06 ☆ Keiichi non deve morire
Buongiorno 🦐
Parte che potete anche saltare dato che sono aggiornamenti sulla mia salute 🪱
Sono risultata piuttosto intollerante al lattosio 💀 mercoledì ho un ecografia che dovrebbe determinare se mi tocca una gastroscopia. In ogni caso spero di non arrivare alla colonoscopia...
Sto curando l'anemia (sì tra le altre cose sono ANEMICA) e vediamo adesso come si sistemano le cose
Oggi (non so quando pubblicherò il capitolo ma nel dubbio questa parte é di giovedì.) ho iniziato la contaminazione da glutine. Spero di non morire nel processo
E sono anche stata in Grecia! Dove sono stata malissimo ma pensiamo ad i ricordi + sono in psicoterapia. (Aspettatevi un calo di qualità)
Le occhiaie di chi ha avuto coliche intestinali per sette giorni.
Faceva freddo. Scusate il drop di tante foto ma meritate un face reveal e volevo parlare delle mie avventure con qualcuno 🦑
Ah, sono anche stata al Romics. Vi mostro l'acquisto più importante.
Un Khalil torturabile 🦭
Ho anche trovato un meme del 2020
L'ho corretto.
Vi lascio al capitolo che é meglio.
Circa?
☆.。.:* .。.:*☆
Cercando di ricordare quel poco che sapeva sui jinn e sulle loro usanze, un'ammaccato Keiichi si costringeva a percorrere la strada che portava verso Khayunaq, la capitale. Non si era mai ritrovato a subire in prima persona le conseguenze di un incantesimo d'amore finito male e doveva ammettere che questo ledeva parecchio il suo ego. E non era stato nemmeno lui l'artefice di quella porcheria che adesso lo costringeva a vagare con un fantasma sperduto. In pochi momenti aveva rimpianto il dormitorio lercio dell'Accademia, ma questo era uno di quelli. Non che il regno dei jinn fosse sporco, per carità - non voleva offendere nessuno - ma aveva bisogno di una sorta di familiarità per vivere senza aver paura di essere sbranato da un momento all'altro. Non che considerasse i jinn degli incivilizzati, ma da quel poco che aveva visto aveva abbassato le aspettative. Anche se nella sua testa vagava un barlume di speranza: quel popolo aveva inventato non solo i giorni della settimana, ma anche i numeri e buttato i principi di anatomia e medicina. Di sicuro avrebbero capito che un'illuminato principe come lui era finito là per sbaglio e che non era necessario mangiarlo. Un po' perché nel corso degli anni aveva fatto in modo che non si accumulasse su di lui un grammo di grasso più del necessario e usare dell'olio durante l'inflazione era devastante, un po' perché poteva sempre giocarsi la carta Jamil. Non si ricordava nemmeno come fosse la sua faccia, ma sapeva abbastanza trascorsi scolastici per risultare credibile a qualcuno. Forse Keiichi non aveva considerato quanto esteso fosse il regno dei jinn e aveva preferito abboccare alle favole umane che narravano che tutte le fate erano sorelle e i jinn cugini. Però, tutto sommato, di certo non era un damigello indifeso. Certo, sarebbe stato meglio se non avesse sbattuto sul fianco cadendo e se avesse fermato l'emorragia più rapidamente, ma aveva ancora un po' di forza per cavarsela egregiamente. Era anche piuttosto convinto che non si vedesse che stava zoppicando.
