schizzi di sangue si mischiavano all'acqua piovendo su di lui e il fear sidhe.

Le parole di Lorraine rimbombarono nelle sue orecchie assieme alle urla di dolore del liminale: fa' in modo che non entri mai a contatto col tuo sangue. Se accade...

Non accadrà, aveva risposto lui, ma ora, precipitando dentro al maelstrom con il campo visivo picchiettato di rosso e i timpani sferzati dagli atroci strilli del fear sidhe, Victoir non poteva che pentirsi di non averla lasciata finire. Se accade, che faccio?

Il suo mondo divenne un cerchio sempre più ristretto e distante, dominato dalla figura del pathos che, urlando, si gettò a sua volta dentro il gorgo per poi sparire nel moto delle onde. Victoir artigliò con tutta la sua forza una delle mani del fear sidhe, all'improvviso molle e cedevole, impedendo alle correnti che li sommersero di strapparglielo.

L'acqua fu subito addosso a lui e ben presto dentro di lui, inondandogli la bocca e le narici col suo sapore salato. Ogni suono, compreso il suo fiato che annaspava nel tentativo di opporsi alla forza che lo risucchiava verso il basso, si ridusse a un riverbero che si acquietava in appena un battito di ciglia, inghiottito dal silenzio delle profondità.

Nessuna delle creature infernali che aveva fronteggiato nella sua breve vita era paragonabile all'ineluttabilità di quel mare scuro e, per quanto si sforzasse di lottare per nuotare verso il bagliore di una superficie sempre più irraggiungibile, Victoir sentì presto le energie venir meno come se gli fossero state rubate.

I suoi movimenti disperati si spensero come la luce ormai troppo distante, e il gorgoglio dei suoi ultimi respiri trasformati in bolle lo condusse nel buio.

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