CH. 1.1: Il liminale
«Signore e signori, il momento che stavate aspettando è finalmente giunto: vi presento l'anello mancante tra l'essere umano e l'animale, l'uomo-bestia!»
La gabbia fu spalancata con un cigolio metallico e il liminale trascinato fuori e gettato nella luce dei riflettori al centro dell'arena, tra polvere che pungeva le narici e la gola, terriccio maleodorante di urina e una scrosciante pioggia di acqua fangosa mista alle urla del pubblico in delirio.
Il liminale era un uomo nel fiore degli anni, o quel che ne rimaneva dopo mesi di abusi ed estenuazione, e incarnava una miserabile dicotomia tra grottesco e affascinante, tra repellente e irresistibile: tumido e coperto più di ferite che di stracci, si muoveva con piccoli scatti febbrili reggendosi su tutti e quattro gli arti come un primate. Sotto una seconda pelle composta di sporcizia incrostata e sudore, tra i lunghissimi capelli fulvi facevano capolino un paio di orecchie dalle punte simili ad aghi e iridi brillanti come rubini.
Strofinando per terra i pugni coperti di sangue e pus, compì un frenetico giro su sé stesso in cerca di una via di fuga dai bagliori accecanti, ma il suo volto distorto dalla paura incontrò solo decine di corpi galvanizzati o terrorizzati che lo additavano, deridevano e insultavano.
Allora scoprì i pochi denti neri rimastigli e buttò fuori schizzi di saliva e schiuma, mentre un ringhio gutturale gli graffiava la gola senza riuscire a sovrastare il baccano circostante. Tanto bastò a far levare dalla folla una moltitudine di strilli eccitati, mentre una donna con un cappellino ornato di fiori finti si accasciava tra le braccia di un giovanotto in ghingheri.
Chi però sembrava davvero spaventato a morte era il liminale, che, accartocciato su sé stesso, si lanciò verso la gabbia solo per trovare frustate e calci pronti a rispedirlo là dove doveva restare: al centro dell'attenzione, alla mercè degli avventori che avevano pagato per vederlo dimenarsi, scatenarsi, delirare e magari anche sfiorare la morte.
Dopotutto, era il nuovo spettacolo di punta del famigerato Corbin Freak Show.
Ma il liminale era all'oscuro di tutto questo, perché non conosceva né l'inglese né la società umana. Lui non apparteneva a quel mondo, probabilmente non aveva neanche la minima idea di che cosa gli fosse capitato dal momento in cui si era mescolato alle bestie che lo chiamavano bestia.
Di nuovo in quel crogiolo di pioggia battente e parole incomprensibili, si rannicchiò in posizione fetale e, tra convulsioni e brividi di freddo, si lasciò andare a un lungo e straziante pianto. Gli strepiti degli spettatori si spensero come si erano accesi ─ di colpo ─ e un muro di sguardi stregati fissò l'incantevole creatura dalle orecchie a punta cantare la propria disperazione in una lingua sconosciuta.
***
Victoir Evans non conosceva la lingua faerica, ma era certo che nella nenia del liminale fosse contenuta una richiesta d'aiuto che non potevano ignorare.
Reclinò la testa verso la giovane donna con cui condivideva l'ombrello, la quale però continuò a fissare la scena pochi metri davanti a loro. Il suo volto dai lineamenti affilati era una maschera di fredda indifferenza, ma Victoir sapeva alla perfezione dove guardare per cogliere i segnali del suo turbamento: il modo in cui arricciava un angolo della bocca e stringeva le labbra, la contrazione della mandibola, il fuoco che divampava nelle iridi nocciola e i pugni, appoggiati alla barriera in legno che delimitava lo spazio riservato al pubblico, stretti fino a far sbiancare le nocche.
Lorraine fremeva per mettere fine a quell'atrocità, ma finché erano lì, tra esseri umani del tutto ignari dell'esistenza dei liminali come loro, sarebbe stata una follia frapporsi tra il prigioniero e gli aguzzini invocando le leggi dell'Overworld. Per la gente che li circondava, quell'uomo era solo un freak come pochi anni prima lo erano stati il generale Tom Thumb di Barnum o l'uomo elefante di Norman.
L'attenzione di Victoir fu richiamata da un cenno d'intesa proveniente da oltre l'esile silhouette di Lorraine, dove l'ultimo membro del loro trio picchiettava con impazienza una mano guantata sui nodi in rilievo della recinzione. Alaric si abbassò il cappello a cilindro sui lunghi capelli biondi e diede le spalle allo show, incamminandosi verso il limitare dell'ampio campo su cui il circo gravava con la sua pesante struttura e l'insolente crudeltà da oltre una settimana.