Era così distratto dal credersi invincibile che non si era reso conto di essere osservato da diverso tempo. Un simpatico aspide lo seguiva fedelmente, studiando da tutte le angolazioni le sue ferite. Il principe si mise a sedere su una roccia, deluso. Come detto prima, non si immaginava tutto questo granché, ma camminava da ore e l'unica cosa che aveva fatto era stata tagliarsi i piedi sulle rocce e attraversare la breve distanza tra un isolotto all'altro a nuoto. Cosa che evidentemente non aveva aiutato l'emorragia. Si sentiva fiacco, ma doveva trovare almeno un centro abitato e procurarsi delle bende pulite. L'aspide strisciò alla base della roccia con l'intento di fargli compagnia. Keiichi aveva creduto fino a quel momento di essere solo, ma adesso accanto a lui c'era una donna di dimensioni ciclopiche. Erano entrambi seduti e lui le arrivava malapena al fianco. La osservò con gli occhi strabuzzati. La carnagione era di un rosso acceso e nei capelli aveva intrecciato qualsiasi cosa possibile immaginabile. Un cranio umano pendeva a destra, con una treccia che passava da un orbita all'altra e risaliva per agganciarsi vicino alla fronte con una molletta decorata con delle piume di pavone. Dall'altra parte c'era qualche ossicino, forse animale, e diverse clessidre piene di sabbia colorata. Le corna gli ricordavano quelle di un bufalo, mentre lei lo guardava con occhi serpentini e sbatteva dolcemente le ciglia. Il ragazzo era troppo stanco per essere terrorizzato, quindi girò semplicemente il capo dall'altra parte.
«Tu sei perso?» domandò lei, spingendolo leggermente con l'indice. Keiichi deglutì. Aveva percepito la sua forza. Se voleva poteva anche spezzarlo in due.
«No» mentì. «Sto andando a trovare un amico»
Vide lo sguardo della jinna cambiare radicalmente. Cercò di capire cosa potesse averla offesa, poi si ricordò di una celebre frase del genio. I jinn non hanno amici, sottointeso amici umani.
Poteva sempre provare a difendersi. Fortunatamente per lui la donna venne distratta da un bambino che le correva incontro blaterando qualcosa in un linguaggio che non capiva. Lo esaminò rapidamente. Doveva essere per forza suo figlio.
«Che bel bimbo» commentò, sorridendo nervosamente. La jinna prese in braccio il pargolo, che la guardava in attesa della traduzione. Dopo avergli riferito il complimento la donna gli diede un buffetto sul naso e guardò Keiichi.
«Grazie» rispose, meno alterata ma comunque diffidente.
Il rumore di uno sparo fece drizzare le orecchie di entrambi i jinn e fece quasi morire d'infarto il principe. Agitata la donna nascose il bimbo dietro la roccia e corse a vedere quello che succedeva, veloce come un soffio di vento. Anche il corvino la seguì, curioso. Non avrebbe mai osato ammetterlo, ma non aveva mai visto un fucile vero e proprio.
Quattro figure decisamente umane esaminavano il territorio. Keiichi si nascose e le guardò. Un uomo alto e con una grossa cicatrice che andava da un orecchio alla bocca teneva tra le mani il fucile. I capelli erano rasati di fresco, così come la barba. Indossava grossi stivali sporchi di fango e una mistura colorata. Forse era sangue di jinn. Il compagno aveva lunghissimi capelli unti che gli coprivano gli occhi. Le braccia erano scoperte e piene di cicatrici che somigliavano a graffi felini. Teneva per le corna un jinn che doveva essere un bambino, a giudicare dall'altezza e dallo sguardo terrorizzato. Gli infilò rapidamente qualcosa sotto pelle, blaterando e mugugnando in un linguaggio sconosciuto. Due donne, accomodate su un tappeto volante, si godevano la scena. Entrambe erano alte e attraenti, ma avevano un'aria svogliata che appesantiva la loro figura. Una, dalla pelle chiara e capelli biondissimi, agitava un dito, generando una fiammella che si spegneva rapidamente. Dopo aver ripetuto il gioco per diverso tempo si stiracchiò. L'altra, seduta in modo più composto, aveva lunghi capelli viola e occhi cremisi. Sorrideva deliziata alla vista del piccolo jinn dimenarsi e contorcersi.
Dall'oscurità prese forma la jinna che prima parlava con Keiichi.
«Che volete da mio figlio?» domandò, ma nessuno dei quattro rispose. Il corvino credette di aver magicamente imparato la lingua dei jinn, perchè gli umani sembravano non averla nemmeno capita.
«Rosalind, concedimi il piacere di spellare la scrofa. Tu puoi occuparti del maialino» mormorò la donna con i capelli viola, scendendo dal tappeto con un agile balzo. La jinna si mise in posizione da combattimento, pronta ad aggredire con le unghie e con i denti, mentre il bimbo singhiozzava il nome della madre. La strega si legò mollemente i capelli e intrecciò le mani portandosele all'altezza del petto per poi dividerle con un movimento fluido e perfettamente simmetrico. Un libro fluttuante apparve davanti a lei, con le pagine che si sfogliavano da sole. Si fermò bruscamente su un capitolo mentre un pennino altrettanto fluttuante sottolineava cosa doveva leggere.
«Avanti, vai avanti. Il capitolo diciassette non mi interessa, caro. Io voglio leggere il capitolo diciotto, quello sulla magia del fuoco» mormorò con tono dolce, che a Keiichi ricordò fastidiosamente Domina. Riluttante il libro si fermò sulla parte richiesta. Inizialmente rimase fermo, poi iniziò a tremare ed infine dalle pagine emerse un enorme serpe fiammeggiante. Dopo qualche momento di esitazione la bestia si diresse verso la jinna, che trasmutò in fumo rossastro e abbindolò la serpe a sciogliersi nell'acqua delle pozze vicino la costa. La strega chiuse gli occhi seguendo con il capo i movimenti della creatura che aveva di fronte a sè, cercando di individuare il punto vitale da colpire. Nella sua testa si manifestava come un punto luminoso che doveva centrare fisicamente o con un incantesimo. Una volta realizzato dove si trovasse lo comunicò alla compagna con un gesto impercettibile delle orecchie. Questa, il cui nome doveva essere dunque Rosalind, scese graziosamente dal tappeto, che si posò obbediente sul terreno. Si avvicinò al collega e lo spinse via con fare giocoso, prendendo il controllo del bimbo. Con un colpo secco gli spezzò una delle corna e la gettò a terra. Infuriata la jinna recuperò le sue sembianze tangibili e corse verso di lei, ma l'altra strega chiuse violentemente il libro e la colpì dietro il ginocchio. Lei crollò come se fosse stata colpita nel punto più vulnerabile del suo corpo, ma si rialzò rapidamente. La strega viola concluse il lavoro con un pugnale. La jinna si dissolse come sabbia al vento.
Irritato l'uomo col fucile sbuffò.
«Perché l'hai uccisa?« domandò. «Aveva ancora occhi e cuore, Aida. Nel caso non te ne fossi accorta»
«Aveva un principio di cataratta. E poi mi andava di uccidere qualcosa» ribatté lei, facendo spallucce. Rosalind spinse il bimbo a terra.
«E ora del maialino cosa ce ne facciamo?» chiese perplessa. «Lo lasciamo andare?»
«Gli abbiamo già ucciso la madre davanti agli occhi, credo basti» borbottò quello con i capelli unti. La bionda si abbassò e gli diede un bacio sulla fronte. «Sei davvero saggio, Eddie» lo prese in giro lei, in tono accondiscendente. Il piccolo jinn se la defilò singhiozzando. Aida annusò l'aria. «Andiamo a Khayunaq. Lì troveremo qualcosa che vale» proclamò, dirigendosi verso Keiichi e tirandolo fuori dal nascondiglio per i capelli. «Portiamo anche questo cucciolotto? Mi sembra smarrito. Hai un collare, tesoro?»
Il corvino agitò le braccia e cercò di liberarsi dalla presa senza successo. Rosalind si diresse spedita verso di lui. «Ciao pasticciotto. Poverino, devi essere caduto dal pozzo. Non saresti il primo, sai?» lo consolò amorevolmente, e Keiichi non percepì nessuna traccia di falsità nella sua voce. «Tu sei umano. Umano come noi» aggiunse, stringendolo a sé.
In realtà il principe non lo era del tutto, ma visto come avevano spennato una jinna alta cinque volte più di loro gli conveniva stare al gioco.
«Dove vai di bello?» chiese Edward, sospettoso.
«Non lo so...cercavo qualcuno a cui chiedere aiuto ma c'erano solo mostri» biascicò, approfittandone per montare su il teatrino del pargolo innocente.