I membri della squadra Winchester si ritirarono tutti assieme attraverso una calca troppo ammaliata per interessarsi alla loro curiosa scelta di rinunciare a metà spettacolo, accompagnati dalla malinconica armonia tra il pianto del liminale e lo scroscio della pioggia: uno spartito perfetto, in cui i rombi dei tuoni faticavano a reclamare uno spazio e i loro passi, che affondavano nel fango molle, erano una cacofonia di note stonate.
«Nessuno ha detto che il liminale fosse un fear sidhe.» prese subito la parola Victoir, monocorde come sempre nonostante la situazione piuttosto allarmante.
«Perché nessuno sapeva che ci fosse più di un liminale là dentro, la segnalazione riguardava solo un rerum.» lo corresse Lorraine, che con la coda dell'occhio correva ancora all'assembramento di rapaci intenti a banchettare col tormento del prigioniero. «Dobbiamo dare la precedenza al fear sidhe, non resisterà ancora a lungo... e se non lo salviamo rischiamo un incidente diplomatico col Sidh.»
Alaric, notevolmente più alto della ragazza che affiancava, dovette piegare in avanti il busto per unirsi al confabulare sommesso dei colleghi. «Detesto intromettermi nell'idillio dei colleghi di lunga data, ma qualcuno sarebbe così carino da spiegarmi di cosa state parlando? Su, Victoir, sii carino.»
Nonostante il borbottio della tempesta e le prime voci che tornavano a frustare il silenzio del freak show, Victoir udì forte e chiara quella richiesta che avrebbe fatto scoppiare una vena a tre quarti dei loro colleghi della Black Court. Era vero che Alaric aveva vissuto quasi tutta la vita più tra gli umani che nell'Overworld ─ era un liminale nel senso più puro del termine ─, tuttavia una lacuna del genere non era roba da poco.
Victoir socchiuse gli occhi, come davanti a un puzzle dall'immagine troppo astratta. «Sei serio?» chiese con sincera perplessità.
Magari li stava solo gabbando, sebbene gliene sfuggisse il motivo: Alaric era, dopotutto, conosciuto per avere il sarcasmo nel sangue.
Lorraine gli scoccò un sorriso obliquo. «Ti ricordo che l'anno scorso hai accettato di dare la caccia a un morrwen senza avere un'idea chiara di cosa fosse un morrwen, sir Evans.»
Colpito e affondato. Il campo visivo di Victoir fu invaso dal sorriso provocatorio di Alaric.
«Sul serio, sir Evans?»
Quei due facevano un po' troppa comunella negli ultimi tempi, pensò Victoir alzando gli occhi al cielo bigio oltre il bordo dell'ombrello. Forse non era stata un'idea brillante trascinarsi dietro Alaric Langdon da una delle loro ultime missioni più impegnative, ma essendo stato proprio lui l'artefice di quella proposta doveva fare i conti con le conseguenze, a cominciare dal dare una risposta seria alla sua domanda. O tentare di farlo, considerando che le sue doti comunicative facevano a gara con quelle dei castori.
«I fear sidhe sono degli ex-vampiri salutisti.» si portò una mano al mento, tamburellandovi contro il pollice. «Nel senso che un tempo, ma tantissimo tempo fa, erano vampiri normali e poi si sono ripuliti, come quelli che si disintossicano dall'oppio. Però non è stata una scelta furba e sono morti quasi tutti. Per evitare di rimetterci le penne, i sopravvissuti si sono rinchiusi dentro un posto che si chiama Sidh e li tiene in vita con la magia. La Black Court ha degli accordi diplomatici col Sidh, quindi non possiamo fare mosse azzardate. Tutto chiaro?»
A giudicare dall'ampia curva tracciata dalle sopracciglia di Alaric, no, non era stato affatto chiaro.
Si fermarono al limitare della strada, ingolfati dalla nebbia autunnale che sbiadiva il chiarore delle rade luci provenienti dai negozi in chiusura. Poche erano le anime che si aggiravano per Camden a quell'ora di transizione: troppo presto per rincasare, troppo tardi per uscire.
«Ricordami perché tra noi due sono sempre io quello definito gorilla, e no, la mia stazza non è una motivazione valida.» disse il biondo, cercando aiuto da una Lorraine impegnata a soffocare una risatina.
In circostanze più rilassate si sarebbe senza dubbio concessa un commento sulle catastrofiche abilità comunicative del suo collega, ma le spalle tese e le braccia strette sotto la curva del petto mettevano ben in chiaro quanto fosse ancora scossa. Nonostante tutto, sempre fedele a sé stessa, si fece forza per mettere da parte la sua bufera emotiva e dar prova di professionalità, rielaborando il discorso di Victoir in una forma più comprensibile.