«Ci credo. Sai almeno dove sei?» chiese la bionda, accucciandosi e inclinando il capo.
«No...non lo so. Ma dev'essere popolato da animali se voi li uccidete»
«Sei nel regno dei jinn. Sono demoni brutti e cattivi che mangiano gli umani e li fanno ammalare. E a volte si spingono anche a cose più crudeli!»
Keiichi deglutì. Con fare teatrale si scostò e mostrò la ferita sul fianco. La bionda si fece aria e intimò con lo sguardo ad Aida di non ridere e di portarle delle bende.
«Adesso ti portiamo con noi a Khayunaq, la capitale. Ci sono animali istruiti là. Però devi saperti difendere. Devi farli sentire sciocchi. Fingi di non capire quello che ti dicono, in qualsiasi lingua lo facciano. Hai mai usato un fucile?»
«So usare la magia» ammise Keiichi, soddisfatto del compromesso. «Però sono così stanco» aggiunse, puntando al tappeto volante.
Rosalind non se lo fece ripetere più volte e fece un fischio. L'oggetto si accucciò fedelmente ai piedi del corvino, aspettando che ci si sistemasse sopra. Le due streghe salirono, mentre i due uomini proseguivano a piedi, guardinghi.
«Non manca molto, sai. Non temere» lo consolò la bionda, con tono acuto. Aida arricciò il naso infastidita.
«Nemmeno gli hai chiesto come si chiama. E poi io ho dato per scontato che fosse un maschio, ma sembra anche una femmina»
«Mi chiamo Keiichi. E sono un maschio, grazie» rabbrividì il corvino. L'idea di venir trattato come una donna non era allettante. Rispose più duramente ad Aida, che non sembrava cascare nella messinscena. Dopo qualche minuto di silenzio, il ragazzo si rannicchiò e avvicinò le gambe a sé.
«Non sembrano molto potenti» commentò brevemente, guardandosi attorno.
«I più deboli vivono fuori dalla capitale. E non ti illudere, quella cosa ti avrebbe stracciato. Siamo noi ad essere più forti. Comunque, come sei finito qui?»
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«Lorina é morta»
In realtà lo sapeva da diverso tempo, ma continuava a ripeterlo. Per lei Domina e Miranda avevano oltrepassato il punto di non ritorno. Thisbe si dimenò ancora sulla sedia, mordicchiandosi le dita come se fossero snacks. Dario era ancora piuttosto brillo, visto che non aveva smesso di bere, timoroso di affrontare la sbornia. Quindi, appoggiato di lato ad una poltroncina, esaminava tutti attraverso gli occhi lucidi di alcool. Nessuno di loro sapeva che Thomas se n'era andato. L'aveva fatto per una buona ragione, in realtà. Forse avrebbe dovuto farlo anche lui. Cosa gliene importava degli altri? Cosa avevano fatto per lui. Sapeva che era l'alcool a pensare e non lui, ma era difficile sfuggire al pensiero.
«Lorina é morta»
A volte anche Ada si univa al coro, un misto tra il deliziata e il tremendamente giù di morale.
«Piano piano spariremo tutti» ammise Melody, accovacciata sul pavimento.
«Khalil l'avevamo perso da un pezzo» ribatté acidamente Ryuu, accanto a lei. Si guardò le gambe distese come se si fosse resa improvvisamente conto di averle. Pensò a due anni prima. Trovarlo nello spogliatoio dei maschi ricoperto di sangue ed avvinghiato a Domina gli aveva suggerito che la cosa non era casuale. E poi Khalil gli aveva sempre fatto storcere il naso.
«Ma non fisicamente, almeno era qui con noi» rispose ancora Melody, guardando Dario accendere la pipa con un'aria un po' più lucida.
«Da mentalmente a fisicamente passa poco» contro ribatté ancora la rossa, inalando disgustata il fumo della pipa.
«Se vuole fare il giocattolino che problema c'è?» commentò Keiichi, guardandosi le unghie. Una doveva essere limata, senza dubbio. Aveva una piccola punta che gli dava parecchio fastidio.
«Ma tu non avevi smesso di fumare?» sbottò Melody, guardando il più alto. Per la prima volta si vide osservata da occhi iniettati di sangue. Tossì e distolse lo sguardo.
«Forse hanno messo qualcosa anche nel vino» sussurrò piano, più a sé stessa che agli altri.
«Ma certo» spiegò Keiichi, stiracchiandosi pigramente.
«Lorina é morta»
Ora che ci pensava, qualche dramma da pozione d'amore finita male l'avevano risolto, in passato. «Secondo voi che incantesimo ha usato Domina?» domandò, soprappensiero.
«Perché ti interessa?» chiese Ryuu, guardandosi attorno, come se avesse appena realizzato che mancava qualcuno.
«Perché mi va» ribatté violentemente il corvino.
«Le ho prestato il mio libro di magia» ammise Dario. I tre lo guardarono male, ma in un certo senso il castano poteva leggere anche una sorta di comprensione sul loro viso. O magari fumo e alcool stavano lentamente deteriorando le sue capacità di percepire i pensieri altrui. Non era così male, pensare solo a sé stessi. Però non gli piaceva concentrarsi su di lui. Forze aiutava gli altri perché lo distraevano dalla sua esistenza. Si guardò la mano senza ragionarci troppo.
La voglia aveva preso un'altra forma. In realtà era felice, perché negli ultimi tempi si era bloccata sul nome di Kay. E nasconderla era stato più complicato del previsto. Sembrava un pozzo, o qualcosa del genere. La fece vedere a Ryuu e questa mise il broncio.
«Per l'ennesima volta, non sono stata io» si lamentò. «E poi a chi importa, se é morto non se ne fa più nulla»
Keiichi si sporse per guardare, da bravo impiccione qual era. Ci rimuginò un po'.
«Hai ancora il libro, Dario?» domandò, alzandosi e girando attorno alle poltrone.
«Credo di sì» commentò. «O forse l'hanno bruciato insieme agli altri»
Qualche tempo prima avevano rastrellato tutti i libri dalle camere e ci avevano fatto un rogo di dimensioni quasi tragiche. L'avvenimento aveva ricordato a molti quanto fatto dai nonni di Yona per evitare che la figlia si pungesse con l'arcolaio. Ma in questo caso non c'era stato alcun intento nobile, solo quello di fare uno sfregio. Perfino studenti che non avevano mai osato spilucchiare libri erano rimasti atterriti da quanto successo.
«Pensiamo. Cos'è che indebolisce un rapporto amoroso?» bofonchiò sarcasticamente Ryuu. «Se togliamo il drogare qualcuno» aggiunse sottovoce.
«Beh, quando sono stata separata per due anni da te ho sofferto molto, Keiichi» commentò Melody, guardando il corvino.
«Non ci siamo ancora baciati e non sono il tuo fidanzato. Però la distanza mentale o fisica indebolisce un rapporto, a quanto pare» mormorò.
Guardò la voglia di Dario. Ma certo! Era una cosa che aveva già fatto una volta. Sorrise diabolicamente e Ryuu lo squadrò, per nulla impressionata.
«Guarda come rovina tutto» mormorò. Melody le mise una mano sul braccio.
«Lascialo fare»
La rossa sbuffò. «Hey, Dario, ma Thomas che fine ha fatto?»
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Nel momento in cui nasciamo, qualcosa preannuncia il nostro destino. Che sia un fiocco di neve che si posa sulla finestra, o un uccellino che canta più vivacemente del solito. Non possiamo sfuggire al nostro fato, per quanto doloroso sia. È semplicemente impossibile farlo, anche per chi sembrava più forte degli altri. E più fuggi, più gli corri incontro. Thomas pattinava così velocemente da credere di star piroettando sul burro. Non era nemmeno sicuro di avere ancora del ghiaccio sotto, ma continuava ad andare avanti senza fermarsi mai. Anzi, pensava davvero di non poter fermarsi. In fondo sapeva in che direzione stava andando, ma non poteva fare a meno di voltarsi indietro alla ricerca dell'Accademia, ormai scomparsa da dietro di lui da tempo. Sospirava e cercava di convincersi di non poter tornare indietro. Il suo destino era sempre stato quello di riportare il Gran Maestro al proprio posto. Doveva farlo a prescindere da quanto gli dolesse il cuore.