«I fear sidhe sono una razza di non-umani in via di estinzione. Parrebbero discendere da un clan di vampiri che ripudiarono la via del sangue e trovarono un modo per tornare biologicamente in vita, ma la verità è tanto fumosa da rendere anche questa ipotesi una mera leggenda. La cosa importante è che il Sidh, la loro giurisdizione, è il più importante fornitore di magia della Black Court.»
Stavolta Alaric si passò un paio di dita sulla fronte corrugata e annuì. «Capisco. Quindi, un incidente diplomatico...»
«Potrebbe avere conseguenze disastrose, dal taglio dell'energia magica necessaria a far volare e rendere invisibili le aeronavi a uno stop della produzione dei nostri equipaggiamenti, per fare qualche esempio.» completò Lorraine, per poi attendere con pazienza che una coppia di uomini passasse loro accanto e si dileguasse nella fitta foschia prima di proseguire: «Nessuno conosce e padroneggia i segreti della magia come i fear sidhe: per quanto poco umanitaria e molto utilitaristica, questa collaborazione è essenziale per la sopravvivenza della Black Court e dell'Overworld.»
«E i fear sidhe che cosa ne ricavano?» Alaric guardò ancora una volta in direzione del circo, ormai distante.
«Che nessuno li disturbi.» ribatté Victoir, flemmatico, affondando una mano intirizzita dal freddo nella tasca del soprabito. «Un'intera vita di isolamento... farei volentieri a cambio.»
Uno schiaffetto goliardico lo colpì alla tempia ancor prima che potesse specificare che non era serio ─ almeno non del tutto. Victoir borbottò una protesta a denti stretti, ricambiando il rimprovero di Alaric con un'occhiataccia poco convincente.
Nonostante la squadra Winchester fosse conosciuta per la sua scioltezza e l'atmosfera conviviale, la gravità della situazione continuava a pesare sui tre giovani come una spada di Damocle, ristabilendo un cupo silenzio ogni qualvolta che un argomento veniva esaurito. Dopo un po', ogni dialogo cominciò ad avere lo sgradevole retrogusto di una scappatoia dalle responsabilità che ricadevano su di loro.
Mentre Lorraine era immersa nei propri pensieri, schiacciata dalle responsabilità di caposquadra che in momenti del genere dovevano essere insopportabili, Victoir scivolò piano con lo sguardo dal suo volto a quello apprensivo di Alaric, implorandolo silenziosamente di fare qualcosa. Sebbene conoscesse Lorraine da quasi due anni, periodo in cui entrambi avevano preso servizio nella Black Court ─ lui come cacciatore e lei come sua assistente ─, non poteva ignorare il fatto che il biondo sembrasse capirla con una facilità per lui non replicabile.
Alaric non si fece pregare: con movimenti disinvolti gravò col peso del corpo sulla gamba destra e appoggiò un gomito sulla spalla di Lorraine, costringendola a evadere dal suo mondo interiore. Victoir ne sorrise: visti dall'esterno, dovevano sembrare tre scostumati dai modi assolutamente sconvenienti.
«Se le cose stanno così e questi fear sidhe sono misantropi e disadattati come il nostro Victoir, che cosa porta uno di loro fuori dal Sidh? Non posso fare a meno di domandarmelo...» Alaric emise un lungo mugugno. «Lady Winchester, l'unica persona intelligente in questa squadra siete voi. Qualche sospetto?»
L'atteggiamento inutilmente teatrale del biondo sortì l'effetto sperato: le guance di Lorraine si infiammarono di tutto il colore perso, come se un alito di vita fosse stato soffiato in lei ravvivando la sua indomita determinazione. Qualcosa di inaccettabile stava accadendo mentre vagavano senza meta nella notte densa ed era loro preciso dovere fare giustizia.
«Forse sì, ma lo sapremo con certezza solo dopo averlo salvato.» disse la ragazza, di nuovo risoluta, per poi spostarsi sotto l'ombrello di Victoir e sferrare un pugnetto goliardico al suo braccio. «Allora, cacciatore Evans, pronto all'azione?»
Il cacciatore annuì.
Era sbarcato dall'aeronave della Black Court con la convinzione di dover salvare un rerum abbastanza stupido da mantenere tratti animali anche in forma umana, invece si ritrovava tra le mani una preziosa reliquia del mondo magico. Si consolò pensando che probabilmente non sapeva parlare l'inglese, e questo avrebbe ridotto le interazioni all'osso.
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