Però non riusciva a distrarsi dall'idea che non avrebbe più visto i suoi amici. Non aveva nemmeno salutato Thisbe, di nuovo. Scosse la testa. Ma non l'aveva fatto per cattiveria, l'aveva fatto perché Miranda le stava col fiato sul collo. Non voleva che le succedesse qualcosa di terribile...e forse in fondo se n'era anche un po' dimenticato. Non voleva proprio ammetterlo, ma forse era la verità, sotto sotto. Era stato così preso da quel mondo magico che aveva dimenticato da dove era venuto. Incantesimi sorprendenti, ghiaccio perenne e sbuffi di fumo non potevano cancellare che era nato a Gavaldon e che sarebbe stato per sempre legato al villaggio. Lui non era come Thisbe ed Ada: si era forzato ad esserlo, ma altri non era che un intruso. Non aveva il potere dei Lettori e non l'avrebbe mai avuto. Sarebbe sempre stato un umano, anche se si sforzava di non esserlo. Ma per adesso, il destino gli riservava grandi cose.
Cercava di catturare con lo sguardo la bellezza della Selva Infinita prima di rinunciarvici per sempre. Bagliori colorati che lo guardavano curioso, appendendosi ai rami e nascondendosi tra le foglie e ridacchiando. Uccelli dalle piume brillanti che facevano frusciare gli arbusti mentre si nascondevano al suo passaggio, mentre altri si mettevano in mostra, consapevoli di essere l'ultimo spettacolo che Thomas avrebbe mai potuto vedere della Foresta Incantata. Piccole creaturine che si riparavano tra le radici, intimorite da un uomo di tale stazza. Quando sfrecciava loro davanti, lasciavano cadere i piccoli attrezzi su misura per loro e si ammassavano tutti, come nel loro motto: l'unione fa la forza. Ma Thomas non si fermava e non li attaccava, e tornavano all'opera. Creature fatte di fumo, che lo studiavano con gli occhi infuocati, o serpenti di dimensioni stupefacenti, che spalancavano le fauci nella speranza di un pasto diverso dal comune. O anche cavalli con curiosi corni sul capo, che sembravano oltremodo disinteressati alla presenza di un umano. A differenza loro, cavalli con grosse ali volteggiavano sopra di lui e lo seguivano per brevi tratti di strada.
Ogni tanto Thomas giurò a sé stesso di aver visto draghi sfrecciare sopra la sua testa, enormi e indifferenti alla presenza di una Foresta così attiva e variegata sotto di loro. Li aveva guardati con gli occhi spalancati, cercando di imprimere nella memoria tutti i dettagli curiosi. Bracciali e gioielli a misura di umano incastrati tra gli artigli, a volte perfino tra le squame, o ali che sembravano non essere tratto comune di tutti loro.
Improvvisamente un rumore lo distrasse da tanta meraviglia. Una fanciulla lo fissava curiosamente da dietro un albero. Intimorita, si nascose quando lui si avvicinò. Inavvertitamente, Thomas frenò con i pattini e deviò dalla strada che doveva percorrere.
«Carolina?» domandò perplesso, inclinando il capo. La giovane gli ricordava molto la compagna di giochi che aveva avuto a Gavaldon quando era piccino.
«Thomas...» mormorò lei, accarezzandogli il viso.
«Ma allora sei davvero tu!» esclamò lui, abbracciandola d'istinto.
Con il viso nell'incavo del collo dell'altro, lei sorrise diabolicamente.
☆.。.:* .。.:*☆
Tornando a noi, Keiichi si era diretto allegramente verso Khalil. In realtà dire "diretto" era piuttosto riduttivo, visto che trovarlo era diventato impossibile. Non aveva voglia né stabilità mentale per interromperlo in uno dei suoi appuntamenti con Domina — l'ultimo suo pensiero era diventare babysitter di un mostriciattolo. E poi doveva trovarlo da solo. Il suo piano era semplice: adescarlo e condurlo al pozzo come aveva fatto qualche tempo prima. Era stato più semplice farlo quando era ancora vulnerabile di un lutto (non era esperto di perdite ma due anni gli sembravano anche troppo tempo per riprendersi) e non aveva ancora subito il lavaggio del cervello di Domina.
Cosa poteva dirgli? Si fermò un attimo a rimuginarci su, appoggiato al balcone. Chiaramente l'idea di trovare Jamil non gli faceva più gola. Magari poteva semplicemente dirgli di seguirlo. Gli incantesimi d'amore amplificavano l'intelligenza? Ma se non aveva in partenza? Poteva dirgli che c'erano i saldi.
Sentì qualcosa dietro di lui e si girò terrificato. Khalil gli sorrise con i canini in bella mostra.
«Ciao dolcezza» lo salutò, stringendolo a sé dopo avergli messo un braccio attorno alla spalla.
«Che schifo» commentò il ragazzo, rimuovendoselo manualmente di dosso. «Non sei tipo fidanzato?» chiese, alzando un sopracciglio.
«Nulla di serio» ribatté lui. «Mi stavi cercando?»
«Come lo sai?» ridacchiò nervosamente.
«Io so tutto» cinguettò allegramente il vampiro. Nonostante il tono allegro dell'altro Keiichi provò un po' d'inquietudine e cercò di trascinarlo in direzione del pozzo.
«Non pensi mai a Jamil?» chiese, sbattendo le ciglia con fare convincente.
«Nah. Voglio dire, i cadaveri non mi eccitano più di tanto. Se capisci cosa intendo. È che immagino che si sia sfracellato sul fondo del pozzo, e quando immagino che di lui sarà rimasto qualche pezzo di organo non mi sale la passione. É inutile pensare a qualcuno che non ti stimola nulla, capisci?»
«Interessante» commentò solo Keiichi, traumatizzato. «Magari é rimasto qualche pezzo carino. Potremmo...potremmo vedere»
«Pensi davvero di buttarmi di nuovo nel pozzo, zuccherino? La prima volta sono stato un po' ingenuotto e lo ammetto. Ma adesso! Perché mai dovrei allontanarmi da questa vita. Nessuno stress genitoriale, feste ogni giorno e una ragazza. Che altro c'è nella vita?»
«Una ragazza che non é nemmeno la tua. Non ti senti un po' crudele?»
«Hai pietà di Miranda? E poi sei proprio tu a farmi la predica, Keiichi! Non hai sentimenti. Non hai emozioni. Il tuo unico ruolo é quello di sfotterci con un'ironia che pensi sia sottile ma ti confina in un personaggio stereotipato. Sei molto più di questo ma decidi di provare a convincere me a gettarmi in un pozzo»
«Ti sto solo proponendo di vedere cos'è rimasto di Jamil» bofonchiò. Forse doveva cambiare approccio. «Non pensi che sia rimasto qualche gioiello?»
Vide per un attimo gli occhi di Khalil illuminarsi del bagliore della cupidigia.
«In effetti aveva qualcosa di carino addosso»
«Erano d'oro. Non possono essersi rovinati» aggiunse il corvino, aumentando il passo. Ormai erano vicini. E poi il castano aveva già spianato la strada qualche tempo prima.
«Sempre che non se li sia mangiati uno di questi mostriciattoli» mormorò il più alto, indicando le creaturine strane che popolavano allegramente il luogo.
«Che sono questi...questi cosi?» domandò il ragazzo, agitando la gamba cercando di togliersi di dosso uno dei vermicelli che gli si stava arrampicando addosso.
«Forse jinn. Che ne so. Non mi interessa» ammise Khalil, sporgendosi verso il pozzo. Era il suo momento. Keiichi si avvicinò e fece per spingerlo, ma il castano si spostò rapidamente. In bilico, il corvino agitò le braccia cercando disperatamente di rimanere sulla terraferma. Khalil lo spinse leggermente.
«Non puoi raggirare qualcuno nello stesso modo due volte, Keiichi» mormorò, guardandolo precipitare.
«Oh, quasi dimenticavo. Buona nuotata!»
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